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Introduzione. Vedere e conoscere
Nella cultura occidentale, conoscere significa guardare.
Lo sguardo e la vista prevalgono in maniera schiacciante sugli altri sensi quando
si parla di processo conoscitivo.
L’uomo dell’occidente non è in grado di sapere senza utilizzare gli occhi, i quali
rappresentano il fondamento della conoscenza, il primo passo dell’esperienza.
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Non è sempre possibile vedere tutto ciò che guardiamo, tutto ciò che scorre
d’innanzi ai nostri occhi. La capacità di vedere per conoscere risiede in ben altro.
Vedere è il risultato di un’azione osservativa che un soggetto compie. Infatti, a
partire dal semplice guardare, l’individuo deve operare un salto qualitativo, una
presa di coscienza tutt’altro che automatica, per giungere infine alla vera e
propria comprensione dell’oggetto osservato, assumendosi in questo modo la
responsabilità di tale conoscenza.
Forse anche il vedere troppo, il cercare di indagare nel vuoto è deleterio. Spesso,
il Genio non ha bisogno di spiegazioni, la bellezza è uno dei grandi fatti del
mondo che ci circonda
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, essa è ovunque e spetta al singolo riuscire a coglierla.
Quest’intrigante dicotomia tra il vedere ed il guardare rimane sospesa in un
equilibrio molto fragile, sorretto solo dalla presa di coscienza individuale.
Ogni nostro sguardo è diretto, di fatto, alla rappresentazione di ciò che esiste, la
quale è costituita dalla coesistenza del fare e del vedere. Per nutrire ed arricchire
le nostre menti è perciò la rappresentazione la base di una vera dinamica messa
in atto al fine di conoscere.
Il mondo, la natura e tutto ciò che esiste nel contesto in cui siamo inseriti, deve
essere filtrato dal nostro vedere, trasformandosi così in un nostro pensiero e
diventando una rappresentazione soggettiva di ciò che è oggettivo.
Forse questa è la chiave dell’arte. Fruire di qualcosa di già filtrato da altri, come
ad esempio un artista. Quello che facciamo ponendoci di fronte ad un opera
d’arte o assistendovi è fruire della rappresentazione dell’universo di qualcun
altro. La filosofia dell’arte consiste nel porci davanti al risultato di un pensiero
non nostro, che possiamo condividere o meno. È affascinante, ma anche
estremamente pericoloso allo stesso tempo.
La storia dell’arte è per questi motivi piena di rifiuti e scandali, in quanto le
diverse visioni soggettive del mondo raramente coincidono fra loro.
È difficile accettare veramente un’altra realtà. Il motivo è la paura di ognuno di
noi di essere messi in discussione, rischiando poi di scoprire che il nostro
pensiero non è nient’altro che una casa costruita sulla sabbia. Rischiamo così di
mostrarci ciechi davanti ad un confronto, o più semplicemente molto pigri, in
quanto non sentiamo la necessità di metterci in gioco.
Soprattutto dagli inizi del Novecento ad oggi, l’arte soffre di questa continua
messa in discussione, perché è diventata, e diventa sempre più, il risultato di un
pensiero, di un’idea.
Non in riferimento a nature morte o a ritratti di regnanti commissionati agli
artisti più in voga. Quell’arte è ben lontana. Si analizza quell’arte che presenta
l’impressione dell’artista. Una sua personale valutazione della realtà oggettiva.
Così agivano Renoir e suoi colleghi: restituendo sulla tela solo impressioni
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Antonio Somaini (a cura di), Il luogo dello spettatore. Forme dello sguardo nella cultura delle immagini,
Vita e Pensiero, Milano, 2005.
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Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, Mondadori, Milano, 2010.
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confuse e distorte della realtà. Queste le parole usate dai critici coevi per definirli
anche in senso spregiativo.
Oggi, passata la paura del confronto col nuovo, l’impressionismo rappresenta
uno tra i movimenti artistici più apprezzati.
Questo volume rappresenta un’analisi delle correnti artistiche più discusse del
Novecento. Fino ad arrivare agli Anni Zero e Dieci del XXI secolo. L’arte
contemporanea in ogni sua critica, fino ai movimenti più moderni, dalla scena
internazionale a quell’italiana. Si citerà il maestro Duchamp, senza il quale il
concetto di contemporaneo non avrebbe forse mai avuto luogo, grazie anche alle
presentazioni dei suoi ready-made.
In seguito si attraverserà quel periodo di transizione in un contemporaneo già
molto lontano, ma che vanta concetti e problematiche sempre molto attuali.
