V
INTRODUZIONE
Affrontare la figura di Guido Bigarelli da Como, autore venerato del fonte
battesimale di Pisa (1246) e del pulpito di San Bartolomeo in Pantano a Pistoia
(1239-1250), è stata un’impresa stimolante ma non facile. Nel corso dei secoli il
suo corpus è andato stratificandosi, fino ad assommare diversi manufatti poi piø
coerentemente riferiti ad altre personalità. Fiumi d’inchiostro sono stati scritti su
di lui, il che confonde le acque.
Fin dall’inizio, il mio obiettivo è stato quello di ‘scalpellare via’ le
incrostazioni e le patine che avevano ricoperto e camuffato la figura di questo
artista, cercando, per quanto possibile di riscostruirne un’immagine netta.
Per poter individuare oltre all’uomo lo stile, la famiglia e il contesto, si è
resa necessaria la lettura preliminare di tutti i testi che trattano di Guido e dei suoi
omonimi contemporanei. Da ciò ho potuto trarre uno sguardo generale e, spero,
completo sulla sua storia critica: il paragrafo “Fortuna e sfortuna di Guido
Bigarelli” ne è frutto e punta anche a seguire il percorso e l’evoluzione degli studi
contemporanei sull’argomento. Guido Bigarelli comincia a ottenere attenzione
dagli studiosi solo a fine Ottocento, quando Schmarsow (1890) ne indaga il
profilo, mescolandolo però a quello del suo omonimo Guidetto, attivo un paio di
generazioni prima.
Da Venturi (1904) in poi cominciano ricerche piø approfondite a livello
documentario, che, appoggiate da nuove scoperte archeologiche, aprono a nuove
attribuzioni all’interno di una maestranza piø articolata. A metà secolo fioriscono
studi, tuttora fondamentali, piø propriamente storici: spetta a de Francovich il
VI
riconoscimento della matrice campionese di Guido; che altri, in seguito,
inseriscono nel contesto artistico toscano e considerano punto di riferimento per la
nascita del genio di Nicola Pisano (Nicco Fasola, 1941; Pope-Hennessy, 1963;
Salvini, 1965). Negli ultimi trent’anni lo sguardo è passato dal generale al
particolare: è stato un proliferare da un lato di monografie focalizzate sulle singole
opere ed elementi degli arredi ecclesiastici e liturgici, dall’altro di studi su
maestranze e scuole (Ascani, Baracchini, Calderoni Masetti, Caleca, Chiellini
Nari, Dalli Regoli, Filieri, Garzelli, Novello).
In seguito alla lettura dei testi che lo citano, ho potuto individuare le opere
certe e attribuite al Bigarelli, di cui si può avere visione nelle schede finali, dove
ho compreso anche opere di autori a lui vicini, per stile e concezione: dallo zio
Lanfranco al Maestro di San Regolo (forse il cugino Guidobono), dai seguaci
(sono noti i nomi di Giannino e Lucano) al giovane Nicola Pisano.
Si è cercato di sfrondare le successive ramificazioni, per giungere
all’individuazione del soggetto inquadrandolo nei diversi livelli contestuali.
Guido Bigarelli è intarsiatore e scultore, documentato tra il 1239 e il 1257
a Lucca, Pisa e Pistoia. Le tre città, attraversate dai venti di battaglia tra gli
schieramenti guelfi e ghibellini, tra il papa e l’imperatore, vivono un clima
culturale piuttosto vivace, dove correnti bizantine, meridionali e nordiche si
mescolano al sostrato toscano e classico, dando vita a una sorta di koin ή
di άl εkto ς, sulla quale si costruirà l’innovazione naturalistica di Nicola Pisano.
In questa temperie culturale e artistica, ai fini della ricerca, acquistano un
definizione a tutto tondo i “Guidi”. Artisti lombardi, provenienti per lo piø dalla
VII
diocesi di Como, che, scendendo lungo la via Francigena verso Roma, arrivano in
Toscana e là si fermano, per una o piø generazioni. Attivi a Pisa e Lucca tra la
fine del XII e tutto il XIII secolo, i Guidi sono portatori di un repertorio
iconografico e architettonico omogeneo, dalle foglie di quercia ai girali vegetali
che incorniciano architravi e bestiari. A causa di questa ricorrenza di temi e idee, è
difficile separare le diverse identità ricordate nei documenti e nelle iscrizioni. Le
intuizioni e gli studi archivistici di Bacci (1910), Salmi (1914) e Guidi (1929)
hanno contribuito a dipanare la matassa, dando precisi riferimenti cronologici.
