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Introduzione.
In questa tesi l’obiettivo è descrivere in quali modalità sia rappresentato, nello scenario
della società contemporanea occidentale, l’autismo, una patologia neurologica che si manifesta
prevalentemente in età infantile e adolescenziale le cui cause sono ancora oggi sconosciute alla
scienza. È compito arduo parlare in maniera defnitiva e certa dell’autismo, poiché dietro questa
parola, che ha la sua genesi nella comunità medico-scientifca, si celano molteplici dimensioni
che la connettono intimamente alla disabilità.
La prospettiva dell’approccio ermeneutico in medicina di Young e Kleinmann ben si
presta alla comprensione di quest’ultimo legame, in cui si evidenzia come il termine malattia
possa essere inteso secondo vari punti di vista: il vissuto esperienziale della persona, la
categorizzazione della comunità scientifca e le interpretazioni costruite dalla Società stessa. In
tal modo si evidenzia come le dimensioni sociologiche della malattia e della disabilità siano
strettamente connesse, attraverso il legame concettuale tra il triangolo terapeutico e il modello
multidimensionale della disabilità.
La disabilità, in base a quest’ultima concettualizzazione è indagata secondo tre aspetti;
l’alterazione, la limitazione e l’handicap, così come la dimensione della malattia si esplica negli
aspetti di Ilness Sickness e Disease.
La tripartizione della disabilità apre le prospettive per l’analisi di nove dimensioni che
attraversano i livelli micro (dell’individuo), meso (delle organizzazioni scientifche e mediche) e
macro (della Società).
Da tali intersezioni si evince come la multidimensionalità del fenomeno disabilità sia
così intesa anche dalle agenzie sovranazionali (come l’OMS) che si occupano di salute.
La descrizione si sofferma sull’analisi dei processi di limitazione e facilitazione prodotti dalla
società e dalle istituzioni sovranazionali e sul come sia possibile connettere la disabilità al tema
dei diritti umani.
Nell’ultimo paragrafo si affronta la relazione tra media e disabilità, evidenziando come,
a partire dalla letteratura per ragazzi, la disabilità sia stata rappresentata qualitativamente e
quali credenze e comportamenti abbia trasmesso e veicolato nel pubblico; inoltre ho riportato
quali rappresentazioni sono trasmesse dagli artefatti di comunicazione mediali e come siano
questi ultimi implicati nei processi di socializzazione caratterizzati da esclusione o da inclusione
sociale.
Infne il discorso si focalizza anche sulle opportunità e le limitazioni offerte dai mezzi
di comunicazione di ultima generazione, come internet e il world wide web.
L’analisi del modello multidimensionale della disabilità del sociologo Di Santo è
utilizzata in questa tesi per comprendere la disabilità; quest’ultima è affrontata poliedricamente,
a partire dalla storia sociale della malattia, passando per il vissuto esperenziale del singolo, si
arriva a descrivere la relazione tra disabilità e istituzioni, tenendo conto e descrivendo, secondo
una prospettiva propria anche della psicologia sociale, la costruzione di quel “marchio
infuocato” corrispondente allo stigma e al pregiudizio verso le persone malate, disabili o
diverse, che ha caratterizzato fn dall’antichità quelle che sono, in fn dei conti, solo persone.
Esclusione e partecipazione delle persone disabili, sono fenomeni sociali storicamente
connotati nei contesti odierni e passati della società e diventano oggetto di rifessione in
relazione alla rete degli attori sociali in gioco.
Il flone dell’interazionismo simbolico si adatta alla comprensione della disabilità in
un’accezione puramente legata ai fenomeni di socializzazione; il fenomeno sociale della
disabilità, analizzato seguendo le teorie del flone dell’interazionismo simbolico di Goffman,
permette di identifcare l’identità del disabile come essenzialmente connotata dalla
discriminazione.
La relazione tra la disabilità e l’istituzione scolastica, sempre nella prospettiva del
modello multidimensionale della disabilità, è costituita da processi di inclusione, accettazione e
assimilazione (facilitazioni), come anche da barriere per l’attività e la partecipazione nella
nostra società. La dimensione esplorata è quella della Sickness che si articola nelle relazioni tra
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la Società e le Istituzioni. Quali sono i processi di facilitazione e di limitazione nel contesto
scolastico secondo le molteplici relazioni che caratterizzano la scuola, la cultura e la disabilità?
