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Introduzione
Da quando esiste l’uomo, esiste la menzogna.
Libro della Genesi (4,1-15)
“Caino si ingelosì di suo fratello e, nonostante Yahweh lo avesse invitato a non
sconfortarsi, uccise suo fratello. Dio chiese conto a Caino del sangue di suo fratello, al
che Caino rispose: "Sono forse il custode di mio fratello?", non denotando alcuna
espressione di pentimento e di rimorso”.
E da sempre l’uomo si interroga su cosa significhi mentire.
Sant’Agostino, Morali Pastorali, De Mendacio. Definizione di menzogna.
“Occorre dunque precisare cosa sia la menzogna. In effetti non tutti quelli che dicono
delle falsità mentiscono: tale è colui che crede o suppone essere vero ciò che afferma. C’è
poi una differenza tra il credere e il supporre: chi crede a volte s’accorge di non conoscere
la cosa che crede, sebbene non nutra dubbi di sorta sulla cosa che sente di non conoscere,
se in essa crede con assoluta certezza. (….) Mentisce poi sicuramente colui che
nell’animo ha una cosa mentre a parole o con qualsiasi mezzo espressivo ne dice un’altra.
Per questo, si suol dire che il bugiardo è doppio di cuore, cioè ha due [diversi] pensieri:
uno quello che sa o ritiene come vero ma non ne parla, l’altro quello che invece del
precedente proferisce con le labbra sapendo o congetturando che è falso. Ne segue che
uno, senza mentire, può affermare una cosa falsa, in quanto crede che le cose stiano
proprio come egli dice, sebbene di fatto non stiano così. Parimenti può accadere che uno,
pur mentendo, dica la verità: come quando uno crede falsa una cosa che egli afferma
essere vera, sebbene effettivamente le cose stiano com’egli asserisce. Riteniamo infatti
che una persona sia sincera o bugiarda in base al giudizio della sua mente e non in base
alla verità o falsità della cosa in sé. Pertanto di uno che dice il falso in luogo del vero, in
quanto lo ritiene effettivamente vero, possiamo dire che sia nell’errore o magari che sia
un illuso, ma non che sia un mentitore. Nel suo parlare infatti egli non ha in cuore la
doppiezza e non intende imbrogliare ma è vittima dell’inganno. La colpa del mentitore
sta invece nel desiderio di ingannare, quando dichiara il suo animo, sia che riesca a
ingannare, perché si crede alla sua falsa dichiarazione, sia che di fatto non inganni, vuoi
perché non gli si crede, vuoi, nel caso che con il desiderio di ingannare dica vero, ciò che
non crede vero. In questo caso egli non inganna chi gli crede, sebbene abbia avuto
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intenzione d’ingannarlo, a meno che nel mentire non arrivi al punto di fargli credere che
lui stesso conosce od opina secondo quel che dice a parole”.
Lo scopo principale di questo lavoro, di tipo compilativo, è comprendere i meccanismi
della menzogna involontaria, in particolare in sede testimoniale. Con questo fine, si
intende esplorare i vari tipi di menzogna con particolare interesse per l’autoinganno ed i
falsi ricordi.
1. I vari tipi di menzogna
L’inganno è oggetto di molteplici definizioni:
Whaley riconosce che “l’inganno spesso include informazioni fornite con l’intento di
manipolare altre persone”.
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Ettinger and Jehiel descrivono l’inganno come il processo attraverso il quale le azioni
sono scelte con il fine di manipolare le conoscenze per ottenere vantaggio da inferenze
errate.
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Queste descrizioni, prevedono sempre l’intenzionalità, ma la definizione proposta da
Bond e Robinson comprende invece sia gli atti di inganno coscienti che quelli non
coscienti, gli intenzionali e i non intenzionali. Questi autori descrivono l’inganno come
“una falsa comunicazione finalizzata al beneficio del comunicatore”.
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Paul Ekman aggiunge che l’uso del falso per mascherare la verità che si desidera
dissimulare si rende necessario particolarmente quando si devono nascondere delle
emozioni. Quanto più intensa è l’emozione, tanto più è probabile che qualche segno
trapeli, nonostante gli sforzi per nasconderla.
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Le menzogne sono state categorizzate e suddivise in moltissimi modi e da diversi punti
di vista. Per porre chiarezza in una giungla di definizioni è utile la suddivisione che
propone Luigi Anolli.
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1 B. Whaley, Towards a General Theory of Deception, The Journal of Strategic Studies, 1982, 5(1): p. 178-192.
2 D. Ettinger, and P. Jehiel, Towards a theory of deception, London, UK, ELSE Working Papers 181. ESRC Centre for Economic
Learning and Social Evolution, 2009.