In questa dimensione, in questo scenario dove è l’idea a farsi arte e non più la
capacità tecnica dell’artigiano, che ruolo svolge il museo?
Questo non può più essere un contenitore chiuso.
E giusto trattare l’arte vitale libera del contemporaneo al pari di un reperto
archeologico creato migliaia di anni fa?
Vedremo quindi esempi di edifici museali molto differenti tra loro, per poter poi
riflettere sul loro rapporto con l’arte.
Luoghi di conservazione, luoghi troppo egocentrici, luoghi aperti e luoghi
generosi. Se il contenitore dell’arte diventa una gabbia sempre più stretta, allora
quest’essere vivo e vitale scappa. Diventa abitante del paesaggio, della città, delle
strade.
Gli artisti tendono a liberare l’arte e farla volare nel panorama, così da poter
essere fruita dalla collettività. Un’arte en plein air. Un’arte per tutti.
Un’arte che, evolvendosi tra una corrente ed un’altra, mantiene il passo con la
società nella quale si ritrova, spesso anche indirizzandola e consigliandola.
Dai concettuali anni del Dopoguerra al Minimalismo, dai coloratissimi anni
Ottanta, alla libertà della Land Art, per arrivare alle strade metropolitane con
l’arte pubblica e la Street Art.
Anche grazie al contributo di uno Street Artist italiano influente sulla scena
internazionale, si potrà approfondire il fil rouge di questo volume, cioè il
rapporto tra il pubblico e l’arte del contemporaneo.
Un pubblico spesso cieco e a volte troppo presuntuoso per provare ad aprire la
propria conoscenza nuovi stimoli, ma ci sono tutti presupposti per un
cambiamento.
L’arte è ovunque e a disposizione di chiunque abbia voglia di rapportarvisi.
Purtroppo spesso è muta, o non vuole imporsi con la sua presenza, lasciando al
suo potenziale pubblico, il compito di cercarla e trovarla.
L’arte è aperta!
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L’arte nel contemporaneo
Grazie alla rivoluzione mediatica in corso, l’arte si trova potenzialmente ovunque,
moltiplicata, replicata, digitalizzata, è in televisione ed è nella rete, dove viaggia a velocità
straordinaria, cambiando anche i valori del consumo artistico.
Contemporaneo si riferisce a un periodo storico e a una nozione filosofica, è un sostantivo e
un aggettivo. Contemporaneo è ciò che avviene nello stesso momento, dichiara
un’appartenenza al tempo presente ma esprime una potenzialità, una probabilità che si
rivolge verso il futuro. L’arte contemporanea si riferisce a una porzione specifica dell’arte:
che non fa più riferimento al concetto di arte tradizionale, che rifiuta le imposizioni della
buona tecnica artigianale. È una nozione sfuggente, quando si tenta di spiegare che cos’è si
procede per metafore perché legata alla temporalità. Come afferma Giorgio Agamben,
autorevole filosofo italiano, il tempo del contemporaneo è necessariamente discontinuo.
Tutto deve ancora accadere e insieme è già avvenuto. L’artista contemporaneo atomizza e
manipola il proprio tempo, lo mette in relazione con altri tempi, scava nel passato per
giungere nel futuro.
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Genericamente è definita come Arte Contemporanea tutta l’arte creata o rappresentata
dalla fine degli anni Sessanta del XX secolo fino a oggi. L’arte contemporanea comprende
tutte le tipologie di forme espressive che parlano del nostro presente. Tutti gli artisti viventi
contribuiscono alla produzione di arte contemporanea insieme a critici, curatori, mostre,
biennali, istituzioni e mercanti.
Nel Novecento Duchamp dimostrava attraverso le sue opere che l’arte è potenzialmente
tutto e Joseph Beuys dichiarava che potenzialmente tutti possono fare arte. Nel XXI secolo
l’opera d’arte si è spinta a un punto tale da non essere più solo rappresentazione e
creazione di qualcosa, può essere anche azione e lavoro sociale, come ad esempio nell’arte
relazionale e l’arte sociale. Le opere prodotte dall’arte contemporanea spesso danno allo
spettatore l’impressione di non avere nulla a che fare con l’arte, le sue forme sono
numerose e molto diverse tra loro, spesso appaiono contraddittorie. In un’esposizione
d’arte contemporanea spesso l’osservatore s’interroga se sia o no arte ciò con cui è messo a
confronto, non è raro che nel confrontarsi con alcune opere esposte l’utente dica o pensi Lo
potevo fare anche io come ci ricorda simpaticamente Francesco Bonami, curatore e direttore
artistico. Alla domanda cosa sia l’arte contemporanea non c’è una risposta chiara, anzi ogni
risposta rischierebbe di risultare superficiale e sminuente per tutto ciò che sorregge
quest’epoca della storia dell’arte.
