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INTRODUZIONE
In tutte le cose della Natura c’è qualcosa di meraviglioso.
Aristotele
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Eco e Narciso
John William Waterhouse, Eco e Narciso (1903), Walker Art Gallery, Liverpool (Inghilterra)
Nel libro III delle Metamorfosi (versi 370-479), Ovidio narra il mito di Eco, una ninfa
dei monti, e di un giovane vanitoso e superbo di nome Narciso, figlio della ninfa Liriope
e di Cefiso, una divinità fluviale.
Liriope, intrappolata e poi sedotta dai corsi d’acqua di Cefiso, diede alla luce un
bambino di eccezionale bellezza di nome Narciso. Preoccupata per il futuro del piccolo,
la ninfa consultò il profeta Tiresia, il quale predisse che Narciso avrebbe raggiunto la
vecchiaia solo “se non avesse mai conosciuto se stesso”.
Quando Narciso raggiunse il sedicesimo anno di età, era un giovane talmente bello che
ogni donna si innamorava di lui, ma Narciso, orgogliosamente, le respingeva tutte.
Eco, invece, come le sue sorelle, viveva nei boschi, correva sui prati e faceva il bagno
nelle acque fresche dei torrenti. La bella ninfa, però, aveva una dote particolare, poteva
parlare per ore e ore di qualsiasi argomento senza stancarsi mai e soprattutto senza mai
stancare chi l’ascoltava. Era talmente brava a parlare, che Giove decise di approfittarne.
Così, mentre Eco intratteneva sua moglie Giunone con lunghi racconti, lui, indisturbato,
corteggiava le ninfe dei boschi. Giunone, però, si accorse dell’inganno e la punì
togliendole l’uso della parola, condannandola a dover ripetere solo le ultime parole che
le venivano rivolte o che udiva. La giovane quindi, un tempo così abile nell’incantare le
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persone, non riuscì più a esprimere i suoi pensieri e disperata fuggì via per rifugiarsi nel
bosco.
Un giorno, mentre Narciso era a caccia di cervi, Eco si innamorò di lui e di nascosto lo
seguì tra i boschi desiderosa di rivolgergli la parola. La ninfa, però, era incapace di
parlare per prima perché costretta a ripetere sempre le ultime parole che sentiva.
Narciso, quando sentì dei passi e gridò: “C’è nessuno?”.
Eco rispose: “Nessuno…nessuno…”.
“Ma allora c’è qualcuno!”, protestò Narciso.
“Qualcuno…qualcuno”, rispose Eco.
“Dimmi chi sei!”.
“Sei…”.
“Mostrati, vieni fuori!”.
“Fuori…”.
“Fatti vedere!”.
“Vedere!”, ripeté Eco, saltando fuori da un cespuglio.
Narciso la scrutò diffidente.
Eco, nel tentativo di rassicurarlo, per fargli capire che non doveva avere nulla da temere
da lei, gli corse incontro a braccia aperte, ma Narciso la respinse in modo brusco e le
disse di lasciarlo solo.
Affranta dal dolore e con il cuore a pezzi, Eco si rinchiuse in una caverna profonda ai
piedi della montagna, dove Narciso era solito andare a cacciare. Da quel luogo, con la
sua bella voce armoniosa, continuò a invocare per giorni e notti il suo amato. Ma
Narciso, che pur udiva l’angoscioso richiamo, non la corrispose mai. Della ninfa, allora,
rimase solo la voce, che visse eterna tra le rocce della montagna solitaria.
Nemesi, la dea della vendetta, ascoltando questi lamenti, decise di punire il gelido
Narciso. Un giorno perciò, mentre egli attraversava un bosco, stanco per il caldo e per la
caccia, scorse una fonte d’acqua cristallina e si chinò per bere. Non appena vide, per la
prima volta nella sua vita, la sua immagine riflessa si innamorò perdutamente del bel
ragazzo che stava fissando, senza rendersi conto che era lui stesso. Né la fame né il
sonno riuscirono ad allontanarlo da lì, e poco a poco Narciso cominciò a deperire. Più il
tempo passava, più la sua disperazione aumentava. Comprendendo che non avrebbe mai
potuto ottenere quell’amore, si lasciò morire struggendosi inutilmente; si compiva così
la profezia di Tiresia. Quando le Naiadi e le Driadi vollero prendere il suo corpo per
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collocarlo sul rogo funebre, al suo posto trovarono un bellissimo fiore dall’intenso
profumo, a cui fu dato il nome di narciso.
