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INTRODUZIONE
Le Terapie Complementari e Alternative, conosciute anche con l’acronimo di
C.A.M., hanno assunto e continuano ad assumere un ruolo sempre più
importante nell’ approccio alle patologie più disparate; questo perché il
numero delle persone che ad esse fa ricorso cresce nel tempo,
implementandole o, addirittura, sostituendole alle terapie convenzionali
generalmente impiegate nel settore sanitario. Spesso ciò avviene senza che
il medico stesso, che ha in cura il paziente, ne venga a conoscenza. Tale
situazione richiede, pertanto, una crescente attenzione da parte della
comunità scientifica.
In particolare, gli studi rivelano un sempre maggior ricorso, nel corso degli
anni, alle C.A.M. da parte di pazienti con diagnosi di tumore. I motivi sono,
probabilmente, riconducibili alla volontà di ridurre il corredo sintomatologico
che si associa alla patologia, e migliorare, così, il benessere psico-fisico e la
qualità di vita. E’ noto come, specie nelle sue forme più maligne, la patologia
neoplastica determini un progressivo peggioramento dei sintomi e delle
condizioni di vita dei soggetti colpiti, fino a portare, in un lasso di tempo più o
meno breve, alla morte.
Il cancro, inoltre, è una patologia che, data la sua elevata incidenza, complici
anche i cambiamenti nello stile di vita (ad esempio il fumo di sigaretta), si
rivela di grande attualità, colpendo un' enorme fetta della popolazione
mondiale. Tuttavia molto si ignora circa i meccanismi patogenetici alla base
della sua insorgenza e, soprattutto, i mezzi utili a contrastarla.
In questo lavoro ci si soffermerà sull’aspetto del dolore, prima di tutto perché
è fra i sintomi più comuni, se non caratteristici, in un paziente di interesse
oncologico. E’, inoltre, in grado di inficiare notevolmente la qualità di vita, tale
da compromettere l’integrità fisica, psicologica, e persino sociale di chi ne
viene colpito, specialmente nelle fasi terminali della malattia.
Spesso arriva a condizionare le relazioni esistenti con parenti e amici, che
dunque si trovano, in prima persona, a vivere sulla propria pelle le
implicazioni che essa comporta.
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D’altro canto, un compito irrinunciabile, in ambito medico, è quello di
affrancare la persona dalla sofferenza, in quanto portatrice di diritti e valori
che non è possibile ignorare. Ciò spiega il continuo interesse di cui godono le
cure palliative, come strumento, erogato in apposite strutture o a domicilio,
volto ad alleviare la sofferenza dell’individuo, visto come un organismo
globale, come somma di diverse istanze(psicologiche, fisiche, biologiche,
spirituali, sociali, ecc.), garantendone la massima autonomia e il massimo
benessere psico-fisico possibili e guidandolo verso una morte serena e
dignitosa. Allo stesso tempo si giustifica il ricorso a terapie e pratiche,
considerate salutari e poco invasive, che coadiuvano o, in alcuni casi,
sostituiscono quelle riconosciute come convenzionali (radioterapia,
chemioterapia, farmaci oppioidi, FANS, ecc.), qualora queste vengano
ritenute inefficaci o insufficienti dal soggetto colpito.
In questo studio si procederà, pertanto, alla revisione sistematica della
letteratura, in merito all’uso delle terapie complementari e alternative per il
controllo del dolore neoplastico, affrontandolo nell’ambito del tema della
Riabilitazione e, dunque, rilevando una possibile associazione fra C.A.M. e
Fisioterapia. Nello specifico, alcuni quesiti saranno centrali: tali pratiche
possono portare benefici in campo riabilitativo? Vi è un miglioramento
effettivo nel controllo del dolore? Quali controindicazioni o effetti indesiderati
si associano, o possono associarsi, ad un loro impiego? L’evidenza della
letteratura è sufficiente a rispondere a queste domande?