Dopo aver tentato una prima ricerca presso l’Archivio Capitolare di Lucca,
e dopo aver chiesto l’aiuto del professor Meyer, paleografo dell’Università di
Marburgo studioso del protocollo notarile di Ser Ciabatto - nel quale ricorrono
spesso i nomi dei maestri lapicidi impegnati nei lavori del San Martino -, ho
scoperto che la documentazione relativa alla famiglia Bigarelli era già stata
estratta in maniera pressocchØ completa, anche se frammentata tra diverse
pubblicazioni. Ho quindi voluto unificarla e l’ho raccolta piø avanti in “Per un
regesto”.
Seguendo la cronologia dei documenti, e appoggiandomi al testo inedito
del professor Novello, che ringrazio, ho individuato i movimenti fondamentali
della famiglia Bigarelli, dal padre di Guido, Bonagiunta, primo esponente
documentato; grande influenza nella formazione e nella carriera di Guido hanno
anche lo zio Lanfranco e il cugino (o fratello uterino) Guidobono. Attraverso il
controllo incrociato dei riferimenti cronologici dei documenti e delle iscrizioni
con le comparazioni stilistiche, ho potuto individuare il catalogo delle opere di
Guido Bigarelli, oltre il fonte di Pisa e il pulpito di Pistoia.
VIII
Abile maestro di bottega, Guido ricopre tutta una serie di ruoli, come è
usanza nelle maestranze familiari di provenienza lombarda: nella sua trentennale
esperienza è costruttore, architetto, scalpellino, intarsiatore e scultore. E come tale
lo riconosco anche ideatore, e spesso autore, di buona parte delle decorazioni del
sottoportico di San Martino (che sono analizzate nel dettaglio e in schede
separate) e della facciata della chiesa di San Pietro Somaldi, a Lucca; con Pistoia i
legami sono forti: a partire dall’apprendistato al fianco dello zio Lanfranco
(presumibilmente all’età di 10/15 anni), al pulpito di San Bartolomeo,
all’arcangelo Michele, in San Michele in Cioncio, fino al restauro del fonte
battesimale, sul quale aveva lavorato circa venticinque anni prima con lo zio.
Fondamentale per il riconoscimento e l’attribuzione di alcune opere è stata
anche la riflessione sui materiali, pietre locali che – oltre al pregiato bianco
apuano – vanno a comporre una tricromia bianca, rossa e verde, declinata in tutta
una serie di sfumature; non avendo trovato informazioni esaurienti sulla
composizione petrografica delle opere selezionate, ho cercato di integrare i dati in
mio possesso con le relazioni geologiche del “piano regionale delle attività
estrattive di recupero delle aree escavate e di riutilizzo dei residui recuperabili
(PRAER)” della regione Toscana. Il confronto sottolinea lo stretto legame tra la
taglia dei Bigarelli e il territorio compreso tra la Garfagnana (dove si riforniscono
di graniti rossi), il pratese (meta interessante per il cantiere del castello federiciano
e per il serpentino verde scuro) e le cave del monte Pisano, che sui due versanti
lucchese e pisano offre varietà di calcare bianco, giallastro e grigio, utilizzate
nella maggior parte dei cantieri guideschi. Discorso a parte va fatto per il fonte di
IX
Pisa, una grande opera dal grande significato, per la quale è stato utilizzato il
bianco apuano.
Per collegare lo stile e le risorse locali all’autore, mi è parso opportuno
dare uno sguardo anche sulle tecniche e gli attrezzi attraverso i quali Guido
Bigarelli è diventato intarsiatore e scultore: anche in questo caso, utile strumento è
il protocollo notarile di Ser Ciabatto (esplorato dal Guidi e in via di traduzione per
mano di Meyer) nel quale sono registrati dei contratti di apprendistato, stipulati
nell’ambito dei “Guidi” e concernenti le attrezzature, da integrare con gli studi
sulle tecniche; visto l’altissimo grado di politezza delle opere di scultura e intarsio
dei Bigarelli, non è possibile rintracciare i segni degli strumenti (anche per l’usura
del tempo e degli agenti atmosferici).
Obiettivo finale di queste pagine è contribuire alla ricostruzione della
maestranza e della figura di un uomo che è artista: architetto, scalpellino,
intarsiatore e scultore nella Toscana del Duecento, alle soglie del violento – così
Dionisotti (1967, “dopo una fase aurorale singolarmente lunga” è “subitamente,
nel corso del XIII secolo” che si ha “una crisi risolutiva di estrema violenza”;
riporto da Previtali, 1979, p. 17) - rinnovamento promosso da Nicola Pisano.
1
1. IL CONTESTO STORICO SOCIALE NELLA TOSCANA CENTRO
OCCIDENTALE DEL DUECENTO
Il campanilismo toscano e le rivalità che ne conseguono sono il leitmotif di
questo scorcio di Medioevo. Nel XIII secolo, circoscrivendo l’area che qui
interessa alla Toscana centro occidentale (segnatamente, i territori di Lucca, Pisa e
Pistoia), vere e proprie lotte vedono contrapposte Lucca (spalleggiata da Firenze)
e Pisa (appoggiata da Pistoia e Siena)
1
. Oggetto delle contese sono i territori della
bassa Valle del Serchio, la Versilia, la Garfagnana e la Lunigiana.
