PREMESSA INTRODUTTIVA 
 
 La presente dissertazione propone principalmente uno studio sull’evoluzione 
dell’istituto dell’estradizione in ambito europeo e comunitario. Esso verrà condotto 
attraverso l’analisi di tre testi normativi: 
- La Convenzione europea di estradizione del Consiglio d’Europa del 1957 e i suoi 
Protocolli addizionali, strumento risalente ma ancora pienamente applicabile; 
- La Decisione quadro 2002/584/GAI sul mandato d’arresto europeo in ambito UE; 
- La legge 22 aprile 2005, n. 69, di attuazione della decisione quadro sul mandato 
d’arresto europeo. 
 
 Nella parte I, dopo aver delineato le caratteristiche tradizionali dell’estradizione, 
ci si sofferma sullo sviluppo della cooperazione giudiziaria nell’ambito dell’Unione 
europea. Questa digressione è necessaria per comprendere come si è giunti alla 
formulazione di due principi fondamentali: il principio del mutuo riconoscimento delle 
decisioni giudiziarie sulla base della reciproca fiducia tra gli Stati membri, e il principio 
di interpretazione conforme della normativa nazionale a quella sovranazionale. 
 L’istituto dell’estradizione è stato proprio il primo a venire sostituito in ambito 
UE, agli inizi del decennio scorso, in applicazione del principio del mutuo 
riconoscimento delle decisioni, dal mandato d’arresto europeo, introdotto attraverso la 
Decisione quadro 2002/584/GAI. 
 Si farà debita menzione delle disfunzioni dell’ormai ex Terzo Pilastro, caduto a 
seguito della rivoluzione posta in essere con l’adozione del Trattato di Lisbona nel 
2009, che in materia di cooperazione penale ha introdotto numerose novità. Un cenno 
poi sarà fatto alla sempre più grande importanza dei soggetti della cooperazione 
giudiziaria penale, che garantiscono il funzionamento degli strumenti della 
cooperazione, tra i quali rientra il mandato d’arresto europeo. 
 Nella parte II si intende sviluppare la tematica della tutela dei diritti 
fondamentali quale possibile limite alla consegna del soggetto. Il trasferimento da uno 
Stato ad un altro per esigenze di giustizia penale, non dovrebbe mai comportare una 
deminutio dei diritti che sono invece in Patria maggiormente garantiti.
Prendendo le mosse da storiche sentenze in materia estradizionale, l’attenzione 
si focalizzerà sulla decisione quadro sul mandato d’arresto europeo, che sembra aver 
sottovalutato il problema, non prevedendo appositi motivi di rifiuto della consegna in 
caso di violazione dei diritti fondamentali, e lasciando eccesiva libertà al legislatore 
nazionale. Questa soluzione si è tradotta in scelte difformi nelle normative nazionali di 
attuazione, che spesso hanno rappresentato un vero e proprio ostacolo alla cooperazione 
giudiziaria. 
 Verrà allora sottolineato il ruolo svolto dalla Corte di giustizia dell’Unione 
nell’ambito del processo penale. Questa in più occasioni ha sopperito, con le proprie 
pronunce, a delle vistose lacune della normativa comunitaria, limitando gli interventi 
della "vicina" Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale tradizionalmente mostra un 
atteggiamento in un certo senso reticente in materia di consegna internazionale. 
 La terza ed ultima parte è invece dedicata alla normativa italiana di attuazione 
della decisone quadro sul mandato. Verranno in particolare analizzate le numerose 
distanze, per non dire difformità, tra tale norma e quella sovranazionale, e le coraggiose 
pronunce della Corte di Cassazione.  
 Essa in diversi casi, facendo largo uso del principio di interpretazione conforme 
alla normativa comunitaria, ha favorito la consegna, forzando la lettera della norma. 
 Vedremo di volta in volta se le scelte del legislatore nazionale possono avere o 
meno delle giustificazioni, anche alla luce degli interventi della Corte costituzionale, 
che finora è intervenuta in sole due occasioni dichiarando l’illegittimità costituzionale di 
alcune disposizioni della legge di attuazione. 
 La dissertazione concluderà con alcune considerazioni sul concetto di c.d. "tutela 
multilivello dei diritti fondamentali", e sulle recenti fasi del processo che dovrebbe 
portare all’adesione dell’UE alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, prevista dal 
TUE ma non ancora avvenuta. 
 La presenza in ambito comunitario del mandato d’arresto europeo, così come di 
altri strumenti in grado di incidere su garanzie individuali, dovrebbe essere motivo di 
accelerazione di questa integrazione, per assicurare almeno una concordanza tra le due 
corti al vertice del sistema giurisdizionale europeo.
PARTE I 
DALL’ESTRADIZIONE AL MANDATO D’ARRESTO EUROPEO, LA 
COOPERAZIONE PENALE NELL’AMBITO DELLE ISTITUZIONI EUROPEE 
 