Sarebbe utile, per la professione, individuare quelle metodiche applicabili al
proprio campo, in grado di rivelarsi efficaci nel controllo del dolore in soggetti
affetti da neoplasia. In caso emergano giudizi positivi, potrebbe essere
consigliato a tutti i terapisti, abilitati alla pratica riabilitativa, di aggiornarsi in
merito alle C.A.M. Altresì, questo studio, e altri simili, incentiverebbero ad
applicarle con appropriatezza e competenza, in associazione con altre
metodiche, fisiche e non, già correntemente diffuse e di largo utilizzo. In tal
modo, si potrà far riferimento a nuovi strumenti, che tengano conto delle
esigenze della persona e che, contemporaneamente, amplino lo spettro di
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soluzioni adottabili, rendendo in tal modo più efficace l’intervento
dell’operatore sanitario. Ciò rappresenterebbe un indubbio vantaggio per la
professione e una conquista per la Medicina.
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CAPITOLO 1
IL CANCRO
1.1. Da malattia clandestina incurabile a complesso di
malattie di cui prendersi cura.
Ogni anno nel mondo muoiono di cancro 7 milioni di persone. Si ritiene che
una donna su tre e un uomo su due si ammaleranno di cancro nell’arco della
propria vita. Circa il 15% dei decessi nel mondo è attribuito al cancro, in
alcuni Paesi il cancro ha sorpassato le malattie cardiache e diverrà la più
comune tra le cause di morte.
Il cancro è “ una malattia antica- malattia un tempo clandestina, che si esitava
perfino a nominare- che si è trasformata in un’entità letale e multiforme, pervasa di
una valenza metaforica, medica, scientifica e politica tanto profonda che il cancro
viene spesso descritto come la piaga della nostra epoca”
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.
Il cancro, tuttavia, oggi si affronta non come una malattia ma come un
complesso di malattie che hanno una caratteristica comune: una crescita
cellulare abnorme.
La portata del fenomeno è tale, però, che oltre alla somiglianza biologica
sono così tanti gli aspetti culturali e politici che attraversano nel profondo le
varie manifestazioni del cancro che tutti siamo indotti a pensarla come
malattia unica.
Ancora oggi, nonostante le scoperte e i progressi raggiunti soprattutto nel
XIX secolo, con la nascita della moderna oncologia e la comprensione dei
meccanismi patogenetici alla base dell’insorgenza del cancro, fra molti v’è
una visione ancora distorta, amplificata dalla disinformazione. Ad esso è
spesso associata l’immagine di una malattia che porterà inesorabilmente alla
sofferenza e alla morte. Anche la parola stessa ha assunto connotati
negativi, che delineano un evento fatale, irreversibile, di fronte al quale si è
1
S. Mukherjee, L’imperatore del male, una biografia del cancro, Neri Pozza editore,
2010.
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impotenti, tanto che il termine che di frequente vi si accompagna è male
incurabile. In alcuni casi addirittura va a sostituirla, quasi come ad
esorcizzare una paura difficile da combattere e sconfiggere.
