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Introduzione
Nel corso del presente lavoro si intende analizzare il fenomeno delle startup
ed in particolare le modalità e i canali da queste utilizzabili per finanziare l’avvio,
lo sviluppo e il consolidamento del proprio business.
In particolare si approfondirà il ruolo di determinati soggetti finanziatori, con
particolare attenzione a Business Angel e Venture Capitalist, studiandone
comportamento e posizionamento lungo il ciclo di vita delle startup. L’obiettivo è
quello di far emergere quelle che sono le differenze, in termini di funding gap, in
due diversi scenari, quello americano, ponendo l’attenzione sull’ecosistema della
Silicon Valley, e quello europeo, con particolare riferimento al contesto italiano, in
cui, per via di una serie definita di criticità, che verranno individuate e approfondite
in corso d’opera, il modello tipico di startup financing, adottato negli Stati Uniti,
ha fatto fatica a prendere piede.
Si andrà a dimostrare come i limiti riscontrati dagli operatori tradizionali, nel
contesto italiano, abbiano favorito lo sviluppo di nuovi modelli legati a particolari
operatori che integrano attività di incubator/accelerazione e di Venture Capital
secondo un approccio micro-seed/seed e che fanno leva su un ecosistema di
partnerhip e sponsor, per incrementare il tasso potenziale di successo delle startup
e ridurre il rischio dell’investimento ad esse associato, riuscendo a superare, almeno
in parte, i limiti che gli approcci tradizionali scontano all’interno di particolari
contesti .
Le ragioni che sottostanno alla scelta di affrontare questo tema sono strettamente
legate alla convinzione, suffragata da diverse ricerche, che nell’attuale contesto
ambientale ed economico, dove in forza di dinamiche di natura sistemica taluni
Paesi sono entrati in una lunga fase recessiva di cui al momento è difficile
intravedere il termine, queste realtà possano giocare un ruolo centrale nel creare
nuove opportunità di sviluppo, crescita ed occupazione.
Il lavoro è suddiviso in tre diverse parti. Nella prima parte l’obiettivo è quello di
contestualizzare e inquadrare il fenomeno delle startup analizzando, con particolare
attenzione, l’impatto economico e le dimensioni del fenomeno, approfondendo gli
studi condotti dalla Kauffman Foundation e il così detto life cycle delle startup;
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Nella seconda parte, verranno analizzati i profili delle principali categorie di
soggetti finanziatori, che partecipano in maniera attiva o passiva alla crescita delle
startup e che adottano diversi approcci di startup financing. A questo farà seguito
un confronto fra l’ecosistema americano della Silicon Valley e quello italiano,
definendo per quest’ultimo una serie di criticità che di fatto stanno rallentando
l’ascesa disruptive del fenomeno startup e le soluzioni alternative in termini di
startup financing adottate per sopperire a tale contesto;
Nell’ultima parte del lavoro verrà esaminato il caso LVenture Group SpA, un
operatore di Venture Capital italiano, concentrandosi sui principali fattori che
l’hanno portato ad essere uno tra i primi operatori di Venture Capital quotati al
mondo e ad oggi tra i primi venti operatori di Venture Capital più attivi in Europa,
analizzando in dettaglio il modello di startup financing unico, integrato e
innovativo adottato dalla stessa, che lo porta a configurarsi come un operatore di
micro Venture Capital integrato con un acceleratore.
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PARTE PRIMA
CAPITOLO PRIMO
1 STARTUP: DEFINIZIONE E INQUADRAMENTO
1.1 Premessa
Prima di addentrarsi nella disamina dell’argomento indicato, si è ritenuto
opportuno dar conto, seppur per sommi capi, dell’odierno scenario di riferimento,
focalizzando l’attenzione soprattutto sui fattori che ne caratterizzano l’attuale
configurazione e che, con buona probabilità, vista la portata, ne condizioneranno
anche le future evoluzioni.
