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Introduzione.
Il focus di questa Tesi è quello di proporre un approccio organico e coerente per il
miglioramento delle condizioni ambientali e di vita nella città di Taranto.
Le città moderne sono sotto la minaccia di numerosi rischi, derivanti da emissioni, gestione
dei rifiuti, esaurimento delle risorse, così come dai rischi naturali e tecnologici. Recenti
eventi pericolosi mettono chiaramente in evidenza che i disastri urbani sono sempre più
caratterizzati come eventi complessi, di tipo sostanzialmente ibrido, passando da fenomeni
individuali verso "un mix interattivo di catastrofi naturali, tecnologiche ed eventi sociali"
1
Al giorno d'oggi, quasi tutti i processi della pianificazione territoriale devono essere
sottoposti a una valutazione ambientale strategica (VAS) al fine di "garantire un elevato
livello di protezione dell'ambiente nella preparazione e adozione di uso del suolo strumenti
di pianificazione "(Direttiva Europea 42/2001/CE).
Al contrario, la riduzione del rischio rappresenta ancora un obiettivo marginale nei
processi di pianificazione territoriale. La valutazione del rischio e la prevenzione sono
affrontati oggi principalmente attraverso piani settoriali, con conoscenze specialistiche non
armonizzate, sulla base di un approccio orientato sul pericolo, dedicando scarsa attenzione
alle caratteristiche di esposizione, resilienza e vulnerabilità delle risorse umane e naturali.
La tesi propone di incentivare quest’ultimo approccio, dimostrando come esso possa essere
fondamentale per ottenere soluzioni improntate sulla sostenibilità delle risorse.
Taranto è una realtà fortemente industrializzata avvantaggiata anche da numerosi fattori
geografici e storici, in cui sembra difficile trovare una vocazione primaria alternativa, con
gli stessi vantaggi economico-produttivi che garantisce il settore industriale.
Mantenere in vita il polo industriale, con o senza settore siderurgico (ILVA “risanata”),
comporta comunque dei rischi. La soluzione ottimale si ottiene a valle di un processo
pianificatorio ben strutturato e con il giusto coinvolgimento di più agenti (sistemi multi-
agente), attraverso un sistema di supporto alle decisioni che contenga più fasi di processo.
1
(Mitchell, 1999)
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Tra queste una delle fasi più importanti è l’analisi di rischio, in cui si devono analizzare e
valutare i vari fattori di rischio che derivano da vari scenari di pianificazione ipotizzati;
questa è la base di una corretta pratica di pianificazione territoriale e ambientale che
rispetti i principi inderogabili di sostenibilità. Tra questi fattori di rischio, specialmente a
Taranto, esistono certamente i rischi tecnologici (causati da malfunzionamenti in impianti
industriali: incendi, esplosioni, liberazione di agenti inquinanti o contaminanti in acqua,
aria, suolo), attivabili anche da imprevisti eventi naturali (terremoti, maremoti,
inondazioni, cicloni, frane).
Gli effetti in termini di danni e impatti dei rischi tecnologici e naturali (Na-tech) si possono
mitigare avendo come riferimenti teorici dei termini fondamentali nella teoria dell’analisi
di rischio come: azioni e politiche di prevenzione, mitigazione, riduzione della
vulnerabilità sistemica, incremento della resilienza.
Le azioni risolutive e praticamente operative di riduzione di rischi e impatti su un
territorio, proposte anche ricorrendo ad esempi già realizzati, che sono alla base di tutti
questi concetti teorici, si hanno ricorrendo a più tipologie di soluzioni complementari e
integrabili sinergicamente tra di loro:
Soluzioni ingegneristiche: interventi antropici sul territorio per la riduzione della
vulnerabilità dei sistemi naturali, ambientale e urbanizzati rispetto ai rischi, già
abbastanza noti nel campo dell’ingegneria ambientale, qui trattati in secondo piano;
Azioni politiche e operative di incremento della resilienza, necessaria per
adattarsi ai cambiamenti climatici già in atto a causa delle attività umane,
caratteristica dei sistemi complessi ampiamente descritta in un capitolo dedicato
anche alla vulnerabilità.
