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Capitolo I
Natura del bene e caratteristiche del settore
SOMMARIO: 1.1 Cambiamenti climatici, trend demografici e stato delle risorse idriche – 1.2 Acqua
bene economico “speciale” – 1.3 Integrated water resources management e politica idrica
europea – 1.4 Caratteristiche del settore e struttura del mercato in Europa
1.1 Cambiamenti climatici, trend demografici e stato delle risorse idriche
“Non c’è vita senza acqua”: con questa espressione si apre la Carta Europea dell’Acqua (1968),
sottolineando l’essenzialità di tale risorsa e la necessità di garantirne un’appropriata tutela,
sotto il profilo quantitativo e qualitativo.
I numeri presentano però un quadro allarmante e ben lontano dal raggiungimenti di questi
obiettivi: 2,5 miliardi di persone non dispongono di servizi igienici di base e 3,5 milioni di
persone, di cui oltre il 40% bambini, muoiono ogni anno a causa dell’inquinamento idrico e
della scarsa igiene (OECD, 2012; UN Water.Org, 2013). Ogni giorno 2 milioni di tonnellate di
liquami e di rifiuti industriali e agricoli vengono scaricati nelle acque, tanto che il volume
delle acque reflue prodotte in un anno risulta pari a circa sei volte quello dei fiumi di tutto il
mondo (UN, 2003), mettendo a rischio di estinzione oltre il 50% delle specie marine e un terzo
degli anfibi (Vié et al., 2009).
Le previsioni per il futuro non sono più confortanti: il prelievo di acqua aumenterà, entro il
2025, del 50% nei paesi in via di sviluppo e del 18% nei paesi sviluppati, portando 1,8 miliardi
di persone a vivere in zone caratterizzate da scarsità d’acqua e circa due terzi della
popolazione mondiale in condizioni di stress idrico
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, tanto che, entro il 2050, 240 milioni di
persone non avranno accesso a tale risorsa (OECD, 2012; UN Water.Org, 2013).
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Lo stress idrico descrive l’intensità di utilizzo delle risorse idriche ed è definito sulla base di un indice
calcolato come rapporto tra il prelievo annuale di acqua per usi domestici, industriali e agricoli, e il
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Ad influire su tali numeri sono, in primo luogo, i cambiamenti climatici, che impattano sul
ciclo dell’acqua ed incidono sulla variabilità di tale risorsa nel breve termine e sulla sua
disponibilità nel medio-lungo termine (Bates et al., 2008; Milly e Betancourt, 2008; Ludwig et
al., 2009; Olmstead, 2013; Van Vliet et al., 2013), con effetti e minacce alla biodiversità
differenziati nelle diverse aree in relazione al grado di investimenti in prevenzione e
salvaguardia posti in essere (Vörösmarty et al., 2010).
In Europa i cambiamenti climatici si manifestano nell’incremento della temperatura media,
che, nell’ultimo decennio, è risultata di 1.3°C più elevata rispetto all’epoca preindustriale, nel
mutamento delle precipitazioni, diminuite nel sud Europa e aumentate nel nord e nord-ovest,
e nello scioglimento dei ghiacciai, il cui volume minimo risulta dimezzato rispetto agli anni
ottanta (EEA, 2012).
Questi cambiamenti hanno conseguenze sui sistemi ambientali e sui sistemi socio-economici.
Tra i primi si segnalano l’incremento della temperatura delle acque marine e dolci, i
mutamenti nei cicli di vita e nella distribuzione delle specie marine, l’innalzamento del livello
del mare, l’aumento del numero delle inondazioni e delle fasi di secca dei fiumi, l’erosione del
suolo, la variazione della durata delle stagioni con impatti nella distribuzione e nella varietà
delle specie animali e vegetali. Anche le attività economiche risentono di tali cambiamenti: in
particolare, seppur in maniera differenziata nelle diverse aree, la produttività del settore
agricolo è messa a dura prova dalle ondate di caldo e dai periodi di siccità, o, per converso,
dalle inondazioni causate da periodi prolungati di piogge intense. Temperature estreme e
nubifragi sono spesso causa di diffusione di malattie, che mettono a rischio la salute e, talvolta,
la vita umana (EEA, 2012).
Su tale fronte i numeri confermano la necessità di intervento: l’ Emergency Disasters Database
ha infatti registrato, negli anni dal 2000 al 2006, 2.163 calamità connesse all’acqua, che
hanno colpito 1,5 miliardi di persone, provocandone la morte di 290.000, con danni per oltre
flusso annuale (o medio di più anni) disponibile di tale risorsa (World Resources Institute, 2013).
Secondo l’OECD (2012), un withdrawals-to-availability index compreso tra:
- 0%-10% indica una situazione di non stress,
- 10%-20% di stress basso,
- 20%-40% di stress medio,
- oltre il 40% di stress grave.