In tale ottica un primo elemento che risulta certamente utile segnalare è quanto gli
ultimi 15-20 anni abbiano rappresentato, sotto il profilo economico, ma non solo,
un momento di forte discontinuità rispetto al passato.
Per una inusuale concomitanza di fattori, infatti, nel corso di detto periodo hanno
preso forma e sostanza fenomeni in grado di ridisegnare in profondità gli equilibri
e la struttura dei mercati, di rendere progressivamente obsoleti interi comparti
industriali, di modificare radicalmente i gusti e i comportamenti dei consumatori,
di generare nuovi bisogni e nuove opportunità di business o, per dirla in modo
diverso, di riscrivere quasi da zero le regole del gioco competitivo, finendo in tal
modo per decretare la nascita di un nuovo paradigma e, specularmente, il
superamento di modelli, approcci e schemi fino a quel momento considerati
affidabili.
Nello specifico si fa riferimento a tre distinti eventi, ovvero il processo di
progressiva apertura dei mercati, meglio noto come globalizzazione, la cosiddetta
rivoluzione ICT (Information & Communication Technology), con il suo enorme
corollario di implicazioni perlopiù collegate all’avvento del web e, non ultima, la
comparsa della più grave crisi economica globale dalla Grande Depressione del
1929.
Pur non ritenendo opportuno addentrarsi in un’accurata disamina delle origini di
questi fenomeni e delle innumerevoli conseguenze di cui si sono fatti portatori,
tanto singolarmente quanto congiuntamente, per le finalità sottese al presente lavoro
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appare comunque essenziale prendere coscienza dei notevoli e straordinari
mutamenti a cui proprio i suddetti fenomeni hanno aperto le porte.
Mentre infatti, da un lato, la globalizzazione poneva le basi per un riassetto
complessivo degli equilibri di mercato a livello mondiale, dando modo a nuovi ed
agguerriti player di assumere una crescente importanza, sia sul fronte produttivo
che su quello dei consumi, fino a rimettere in discussione rapporti di forza ritenuti
inossidabili - si pensi sul punto al caso della Cina e dell’India -, dall’altro,
l’evoluzione tecnologica, cui si devono la comparsa di internet, la digitalizzazione
delle comunicazioni, la diffusione degli smartphone, l’affermazione dei social
network e di moltissime altre innovazione di cui ad oggi è praticamente impossibile
prevedere le implicazioni, segnava quasi il passaggio ad una nuova era, imprimendo
cambiamenti profondi nei rapporti sociali, nei gusti e nei bisogni dei consumatori,
come anche nel modo di comunicare, di intendere e sviluppare un business, di
proporre e vendere un prodotto, dando forma ad opportunità e possibilità prima
impensabili.
A cavallo tra il 2007 e il 2008, tuttavia, quello che sembrava un processo di
rinnovamento e trasformazione ormai avviato si è dovuto confrontare con il più
classico dei fenomeni economici, ovvero l’avvio di una congiuntura negativa, che
in questo specifico caso però, a differenza di altre occasioni, ha assunto una
dimensione globale e una durata non proprio ordinaria, coinvolgendo, in una prima
fase, pressoché tutti i Paesi sviluppati e in via di sviluppo, per poi aggravarsi e
trasformarsi, in taluni specifici contesti, in una crisi strutturale dalla quale, ad oggi,
in pochi sembrano essere riusciti ad affrancarsi definitivamente.
A ben guardare, dunque, nel corso degli ultimi 15 anni sono venuti a concentrarsi e
sovrapporsi gli effetti di eventi che, già di per sé, avrebbero rappresentato una vera
e propria rivoluzione.