3 C.F. Bond, and M. Robinson, The evolution of deception, Journal of Nonverbal Behavior, 1988, 12(4): p. 295-307.
4 P. Ekmann, I volti della menzogna, Firenze, Milano, Giunti, 2015.
5 L. Anolli, Mentire, Bologna, Il Mulino, 2003
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La prima importante distinzione è relativa alla volontà agita:
• Volere che il destinatario della menzogna creda il falso
• Non volere che il destinatario della menzogna creda il vero
Da questa prima classificazione, si ottengono le seguenti tipologie di menzogna:
• Omissione. Non si fornisce all’interlocutore alcuna informazione essenziale per gli
scopi di quest’ultimo (reticenza o semplice silenzio).
• Occultamento. Si agisce per nascondere informazioni rilevanti fornendo invece
informazioni diverse da quelle reali, fuorvianti o secondarie, al fine di provocare false
credenze.
• Falsificazione. Si comunica deliberatamente informazioni false.
• Mascheramento. Si forniscono informazioni false che possano nascondere quelle vere
• Falsa conferma. Si conferma intenzionalmente una credenza che si sa essere falsa.
La prima grande differenza che si può notare sta nel fatto che, in alcuni tipi di menzogna,
l’azione è mantenere chi ascolta in uno stato di ignoranza, mentre in altre tipologie
l’intenzione è deviare le conoscenze e dare luogo ad informazioni false.
A questo proposito, Paul Ekmann propone un’interessante distinzione tra i modi di
mentire: dissimulare e falsificare.
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Di solito le persone preferiscono dissimulare piuttosto che falsificare. Questo perché
nascondere è più facile che creare un falso: non si deve inventare e non si rischia di
sbagliare per non essersi ben preparati ad eventuali domande. Anche il senso di colpa
diventa più accettabile se non è provocato da una totale falsificazione. Dissimulare è un
comportamento passivo e, anche se i danni causati non sono inferiori a quando si falsifica,
chi mente può sentirsi meno colpevole se ha “solo” taciuto una verità, conservando la
convinzione che l’ingannato sappia il vero ma non voglia affrontarlo.
In alcuni casi però, la dissimulazione non basta. Quando si deve, per esempio, fornire
delle informazioni che non si vuol dare, non si può semplicemente nascondere le
informazioni vere: bisogna fornirne di false. Ecco quindi che la scelta tra le due strategie
non è più possibile. Si deve falsificare. La falsificazione serve anche per coprire le prove
6 P. Ekman, I volti della menzogna, cit p.6-
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di ciò che si vuole nascondere. In particolare, la falsificazione è utile quando si vuole
celare agli altri le emozioni che si stanno provando, specie se sono intense. L’amore è più
difficile da dissimulare che la simpatia; il terrore è più difficile della paura e per questo
motivo, fingere un’emozione diversa, può aiutare a mascherare quella realmente provata
(che si sta cercando di dissimulare).
Si può mentire anche dicendo il vero. Come spiega Anolli
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, l’abilità umana di inganno e
menzogna non ha limiti. Spesso il destinatario della comunicazione non ritiene vere le
informazioni che sta ricevendo e tende quindi a non credere a quanto gli viene detto. Chi
mente può sfruttare questa condizione dicendo il vero, sicuro che il suo messaggio verrà
interpretato come menzogna e quindi, per reazione, il falso sarà assunto come vero. In
questo caso il destinatario del messaggio si inganna da sé.
Questa pratica menzognera è una forma di inganno indiretto che sfrutta delle modalità
implicite che portano l’interlocutore ad assumere credenze e supposizioni false.
Gli inganni indiretti permettono di evitare la responsabilità delle proprie dichiarazioni,
facendo cadere il peso dell’interpretazione su chi ascolta.
C’è poi un’altra tipologia di menzogna: il falso raccontato a sé stessi.
L’autoinganno accade in molte occasioni e spesso è causa del desiderio/bisogno che le
cose siano diverse dalla realtà. Al contrario di quanto si possa pensare, non ci si
autoconvince del falso per distrazione e inaccuratezza epistemica, come può accadere per
altre forme di incongruenza logica. L’autoinganno ha anche una forte componente
motivazionale, che attiva un processo cognitivo che genera una falsa convinzione in linea
con la realtà desiderata. John Elster
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classifica questo fenomeno come appartenente alla
più ampia famiglia dei casi di “irrazionalità motivata”, definendo “motivata” ogni forma
di irrazionalità in cui non incorreremmo se non fossimo appunto condizionati da uno stato
motivazionale, ad esempio un desiderio.
7 L. Anolli, Mentire, Bologna, Il Mulino 2003
8 J. Elster, L’io multiplo, Milano, Feltrinelli, 1991. (versione originale: The Multiple Self, Cambridge University Press, Cambridge,
1986)