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Premessa:
L’insegnamento a tutti i livelli presuppone non solo la conoscenza della materia ma anche
la capacità di entrare in sintonia con i discenti. Non possiamo lasciare alla predisposizione
personale o alla buona volontà dei docenti questa fondamentale capacità (Francescato,
Putton & Cudini, 1986).
Accanto alla didattica della disciplina che si insegna occorre anche avere una
preparazione psico ‐pedagogica in quanto non basta saper trasmettere concetti e/o nozioni
ma occorre “formare” in tutti i sensi; per formazione si intende l’acquisizione di capacità
che hanno come scopo il benessere psico ‐sociale dell’individuo nel contesto dei vari
livelli di comunità (il benessere si ottiene nella legalità, nella convivenza partecipativa,
nella cittadinanza consapevole, nello sviluppo dello spirito argomentativo e della critica
costruttiva e propositiva, ecc.). Tali capacità possono essere di tipo culturale, affettivo e
sociale. Il primo tipo accresce l’empowerment, il secondo favorisce la risoluzione delle
crisi ed il terzo rafforza l’abilità alla vita soddisfacente a contatto con gli altri. Pertanto
oltre che al livello individuale la scuola intesa come una comunità dovrebbe formare
socialmente (Francescato, Tomai & Ghirelli, 2002).
La formazione degli studenti con diverse finalità e modalità deve essere presente ad ogni
livello: primario, secondario e universitario.
Nel presente elaborato verranno presentati alcuni strumenti tipici della Psicologia e della
Psicologia di Comunità, applicati ed applicabili, all’insegnamento formativo della
Matematica, nei diversi livelli scolastici.
Nel primo capitolo nello specifico verranno presi in esame dapprima i concetti fondamentali
dell’approccio umanistico all’apprendimento: l’educazione socio-emotiva, che fa
riferimento diretto all’intelligenza emotiva, cioè alla capacità che hanno gli esseri umani di
osservare costantemente le sensazioni proprie e quelle degli altri, distinguendo tra vari tipi
di emozione ed usando questa informazione per incanalare i propri pensieri e le azioni
(Gordon 1989; Goleman, 1996; Denham 1998; Saarni 1999). Successivamente, considerando
la classificazione dei livelli di comunità individuati da Bronfenbrenner (1986), si potrà
definire la scuola come una Comunità educante e pertanto campo di applicazione della
Psicologia di Comunità il cui campo d’interesse consiste nel creare e studiare le strategie più
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opportune per perseguire obiettivi che risultano fondamentali in una comunità scolastica
(Francescato, Tomai & Ghirelli, 2011).
Nella seconda parte, dopo alcune considerazioni storiche sull’evoluzione dell’insegnamento
nella scuola italiana (Dal Passo, 2003), si tratterà degli strumenti utilizzabili nella pratica
scolastica per arricchire e potenziare le capacità socio-affettive e relazionali degli attori
principali: studenti ed insegnanti (Francescato, Putton & Cudini, 1986). In particolare
nell’ultimo paragrafo di questo capitolo si approfondirà il Metodo Integrato Gordon, da
utilizzarsi come strumento principe nella interazione docente/discente (Francescato, Putton
& Cudini, 1986).
Per finire nel terzo capitolo dell’elaborato ci si focalizzerà sull’utilizzo degli strumenti tipici
della Psicologia di Comunità per l’insegnamento “formativo” della Matematica ai diversi
livelli scolastici. Verranno quindi descritti alcuni esempi pratici mediante l’esposizione della
metodologia da seguire per spiegare un concetto matematico in un contesto di gruppo di
lavoro (Sfard, 2008).
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Capitolo 1
Scopi e strumenti della Psicologia di Comunità: la loro
applicazione nella scuola.
1.1) Sviluppo della competenza socio ‐emotiva nel contesto scolastico.
