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INTRODUZIONE
Figura 1. Il bodhisattva Kannon.
Da Matsubara T., Watashi no Kannongyō, p. 37
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Ogni religione fornisce ai propri fedeli un metodo di salvezza dalla
sofferenza, dalla dannazione e dal dolore, e dà anche grande importanza
alla figura del Salvatore.
Nel Buddhismo dell’India, della Cina e del Giappone questo ruolo
particolare è giocato da molti personaggi, tra cui il bodhisattva Kanzeon.
Il termine bodhisattva indica colui che cerca di mettere in pratica il
pensiero del Buddhismo Mahāyāna, che decide cioè di giungere alla
Suprema Illuminazione dei Buddha non solo per la propria salvezza ma
anche per quella di tutti gli altri esseri viventi.
Ma per quanto riguarda il composto “Kanzeon”, la sua origine è
tuttora oggetto di discussioni. Risalire dal nome cinese e giapponese a
quello sanscrito è molto spesso un’operazione difficile, e inoltre questo
bodhisattva è noto anche con altri nomi. Ciò è dovuto non solo alle diverse
versioni “originali” esistite, ma anche alle molte traduzioni effettuate in
periodi differenti e da personaggi differenti. In genere si ritiene che tale
nomi derivi dal sanscrito Avalokiteśvara, sebbene in realtà corrisponda
piuttosto ad Avalokitalokasvara.
Il significato del composto “Kanzeon” è “colui che osserva i suoni
del mondo”. Qui “suoni” ha il significato di “voci”.
Salta allora subito all’occhio l’importanza del ruolo di questa figura:
egli è “il bodhisattva che osserva le voci degli esseri di questo mondo e li
salva”.
In Giappone Kanzeon viene comunemente chiamato Kannon, e il
culto di questa figura è uno dei più diffusi e importanti.
Sono stati scritti molti sūtra riguardo i suoi poteri sovrannaturali, e
tra essi il più importante è senza dubbio il venticinquesimo capitolo del
Sūtra del Loto, il Myōhōrengekyō (in sanscrito Saddharmapuṇḍarīka
sūtra), un sūtra tradotto da Kumārajīva.
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Non si tratta però dell’unica versione completa in cinese oggi
esistente: vi sono anche lo Shōhokekyō, tradotto da Dharmarakṣa, e il
Tenbon myōhōrengekyō, tradotto da Jñānagupta e da Dharmagupta. Ciò
nonostante, la versione del Sūtra del Loto più conosciuta e utilizzata in
Cina e in Giappone è quella di Kumārajīva, abbreviata in Hokekyō.
Il nome completo del venticinquesimo capitolo di tale sūtra, che
costituisce uno dei testi fondamentali per comprendere la figura di Kannon,
è Myōhōrengekyō kanzeonbosatsu fumonbon dai nijūgo, comunemente
abbreviato in Kannongyō.
In questa tesi di laurea sono descritte l’origine, la struttura, il
contenuto e il significato di questo Sūtra di Kannon.
Essendo un testo sacro, non ha solo un valore letterario, ma anche
uno salvifico: in esso il Buddha spiega ai suoi discepoli come Kannon salva
gli esseri dalle molte difficoltà e passioni.
Come molti altri sūtra, il Kannongyō può essere suddiviso in due
grandi sezioni: una è scritta in prosa ed è chiamata jōgō, mentre l’altra è in
versi ed è chiamata gemon o geju. Questa seconda parte comincia con la
parola “seson”, e perciò viene anche chiamata “sesonge”; essa infine,
appartiene al Fumonbon dello Hokekyō (Fumonbon è un altro nome del
Kannongyō), e pertanto è conosciuta anche col nome di “fumonbonge”.
La parte in prosa di questo sūtra può essere suddivisa in sei sezioni.
