Introduzione
Mama, oh
I don't want to die
I sometimes wish I'd never been born at all.
Bohemian Rhapsody, Freddie Mercury
Chi ha avuto, negli ultimi due anni, il piacere e la sfortuna di avere a che fare con
l'autore di questo lavoro, si è sicuramente dovuto scontrare con la sua bizzarra passione
per le letture e i discorsi sulla morte e sulla condizione umana.
Non nascondo quindi che questa tesi nasce da uno specifico interesse personale.
Il rapporto dell'uomo con la sua condizione mortale mi ha sempre affascinato e da
quando ho letto ''La morte di Ivan Il'ič'' di L. Tolstoj, l'idea di scrivere un trattato sulla
morte non mi ha più abbandonato.
Ci si può chiedere, giustamente, quale sia il legame tra la psicologia della condizione
umana e il suicidio minorile. Ebbene, non si tratta affatto di una forzatura concettuale.
Lo sviluppo ontologico di un essere umano passa infatti necessariamente dalla
progressiva acquisizione di un rapporto con la morte e con la mortalità.
Questo inizia a costruirsi poco dopo la nascita e si completa in piena adolescenza con il
consolidamento delle cognizioni di morte e l'adozione dei maturi sistemi di difesa che
proteggono l'individuo dalle angosce ad essa collegate.
Quando un minore decide di uccidersi, la sua scelta è inevitabilmente strutturata sulle
specifiche conoscenze che ha maturato fino a quel momento sulla morte e sul suo
significato.
La differenza psicopatologica tra il suicidio minorile e quello dell'adulto è quindi
sostanziale.
L'infanzia non è solamente il periodo della vita compreso tra la nascita e la pubertà, ma
è soprattutto quella fase nella quale si assiste ad una mancanza di conoscenza relativa ai
temi turbolenti del sesso e della morte, che conferisce al bambino una temporanea
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protezione dalla condizione umana.
L'innocenza del bambino risiede proprio nel non vivere il fardello della consapevolezza.
Lo stesso discorso può essere fatto per l'adolescenza, periodo nel quale si dissolve
l'ignoranza infantile e si consolida progressivamente il rapporto con la propria natura
umana.
Lo studio della psicopatologia del suicidio minorile può quindi rivelarsi un validissimo
strumento per scoprire il turbolento rapporto con la morte alle sue radici, laddove il
significato dell'atto di togliersi volontariamente la vita sottende proprio la progressiva
sperimentazione dei vissuti più fondanti della condizione umana, quelli che permettono
negli anni di trasformare un bambino in un uomo.
Visto il profondo incatenamento del fenomeno del suicidio minorile con la condizione
umana e considerate le imponenti riflessioni che lo studio dell'argomento è in grado di
sollevare, si è scelto di iniziare con una ricerca storica, antropologica e filosofica.
Il primo capitolo consiste essenzialmente in questo. Si è tentato di comprendere cosa
siano per l'uomo la vita e la morte, per poi valutare la centralità della consapevolezza di
questi concetti nella dimensione della condizione umana.
Il lavoro ha poi anche incluso la ricerca dei vissuti e degli atteggiamenti dell'uomo in
relazione alla morte, dimostrandone il ruolo fondante nella determinazione di alcuni
comuni aspetti psicologici e culturali.
Nel secondo capitolo ci si è orientati verso lo studio dell'ontogenesi umana, incentrando
l'analisi sulla complessa evoluzione del rapporto con la morte durante l'infanzia e
l'adolescenza.
Il capitolo 2.3 è probabilmente il più interessante: attraverso uno studio approfondito
della letteratura si è tentato di interpretare i principali meccanismi psichici che possono
condurre alla paura ed al desiderio di morte.
Gli aspetti più tecnici del lavoro che si è svolto sono contenuti invece nel terzo capitolo.
Nella prima parte di questa sezione sono state descritte le caratteristiche del fenomeno
del suicidio minorile e di quello dell'erotizzazione della morte, esaminando nel dettaglio
le singolarità epidemiologiche, metodologiche e psicopatologiche delle due differenti
situazioni.
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Si è proceduto poi, attraverso la collaborazione del Dott. S. Pisani, Direttore
dell'Osservatorio Statistico-Epidemiologico, alla raccolta e all'analisi statistica dei dati
provenienti dal Registro di Mortalità dell'ASL di Varese relativi agli ultimi quindici
anni.
Si è operato, quindi, un confronto con i dati ISTAT che documentano i casi rilevati sul
territorio nazionale, allo scopo di valutare se la casistica della Provincia di Varese
mostrasse differenze statisticamente significative rispetto a quella nazionale.
Sono stati infine analizzati nel dettaglio due specifici casi riportati dal Dipartimento di
Medicina e Sanità Pubblica dell'Università dell'Insubria.
Il primo è un caso emblematico di suicidio infantile; il secondo rappresenta invece
l'unico caso di morte di un minore per gioco asfittico fino ad ora documentato dal
Dipartimento.