La scuola rappresenta un contesto particolarmente significativo nella vita di ogni individuo,
tanto che risulta indispensabile promuovere e sviluppare al suo interno non solo competenze
cognitive, ma anche socio-emotive e relazionali. L’educazione socio-affettiva rappresenta una
metodologia ottimale per sviluppare tali competenze (Maggi, 2004). I suoi presupposti teorici
si fondano sulla psicologia umanistica di Rogers e Maslow e su quella di comunità; entrambi
gli approcci considerano infatti l’individuo come “individuo nel contesto”, portatore di
molteplici potenzialità da sviluppare in contesti ed esperienze come quelle di gruppo
(Francescato, Tomai & Ghirelli, 2002). L’educazione socio affettiva è infatti un’importante
area di ricerca e di intervento in ambito evolutivo ed educativo, in quanto la scuola rappresenta
un contesto principe per vivere e sperimentare esperienze di gruppo.
Anche in Italia negli anni '80 Francescato, Putton e Cudini, svilupparono un programma di
educazione socio-affettiva, avvalendosi di una metodologia integrata che prevedeva:
il metodo Gordon, relativo al rapporto docente-alunno;
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il circle time, mirato a favorire il rapporto tra alunni in classe, creando uno spazio
relazionale;
gli esercizi psicomotori, per migliorare la capacità del soggetto di sperimentare
vissuti, sentimenti e fantasie.
L’individuo è una totalità integrata e organizzata ed occorre infatti educarlo nel suo insieme
agendo su diversi piani che vanno dalla sfera cognitiva a quella socio emotiva, ecco perché
l’esigenza di un metodo integrato (Francescato, Putton & Cudini, 1986).
Sulla scia di questo, negli anni a seguire, l’interesse per le competenze socio emotive e la loro
implicazione in processi di apprendimento che tenessero conto della totalità dell’individuo,
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Il metodo Gordon verrà approfondito nel capitolo 2
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furono approfonditi da diversi gli autori (Gordon 1989; Denham 1998; Saarni 1999). Gordon
(1989) parlò di “Cultura Emozionale” le cui parole chiave sono: conoscenze, metafore,
etnopsicologie
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pertinenti ad una data emozione che un individuo apprende attraverso il
contesto nel quale si trova coinvolto. Denham (1998) individuò nel costrutto di competenza
socio-emotiva l’insieme di abilità relative all’espressione e comprensione delle proprie e altrui
emozioni, e alla loro regolazione. Saarni (1999), dal suo canto, considerò le componenti della
competenza socio-emotiva come l’insieme delle abilità che consentono di mantenere o
cambiare le transazioni con l’ambiente in modo efficace e socialmente appropriato.
Per riassumere le tre posizioni descritte, si può affermare che diventare emotivamente
competenti significa, ad esempio, essere in grado di esprimere le proprie esperienze emotive
attraverso i canali comunicativi verbali e non verbali, riuscire a decodificare le espressioni degli
altri, comprendere le cause che producono particolari vissuti emozionali, utilizzare adeguate
strategie per modulare l’esperienza emotiva in corso. Pertanto ci si riferisce a quelle capacità
che consentono di sentirsi efficaci negli scambi e nelle interazioni sociali della vita quotidiana
(Denham, 1998).
Possedere skills socio-emotive permette di riconoscere le emozioni proprie e altrui, di provare
empatia e partecipazione emotiva per le vicende altrui, di esprimere emozioni in base alle regole
della cultura di appartenenza, di conoscerne le cause che le provocano, di essere in grado di
auto ed etero-regolarle fino a saperle nominare usando un appropriato lessico emozionale
(Denham, 1998).
Diviene dunque di fondamentale importanza promuovere queste abilità all’interno del contesto
scolastico, essendo esso ricco di affettività e relazionalità.
Ogni livello scolastico presenta una sua peculiare competenza socio-emotiva, da quella della
scuola primaria in cui è fondamentale riuscire a creare un gruppo classe con individui che fino
ad allora sono vissuti in maniera egocentrica, fino al livello universitario in cui la competenza
emotiva deve aiutare a sentirsi adeguati e fiduciosi anche in presenza di eventuali défaillance
dovute a bocciature e/o promozioni con basso voto (Morgagni, 1998). Molto spesso il
fallimento di una carriera universitaria si collega direttamente alla valutazione negativa di sé
stessi proiettando un giudizio negativo ottenuto durante un esame a tutta la propria persona
(Mangia & Pes, 2008).
