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stimolo influiscono reciprocamente sulla rappresentazione come aspetti legati allo
sviluppo.
Il ruolo del significato viene rilevato dalla presenza di uno stimolo aventi le
sembianze della figura umana in contrasto con uno stimolo neutro con caratteristiche
semplicemente geometriche. Il fatto che il bambino interpreti lo stimolo con
caratteristiche come una figura umana può influire sulla rappresentazione
dell’orientamento di tale oggetto.
Con il termine di orientamento ci si riferisce alla dislocazione spaziale che
assume la rappresentazione in relazione alla posizione dello stimolo. L’orientamento
spaziale reale dell’oggetto e quello della rappresentazione fornita dal bambino
possono essere più o meno discordanti. Tale differenziazione viene classificata sulla
base dell’asse della figura e dell’angolo di rotazione di tale asse.
Il concetto di dimensioni, riguardante la grandezza relativa delle parti che
costituiscono lo stimolo, viene considerato da due punti di vista.
Innanzitutto il ruolo delle dimensioni viene rilevato dal confronto di tre
condizioni sperimentali in cui gli stimoli adottati in ognuna di esse mantengono tra di
loro una relazione di identità, di grandezze dirette o inverse. Le modificazioni dello
stimolo secondo le dimensioni è stata eseguita utilizzando il principio adoperato da
Freeman (1975) per indagare il problema del posizionamento delle braccia da parte di
bambini sulla rappresentazione della figura umana (§ 4.2). Questo principio prevede
che più stimoli di una stessa serie abbiano in comune una parte delle stesse
dimensioni, mentre la rimanente parte vari secondo una scala ad intervalli uguali;
inoltre prevede che lo stimolo centrale della serie sia costituito da due parti della
stessa grandezza. Gli stimoli utilizzati nelle tre condizioni sperimentali, quindi,
assumono la seguente configurazione: testa piccola e corpo grande per lo stimolo
elicitante la figura umana della prima condizione, testa e corpo di uguali dimensioni
per quello della seconda condizione, infine, testa grande e corpo piccolo per quello
della terza condizione.
Il secondo aspetto del concetto di dimensioni riguarda la relazione che sussiste
tra le dimensioni reali delle parti costituenti lo stimolo e quelle della
rappresentazione. Si vuole, quindi, rilevare se il bambino, nella sua rappresentazione,
rispetta le proporzioni di grandezza esibite dallo stimolo proposto.
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La tesi si propone di indagare il tipo di relazione che intercorre tra il codice
simbolico (esplicitato dal confronto fra due stimoli, uno elicitante la figura umana ed
uno neutro) ed il codice spaziale (esplicitato dalle dimensioni relative di testa e corpo
e dall’orientamento della rappresentazione) nei disegni messi in atto da bambini di
età compresa tra i 3 e i 7 anni e di adulti. Il piano di sviluppo della tesi comprende
due sezioni.
In una prima parte teorica viene presentato un breve excursus storico sulle
principali teorie del disegno infantile ed il suo sviluppo (cap. 1). Dopo un primo
richiamo alle principali teorie sullo sviluppo della rappresentazione della figura
umana (§ 2.1), vengono approfonditi i principali fenomeni associati alla riproduzione
di stimoli aventi valore semantico interpretabile come una figura umana. Abbiamo
preso in considerazione gli aspetti di stereotipicità, canonicità e orientamento (§ 2.2) e
di proporzione di grandezza delle parti costituenti la figura umana (§ 2.3). La prima
parte della tesi si conclude discutendo come bambini e adulti riescano a traslare la
realtà tridimensionale nella rappresentazione grafica bidimensionale. All’interno di
quest’ultimo tema vengono analizzate le relazioni spaziali intese come
rappresentazioni della tridimensionalità di un oggetto e delle relazioni di profondità
tra oggetti. La figura umana, con le sue caratteristiche di complessità, viene analizzata
da entrambi questi punti di vista (cap. 3).