CAPITOLO I 
L’ESTRADIZIONE: LE FONTI DI DISCIPLINA DELL’ISTITUTO E LE 
CARATTERISTICHE TRADIZIONALI DELLA PROCEDURA 
 
1. Premessa. 
L’estradizione (dal latino ex – tradere, "consegnare fuori") può essere definita come un 
meccanismo attraverso il quale uno Stato (detto Stato richiedente) si fa consegnare da 
un altro Stato (detto Stato richiesto) una persona, che necessariamente si deve trovare 
sul territorio di quest’ultimo, per esigenze inerenti al funzionamento della giustizia 
penale
1
. 
Nel nostro ordinamento l’istituto è regolato da fonti di vario grado e livello. Tra le 
fonti di origine statale va annoverata la stessa Costituzione, che si riferisce direttamente 
alla estradizione all’art. 10 comma 4, prevedendo il divieto di consegna per reati 
politici, e all’art. 26 commi 1 e 2, che invece si occupano dell’estradizione del cittadino. 
 Legati all’estradizione sono inevitabilmente anche l’art. 13 in materia di libertà 
personale, e quel quarto comma dell’art. 27 che pone il divieto della pena di morte. 
 Ma è soprattutto all’interno del codice di procedura penale che l’estradizione 
trova una compiuta regolazione. All’istituto è dedicato il titolo II del libro X, che regola 
i rapporti con le autorità straniere. Tale libro si apre con la previsione generale dell’art. 
696 c.p.p., che inserisce l’estradizione, assieme agli altri strumenti di cooperazione 
giudiziaria in materia penale, tra tutto quanto soggiace al principio di prevalenza delle 
fonti di diritto internazionale generale e pattizio. 
 La presenza di fonti internazionali comporta dunque che le norme codicistiche 
siano ridotte ad un ruolo sussidiario, applicandosi queste solo ove norme di origine 
                                                 
1
 In generale sull’estradizione, cfr. ad esempio G. CATELANI – D. STRIANI, L’estradizione, Giuffrè, 
1983; M. R. MARCHETTI, L’estradizione, profili processuali e principio di specialità, Cedam, 1990; G. 
RANALDI, Il procedimento di estradizione passiva, UTET, 2012; M. CHIAVARIO, Manuale 
dell’estradizione e del mandato d’arresto europeo, UTET, 2013. 
1
internazionale manchino o non dispongano diversamente. Esse troveranno quindi sicura 
vigenza non solo in tutti i rapporti con quegli Stati con i quali l’Italia non è legata da 
fonti pattizie, ma anche in tutte quelle situazioni in cui la fonte internazionale permetta 
deroghe o integrazioni. 
 Tra le fonti che disciplinano l’istituto, numerose sono quelle bilaterali, alcune 
anche molto datate (esistono trattati di estradizione conclusi nell’Ottocento e ancora in 
vigore), mentre altre risalgono al ventennio fascista o all’immediato secondo 
dopoguerra. Un discorso a parte va fatto quanto al rapporto con gli Stati Uniti 
d’America, poiché l’originario trattato bilaterale è stato aggiornato nel 2006 ma in 
conseguenza di un accordo sui generis per il quale la controparte non è stata l’Italia ma 
l’Unione europea
2
. 
 Tra i Paesi propriamente europei non esistono trattati bilaterali, questo perché le 
procedure di consegna internazionale risultano oggi regolate nell’ambito di due diverse 
organizzazioni internazionali. In primo luogo nel 1957 è stata sottoscritta a Parigi, 
nell’ambito del Consiglio d’Europa, una Convenzione europea di estradizione (poi 
integrata da quattro Protocolli addizionali) che, una volta ratificata (l’Italia lo ha fatto 
con la legge 30 gennaio 1963, n. 300), divenne lo strumento esclusivo di regolazione 
dell’estradizione tra i paesi europei, abrogando tra le Parti contraenti i vincoli bilaterali 
preesistenti, e per il futuro ammettendone soltanto in funzione integrativa o facilitativa 
della sua applicazione (secondo quanto previsto dall’art. 28). 
 Nei primi anni del decennio scorso, il quadro delle relazioni intereuropee in 
materia di estradizione subì poi un nuovo e profondo mutamento. In ambito UE venne 
infatti adottata la Decisione quadro 2002/584/GAI sul mandato d’arresto europeo (a cui 
l’Italia ha dato esecuzione con la legge 22 aprile 2005, n. 69), che ha espressamente 
preso il posto, tra gli Stati membri dell’Unione, della Convenzione europea del 1957 e 
degli altri strumenti disciplinanti in vario modo la materia fino a quel momento in 
vigore. Questo significa che la Convenzione europea del Consiglio d’Europa continuerà 
a trovare applicazione solo nei rapporti tra l’Italia e i Paesi membri del Consiglio 
d’Europa, che non siano membri anche dell’Unione europea
3
. 
                                                 