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Capitolo 1. L'uomo e la morte
1.1 Vita, morte, immortalità
La definizione del termine vita è stata storicamente grande oggetto di dibattito
scientifico, filosofico e religioso. È così anche oggi.
La recente scoperta di entità biologiche con caratteristiche a cavallo tra quelle dei virus
e quelle dei batteri (grandi virus nucleo-citoplasmatici a DNA, Mimivirus) ha messo in
crisi anche le più solide definizioni scientifiche di vita.
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Sembra quasi che sia
impossibile formulare una definizione di vita che non ammetta eccezioni, al punto che si
è arrivati addirittura alla possibilità di negarne l'effettiva esistenza.
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Quante e quali sono le caratteristiche che permettono di discriminare la materia vivente
da quella non vivente? Non molte, in realtà. Le leggi fisiche e chimiche che dominano
l'universo sono infatti le stesse per ciò che è vivo e per ciò che non lo è.
Anche i materiali, gli elementi chimici, sono gli stessi. Nulla di esclusivo.
Per analizzare dettagliatamente le sottili differenze tra ciò che è vivo e ciò che non lo è
ci si riferisce spesso alle forme di vita più elementari, come i batteri. Questi organismi
infatti, oltre ad essere invisibili e spesso immobili, rappresentano la vita, sia
strutturalmente che funzionalmente, nella sua forma più rudimentale ed essenziale.
Un elemento fondamentale, ma non sufficiente, per determinare l'esistenza della vita in
tutti gli esseri viventi, dai batteri all'uomo, è l'organizzazione dei sistemi che
compongono l'organismo, che è possibile solamente in virtù del possesso di una serie
di informazioni in codice contenute nel DNA.
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Si può quindi dedurre che la vita prende distanza dal resto della realtà in virtù del suo
possesso di un codice, di un piano d'azione per svolgersi, di un ordine, di una serie di
regole che la fondano, che si aggiungono a quelle della materia non vivente, senza
intaccarle.
1 P. FORTERRE, Three RNA cells for ribosomal lineages and three DNA viruses to replicate their
genomes: A hypothesis for the origin of cellular domain, Proceedings of the National Academy of
Sciences, 106, 2006, pp.3669-3674
2 J. FERRIS, Why nothing is truly alive, New York Times, 12 Marzo 2014
3 AA.VV . The Nature of Life: Classical and Contemporary Perspectives from Philosophy, Cambridge
University Press, 2010, pp.97 e seg.
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La vita è quindi la fenomenologia di un codice: l'espletamento delle funzioni dettate dal
DNA in un ambiente circoscritto, definibile come organismo.
Dal punto di vista strettamente scientifico una buona definizione è offerta da E.
Schrödinger:
''L'organismo vivente è un sistema termodinamico aperto, in
grado di mantenersi autonomamente in uno stato energetico di
disequilibrio stazionario e in grado di dirigere una serie di
reazioni chimiche verso la sintesi di sé stesso.''
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E' chiaro che la definizione di organismo vivente si concentra sulle caratteristiche
fondamentali dell'organismo stesso.
Le principali in discussione sono omeostasi, metabolismo, crescita, organizzazione,
adattamento, risposta agli stimoli e riproduzione.
Non in tutti gli organismi viventi è possibile osservare la totalità di queste
caratteristiche, inoltre non è mai stato chiarito univocamente quante ne debba avere
un'entità biologica per essere definita vivente.
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Tutt'oggi nelle scuole elementari si insegna che un organismo vivente è tale in quanto
nasce, cresce, si riproduce e muore.
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In realtà è ben noto che il concetto di nascita non è
applicabile, per esempio, alla mitosi cellulare.
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È ben noto anche che non tutti gli
organismi crescono, che non tutti si riproducono e che non tutti muoiono (si veda in
seguito).
Anche i concetti di autonomia e di autosintesi proposti da Schrödinger come pilastri
della definizione di organismo vivente non sono esenti da critiche o eccezioni.
Nella storica difficoltà riguardante la definizione della vita si cela forse una sola grande
verità: la vita è una determinazione umana, è la descrizione di una serie di eventi che
4 E. SCHRÖDINGER, Che cos´è la vita?: la cellula vivente dal punto di vista fisico, Adelphi, Milano
1995 (ed. or. What is Life? The Physical Aspect of the Living Cell, Cambridge University Press,
Cambridge 1944)
5 P. G. DA VISON, How to define life, The University of North Alabama, 2008
6 L. MISASI, D. MOLINO, F. MONTUOLO, E. PONTICELLI, Unica 1: Guida didattica per la
scuola primaria, Ibiscus Edizioni, 2009, p.585
7 La nascita presuppone infatti il riconoscimento di un organismo che si conserva e di un altro che si
origina da quest'ultimo. Nella mitosi cellulare invece entrambe le cellule sono figlie di un organismo
originario che non esiste più.
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