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422 miliardi di dollari (UN Water.Org, 2013). Nella sola Europa i danni connessi ad eventi
climatici sono saliti da nove miliardi di euro degli anni Ottanta a 13 miliardi nel primo
decennio del 2000 (EEA, 2012).
Non solo i cambiamenti climatici ma anche i trend demografici impattano sull’uso e sulla
disponibilità di tale risorsa. Oggi il pianeta è popolato da sette miliardi di persone, nel 2050 la
popolazione è destinata a crescere a nove miliardi, con conseguente notevole incremento della
domanda di acqua (UN Water.Org, 2013). Non mancano gli scenari previsionali: se nel 2000
1,6 miliardi di persone, circa il 27% della popolazione mondiale, viveva in situazioni di
scarsità d’acqua con una disponibilità inferiore ai 1000 m
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pro capite all’anno, per effetto
della sola crescita della popolazione, escludendo dunque i cambiamenti climatici e socio-
economici, il numero è destinato a salire a 2,8 miliardi nel 2020 e a 3,9 miliardi nel 2100,
risultando rispettivamente pari al 39% e al 43% della popolazione mondiale (Arnell et al.,
2011).
Nella previsione dei possibili scenari futuri, cambiamenti climatici e pressioni demografiche
richiedono una considerazione congiunta (McDonald et al., 2011 a) e allargata anche a tutti
gli altri driver, potenzialmente in grado di influire sulla disponibilità delle risorse idriche, tra
cui si annoverano fattori socio-economici, socio-demografici, politici, normativi e tecnologici
(Vörösmarty et al., 2000; Henrichs et al. 2002; Iglesias et al., 2007; Moss et al., 2010; March et
al., 2012).
Un tale approccio riconosce l’esistenza di forti interazioni tra processi di cambiamento
climatico naturali e indotti dall’azione umana e richiede una valutazione dei costi e d ei
benefici associati alle diverse scelte adattive (Moss et al., 2010). Per l’Europa, in particolare, le
previsioni indicano un incremento della disponibilità di acqua nelle regioni del nord e del
nord-est e, al contrario, una riduzione in quelle del sud e del sud-est, a cui sommare gli effetti
relativi alla crescita economica e industriale che provocherà una riduzione dei prelievi di
acqua nell’area occidentale, grazie ad un suo più efficiente utilizzo, e un incremento nelle
regioni orientali, per effetto della crescita economica e dell’impiego della risorsa nella
produzione di energia termica: nel complesso tali cambiamenti indurranno un aggravamento
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delle condizioni di stress idrico in tutta Europa e in misura più marcata nelle regioni dell’est
(Henrichs et al., 2002).
La rilevanza delle previsioni future è connessa alla possibilità di una loro integrazione nei
processi di pianificazione e gestione delle risorse idriche, mediante l’adozione di una logica
non più di correzione del danno, ma di prevenzione e salvaguardia, che dovrebbe considerare
non solo la disponibilità di tali risorse, ma anche la loro qualità e le relative modalità di
distribuzione (McDonald et al., 2011 b). Un tale approccio si fonda sull’individuazione e sulla
valutazione del rischio, connesso alla dinamicità e alla variabilità spaziale e temporale delle
risorse idriche, che, sulla base di dati comparabili e di una logica multidisciplinare, deve
orientare la definizione di strategie di breve e di medio-lungo termine (Iglesias et al., 2007;
WWAP, 2012; Ludwig et al., 2013).
I mutamenti climatici e gli altri driver di cambiamento rappresentano sfide e opportunità
anche per i gestori idrici, i quali, sulla base dell’interazione tra risorse, infrastrutture,
pianificazione e attività, devono adottare principi di gestione urbana integrata (IUWRM -
Integrated Urban Water Resources Management), delineando strategie di adattabilità in
relazione ai fattori di rischio identificati, alle criticità mappate e ai diversi scenari prospettati,
nonché opportune strategie di gestione della domanda, che contemplino meccanismi diretti
(aumento delle tariffe, programmi di ammodernamento, restrizioni) e indiretti (campagne
educative ed iniziative di corporate social responsability), nella prospettiva di un maggiore
coordinamento con i consumatori e le autorità (Danilenko et al., 2010).
1.2 Acqua bene economico “speciale”
“L’acqua ha un valore economico negli usi alternativi e può essere riconosciuta quale bene
economico”: con tale principio la Dichiarazione di Dublino del 1992 sottolinea non solo la
presenza di impieghi alternativi e la possibilità di attribuire alla risorsa idrica un valore
economico, ma ne sancisce la natura economica, orientando la gestione verso la
conservazione, la protezione e l’uso efficiente ed equo, e riconoscendo, allo stesso tempo,
l’importanza del diritto universale all’accesso a tale risorsa.