Fin dal 1226 Lucca rivendica il possesso della Garfagnana (che tuttavia era
considerata di proprietà della Chiesa, come estremo lascito della Contessa Matilde
di Canossa): in soccorso dei garfagnini accorre la filoimperiale Pisa, a cui papa
Gregorio IX si appoggia (nonostante le continue minacce di scomunica che le
aveva rivolto fino a quel momento). A una prima sconfitta lucchese nel 1232 fa
seguito l’interdetto papale: Lucca rimane senza vescovo fino al 1236, quando
viene eletto il senese Guercio Tebalducci
2
. Come si vedrà piø avanti, nel 1233
cominciano i lavori del sottoportico del San Marino di Lucca: infatti i due enti,
che si disputano la direzione dei lavori della cattedrale, ovvero il Capitolo dei
canonici e l’Opera di Santa Croce (espressione laica del Comune e retta da
1
Manselli, 1986, pp. 40-41.
Pistoia è coinvolta direttamente nelle lotte con Lucca e Firenze, che “mal tolleravano il continuo
incremento politico, militare ed economico dello Stato pistoiese”. Tuttavia fu una “guerra lunga,
ma senza notevoli fatti d’arme”. Ganucci Cancellieri, 1975, pp. 141-142
2
Manselli, 1986, p. 41; Tigler, 2001/2, pp. 117-118. In questo periodo, tra il 1234 e il 1240, in
Garfagnana, sotto il controllo del papato, regnava una relativa pax romana.
2
farmacisti e banchieri) senza il vertice ecclesiastico hanno maggiori capacità
decisionali, anche nella gestione dei fondi
3
.
Intanto Pistoia, pur supportata dai pisani, sconfitta in battaglia da Firenze
nel 1228, ad essa deve piegarsi, rimanendole legata fino 1240, quando il figlio
naturale di Federico II, Enzo, riesce a riportare la città entro le fila ghibelline. Il
decennio seguente è, per Pistoia, una parentesi di pace
4
.
Le avversarie Pisa e Lucca, che pur si rinfacciano vicendevolmente
l’appartenenza alla fazione guelfa o ghibellina, a seconda delle circostanze
politiche del momento
5
, approfittano dell’arrivo di Federico II in Toscana nel
1239 (aveva appena subito la scomunica da parte di Gregorio IX) e si alleano con
lui. Per questa alleanza, e per aver bloccato il percorso delle galee papali che dalla
Francia navigavano verso Roma, Pisa riceve a sua volta una scomunica
6
. Nel 1243
l’imperatore pone la Garfagnana sotto il vicariato imperiale di Oberto Pallavicini
prima e di suo figlio Enzo poi (nel 1244), sottraendola alle mire espansionistiche
delle due vicine e controllando così la piø sicura via d’accesso tra l’Italia
settentrionale e quella centrale. Tuttavia la situazione va sempre piø
3
Tigler, 2001/2, pp. 113-118, 135 n° 51. La collaborazione tra Capitolo dei canonici e Opera di
Santa Croce, in questo periodo di interdetto, dà nuovo senso alla giustapposizione, nel sottoportico
di San Marino, delle Storie di San Martino e del ciclo dei mesi: “la perfetta concordia fra il popolo
lavoratore e la chiesa lucchese” (Tigler, 2001/2, pp. 117-118). Si noti anche che nel sottoportico
della chiesa allestivano i loro banchi farmacisti, banchieri e notai (uno su tutti, Ser Ciabatto,
l’autore del protocollo notarile nel quale ricorrono spesso i nomi dei maestri lapicidi impegnati nei
lavori del San Martino).
4
Ganucci Cancellieri, 1975, pp. 142-149.
5
Non entrerò nel merito delle ondivaghe scelte politiche del popolo e dell’aristocrazia delle due
città. Tendenzialmente si riconosce in Lucca la matrice guelfa e a Pisa quella ghibellina. Per
un’idea generale della mentalità politica di Lucca e Pisa, c quale ricorrono fr. Manselli, 1986, pp.
40-43; Herlihy, 1990, pp. 87-98.
6
Diversamente da Lucca, a Pisa l’arcivescovo Vitale rimase al suo posto, che tenne fino alla sua
morte nel 1253. E’ di questi anni (1245-1246) il fonte battesimale di Pisa, di Guido Bigarelli, che
Garzelli interpreta come fonte dell’interdetto (è del 1245 la seconda scomunica a Federico II):
sarebbe da intendersi come un “messaggio di conformità alla fede”, voluto e suggerito dalle due
forti personalità di Vitale e del suo futuro successore Federico Visconti. Garzelli, 2002/2, pp. 77-
78, 83, 95 n° 51.