Nella prima, il bodhisattva Mujinni porge al Buddha “storico” Śākyamuni
una domanda riguardo al nome del bodhisattva Kannon, e il Buddha
fornisce una prima risposta piuttosto generale. Nelle successive cinque
sezioni, il Buddha dà a Mujinni e agli altri esseri delle spiegazioni più
dettagliate.
Egli comincia allora a descrivere le “Sette Difficoltà” (chiamate
Kanan, Suinan, Fūnan, Tōjō no nan, Akki no nan, Chūkaikasa no nan e
Onzoku no nan), cioè quelle situazioni difficili che affliggono gli uomini
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“dall’esterno”: incendi, alluvioni, aggressioni, e così via. Se degli uomini si
trovassero in tali Difficoltà, e invocassero con tutto il cuore il nome del
bodhisattva Kannon, sarebbero subito salvati. Questa pratica si chiama
isshin shōmyō.
Il Buddha spiega poi che Kannon libera gli uomini anche dai “Tre
Veleni” (cioè Ton, Shin e Chi), che affliggono gli esseri umani agendo non
“dall’esterno” bensì “dall’interno”, proprio come il veleno dei serpenti. Si
tratta delle passioni, della rabbia e della confusione. In questi casi, l’unica
via è jōnen kugyō: bisogna cioè pensare sempre al bodhisattva Kannon e
venerarlo sempre.
Oltre a salvare gli uomini dalle situazioni difficili, il bodhisattva
Kannon esaudisce le loro “Due Richieste”, quelle di poter dare alla luce un
bambino o una bambina. Il sūtra spiega qui come se si venera Kannon e gli
si fanno delle offerte, si possano ricevere dei figli belli e in gamba.
Dopo questa spiegazione del Buddha, il bodhisattva Mujinni pone
ancora tre domande: come Kannon si muova in questo mondo, in che modo
spieghi il Dharma agli esseri e quali siano i poteri degli Abili Espedienti
utilizzati da Kannon. La successiva risposta del Buddha costituisce la parte
più lunga della sezione in prosa del sūtra: egli illustra infatti i Trentatré
Corpi che Kannon manifesta a seconda delle necessità e della capacità di
comprensione degli esseri viventi per poter spiegare loro il Dharma.
Queste Trentatré Manifestazioni (chiamate ōjin) possono essere
suddivise in quattro gruppi, in ordine: “coloro che hanno raggiunto
l’Illuminazione”, ovvero Buddha, pratyekabuddha e śrāvaka; “divinità”
come Brahmā, Indra, Īśvara, Mahēśvara, il grande condottiero celeste e
Vaiśravaṇa; “esseri umani” come un sovrano minore, un anziano, un
letterato, un funzionario, un brahmano, un monaco, una monaca, un laico,
una laica, la moglie o la figlia di un anziano, di un letterato, di un
funzionario o di un brahmano, un bambino o una bambina; e infine “altri
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esseri” come un dio, un serpente, uno yakṣa, un gandharva, un asura, un
garuḍa, un kiṃnara, un mahoraga, un essere umano o non umano,
Vajrapāṇi.
Questi Trentatré Corpi rivelano la profonda Sapienza e Compassione
di Kannon. Grazie alla sua Sapienza egli è infatti in grado di vedere
l’essenza degli esseri che vivono in questo mondo e delle loro passioni,
mentre grazie alla sua Compassione e agli Abili Mezzi è in grado di
salvarli.
Infine, l’ultima parte della sezione in prosa è chiamata “kuyō”. In
essa il bodhisattva Mujinni offre in dono a Kannon una preziosa collana.
A questo punto comincia la parte in versi del sūtra, il gemon.
Secondo molti studiosi, questa parte sarebbe stata aggiunta solo in seguito
alla traduzione del Tenbon myōhōrengekyō. Talvolta, comunque, quando si
parla di Sūtra di Kannon, alcuni intendono anche solo questa parte.