Questa sorta di smarrimento generalizzato insieme all’impossibilità di definizione del
contemporaneo potrebbe rappresentare paradossalmente una caratteristica della
definizione stessa del contemporaneo, diffidando di ogni arte o letteratura che pretenda di
far capire in modo univoco il nostro tempo. Quando parliamo di arte contemporanea alcuni
storici, come lo storico e critico Arthur Danto, tendono a collocare la sua nascita intorno al
movimento della Pop Art, perché in questa espressione artistica si trova quanto di più vicino
sia stato rappresentato e appartenente alla nostra realtà, attraverso l’utilizzo d’icone
popolari e soggetti comuni. Altri studiosi collocano il fenomeno dell’arte contemporanea
legandolo a un importante avvenimento storico: il crollo del muro di Berlino nel 1989,
1 Cfr. Giorgio Agamben, Che cos’è il contemporaneo?, Nottetempo, Roma, 2008.
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intendendolo anche come caduta di barriere e di definizioni tra le arti, contribuendo alla
multidisciplinarietà e vivacità dell’arte. La maggior parte dei critici dell’arte è però concorde
nell’identificare un singolo episodio degli inizi del Novecento come anticipatore della
filosofia di questa branca dell’arte, riconoscendo l’avanguardista Marcel Duchamp come
l’indiscusso padre dell’arte contemporanea, il Michelangelo dell’arte di provocare e irritare.
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Siamo nel 1917, quando il trentenne dadaista Marcel Duchamp (1887-1968) decise di
presentare un’opera dal titolo Fountain alla prima mostra del gruppo Society of Indipendent
Artists, di cui lui stesso era parte.
Si trattava del famoso orinatoio in ceramica firmato con lo pseudonimo Richard Mutt, con
l’iniziale del nome puntata. L’artista propose quindi un oggetto anonimo, acquistato in un
negozio di articoli sanitari a New York, come un’opera esteticamente rilevante.
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Nonostante le critiche e la scelta della commissione di non esporre l’oggetto, Duchamp lo
volle difendere, affermando che quella fosse indubbiamente un’opera d’arte.
L’artista italiano Ugo Nespolo concorda con coloro che indicano quell’episodio come il
momento che cambiò il Novecento.
In questo secolo, infatti, le avanguardie come il futurismo, il dadaismo o il surrealismo, solo
per citarne alcune, si differenziano dalla precedente storia dell’arte poiché mettono
veramente in discussione i fondamenti del concetto di estetica. Proprio in questo si
traduceva il loro obiettivo. Si dichiara l’inutilità del gesto artistico, della mera tecnica
esecutiva propria della tradizione, attraverso l’introduzione del ready-made: oggetti
riproposti così come sono, magari per estraniarli dal proprio significato, sostituendolo con
un nuovo concetto, abbandonando definitivamente l’abbinamento di gusto estetico e abilità
tecnica ed esecutiva dell’opera, trascinatosi fino al cubismo.
La teoria alla base del ready-made fu spiegata in un articolo, anonimo ma quasi sicuramente
ad opera di Duchamp stesso, nell’edizione del Maggio 1917 della rivista Dada The Blind Man,
fondata dall’artista ed Henri-Pierre Roche:
« Se Mr. Mutt abbia fatto o no la fontana con le sue mani non ha importanza. Egli l'ha SCELTA.
Ha preso un comune oggetto di vita, l'ha collocato in modo tale che un significato pratico scomparisse
sotto il nuovo titolo e punto di vista; egli ha creato una nuova idea per l'oggetto. »
Vi sono tre elementi importanti in questa dichiarazione. Il primo è che la scelta di un oggetto
è essa stessa un atto creativo. In secondo luogo, cancellando la funzione originale di utilità di
un oggetto, questo diventa arte. Terzo, la presentazione e l’apposizione di un titolo
all’oggetto attribuiscono a questo una nuova idea, un nuovo significato. I ready-made di
Duchamp asseriscono infine il principio per il quale è l’artista stesso a definire cosa sia arte.
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I ready-made hanno quindi aperto la strada agli esperimenti più azzardati, liberando spesso
gli artisti dal peso e dall’ansia della tradizione.
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In questo senso, l’obiettivo di Marcel
Duchamp è far capire che il valore artistico-estetico dell’opera non è altro che frutto di una
2
Francesco Bonami, Lo potevo fare anch’io, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2007, p. 27.