2
 L’Accordo è stato sottoscritto a Washington il 25 giugno 2006, contestualmente ad un parallelo Accordo 
sulla mutua assistenza giudiziaria, entrambi entrati in vigore dal primo febbraio 2010. Il nuovo testo ha 
sostituito il precedente trattato di estradizione Italia–Usa firmato a Roma il 18 gennaio del 1973 e reso 
esecutivo con la legge 9 ottobre 1974, n. 632. 
3
 M. CHIAVARIO, op. cit., p. 3 e ss. 
2
A livello interno, si tenga inoltre presente che attualmente pende al Senato un 
disegno di legge recante una delega al Governo per la riforma del libro XI del codice di 
rito
4
. Il progetto si svilupperà a partire dai lavori di una Commissione di esperti, e mira 
all’aggiornamento di tutti i diversi strumenti di cooperazione e collaborazione 
bilaterale
5
. 
 
2. La Convenzione europea di estradizione del 1957. 
Il problema di un testo di convenzione europea di estradizione veniva posto per la prima 
volta all’ordine del giorno dell’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa nel 1951. 
 La prima proposta formulata passava all’esame della Commissione delle 
questioni giuridiche e amministrative, e veniva fatta oggetto di un primo rapporto. 
 Nel 1953 la faccenda passava all’esame di un comitato di esperti governativi, il 
quale stilò un progetto di raccomandazione recante in allegato il testo di un progetto di 
convenzione. Entrambi venivano adottati dall’Assemblea consultiva con la 
raccomandazione n. 66-1954, con la quale si invitavano Comitato e Commissione a 
portare a compimento i lavori. 
 La base, aggiornata e rielaborata, era rappresentata da tre documenti di elevato 
valore tecnico: la Convenzione tra Francia e Germania Federale, e due progetti di 
convenzione d’estradizione varati, rispettivamente, nel 1935 e nel 1948: l’uno a cura 
dello Harvard Resarch in International Law, l’altro a cura della Commissione 
Internazionale Penale e Penitenziaria. 
 A dire il vero, in prima battuta, i delegati e i ministri concludevano l’esame della 
raccomandazione n. 66 con una risoluzione che sembrava mettere in crisi l’idea stessa di 
una convenzione multilaterale di estradizione. Ciò era dovuto al fatto che alcuni membri 
                                                 
4
 Si tratta del disegno di legge n. 1949 della diciassettesima legislatura, recante delega al Governo per la 
ratifica e l’esecuzione della Convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati 
membri dell’Unione europea, fatta a Bruxelles il 29 maggio 2000, e una seconda delega per la riforma del 
libro XI del codice di procedura penale. Quest’ultima richiede, tra l’altro, alcune modifiche alle 
disposizioni in materia di estradizione per l’estero: soprattutto termine per la consegna e durata massima 
delle misure coercitive. 
5
 La Commissione di studio, presieduta da Maria Riccarda Marchetti e insediatesi presso l’Ufficio 
legislativo nel gennaio del 2016, ha il compito di riformare il sistema della cooperazione giudiziaria in 
materia penale (estradizioni, assistenza investigativa e probatoria, trasferimento dei detenuti); 
implementare fonti normative europee che contengono preziosi strumenti di cooperazione come le 
squadre investigative comuni e gli scambi informali di informazioni tra autorità giudiziarie e di polizia; 
migliorare e modernizzare gli strumenti del mutuo riconoscimento (mandato d’arresto europeo, ordine 
europeo di indagine, decisione quadro sul trasferimento dei detenuti). I lavori dovranno concludersi salvo 
proroga entro il 30 aprile 2016. 
3