Le barriere dello stigma e il pregiudizio nella Sickness hanno origini lontane: dalle prime fasi di
segregazione dei disabili nella società e nella cultura passata, si arriva all’odierno dibattito
globale sulla cultura dell’inclusione nelle scuole. La socializzazione del singolo, seguendo un
approccio costruttivista, tramite le agenzie educative e istituzionali si esprime nella dicotomica
relazione di esclusione ed inclusione, a seconda del contesto relazionale nel vissuto evolutivo
dell’individuo nei rapporti con la famiglia, la cultura e la società.
Trasversalmente le infuenze e gli atteggiamenti di queste ultime nei confronti delle
disabilità infuenzano l’identità dell’individuo. La condivisione di strumenti medici ed
educativi per costituire un linguaggio comune (lo strumento dell’ICF CY nelle scuole) nelle
situazioni educative individuali caratterizzate dalla presenza della disabilità, potrebbe aiutare a
costruire una scuola che sia orientata alla riabilitazione funzionale e che sia in rete attraverso la
coordinazione di servizi sanitari, sociali e della comunità: un network condiviso di prassi,
esperienze e linee guida armonizzato a livello nazionale. Approfondire il discorso delle
disabilità, come quelle prodotte dagli autismi, attraverso la pedagogia speciale e non solo in
ambito medico, esprime il riconoscimento della relazione tra Sickness e Disease in ambito
sociale e relazionale.
Il terzo capitolo è dedicato alla descrizione della patologia autistica dal punto di vista
della comunità scientifca che maggiormente se ne è occupata nel corso del tempo. Per
comprendere come la Scienza occidentale sia giunta alla defnizione odierna di autismo è
necessario fare un passo indietro nel tempo e analizzare le teorie scientifche che si sono
succedute sull’autismo. Il concetto medico di autismo, classifcato in un’accezione
fsiopatologica (autismo idiopatico, sindromico, da mutazioni rare etc.…) in diversi modi, è oggi
diffuso dalla comunità scientifca internazionale attraverso le classifcazioni cliniche fornite dal
Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali (DSM IV e IVtr-APA. DSM V,
Associazione psichiatri americani,2013) che si caratterizza per un’apertura alla dimensione
sociale e relazionale, rispetto alla precedente edizione, nel riconoscimento delle patologie
autistiche.
A partire dalla prima defnizione fornita dallo psichiatra austriaco Kanner nel 1943, si
analizzano i modelli esplicativi del comportamento autistico più diffusi nel corso del tempo
dalla comunità scientifca, fno ad accennare le ipotesi genetiche più recenti. Si comprenderà
come i vari orientamenti teorici, per tentare di spiegare le cause dell’autismo, abbiano
provocato anche serie conseguenze nei pazienti e nei loro familiari. La comunità medica (neuro)
psichiatrica nell’infanzia e nell’adolescenza utilizza alcuni strumenti standard per defnire la
presenza o l’assenza di questa complessa patologia quali: CHAT- for Autism in Toddlers
utilizzata da quando il bambino ha 18 mesi, intervista semi strutturata ai genitori (ADI-Autistic
Diagnostic Interview), osservazione del bambino (ADOS-Autistic Diagnostic Observation
Schedule), Childhood Autism Rating Scale (CARSS).
In seguito si discutono i metodi validati dalla comunità scientifca, (come l’intervento
psicologico e comportamentale ABA (Applied behavioral analysis), diffusi dalla Linee Guida
del 2011 del Ministero della salute. La presente descrizione è inoltre supportata e confrontata
criticamente attraverso un ‘intervista effettuata ad una neuropsichiatra infantile della sanità
pubblica laziale, incontrata nel tirocinio formativo universitario presso l’Azienda sanitaria
locale del territorio di Anzio e Nettuno, in cui si approfondiscono ulteriormente in nota gli
aspetti affrontati nel presente capitolo.