La seconda parte è dedicata alla fase sperimentale della ricerca che prende
come punto di partenza il lavoro di Ingram (1985), sull’individuazione di un codice
simbolico e spaziale (§ 4.1), e quello di Freeman (1975), sull’influenza delle
dimensioni del corpo e della testa sul posizionamento delle braccia nella
rappresentazione della figura umana (§ 4.2). La parte sperimentale è sviluppata in tre
sucessivi esperimenti eseguiti con 160 bambini di età compresa tra i 3 e i 7 anni e 90
adulti. Nel primo esperimento lo stimolo, avente le sembianze di una figura umana,
presenta una testa piccola ed un corpo grande (cap. 5), nel secondo presenta la testa
ed il corpo di uguali dimensioni (§ 6.1), nel terzo, infine, presenta una testa grande ed
un corpo piccolo (§ 6.2). All’interno di ogni esperimento gli stimoli (con
caratteristiche e neutro) sono presentati in due orientamenti verticali (pile), diritto e
rovescio, e due orizzontali (file), davanti e dietro.
Per quanto riguarda il codice simbolico e l’orientamento, come aspetto
specifico del codice spaziale, i risultati indicano che nei bambini più piccoli agisce il
solo codice simbolico elicitato dalla presenza di uno stimolo con caratteristiche
umane, mentre nei bambini di età intermedia si riscontra l’interazione del significato
con l’orientamento, infine nei bambini più grandi e negli adulti i due codici, simbolico
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e spaziale, si integrano in quanto c’è la tendenza a rappresentare l’oggetto nella
posizione in cui viene presentato. Per quanto riguarda l’altro aspetto specifico del
codice spaziale, le dimensioni relative, i risultati mostrano che esso è presente anche
nei bambini più piccoli e può, pertanto, interferire con il codice simbolico.
Infine, le prestazioni dei soggetti vengono messe a confronto con alcune
competenze coinvolte nella rappresentazione, quali le capacità visuo-motorie (test di
Bender) ed intellettive generali (subtest di vocabolario della scala WISC-R e WPPSI)
(cap. 7).
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PARTE TEORICA
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CAPITOLO 1
IL DISEGNO INFANTILE: TEORIE ED EVOLUZIONE
Il disegno infantile è uno degli argomenti più studiati dagli psicologi dell’età
evolutiva. Dato che la presente ricerca si situa all’interno dei numerosi studi sulla
rappresentazione infantile, risulta coerente tracciare un background di riferimento
sulle teorie e l’evoluzione dell’attività grafica del bambino.
1.1 BREVE EXCURSUS STORICO SULLE PRINCIPALI TEORIE DEL DISEGNO
INFANTILE
Nello studio della rappresentazione grafica dei bambini si sono susseguiti
periodi in cui il disegno non ha tenuto vivo l’interesse degli studiosi ed altri più
fecondi. Facendo riferimento a questo periodo di interesse, presenterò, qui di seguito,
una breve panoramica sui principali approcci al disegno infantile.
1.1.1 I primi studi sulla rappresentazione grafica
L’attività pittorica del bambino è stata considerata per secoli una forma di
espressione mancata, come osservato in Bombi e Pinto (1993). E’ soltanto sul finire del
diciannovesimo secolo che il disegno è diventato a pieno titolo oggetto di attenzione e
di ricerca. Questa svolta si deve ai lavori di Cooke (1885) e soprattutto alle ricerche di
Ricci (1887). Sull’argomento è suo il contributo alla letteratura degli inizi. Si racconta
che in un giorno piovoso Ricci si trovasse sotto ad un abete da dove scorse
affascinanti e goffi disegni sicuramente provenienti dalle mani di un bambino; niente
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di inconsueto se non fosse che da questo momento Ricci iniziò ad interessarsi al
disegno ed all’arte infantile. Con il volume L’arte dei bambini (1887) ha fornito il primo
quadro dell’evoluzione grafica nell’infanzia; il suo intento era chiaramente
tassonomico e normativo e lo scopo era la ricerca di stadi e tappe distintive dello
sviluppo che conduce il bambino ad impadronirsi della capacità grafica di
rappresentarsi il mondo. Questa tendenza a catalogare e descrivere l’attività grafica
infantile si concretizza con ulteriori ricerche, quali quella condotta da Kerschensteiner
(1903), che sulla base di oltre centomila disegni ha cercato di stabilire i livelli di
sviluppo dell’attività grafica, e quella di Goodenough (1926), che ha cercato di
stabilire le fasi di sviluppo della rappresentazione grafica in rapporto alla figura
umana.
Rispecchiando un intento descrittivo, tutti questi contributi sono volti alla
ricerca degli stadi e delle tappe che portano il bambino ad impadronirsi della capacità
di rappresentarsi graficamente il mondo. Ben presto, però, l’intento descrittivo è stato
sostituito da quello interpretativo che cerca di offrire un’interpretazione coerente e
generale del disegno stabilendo una sequenza di stadi nell’evoluzione della capacità
di rappresentazione grafica del bambino.