Azioni di salvaguardia degli ecosistemi, per sfruttare il significativo contributo da
riconoscere al ruolo degli ecosistemi nella prevenzione e mitigazione degli impatti
negativi del cambiamento climatico.
Tutta questa analisi è costruita in una logica sistemica di evidenziazione dei reciproci
vantaggi che si hanno tra i vari elementi dei complessi sistemi territoriali e urbani, al fine
dell’innesco di desiderabili circoli virtuosi.
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1. Base metodologico-conoscitiva:
definizioni, analisi di rischio naturale,
mitigazione, D.S.S.
1.1. Valutazione del rischio e del multi rischio nella
pianificazione come strategia sostenibile
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.
La determinazione dell’entità dei rischi naturali e delle relative conseguenze in termini di
danno nasce dall’integrazione e dal confronto che si attua nello studio di due ambiti
principali distinti:
1. Evento naturale in sé (pericolosità, intensità, magnitudo, gravità, probabilità)
2. Caratteristiche di risposta o di reazione dell’elemento esposto all’evento:
Resilienza (capacità di un sistema territoriale di “assorbire” eventi
traumatici esterni senza eccessivi danni, in tecnologia dei materiali definita
come capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi);
Vulnerabilità e fragilità (propensione/suscettività al danneggiamento per
ogni singolo elemento esposto);
Esposizione (dovuta a diverse tipologie di uso dei suoli, a diverse categorie
di utenti).
Nella pianificazione gli “stakeholders” (ovvero portatori di interessi), ovvero cittadini e
loro rappresentanti politici e amministrativi (Sindaci, assessori all’Urbanistica, Dirigenti e
dipendenti di Uffici Tecnici Comunali), che siano attenti alle tematiche di rischio
ambientale e territoriale in generale, se sono d’accordo nel rivedere delle parti di Piano di
Assetto del Territorio (PAT), devono consultare necessariamente il parere di esperti
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(Fonte: forum di S. Menoni “Strategie per una mitigazione sostenibile del rischio” – Politecnico
di Milano)
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urbanisti per indagare problematiche alquanto complesse che vanno aldilà di definizioni
accademiche o urbanistiche.
Gli stakeholders dovrebbero per tali tematiche essere comunque d’accordo nel voler
approfondire, attraverso consultazioni con esperti, le conoscenze in merito alle misure di
mitigazione edilizia (e non solo) del rischio. Il tutto affinché l’approvazione dei vari Piani
di Assetto del Territorio ai vari livelli (comunale, sovra comunale, di indirizzo, di
attuazione, di esecuzione) possa tenere fermamente conto di osservazioni provenienti da
molte parti, portatrici di interessi molto diversi tra loro. Tali interessi possono apparire
inizialmente incompatibili, ma si può dimostrare con i metodi della corretta pianificazione
che, eseguendo un’analisi specialistica e basata su forti componenti strategiche, tali
incompatibilità possono essere coordinate in maniera armoniosa e sinergica verso obiettivi
di sviluppo sostenibile che possano altresì mitigare i rischi esistenti sul territorio.
La conoscenza scientifica deve essere la base delle politiche urbane, mettendo in evidenza
la vulnerabilità dell'area rispetto ad eventi estremi e indicando la strada per una
pianificazione coerente, efficace, efficiente e resiliente.