La diffusione di studi falsati e non corretti provoca danni sia alla comunità medica che
alla popolazione, si argomenta in seguito il caso originatosi in Gran Bretagna nel 1998, la
pubblicazione di un articolo sulla rivista “The Lancet”, a nome del medico britannico Wakefeld
sulla presunta correlazione tra insorgenza degli autismi e le vaccinazioni MPR (morbillo,
parotite, rosolia). Si accennerà allo studio condotto con i commenti di alcune pubblicazioni
internazionali basate sulla EBM (medicina basata sulle prove di effcacia) e si descriverà quali
elementi scientifci siano stati manipolati nella costruzione dello studio dell’ormai ex medico
britannico, per arrivare a defnire la posizione assunta dalla comunità scientifca internazionale
in tale caso. Le frontiere della scienza medica negli autismi sono rappresentate dalle molte
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ricerche scientifche in vari ambiti disciplinari; si discute la costruzione della diagnosi in un
clima di deistituzionalizzazione; con la formazione di un network condiviso di competenze tra
professionisti della salute e familiari del paziente autistico, per evidenziare l’apertura agli
elementi sociali anche nella defnizione dei trattamenti adeguati.
Nel quarto e ultimo capitolo si analizza il ruolo della medicina nel contesto della
diagnosi e del trattamento dei disturbi dello spettro autistico in Occidente, il quale ha
attraversato mutamenti importanti in un quadro di riscoperta dell’importanza delle relazioni
tra pazienti, medici e comunità sociale. In primo luogo il ruolo dei genitori quali co-terapisti
nella diagnosi diviene quell’elemento che caratterizza il passaggio dal monopolio del
paradigma medico all’apertura verso il sociale.
Si procede alla descrizione del paradigma della sociologia delle professioni rispetto ad
una sociologia delle competenze condivise, al fne di evidenziare in maniera più approfondita i
mutamenti nell’ambito clinico e della comunità in termini di relazioni sociali. Società (Sickess) e
Patologia(Disease) si relazionano con la mediazione dei mezzi di comunicazione di massa: le
rappresentazioni sociali della Disease in questione sono fltrate dalla comunicazione
istituzionale, il Ministero della Salute a fronte del numero crescente di utilizzatori della rete
internet comunica informazioni sulla patologia seguendo le indicazioni fornite dalla ricerca e
letteratura scientifca nazionale e si allinea alle posizioni dettate dall’OMS. Si approfondiscono
le modalità utilizzate dai mezzi di comunicazione di massa italiani in relazione all’istituzione
della prima giornata mondiale di consapevolezza sull’autismo, iniziata dal 2007. Il contesto di
sensibilizzazione crescente segue andamenti diversi a seconda della cultura di riferimento.
Inoltre il discorso s’arricchisce approfondendo il concetto di Patologia(Disease) occidentale
relativo agli autismi trasposto alla Società (Sickness) tramite accenni di comparazione ad altre
culture.
Oltre le rappresentazioni mediali c’è la realtà: il focus è orientato ora al concetto di
community care, attraverso la descrizione del legame interdipendente tra comunità medica,
famiglia dal soggetto autistico e società. Si descrive in quali modalità l’ANFASS ONLUS
(associazione italiana familiari disabilità intellettive e relazionali) comunica col proprio
pubblico di riferimento, sono presentate le iniziative dell’associazione e il legame tra elementi
istituzionali e non.
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Capitolo 1 I mille volti della disabilità
1 Il triangolo della malattia: Ilness, Sickness, Disease secondo un
approccio connessionista alla disabilità.
In questo capitolo intendo defnire la disabilità come una poliedrica manifestazione
fsica e/o psichica dell’essere umano che diffcilmente si presta ad una defnizione unitaria e
univoca.
Tanto complessa si presenta la sua defnizione (mai statica, ma dinamica e soggetta alle
evoluzioni scientifche e sociali della comunità nel susseguirsi del tempo) quanto molteplici si
presentano le domande circa la sua contestualizzazione nella società odierna, soprattutto in
rapporto al tema della salute.
Oggi quest’ultima è un problema sociale e il suo concetto si evolve al mutare degli scenari
della società in cui si manifesta; rispetto ai tempi passati, a seguito dellatransizione demografca e
della transizione epidemiologica cambiano le modalità con cui la salute viene intesa (Giarelli,
Venneri,2012;157).
Se nelle società proto industriale la salute si confgura come una semplice assenza di
malattia, la transizione demografca presenta un quadro di riferimento in cui diminuiscono
drasticamente natalità e mortalità e in cui la popolazione che invecchia è in incremento
continuo; parallelamente nella transizione epidemiologica le patologie prevalenti sono quelle
cronico degenerative soprattutto negli anziani, diminuisce l’emergenza sulle malattie infettive
(Giarelli, Venneri ,2012;158).