Credo che il mito di Eco e Narciso esprima in sé, nel modo più chiaro, conciso e
compiuto, il senso più profondo, e al contempo più autentico e particolare, dei miei
studi, della mia ricerca e del mio amore e passione per arte, cultura, natura e
ovviamente per l’ecopsicologia, rappresentata in Italia dalla Scuola “Ecopsiché” e
dall’Associazione “Inventare il Mondo, Ecopsicologia in azione!” (IIM), due realtà
speciali di cui faccio parte e con cui collaboro attivamente dal 2007.
Questo racconto, tra l’altro, si presta molto bene per un’analisi di tipo ecopsicologico, in
cui “l’amore per Sé e per l’Altro” – cioè per le persone, gli animali, le piante, i luoghi e
gli ecosistemi – risulta essere un tema di fondamentale importanza.
Il termine narcisismo descrive una condizione sia psicologica che culturale, quindi
anche ecologica. Nel mito, infatti, è descritta la diretta conseguenza della perdita
“dell’Altro” inteso come “Natura”.
Quella di Narciso è l’immagine simbolo del nostro tempo, dell’Io (Ego) incapace di
aprirsi al riconoscimento dell’Altro (Eco), dell’Io incapace di conoscere e di amare
l’Altro, di accettare di non essere solo, di avere bisogno dell’Altro, che la verità e la
conoscenza sono nell’Altro. In questo mito si percepisce il rifiuto di un confronto con
l’Altro, che ha la capacità di mettere in discussione l’Io che si mette in relazione,
distogliendolo dall’amore per Sé e focalizzando la sua attenzione e affettività verso
colui o coloro che sono o vengono percepiti come diversi.
Eco e Narciso, infatti, rappresentano al tempo stesso due estremi apparentemente fra
loro incompatibili. Narciso è la figura della totale identità, mentre Eco è la pura alterità.
L’incontro tra alterità e identità rende difficile, se non addirittura impossibile, la
comunicazione. Narciso rifiuta questo confronto, rifiuta l’alterità, si ferma a ciò che è
identità. L’amore per l’Altro è per Narciso sinonimo di debolezza e vulnerabilità,
perché porta a scoprirsi veramente. Aprirsi all’Altro può essere motivo di sofferenza e
Narciso rifiuta questa possibilità, anche rischiando di non formarsi completamente come
soggetto.
A livello culturale il Narciso può essere interpretato come una persona o società priva o
carente di valori, quindi senza etica, poiché viene a mancare l’interesse per l’ambiente,
per la qualità della vita e per i propri simili. Di conseguenza, chi sacrifica l’ambiente
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naturale al profitto e al potere rivela incoscienza e insensibilità. Quando l’Io è senza
etica, senza valori e senza sani propositi, è incapace di cogliere e conoscere il vero
senso della vita e la natura autentica di tutte le cose.
Il primo capitolo descrive il percorso evolutivo che ha contraddistinto il rapporto
uomo-natura nel corso dei secoli; viene esaminato, nello specifico, il cosiddetto periodo
Post-industriale, caratterizzato da una inesorabile crisi ecologica, da cui è derivata
anche una crisi esistenziale. Sono state poi approfondite le cause delle rispettive crisi e
le relative conseguenze, arrivando a stabilire che si tratta di una crisi etica,
antropologica e culturale prima ancora che ecologica. Di conseguenza, si è ritenuto
opportuno affrontare l’argomento indagando le determinanti psicologiche. A tal
proposito, è stata presentata la psicologia ambientale (environmental psychology) per
introdurre la storia, il pensiero e le finalità dell’ecopsicologia (ecopsychology), una
giovane disciplina che, attraverso i suoi quattro campi di applicazione (formazione,
ecoterapia, ambientalismo ed educazione ambientale), favorisce la crescita personale, il
benessere individuale e lo sviluppo di una coscienza ambientale.