Molti sono però gli esempi in cui un piano che apparentemente recepisce le indicazioni di
relazioni “specialistiche” (idrauliche, geologiche, idrogeologiche, ecc.) porta invece alla
nascita di nuovi errori urbanistici che invece di mitigare il rischio, lo esasperano. Ad
esempio nel caso di piani che prevedono nuove edificazioni proprio laddove sarebbe
meglio evitare. Da questo punto di vista l’incontro tra decisori politici e pareri esperti
dovrebbe essere molto più intimo in ogni fase e non limitata alla singola relazione tecnica,
per evitare l’instaurarsi di quei molti esempi di criticità nelle scelte di piano che possono
sembrare inizialmente compatibili con criteri di mitigazione del rischio e sviluppo
sostenibile. In questo aspetto di continuità collaborativa è insita la complessità
dell’algoritmo di risoluzione (se esiste) di questi problemi che pianificatori e
amministrazioni devono affrontare.
Viceversa, talvolta le “precauzioni” prese per la prevenzione del rischio sono
eccessivamente cautelative, e le perizie tecniche specialistiche (idrologiche, idrauliche,
ecc…) di iniziativa privata, spinte de interessi diversi, potrebbero dar ragione anche ai
privati, che dimostrerebbero così in questo modo la fattibilità di alcuni interventi vietati,
perché non comporterebbero quegli impatti negativi valutati in base ad approcci
eccessivamente e abbondantemente prudenziali.
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Gli interessi diversi devono quindi essere confrontati attentamente con pareri esperti non
solo in sede di incontro tra le parti, ma anche nella definizione degli interessi stessi delle
singole parti. Questa ridefinizione potrebbe riportare alla ridiscussione dei vincoli di
edificabilità o di inedificabilità presenti nei vari livelli della pianificazione, dei vincoli
limitanti la libertà del privato, sempre in un’ottica strategica e sinergica.
Sono molti gli esempi che dimostrano quanto precedentemente espresso. Uno di questi è dato dal ricorso di un privato
contro una decisione della Regione Lombardia che, in sede di iter di approvazione della variante al PRG di un comune,
ne aveva stralciato gli ambiti prospicienti al fiume Oglio e che erano stati destinati a edilizia di completamento per
assunzione di vincoli di in edificabilità eccessivamente prudenziali:
«La motivazione [dello stralcio] è del tutto falsa, come risulta dalla perizia geologica e idraulica corredata da carta
morfologica e rilievo planialtimetrico dalla quale risulta come l’area sia posta ad una quota superiore a qualsiasi
ipotizzabile piena del fiume, essendo posta ad una quota superiore dell’ospedale che non è stata esondata
dall’eccezionale piena del 1997»
In sintesi in questo caso emerge come vi sono soglie critiche di problematicità
idrogeologica oltre le quali sarebbe imprudente avventurarsi mediante iniziative
edificatorie, da analizzare caso per caso, intervento per intervento. Al di sotto di tali soglie,
se ad ogni livello di criticità si imponesse l’inedificabilità, lo sviluppo edilizio (ad esempio
nelle valli alpine) sarebbe del tutto precluso. Ulteriori testimonianze riguardano ricorsi per
espansioni industriali negate a causa di vincoli troppo stringenti se confrontati con le
dinamiche idrogeologiche statisticamente probabili.
Il dilemma è chiaro e inequivocabile: puntare sulla riduzione del rischio ad alto livello di
sicurezza o consentire comunque un moderato sviluppo dell’economia locale incentivato
da necessari nuovi interventi? Molti altri esempi simili a questi sono stati evidenziati da
Scolobig e De Marchi in un loro recente contributo nell’ambito del progetto Floodsite in P.
Samuels, S. Huntington, W. Allsop and J. Harrop (eds.) “Flood Risk Management:
Research and Practice”, CRC Press, Taylor and Francis Group, London (2009) -
Dilemmas in land use planning in flood prone areas (Dilemmi nella pianificazione dell'uso
del suolo in aree soggette a inondazioni).
Ma questo è comunque un argomento che investe la tematica dell’analisi di rischio in
generale, non solo da un punto di vista idrogeologico: anche il rischio relativo
all’inquinamento e alla contaminazione di ecosistemi può essere analizzato in questo
modo.