Questo mutato scenario apre la strada alla nuova concezione normativa dell’OMS, la
norma si riferisce alla costruzione di un nuovo quadro di valori verso cui orientare le azioni dei
servizi sanitari: “la salute è uno stato di completo benessere fsico, mentale e sociale e non solo assenza di
malattia” (OMS,1948).
In linea con tali premesse è possibile riferirsi ad un modello analitico per cui la salute
diventa un processo più che uno stato, defnito dalle connessioni delle relazioni sociali che
formano ilsistema salute; il fenomeno della disabilità si manifesta in forme diverse a seconda del
contesto culturale e storico in cui origina e delle relazioni tra gli attori istituzionali e non, che vi
partecipano: in tal senso è multidimensionale (Giarelli, Venneri,2012;161).
La sociologia della disabilità, fondata su un approccioconnessionista
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si propone di
sviluppare un modello multidimensionale della disabilità, quest’ultimo termine si è spesso
trovato relegato ai margini della rifessione sociologica, accomunato ai concetti di malattia e
devianza (Di Santo,201;50).
Le varie correnti sociologiche che si sono succedute nel tempo classifcano e
interpretano la disabilità secondo varie accezioni.
Il flone struttural funzionalista identifca la disabilità come devianza, il disabile è un
deviante, colui che appunto devia dalla norma attesa in una comunità; per la corrente
interazionista la disabilità coincide con lo stigma, per cui il disabile è essenzialmente un
discriminato; nella corrente socio biologica la disabilità appartiene alla sfera della cronicità e il
disabile diviene dunque un paziente adattato; nella visione confittualista la disabilità si
identifca col sub proletariato e il disabile è uno sfruttato, un emarginato; l’approccio
connessionista, invece, pone la disabilità in termini di (dis )uguaglianza e il suo oggetto
d’analisi è il cittadino( Di Santo,2013;23).
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Sociologicamente tale concetto è sviluppato da Ardigò( 1997) e successivamente da Cipolla(2005), il
quadrilatero di Ardigò è composto dall’ interazione di quattro elementi: la natura esterna ovvero
l’ambiente fsico in genere rispetto al sistema sociale; il sistema sociale, cioè la rete di comunicazione tra
individui con le sue peculiari caratteristiche; la persona come soggetto, tra l’Io (ego) e il Social self( Me); la
natura interna ovvero il corpo come entità biologica a partire dal patrimonio genetico. I successivi sviluppi
di tale impostazione rilevano come emergano due rappresentazioni della malattia, una legata al sapere
medico e una come espressione soggettiva del malato nel suo mondo vitale. Gli stili di vita, passando per
la stratifcazione sociale incontrano la salute nella società di riferimento, la natura esterna viene defnita
ambiente e interagisce con il sistema sociale, inteso anche organizzazione delle cure in sanità, il soggetto è
l’attore nel processo di cura e terapia. La connessione è tra i livelli di analisi sociologica micro, macro e
meso. Sulla scorta di queste considerazioni Giarelli elabora il modello correlazionale di sistema della salute
(2003), una struttura composta da interconnessioni analitiche dette multidimensionali che oltre ad essere
utile per l’analisi comparativa di un sistema sanitario fornisce prospettive che vanno oltre quest’ultimo (Di
Santo,2013;31-32-33).
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In questo testo, se non altrimenti specifcato, la parola disabilità è intesa secondo le
sottocategorie defnite dall’OMS, dunque disabilità fsica, cognitiva, intellettiva,
sensoriale(OMS,2011).
Defnire la disabilità ed analizzare i termini ad essa correlati risulta di fondamentale
importanza, se si considera che, tramite l’analisi della “forma” delle parole, si possono
rintracciare nelle parole stesse i contenuti che rimandano alle tipologie di interventi sulla
promozione dei diritti delle persone che ne sono portatrici.
La parola disabile presenta un’etimologia di origine latina e risulta composta dal
termine “habilis” che signifca abile con un’evidente accezione positiva, destinata però a
cambiare segno se si procede alla combinazione della predetta con il prefsso “dis” (quest’ultimo
dotato di una connotazione negativa), con la conseguenza che il signifcato fnale della parola in
esame coincide con il concetto di non abilità.
