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INTRODUZIONE.
La cosiddetta ‘crisi economica’ sembra ormai essere
diventata uno status quo della nostra epoca, un dato di fatto,
un qualcosa di normale a cui le persone, la società, le
organizzazioni sembrano essersi ormai abituate. Pochi sono
i Paesi, soprattutto europei, che godono di una situazione
economica stabile e nonostante i continui tentativi di
risanare questa condizione non si ottengono i risultati
sperati. Questa crisi viene considerata come una delle
peggiori crisi economiche della storia, seconda solo alla
Grande Depressione, causata dagli alti prezzi delle materie
prime, in particolare del petrolio, da una crisi alimentare
mondiale, dalla crescita dell’inflazione, portando con sé
numerose conseguenze negative, tra cui la perdita di fiducia
nei mercati borsistici, determinandone il conseguente
crollo.
Tuttavia, a mio avviso, non sono queste le uniche
motivazioni che hanno portato alla triste condizione in cui
viviamo oggi, forse la vera crisi non è tanto quella
economica quanto piuttosto quella dei valori e ci tengo
particolarmente a sottolineare quest’ aspetto, perché
proprio la mancanza di valori ha dominato per lungo tempo
lo scenario economico, portando alla perdita di fiducia di
tutti i soggetti coinvolti. Il rapporto tra l’etica e l’economia
è oggi più sentito che mai, questo perché per troppo tempo
il materialismo, la corsa al danaro, l’egoismo hanno ispirato
le manovre economiche, facendo sì che istituzioni e
organizzazioni sentissero il bisogno e la necessità di
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ispirarsi nuovamente ai ‘valori’, dando vita alle odierne
forme di gestione aziendale basate appunto sul rispetto, la
fedeltà e la fiducia di tutti i soggetti coinvolti.
Attraverso questa nuova gestione aziendale le grandi
multinazionali e le diverse organizzazioni cercano di
riscoprire i valori profondi della società nel tentativo di
integrarli con l’economia e ricostruire così un nuovo
rapporto che permetta la rinascita dell’economia,
un’economia però nuova, basata su fondamenta e principi
che cercano di superare il materialismo e l’egoismo che da
sempre si pensa debba caratterizzare il mondo degli affari.
Il rispetto per i propri dipendenti, per i consumatori,
per i fornitori, per tutti coloro che fanno parte della società
e soprattutto il rinato interesse per la salvaguardia
dell’ambiente, dopo che per tanti anni gli sono stati arrecati
danni irreparabili, sembrano essere alla base di un nuovo
progetto economico, dove l’interesse delle aziende non è
più rivolto esclusivamente al profitto ma anche al
miglioramento della propria immagine e reputazione. Vero
è che nel corso degli anni l’economia è molto cambiata, le
persone sono diventate molto più consapevoli di ciò che si
aspettano dalle organizzazioni e non solo in termini di
prodotti e servizi ma anche di comportamenti e modi di
porsi verso tutto ciò che le riguarda e dunque diventa
scontato per le imprese che per il raggiungimento del
profitto economico non basta più soltanto il
soddisfacimento materiale dei bisogni dei consumatori, ma
bisogna porre l’accento anche su altre risorse, le cosiddette
risorse immateriali.
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Nei capitoli successivi si cerca di dare dapprima un
quadro teorico dei principali intangible assets di
un’impresa, concentrandosi in particolare sulla Resource
based theory e su come questi siano in grado di influenzare
le performance aziendali, per poi procedere con una
trattazione più ampia del concetto di etica aziendale ed in
particolare del suo legame con il mondo economico. Si
cercherà di comprendere come si è evoluto nel tempo il
l’approccio della Responsabilità sociale d’impresa e di
come si sia radicato all’interno delle aziende. Dopo aver
elencato i principali strumenti etici, l’attenzione si sposterà
su una parte di essi, ovvero le certificazioni ambientali e
nell’ultimo capitolo ci si focalizzerà in particolar modo
sull’analisi della causalità inversa tra l’adozione di
certificazioni ambientali da parte di un’impresa e la sua
performance finanziaria, mediante l’esame di un progetto
di ricerca svolto dalla Professoressa Maria Teresa Cuomo,
dal Dottor Mario Testa e dal Professore Antonio D’Amato,
i quali ho avuto la possibilità di poter affiancare.
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CAPITOLO 1.
‘Le risorse indispensabili per il
successo aziendale’.
1.1 La Resource based theory e
l’importanza delle variabili interne di
un’impresa.
La Resource based View.
Organizations should be seen as a portfolio of
competences instead of a portfolio of business and core
competences are defined as complex bundles of resources
and capabilities which add value to the costumer and are
difficult to amulate and evaluate.