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Fountain (Marcel Duchamp, 1917), viene considerata da alcuni storici dell'arte e teorici specializzati una delle
più influenti opere d'arte del ventesimo secolo, valutata intorno ai 3,5 milioni di euro. Non fu mai esposta al
pubblico e andò successivamente perduta. Dal 1964 esistono nel mondo sedici repliche dell'oggetto.
4
Dal sito ufficiale della Tate di Londra, www.tate.org.uk
5
Francesco Bonami, op. cit.
3
convenzione, rivoluzionando così il modo di osservare un’opera d’arte. Il valore dei ready-
made era solo nell’idea. Abolendo qualsiasi significato o valore alla manualità e alla tecnica
artigianale, l’artista non è più chi sa fare cose con le proprie mani, ma chi sa proporre nuovi
significati alle cose, anche per quelle già esistenti.
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È comunque da precisare che anche l’arte
moderna, riconosciuta a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, voleva rifiutare i canoni
estetici preimpostati, voltando le spalle all’arte cosiddetta accademica, la quale godeva di un
pubblico prevalentemente elitario e del potere politico. È una strada di confronto e
discussioni aperta dapprima dalla voglia di libertà degli impressionisti, ma stravolta e portata
al contemporaneo dall’autore di Ruota di Bicicletta (1913), che fece delle sue opere il punto
di riferimento per la maggior parte delle opere dello scorso secolo.
Infatti, grazie a questi concetti innovativi, Duchamp fu una figura fondamentale nel
panorama dadaista e surrealista, ma anche un’influenza molto importante nella Pop Art,
nell’arte concettuale e nella maggior parte delle correnti artistiche fino ai giorni nostri.
Secondo il filosofo Jean-Luc Nancy, Duchamp compie in questo modo un gesto di rottura con
la stessa arte moderna, gesto decisivo e complesso: “questa è arte” “che non ha nulla in
comune con nessuna delle creazioni di forme artistiche conosciute”.
Altro grande nome dell’arte contemporanea è l’italo-argentino Lucio Fontana (1899-1968),
celebre per le sue tele spesso monocrome, solcate da fori e tagli.
È l’artista che forse più di ogni altro suscita le ire e le frustrazioni del visitatore non
interessato all’arte contemporanea. I fatti lo dimostrano. Nel 2009 alla Galleria Nazionale di
Arte Moderna di Roma, durante lo spostamento delle opere per l’allestimento di una
mostra, ci si accorse che sul vetro della cornice di una delle opere di Fontana («Concetto
spaziale- Attese», 1968, cinque tagli su tela dipinta di bianco) era presente uno sputo. Con
ogni probabilità, per merito di un visitatore che non vedeva tanto il suo atto come sfregio
verso l’arte quanto quell’opera.
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Da uno studio del 2008 commissionato appunto dalla
GNAM di Roma, si scopre che Fontana viene spesso percepito come non-arte.
Infatti, nella ricerca generale l’autore che, tra tutti, ha attirato la maggiore quantità di
risposte indicate come «perplessità » è stato proprio Lucio Fontana. Chi lo osserva senza
strumenti critici, insomma, non riesce ad afferrare il significato di quei tagli sulla tela e il
significato del superamento, da parte di Fontana, del passaggio dalla superficie alla rottura
della superficie.
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Eppure dietro quel gesto, deciso, minimo, c’è un percorso intellettuale profondo: la
constatazione della necessità di superare ancora una volta diecimila anni di
rappresentazione pittorica. Ciò che sta dietro una delle attese di Fontana è la parte più
importante dell’opera. È un lavoro concettuale e filosofico straordinario.
Dopo che ad uno ad uno, grazie alle Avanguardie, erano saltati via come birilli tutti i punti
fermi della pittura di ogni epoca (dalla prospettiva all’anatomia, dalle proporzioni al
chiaroscuro, dal rapporto figura-sfondo alla presenza di figure riconoscibili) era rimasto
l’ultimo ostacolo: la tela. Quella non era mai stata messa in discussione. Era sempre lì,
6
Tiziana Andina, Filosofie dell’arte. Da Hegel a Danto, Carocci Editore, Roma, Maggio 2012.
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Paolo Conti, Quello Sfregio all’arte di Fontana. Quando l’arte suscita rabbia, www.corrieredellasera.it,
21 Febbraio 2010.
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Maria Mercede Ligozzi e Stefano Mastrandrea (a cura di), Esperienza e conoscenza del museo: indagine sui
visitatori della galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea, Electa, Roma, 2008, p. 80.