Da un punto di vista economico e di impresa, tralasciando dunque qualsiasi
considerazione sociologica o di altra natura, appare del tutto evidente come, al
cospetto dell’azione congiunta di simili forze, le tradizionali politiche di sviluppo,
ma anche le strategie e i modelli di business adottati in passato, si siano
progressivamente rivelati meno efficaci, facendo emergere, soprattutto laddove le
sfide del nuovo secolo hanno reso sempre più precario un benessere che sembrava
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ormai dato per acquisito, l’irrimandabile necessità di trovare nuove strade per
riconquistare le posizioni perdute e garantire la sostenibilità di un tenore di vita
altrimenti non più mantenibile.
Com’era prevedibile, infatti, davanti a così radicali trasformazioni, non tutti i
sistemi economico-industriali hanno mostrato le medesime capacità di reazione e
adattamento. A fronte di alcuni in grado di sintonizzarsi rapidamente con le nuove
dinamiche di sviluppo o comunque di capitalizzare, pur non senza difficoltà, i
vantaggi della globalizzazione e della digitalizzazione, per poi superare più o meno
agevolmente i rigori imposti dalla crisi, ve ne sono altri per i quali il passaggio è
stato decisamente più traumatico, quando non ancora del tutto da affrontare.
In pratica, nello stesso modo in cui, per taluni Paesi l’apertura dei mercati e
l’innovazione tecnologica, ma a suo modo anche la Grande Recessione con la sua
forza di “distruzione creativa” di schumpeteriana memoria, sono state importanti
occasioni per rinnovare e modernizzare l’apparato produttivo, espandersi in nuovi
settori/mercati e trovare in tal modo nuove fonti di reddito, rivelatesi peraltro molto
utili nel momento in cui la crisi economica ha cominciato a farsi più aspra, per altri
quegli stessi eventi hanno avuto un effetto quasi opposto, rendendo sempre più
evidenti i limiti e le criticità di sistemi poco competitivi, dinamici e reattivi,
scarsamente aperti all’innovazione e, per questo, più vulnerabili e indifesi di fronte
alla congiuntura negativa.
Tra questi, insieme a molti altri, trova certamente posto anche l’Italia, le cui
condizioni economiche nel corso degli ultimi 15 anni, come testimoniato
dall’andamento di alcuni indicatori fondamentali quali il PIL, il suo rapporto con il
Debito, la bilancia commerciale, il tasso di natalità/mortalità delle imprese e
l’occupazione, non sembrano aver beneficiato della globalizzazione e della
rivoluzioni ICT tanto quanto hanno risentito degli effetti nefasti della crisi.
A fronte di ciò, occorre tuttavia rilevare come le specificità che da sempre
contraddistinguono il tessuto sociale, economico e industriale nostrano, il suo
essere animato da un forte spirito di iniziativa, dalla piccola e media impresa, dalla
creatività e dall’ingegno, fanno dell’Italia una delle realtà meglio attrezzate per
recuperare il terreno perduto, svecchiare il proprio sistema industriale, ridurre la
disoccupazione e riagganciare il treno dell’innovazione e della globalizzazione,
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facendo leva sull’imprenditorialità giovanile, ovvero favorendo la nascita di nuove
imprese ad alto contenuto tecnologico e, dunque, incoraggiando la creazione delle
cosiddette startup.
Ora, dal momento in cui non costituisce certo una novità che l’economia di un Paese
trovi nelle aziende i suoi principali attori e che dunque le sue performance siano
strettamente legate alla capacità di queste ultime di rinnovarsi, competere e
confrontarsi ad armi pari con la concorrenza internazionale, è legittimo chiedersi
dove risieda la novità della riflessione tratta qui sopra con riguardo alle startup. Di
fatto è dalla rivoluzione industriale che è noto quanto sia vitale per la salute di un
sistema economico sperimentare un adeguato tasso di rinnovamento dell’apparato
produttivo. Dunque, quali aspetti rendono le cosiddette startup diverse dal più
semplice e comprensibile concetto di nuove imprese? Per quali ragioni, nell’attuale
contesto competitivo, esse dovrebbero rivelarsi più utili, soprattutto in termini di
prospettive di crescita e di ritorni occupazionali, di qualsiasi altra nuova attività
imprenditoriale?