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disciplina che studia il comportamento umano nei diversi gruppi etnici e nelle diverse culture, considerando
l’influenza dei fattori socioculturali
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Secondo Goleman (1996), per ottenere una buona competenza emotiva, occorre potenziare la
propria intelligenza emotiva, termine che include una serie di competenze o caratteristiche,
fondamentali per sapere affrontare bene la vita: autocontrollo, entusiasmo, perseveranza e
capacità di auto motivarsi.
Come afferma Goleman “La vita emotiva è una sfera che, come sicuramente accade nel caso
della matematica o della lettura, può essere gestita con maggiore o minore abilità, e richiede
un insieme di competenze esclusive. La destrezza di una persona in tali ambiti è fondamentale
per comprendere come mai alcuni soggetti abbiano successo mentre altri, intellettualmente
non da meno, imbocchino vicoli ciechi: l'attitudine emozionale è una "meta-abilità", in quanto
determina quanto bene riusciamo a servirci delle nostre altre capacità – ivi incluse quelle
puramente intellettuali[…]” (Goleman, 1996 p.29).
1.2) La scuola: una “comunità interagente”.
Ricordiamo la definizione classica di comunità, come quel tipo di collettività "[…]i cui membri
condividono un'area territoriale come base di operazioni per le attività giornaliere" (Parsons,
1951; tr. it., p. 97) e che fa riferimento soprattutto alla comunità locale, nella quale è
predominante l’appartenenza ad un area territoriale. Il termine comunità indica anche, in modo
più ampio, un insieme di individui uniti tra di loro da rapporti sociali, linguistici e morali,
vincoli organizzativi, interessi e consuetudini comuni, ovvero legati fra di loro da un elemento
di comunione riconosciuto come tale dagli individui stessi (Cooley, 1922).
Tra i riferimenti teorici della Psicologia di Comunità occorre qui ricordare l’importanza delle
strutture individuate da Bronfenbrenner (1986), strutture concentriche che a diversi livelli
influenzano il comportamento umano.
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Partendo dall’individuo e ampliando la dimensione si incontra per primo “il microlivello
composto da tutti quei sistemi di cui l’individuo ha esperienza diretta, il mesolivello, composto
di due o più sistemi di microlivello e dai legami esistenti tra essi […], l’esolivello comprende
sistemi con i quali l’individuo non interagisce direttamente ma che influenzano la vita delle
persone che interagiscono con lui […], il macrolivello comprende il contesto sociale
allargato, le sovrastrutture che hanno il potere di influenzare tutti i livelli sottostanti
[…]” (Francescato, Tomai & Ghirelli, 2011, p. 59).
Da queste definizioni si può pensare alla scuola come ad una struttura inserita nel microlivello,
poiché l’individuo ne ha esperienza diretta, ma anche come una struttura di mesolivello, in
quanto il contesto scolastico può interagire ed influenzare anche gli altri contesti in cui
l’individuo è inserito, come ad esempio quello familiare. Inoltre ricordiamo come la scuola può
essere riconducibile ad una Comunità (educativa), dove gli individui che la compongono sono
uniti tra loro da rapporti sociali, linguistici, morali, organizzativi e da interessi e consuetudini
comuni, con lo scopo comune dell’educazione (Cooley, 1922).
A questo punto risulta logico che la Psicologia di Comunità abbia avuto e continui ad avere
interesse per le comunità scolastiche tanto da interessarsi a creare e studiare le strategie più
opportune per perseguire obiettivi che risultano fondamentali (Francescato, Tomai & Ghirelli,
2011).
Come enunciato precedentemente, con la struttura a livelli di Bronfenbrenner, la comunità
scolastica interagisce indirettamente anche con altri sistemi, tanto che le abilità apprese nel
contesto scolastico, come ad esempio l’autoconsapevolezza e la partecipazione attiva, potranno
essere impiegate anche in altri contesti quando, in futuro, gli individui andranno ad interagire
con altre comunità sociali (Buccolo, 2015).