In greco antico invece il prefsso “dys” esprime una deviazione dalla norma ed è spesso
utilizzato in ambito medico e statistico, anche se restringere il campo d’indagine al settore
sanitario appare eccessivamente riduttivo, non foss’altro per il fatto che, ad esempio, “il ritardo
mentale, come oggetto di conoscenza, non ha mai avuto una collocazione permanente in un campo: è
stato, e continua a essere, un oggetto del discorso medico, psicologico, pedagogico, morale, umanitario e
politico” (Carlson in Medeghini, 2013:176). A livello esemplifcativo si cita il ritardo mentale in
quanto tale categoria medica presenta un alto livello di interconnessioni disciplinari nel
tentativo di volerne descrivere le caratteristiche.
Nel ventesimo secolo molteplici sono le defnizioni per identifcare la disabilità,
altrettanto diversi sono i modelli concettuali e teorici utilizzati per analizzare questa condizione,
i quali si inseriscono nella dimensione della storia della disabilità anche se il confne è
strettamente legato alla storia della malattia, in quanto il legame tra le due è sfumato e non
delimitato nettamente, infatti storicamente la medicina svolge un ruolo predominante
nell’interpretazione della categoria disabilità.
Secondo il modello multidimensionale della disabilità infatti, il rapporto tra malattia e
quest’ultima è strettamente connesso, nei primi modelli medici della comunità scientifca
internazionale, la menomazione fsica e/o psichica è la causa della malattia.
Pertanto, ridurre la problematica della malattia ad una questione solamente medica, signifca,
ad esempio, trascurare l’emarginazione sociale.
Signifca, in altri termini, ignorare che la defnizione di disabilità non descrive un vero e
proprio attributo della persona (intesa come entità multi sfaccettata, nel quadro di quella
visione poliedrica dell’essere umano di cui si è accennato in apertura). Il minimo comune
denominatore, l’elemento che tutti coinvolge, è proprio il concetto stesso di norma, la quale
inserisce la nostra esistenza in una rete di signifcati che assumono le sembianze della dicotomia
tra chi è nella norma e chi è fuori dalla norma.
Parlare di inclusione presuppone che esista il suo opposto, ovvero l’esclusione.
Appare necessario procedere ad un brevissimo excursus storico-sociale per identifcare i
signifcati culturali e sociali della disabilità nella storia.
Le fonti che permettono lo studio della realtà nel mondo antico sono legate
all’archeologia, alla letteratura come anche allo studio dei miti, delle istituzioni sociale e dei riti.
Le tracce dell’antichità non riportano molte notizie sull’esistenza di persone con
infermità intellettive, al contrario di quelle riguardanti le deformazioni fsiche; basti pensare alla
creazione della mitologia del mostro nel mondo antico, che incarna il caso limite della disabilità
fsica.
Nell’antica Babilonia, in Grecia e nella Roma imperiale condotte classiche di
eliminazione consistevano nell’infanticidio dei bambini nati con deformazioni fsiche; la
disabilità era un vero e proprio segnale divino: un castigo degli dei che colpiva i genitori ingrati.
Inoltre fattori economici e teologici contribuivano a considerare la disabilità una grave
limitazione per le famiglie dell’epoca (Di Santo,2013).
Si suppone che le condotte di eliminazione e di abbandono da parte di queste antiche
società non fossero le uniche; le infermità intellettive godevano di una maggiore
considerazione, in alcuni rari casi si verifcano episodi di valorizzazione.
Le differenze sociali nel trattamento delle disabilità anche all’epoca erano legate alla
classe di appartenenza: cura e assistenza, così come integrazione, erano prerogative dei ranghi
sociali più alti, la plebe e gli schiavi invece, erano condannati alla povertà e all’emarginazione.
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I cosiddetti “pazzi” provocano diverse reazioni nella società, la follia era spiegata con
l’intervento di una divinità soprannaturale incarnata nell’individuo, tanto da incutere timore e
rispetto nel prossimo; in rari casi però i folli erano considerati portatori di grandi virtù.
La maggioranza di costoro, relegati ai margini della vita di comunità, erano sottoposti a
regimi disciplinari.