Per rispondere a queste domande e porre le premesse necessarie a sviluppare
l’analisi al centro del presente lavoro, il primo passaggio essenziale risiede nel
comprendere cosa si possa intendere per startup e, di seguito, capacitarsi dei
processi che portano alla loro nascita e affermazione, per poi farsi anche un’idea
delle dimensioni del fenomeno e delle sue implicazioni.
1.2 Startup: definizione e tratti caratteristici
In prima istanza, al di là della diffusa convinzione che il concetto in esame altro
non sia se non un diverso modo di denominare una nuova impresa tipicamente di
piccole dimensioni e ad alto contenuto tecnologico, il termine startup richiama in
realtà tutto ciò che sta prima della nascita di un’azienda, individuando quella che,
come si deduce agevolmente traducendo il termine stesso, potrebbe essere vista
come la fase di avvio dell’attività economica o, più prosaicamente, come la strada
che separa l’intuizione e l’idea imprenditoriale dalla sua trasformazione in una
realtà organizzata e funzionante.
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Data la genericità di tale inquadramento, per circoscrivere al meglio il significato
del termine diviene dunque inevitabile ricavare informazioni aggiuntive rivolgendo
lo sguardo alle definizioni proposte dalla dottrina e dalla prassi.
Un primo riscontro in tal senso è rinvenibile nella descrizione proposta
dall’imprenditore Eric Ries, il quale definisce la startup come «a human institution
designed to create new product or service under conditions of extreme
uncertainty», ovvero come un’istituzione umana, ma forse sarebbe più appropriato
parlare di organizzazione, progettata per creare un nuovo prodotto o servizio in
condizioni di estrema incertezza
1
.
Gli elementi cardine intorno ai quali ruota questa definizione risiedono
essenzialmente nel concetto di organizzazione o istituzione, il quale richiama la
presenza di regole e di processi strutturati, escludendo di fatto qualsiasi approccio
basato sull’improvvisazione; nella finalità perseguita da detta organizzazione, la
quale, mettendo da parte qualunque ipotesi di imitazione, riproduzione o semplice
intermediazione commerciale, si sostanzia nella creazione di un nuovo
prodotto/servizio - sebbene sarebbe certamente più appropriato allargare lo sguardo
e parlare di nuova fonte di valore per i clienti - ed infine, nelle condizioni di estrema
incertezza in cui tutto ciò avviene.
A differenza di qualsiasi altra nuova impresa, infatti, la startup ha tra le sue
peculiarità propria quella di spingersi oltre i confini dell’universo noto, di esplorare
nuovi spazi di business, di soddisfare nuovi bisogni, di implementare nuove
strategie, di adottare nuovi modelli e processi, senza dunque attingere in alcun
modo dalle prassi e dalle best practice più diffuse.
Altrettanto densa di spunti di riflessione è la definizione fornita da Steve Blank
2
,
secondo il quale una startup è un’organizzazione costituita per cercare un modello
di business ripetibile e scalabile o, per dirla in lingua originale, «a startup is an
organization formed to search for a repeatable and scalable business model»
3
.
1
Cfr Ries E., The Lean Startup, Crown Publishing Group, New York, 2011, ed anche ID., What is
a startup, in Startup Lesson Learned, 21 giugno 2010, url:
http://www.startuplessonslearned.com/2010/06/what-is-startup.html.
2
Imprenditore della Silicon Vallley con all’attivo diverse startup.
3
Cfr. Blank S., What’s a startup? First principles, 25 gennaio 2010, url:
http://steveblank.com/2010/01/25/whats-a-startup-first-principles/, ed anche Pope E., Here’s the
difference between a startup and a small business, in GA Blog, 5 agosto 2014, url:
https://blog.generalassemb.ly/difference-between-a-startup-and-a-small-business.