Il capitolo secondo mette in evidenza la differenza sostanziale tra approccio analitico e
approccio sistemico; tra visione meccanicistica, atomistica, riduzionista, materialista,
statica della realtà e visione organica, olistica, ecologica, dinamica della realtà; tra
logica lineare o strutturale e logica circolare; tra visione del particolare e visione
dell’insieme; tra oggettività e soggettività; tra realtà percepita come somma di tanti
“mattoncini” e realtà intesa come trama, come rete; tra fisica newtoniana e fisica
quantistica; tra economia meccanicistica ed economia intesa come sistema vivente; tutti
concetti di notevole importanza e interesse sia in ambito scientifico che umanistico.
L’ecopsicologia sposa perfettamente il modello olistico o eco-sistemico, trovandosi
pienamente d’accordo con il suo pensiero e con i suoi maggiori precursori ed esponenti,
come Jan Christiaan Smuts, Baruch Spinoza, Giordano Bruno, Johann Wolfgang von
Goethe, Rupert Sheldrake e Fritjof Capra, solo per citarne alcuni.
Il terzo capitolo approfondisce il tema dell’etica ambientale, tracciando la sua origine e
storia a partire dal suo progenitore, la bioetica. Sono poi indicati e messi a confronto i
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suoi principali modelli teorici (antropocentrismo, biocentrismo ed ecocentrismo) e le
personalità più rappresentative a loro interno.
Per questa ragione, ogni modello etico è stato descritto nel dettaglio, giungendo così a
distinguere:
un antropocentrismo forte o radicale, rappresentato dallo sciovinismo e dalla
cosiddetta etica della frontiera o del cow-boy;
un antropocentrismo debole o moderato, caratterizzato dall’etica giudaico-
cristiana, dal principio di conservazione della natura di Gifford Pinchot, dalla
Primavera silenziosa di Rachel Carson, e dalla filosofia New Age, sebbene
quest’ultima sia spesso collocata anche all’interno del panteismo;
un antropocentrismo cristico, proposto e difeso dalla più recente etica cristiano-
cattolica.
Viene presentato anche il biocentrismo forte o radicale e quello debole o moderato. Il
primo include l’etica dei diritti animali (sostenuta dagli animalisti) e l’utilitarismo di
Jeremy Bentham; mentre il secondo comprende l’etica dei diritti della terra o della
natura (supportata dagli ambientalisti), l’etica della Terra di Aldo Leopold, e l’etica
della responsabilità di Hans Jonas (approfondita nel quarto capitolo).
Segue l’ecocentrismo debole o moderato, rappresentato dalla shallow ecology (ecologia
superficiale), e l’ecocentrismo forte o radicale, nel quale si inseriscono l’Ipotesi Gaia di
James Lovelock, ormai ufficialmente dichiarata dalla scienza Teoria di Gaia, la deep
ecology (ecologia profonda) di Arne Naess, l’ecofemminismo e, ovviamente,
l’ecopsicologia di Theodore Roszak, di cui però si parla a fondo nel capitolo successivo.