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I dilemmi nella pianificazione nascono da vari aspetti:
dalla difficoltà di sostenere e imporre ulteriori nuovi vincoli allo sviluppo urbano se
sono presenti opere di difesa dal costo elevato per la comunità, con relativi effetti
collaterali in termini di perdita di valore dei beni immobili esistenti,
dalla scarsa percezione del rischio che non convince tutta o la maggior parte
dell’opinione pubblica sulla necessità di misure di mitigazione adeguate alle
condizioni di pericolo (problema della “comunicazione” della problematica del
rischio);
lo “scaricabarile” delle responsabilità dai cittadini alle amministrazioni, qualora ci
sia una positiva e ottimale capacità di risposta e di prevenzione da parte delle stesse
amministrazioni, che potrebbe provocare l’instaurarsi di un circolo vizioso verso
l’incentivazione della passività e della deresponsabilizzazione della cittadinanza;
La difficoltà di risoluzione di tali dilemmi è inasprita dalla notevole differenza di
complessità esistente tra assunzione e consapevolezza di rischi individuali, rispetto
all’analogo dei rischi collettivi. La seguente tab. 1 di confronto, già intuitiva ma ottenuta
anche a partire dagli studi di Huber, “the Bhopalization of the US tort law, in Issues in
Science and Technology, vol. II, n.1,National Academy of Sciences, 1995”, mostra
l’evidenza di quanto appena enunciato:
Tabella 1 - Confronto tra rischi privati e rischi collettivi
Rischi privati
(guidare, fumare, ecc.)
Rischi collettivi
(alluvioni, frane, incidenti industriali, ecc..)
Chiaro controllo individuale Molti soggetti implicati
Libera assunzione del rischio, il più delle
volte
Poca conoscenza del rischio,
inconsapevolezza.
Responsabile unico chiaramente
individuato in caso di danno
Responsabilità molteplici e intricate, effetti
domino
Situazioni semplici: tribunali capaci di
dirimere le controversie.
Situazioni complesse: giudici e avvocati
alle prese con complesse perizie tecniche.
Nell’arena dei rischi collettivi dunque, il sapere tecnico-scientifico è fondamentale, ma
nell’ambito della comunicazione della problematica dei rischi collettivi, scienziati e
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tecnici, ingegneri compresi, si trovano in un ambiente poco familiare, come evidenzia
Salter L. et al., “Mandated science. Science and scientists in the making of standards”.
Kluwer Academic Publishers, Dordrecht-Boston-London, 1988.
In sintesi Salter mette in evidenza come il sapere specialistico trova molto spesso delle
difficoltà quando:
Deve spiegare in termini corretti ma senza eccessivi tecnicismi dei contenuti
complessi;
Deve esplicitare che comunque esiste un’incertezza da riconoscere;
Deve relazionarsi con i non tecnici senza svilire i contenuti specialistici
concedendo eccessivo spazio alle esigenze di “immagine”.
Una ottimale capacità di comunicazione risulta quindi fondamentale in quest’ottica. La
comunicazione, come tutti sappiamo, non è solo fatta da parole ma da fatti concreti, ergo
bisogna mostrare esempi di interventi realmente realizzati a partire da questi metodi.
Uno degli obiettivi principali di questo lavoro di tesi è quello di mostrare come la una
corretta pianificazione del territorio avrebbe potuto, e può sicuramente ora, fornire un
contributo essenziale nella prevenzione dei rischi naturali, con i vari metodi esposti.
Unesco 1977:
“nothing has been done to discourage extensive tourist development close to the shore. Use
of shoreline sites in on the increase in the Fiji, putting investments, visitors and Fijian
people all at peril from rare but quite possible events”
“nulla è stato fatto per scoraggiare l’ampio sviluppo turistico vicino alla riva.
Insediamenti in aumento sul litorale del Fiji, incentivati da investimenti, hanno posto
visitatori e la gente delle Fiji tutti in pericolo in caso di eventi rari ma del tutto possibili”
Figura 1 - Isole Fiji pre e post disastro.