(Prahalad & Hamel)
1
La strategia di un’impresa può essere definita come
la migliore combinazione tra le risorse interne, le
competenze, le opportunità e rischi esterni all’impresa. Per
lungo tempo l’attenzione di studiosi e ricercatori si è
sempre focalizzata sull’ambiente esterno, relegando ad un
ruolo marginale le cosiddette risorse ‘firm specific’.
Secondo l’approccio strutturalista dell’Industrial
Organization
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, le prestazioni di un’impresa dipendono in
1
Cfr. tratta dall’articolo ‘The Core Competence of the
Corporation’ di Prahalad & Hamel. Harvard Business Review.
2
L’approccio dell’Industrial Organization, tipico della scuola di
Harvard è un approccio di tipo strutturalista, secondo cui la
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larga parte dalle decisioni dei singoli attori, che a loro volta
sono determinate dalla struttura del settore. Tuttavia ben
presto ci si rende conto che né la collocazione in
determinati settori, né lo sfruttamento di determinate
caratteristiche strutturali riescono a giustificare il diverso
vantaggio competitivo delle imprese, così come riescono
invece a farlo i modelli basati sulle cosiddette risorse firm
specific. Dunque l’impresa smette di essere vista come
un’entità che subisce le istanze provenienti dall’ambiente,
ma diventa un attore in grado di influenzare l’ambiente che
la circonda. Le strategie aziendali acquisiscono un nuovo
significato, in quanto non sono più dirette ad adeguarsi ai
cambiamenti provenienti dall’esterno ma sono orientate a
favorire l’acquisizione di risorse in grado di generare un
vantaggio competitivo sostenibile.
Questo nuovo interesse verso la dotazione aziendale
di risorse nasce dall’insoddisfazione verso quell’equilibrio
statico
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che ha caratterizzato la maggior parte dei pensieri
performance delle imprese dipende dalla loro condotta e dai
consumatori, comportamenti che a loro volta sono determinati dalla
struttura del settore a cui appartengono. Questa tesi non è stata tuttavia
condivisa dalla scuola di Chicago, secondo la quale è la capacità di
innovazione del management e la sua visione strategica a determinare
la performance dell’impresa e non la struttura del settore. Per cui si
passa ad un approccio di tipo comportamentista, dove non è più
unidirezionale e causale la relazione tra la performance aziendale e la
struttura del mercato, ma diventa invece bidirezionale, sottolineando
l’esistenza di un possibile meccanismo di retroazione delle
performance sulla struttura.
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Secondo la teoria economica classica, l’obiettivo dell’impresa
è la massimizzazione del profitto, attraverso il conseguimento del più
ampio divario tra i costi e i ricavi. La cultura aziendale è quella tipica
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economici riguardanti le strategie industriali. L’interesse di
questi nuovi studi non riguarda comunque un unico aspetto
ma abbraccia diverse tematiche quali il livello di strategia
aziendale, il ruolo che le risorse aziendali hanno nel
determinare i confini industriali e geografici dell’attività
d’impresa, la relazione tra le risorse, la competizione, la
profittabilità che inducono ad un’analisi dell’imitazione
competitiva, dell’appropriabilità dei risultati di
un’innovazione, si studia poi il ruolo dell’informazione
imperfetta nel creare differenze tra imprese concorrenti e il
mezzo con cui il processo di accumulazione delle risorse è
in grado di sostenere il vantaggio competitivo di
un’impresa. Insieme tutti questi contributi hanno dato vita
a quella che può essere definita come la Resource-based
View of the Firm
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.
della dipendenza e dell’esecuzione, i lavoratori sono visti come parti di
ricambio dell’azienda, la produzione è di massa e standardizzata e non
si tiene conto delle preferenze dei consumatori né del contributo che
possono fornire al processo produttivo. In tale visione sono le risorse
tangibili dell’impresa a svolgere un ruolo centrale.
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A dare l’avvio a tale filone di letteratura è stata Edith Penrose
con la pubblicazione, nel 1959, ‘The Theory of Growth of the Firm’.
Nel suo scritto Penrose parla di un nesso, di un legame tra le risorse, le
competenze e il vantaggio competitivo e fornisce tre argomenti chiave
riguardanti questi collegamenti. In primo luogo afferma che la
creazione di valore per un’impresa non dipende esclusivamente dal
possesso di determinate risorse, ma bensì da una gestione efficace e
innovativa di tali risorse. In secondo luogo parla del nesso di causalità
tra le risorse e la generazione di opportunità produttive per la crescita e
l’innovazione. Inoltre nella sua opera parla del compito del manager
che diventa fondamentale, in quanto ha la funzione di trasformare le
risorse dell’impresa in capacità dinamiche, attraverso nuove