Nell’incrementare la paura, la percezione del rischio e una informazione
negativa, peraltro, ha avuto un ruolo determinante l’influenza dei mass-
media.(Clarke ed Everest, 2006). La psicosi collettiva può raggiungere livelli
tali che, in casi estremi, il pur minimo sintomo fisico suscita preoccupazione e
ansia per la possibile presenza di un tumore, sfociando in ciò che viene
definito cancrofobia (Wandersman e Hallman, 1993). Una conoscenza così
limitata della materia porta con sé tutta un’altra serie di preconcetti, come il
fatto che essa sia contagiosa, ed è quindi da evitare il contatto con qualsiasi
“malato”. Specialmente nei Paesi in via di sviluppo, in cui si registra una
crescita costante del numero di casi di cancro negli ultimi anni, tale
situazione rappresenta spesso un atteggiamento diffuso, costringendo i
soggetti colpiti a dover far fronte all’isolamento, alla mancanza di sostegno
ed aiuti concreti e all’indifferenza delle persone. In tempi recenti, una serie di
studi ha fatto emergere questo aspetto, evidente soprattutto nelle minoranze
afro-americane e ispaniche, o in Paesi in via di sviluppo quali l’India, dove la
patologia è attribuita al fato o alla volontà divina (Dein, 2004). Lo stesso
paziente può, al momento della diagnosi, avvertire la sua condizione in
maniera catastrofica, persino come una punizione divina. Paura, dolore,
sofferenza, perdita di autonomia (sia in ambito lavorativo che familiare e
sociale) e del controllo della propria vita, emarginazione sono avvertite quale
conseguenza certa del tumore. Tali pregiudizi, veri e propri “miti”, facili a
radicarsi, possono portare l’individuo a tener nascosta a tutti la propria
situazione (Daher, 2012). D’altro canto anche nei Paesi più avanzati,
nonostante un relativo cambiamento nella percezione della malattia, vi è
ancora una cospicua fetta della popolazione soggetta a preconcetti. Secondo
un'altra ricerca, la maggior parte degli Americani manca di conoscenze base
della malattia, ignorando i principali fattori di rischio per l’insorgenza di alcune
forme maligne comuni (Breslow et al., 1997). Ancora, il Patient Access to
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Cancer Care Excellence (o PACE
2
) ha commissionato un sondaggio
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,
realizzato nel 2012, il quale mostra come il 43% degli intervistati sostenga
che il cancro sia un'unica malattia che si manifesta in parti diverse del corpo,
e non un’insieme di patologie con caratteristiche differenti l’una dall’altra, da
approcciare con trattamenti specifici, e persino con una prognosi differente.
Per quanto concerne la diagnosi, oltre al 32% che sostiene “la morte certa”, i
2/3 teme che esso costituisca un pericolo per la vita. Infine se per più della
metà dei soggetti si sono raggiunti degli effettivi progressi nella lotta ai
tumori, elevata è la quota di coloro che sostengono non sia stato sufficiente
l’investimento messo in atto dai vari Paesi.
La scarsa conoscenza e il pregiudizio non hanno risparmiato neanche la
classe medica. Se da Ippocrate e Galeno fino all’età contemporanea vigeva
l’idea dell’impossibilità di alcuna terapia, dalla metà dell’Ottocento e per oltre
un secolo, complici i progressi nel campo della chirurgia, il paradigma
assoluto era la demolizione, in altre parole asportare radicalmente quanto più
tessuto malato possibile (American Cancer Society, 2014). E’ solo negli ultimi
decenni che, accanto alla necessità di programmi di screening o diagnosi
precoce, si è fatto ricorso, in seguito alle intuizioni di Veronesi e Fisher, ad
altre pratiche quali gli interventi chirurgici conservativi, la chemioterapia o la
radioterapia, nonostante l’ostracismo iniziale della comunità scientifica
(Costa, 2011).
Al di là dei dati crudi, è da sottolineare come molto sia stato fatto per
combattere il cancro, sia attraverso un'azione terapeutica diretta, sia
attraverso programmi di screening e di sensibilizzazione volti ad educare ed
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Un’iniziativa della Lilly Oncology (una delle più grandi compagnie del mondo in
materia oncologica, rivolta all’innovazione e alla scoperta di approcci terapeutici per
la cura del cancro), che si propone il fine di incoraggiare le politiche nazionali per la
ricerca di nuovi medicinali o terapie per la cura del cancro, accessibili a tutti.
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Cancer Perception Index. Il lavoro è stato commissionato dal PACE, , e condotta
da un‘ importante compagnia di ricerca (il GfK). Sono stati reclutati 4341 persone da
Francia, USA, Italia, Germania, Regno Unito e Giappone nel periodo compreso fra
28 Agosto e 4 Ottobre 2012. 3009 fra i rispondenti al sondaggio appartenevano alla
popolazione generale, 662 erano pazienti oncologici e 669 personale che si
prendeva cura di pazienti oncologici. Tranne dove riportato, i dati si riferiscono alla
popolazione generale (PACE, Cancer Perception Index: A Global Public Opinion
Poll, 2012).