Il capitolo quarto è interamente dedicato alla visione etica dell’ecopsicologia che,
come già anticipato in precedenza, si colloca dentro l’ecocentrismo. Per sostenere e
motivare questa idea, vengono indicati i termini, i pensieri e le teorie più importanti che
questa giovane scienza ha prodotto, accolto e fatto crescere al suo interno. Così,
partendo dall’ecosofia di Arne Naess e dagli otto principi elaborati dalla piattaforma
dell’ecologia profonda (deep ecology), che insieme costituiscono una delle colonne
portanti di tutto il pensiero ecopsicologico, sono messi in luce concetti quali l’inconscio
ecologico di Theodore Roszak; l’identità, la coscienza e la cittadinanza terrestre di
Edgar Morin; le quattro ecologie (ambientale, sociale, mentale, integrale) e la
coscienza planetaria di Leonardo Boff; l’ecologia della mente di Gregory Bateson;
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l’intelligenza emotiva, sociale ed ecologica di Daniel Goleman; l’intelligenza
naturalistica di Howard Gardner; la biofilia di Edward O. Wilson; l’anima dei luoghi di
James Hillman; la legge di complessità e coscienza di Pierre Teilhard de Chardin con la
sua noosfera; e per concludere il principio responsabilità di Hans Jonas già menzionato
nel capitolo precedente.
Il tema portante del quinto capitolo è invece l’empatia. Partendo dalla definizione e
dalla storia di questo termine, si passa alla differenza concettuale tra empatia e simpatia,
due parole simili ma non uguali, specie se analizzate nella loro vera essenza, nel loro
significato più profondo. Successivamente, si prende in considerazione lo sviluppo della
capacità empatica, arrivando a distinguere tra un’empatia emotiva e una cognitiva.
Viene poi presentato sia il termine bio-empatia o ecologia affettiva, inteso come la
capacità dell’essere umano di entrare in relazione profonda con tutta la componente
biotica dell’ambiente naturale (piante e animali), sia quello di eco-empatia o empatia
globale, concepita invece come la capacità umana di entrare in relazione profonda
anche con la componente abiotica della natura, cioè mari, fiumi, laghi, montagne,
grotte, rocce, paesaggi, luoghi, ecosistemi, eccetera. L’ecopsicologia segue la via
dell’eco-empatia per accrescere e sviluppare in ogni eco-alleato un maggiore senso di
cura e amore verso tutte le entità, animate e non, presenti sulla Terra. Per meglio
comprendere in cosa consiste questo tipo di relazione, è riportato come esempio un
progetto ideato e promosso dal FAI – Fondo Ambiente Italiano – in collaborazione con
Intesa Sanpaolo, dal titolo I luoghi del cuore.
Il capitolo sesto è dedicato all’educazione ambientale, detta anche educazione
ecologica, una scienza relativamente giovane che abbraccia due aree disciplinari diverse
ma complementari: area umanistica, che si occupa di educazione, e area scientifica, che
invece si occupa di ambiente ed ecologia. Dopo aver delineato questa disciplina, si
ripercorre la sua evoluzione storica tra passato, presente e futuro, attenzionando in
modo particolare le tappe più importanti e significative. Evidenziati i principi
fondamentali dell’educazione ambientale, sono poi descritte le sue metodologie e
finalità. Viene presa in considerazione anche la proposta concettuale di passare
dall’educazione ambientale (EA) all’educazione ambientale orientata alla sostenibilità
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(ESS), analizzando e mettendo in discussione il termine stesso sviluppo sostenibile, che
riguarda non solo l’ambiente, ma anche l’economia, la società e la stessa cultura.
A tal proposito vengono puntati i riflettori sull’educazione, che gioca un ruolo
indispensabile per la concreta realizzazione di uno sviluppo sostenibile orientato al
futuro. Sono poi elencate le caratteristiche fondamentali dell’educazione ambientale
orientata alla sostenibilità e le qualità e competenze necessarie per formarsi come
educatore ambientale.
L’ecopsicologia applicata all’educazione ambientale è l’argomento principale del
settimo capitolo, in cui viene messa in evidenza la differenza sostanziale tra iniziative e
attività prettamente di educazione ambientale e percorsi educativi ecopsicologicamente
orientati, per i quali risulta invece necessario lo sviluppo e l’allenamento della capacità
di partecipazione eco-empatica. Sono poi elencati e descritti metodi, esperienze e
percorsi di educazione ecologica in perfetta sintonia con l’ecopsicologia e i cinque
diversi livelli del sapere (sapere, saper fare, saper essere, saper far fare e saper
divenire) sui quali si struttura e progredisce tale disciplina.