Così come avviene negli altri sūtra, anche nel gemon del Kannongyō
compaiono sia dei punti già descritti nel jōgō (e per questo chiamati jūjuge)
sia degli insegnamenti che non erano ancora stati esposti (che hanno il
nome di kokige). Per esempio, al posto delle Sette Difficoltà compaiono ora
le Tredici Difficoltà, e al posto di isshin shōmyō c’è nenpikannonriki.
Generalmente si ritiene che nenpikannonriki significhi “pensare a questi
poteri di Kannon”.
Nell’ultima parte del sūtra, di nuovo in prosa, si narra di come
ottantaquattromila esseri decidano di divenire Buddha, cioè di raggiungere
la Suprema Illuminazione per il bene proprio e altrui.
Tuttavia questo modo di leggere il Sūtra di Kannon non è altro che
un’interpretazione letterale, che non va oltre il cosiddetto jishaku. Come
per gli altri sūtra e i testi sacri in generale, è importante anche il rishaku:
bisogna cioè riuscire a cogliere il significato tra le righe.
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Se si riesce a leggere in tal modo, si può vedere come il Kannongyō
mostri le due nature degli esseri umani, cioè
quella di esseri viventi che soffrono afflitti dalle passioni;
quella di esseri che hanno la capacità di divenire Buddha.
Perciò secondo il rishaku non è detto che si possa solo pregare,
venerare o pensare a Buddha e ai bodhisattva chiedendo il loro aiuto
(tariki). Piuttosto, si pone l’accento sulla necessità di incamminarsi in
prima persona (jiriki) sulla Via del Mahāyāna per giungere infine
all’Illuminazione dei Buddha.
Sempre leggendo il testo dal punto di vista del rishaku, si comprende
come le Difficoltà descritte nel sūtra non siano solo sette (o tredici, come
descritto nella parte in versi), ma molte, molte di più: esse sono in realtà
infinite, come le Manifestazioni di Kannon.
Non c’è dunque limite alle sofferenze umane, né alla Compassione di
Kannon che salva gli uomini.
Inoltre, le Difficoltà descritte nel Kannongyō diventano degli stati
d’animo umani (come i tre Veleni), e i Trentatré Corpi del bodhisattva
Kannon si trasformano in modelli di buono e di cattivo comportamento.
Seguendo quelli buoni ed evitando di seguire quelli cattivi, è possibile
accumulare un gran numero di meriti per conquistare infine la Buddhità, e
soprattutto coltivare quelle virtù necessarie per poter diventare Buddha.
Ne consegue che, seguendo gli insegnamenti di questo sūtra,
mostrando Compassione per gli esseri viventi e ricercando la Sapienza si
può infine divenire Buddha.
Questo è il messaggio salvifico del Sūtra di Kannon, che elenca qui,
seppure in forma velata, nascosta e difficile da scorgere a prima vista, delle
regole precise di comportamento e di vita. Si insegna cioè che bisogna
sconfiggere le passioni, soffocare ogni istinto d’ira nei confronti altrui
sostituendolo con la Compassione.
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Molti studiosi e fedeli dello Hokekyō e del Kannongyō considerano
la strada indicata da questi testi come l’unica per il rispetto reciproco e la
pacifica convivenza, oltre che per la salvezza e la liberazione, da qualunque
punto di vista la si guardi.
L’analisi del Sūtra di Kannon da un punto di vista di rishaku ci porta
a individuare degli elementi in comune con il Cristianesimo (e con altre
religioni), e questo ci consente di fare dei paragoni, notando come alcuni
comportamenti siano ritenuti corretti (e altri scorretti) in entrambe le
religioni. Senza dimenticare che le premesse e gli obbiettivi delle due
tradizioni sono comunque di gran lunga differenti, possiamo vedere come a
livello di comportamento sociale si possano notare dei punti comuni.
Vediamo dunque un messaggio tipico del Buddhismo Mahāyāna, ma
al tempo stesso universale, che fa parte del patrimonio culturale e morale di
ogni popolo.