Successivamente, nei testi biblici compare la fgura di un Dio maggiormente
misericordioso più che punitivo, orientato all’accoglienza e al supporto più che
all’emarginazione e all’esclusione dei diversi (Scianchi,2014).
Le pratiche sociali del passato antico nei confronti della disabilità permettono di
giungere alla defnizione di quel substrato culturale e collettivo che, tramandato di generazione
in generazione, si tramuta nell’odierno pregiudizio.
Nel corso del tempo le modalità delle istituzioni per il recupero dei soggetti disabili
sono cambiate al mutare del progresso civile e morale delle società (Di Santo,2013).
Il modello multiforme di disabilità abbraccia le tre dimensioni della storia sociale della
disabilità, del pregiudizio, dello stereotipo e dello stigma come limitazioni, per cui è possibile
allargare l’orizzonte alle diverse culture storiche della disabilità, per giungere poi comprendere
in quali modalità oggi la società interpreta questo costrutto multidimensionale in ambito
istituzionale (Di Santo,2013).
Se, nell’immaginario collettivo l’evitamento e l’esclusione erano destinate ai soggetti
con la lebbra nel Medioevo, successivamente tale trattamento sarà destinato ai malati di mente a
cavallo tra XVI e il XVII secolo.
L’epoca dell’illuminismo si avvale dei progressi della scienza medica, anche se le
pratiche rispondevano a trattamenti molto spesso inumani e disgustosi (Di Santo,2013).
In seguito si passa dalla restrizione in strutture, all’isolamento in altre, ai fni di
protezione e cura, sotto il controllo di operatori specializzati: nascono dunque i manicomi. Già
nel 1840 si afferma nella società inglese il concetto di anormalità, legato imprescindibilmente
allo stato di malattia (Medeghini et al,2015); Galton nel 1833 modifca “la distribuzione
normale” della curva di Gauss per identifcare alcune caratteristiche ricorrenti nelle
popolazioni.
Linguisticamente il concetto di “norma” si struttura nella disciplina della statistica
(Davis in Medeghini,2015); Adolphe Quètelet con il suo concetto di media diventa il precursore
dell’idea della norma affancata al progresso, ne consegue una suddivisione ideale della
popolazione tra coloro i quali appartengono alla norma e quelli che ne sono al di fuori.
A partire da tali considerazioni con la revisione della distribuzione normale Galton
modifca la teoria statistica ponendo le basi successive per lo sviluppo dei test di intelligenza e
di quelli scolastici (Davis in Medeghini,2015).
Quest’ottica di normalità (contrapposta all’anormalità) si genera per le esigenze del
gruppo dominante di controllare e concretizzare una forma sociale gerarchizzata. A partire dal
XIX e XX secolo, la disabilità intellettiva-idiozia (da intendersi come una mancanza) era già
distinta dalla follia, andando a confgurare una condizione a sé stante e non una sottospecie di
alterazione mentale data dalla pazzia.
Le pratiche istituzionali contribuirono a creare defnizioni e trattamenti in strutture
organizzate; è nelle scuole per deboli mentali che si studiavano le disabilità intellettive.
Questi primi modelli si basavano sulla segregazione, con l’implementazione di
istituzioni speciali. In Francia J.M. Gaspard Itard e E. Seguin, a metà del milleottocento,
cercarono di educare un bambino (Victor) elaborando poi una pedagogia speciale per le
disabilità intellettive.
Tali tentativi furono mal accolti nella nazione di origine, ma furono esportati negli Stati
Uniti; nel contempo, il fondatore della psichiatria moderna, Pinel affermava le possibilità di
guarigione dei soggetti affetti da follia, purché sottoposti a trattamenti esclusivamente in
ospedali e istituzioni speciali.
Gli istituti per deboli di mente erano denominati Scuole, e in America si svilupparono
nella metà del XVIII secolo; custodia addestramento ed educazione erano le parole chiave per
comprendere le fnalità di tali istituzioni (Medeghini, 2013).
Infatti, erano previste la protezione e la custodia per coloro i quali non rispondevano
allo stimolo educativo, mentre si perseguiva lo scopo della trasformazione di soggetti
potenzialmente curabili in individui produttivi per la società.
Disciplina ed esclusione connesse alla disabilità intellettiva erano le caratteristiche
fondamentali che connotavano chiaramente i summenzionati Manicomi, Scuole o Istituzioni.