1.1.2 Teorie stadiali
Secondo le ipotesi dei teorici della stadialità, i disegni dei bambini ne riflettono
le rappresentazioni mentali interne, quindi è possibile distinguere un realismo
intellettuale da un realismo visivo. Questa ipotesi esprime un'interpretazione del
grafismo centrata sui concetti di stadio e di modello interno.
Uno dei primi studi che prende in esame il disegno dei bambini, da un punto
di vista stadiale, è quello di Burt (1921). Egli descrive una progressione di 7 stadi:
- scarabocchio (2-3 anni), in cui l’attività grafica è soltanto un’espressione motoria
eseguita per gioco;
- linea (4 anni), dove si riscontrano singoli movimenti della matita che costituiscono
gli scarabocchi;
- simbolismo descrittivo (5-6 anni), in cui il bambino mette in atto semplici schemi
simbolici riferiti ad un tipo generico e non ad un particolare oggetto;
- realismo descrittivo (7-9/10 anni), dove si riscontrano ancora disegni simbolici nei
quali la corrispondenza visiva dello schema alla realtà è rafforzata da alcuni dettagli o
tratti particolari;
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- realismo visivo (10-11 anni o più), in cui la tecnica migliora ed il bambino ricerca
una corretta rappresentazione visiva della realtà;
- repressione (11-14 anni), in cui i disegni mostrano una regressione dovuta
probabilmente a conflitti emotivi;
- revival artistico (prima adolescenza), in cui i disegni si avvicinano, nella tecnica
usata, a quelli dei professionisti.
In questo contesto si situa la posizione di Luquet (1913; 1927) che analizza lo
sviluppo del disegno infantile a partire da un modello interno e dal realismo. Egli
afferma che la rappresentazione dell'oggetto da disegnare prende forma da una
ricostruzione originale della realtà identificata con il modello interno. In un primo
momento il bambino individua casualmente la rassomoglianza tra i propri
scarabocchi e gli oggetti dell’esperienza quotidiana; solo successivamente si avrà la
costruzione intenzionale di un sistema grafico coerente. Secondo la posizione di
Luquet il disegno infantile è sempre realistico, sia nell’intenzione del bambino, sia per
la funzione di rappresentare qualcosa. Esso si sviluppa passando attraverso una
successione di quattro fasi:
- il realismo fortuito, in cui il bambino constata casualmente l’esistenza di
corrispondenze tra i segni grafici sul foglio e gli oggetti del mondo esterno;
- il realismo mancato, dove il bambino cerca di rappresentare in modo riconoscibile la
realtà, ma non ci riesce per le minime capacità grafiche;
- il realismo intellettuale, in cui il bambino, verso i 5 anni, disegna solo ciò che nella
realtà gli è noto;
- il realismo visivo, dove tra gli 8 e i 9 anni il bambino, dopo essersi accorto degli
"errori" nei suoi disegni, cerca di eliminarli e così le rappresentazioni grafiche si
avvicinano sempre di più alla realtà.
L’intenzione interpretativa a cui si è fatto precedentemente riferimento si
approfondisce con Kellogg (1959; 1970). Per questa autrice già nello scarabocchio il
bambino manifesta la sua intenzionalità, la sua necessità di rappresentare
graficamente esperienze, situazioni e oggetti specifici; ma questo non implica mai,
secondo l’autrice, una riproduzione realistica. Kellogg identifica quattro stadi per lo
sviluppo della capacità grafica spontanea; essi si articolano dai primi segni dei
bambini di età inferiore ai 2 anni alle rappresentazioni dei bambini di 5 anni, età in
cui il bambino comincia a copiare la realtà che lo circonda:
- lo stadio dei modelli, tipico dei 2 anni e caratterizzato da scarabocchi elementari,
quali linee senza controllo visivo, e da modelli di organizzazione che indicano come
vengono collocate le linee sul foglio;
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- lo stadio delle forme, tipico della fascia d’età 2-3 anni e caratterizzato da diagrammi
emergenti, quali forme disegnate senza il riferimento del bordo del foglio, e da
diagrammi, riferiti a singole linee utilizzate per croci, triangoli, ovali, che tengono
conto del bordo del foglio;
- lo stadio del disegno, tipico dei 3-4 anni e caratterizzato dall'unificazione dei
diagrammi per formare combinazioni e aggregati; qui, inoltre, vengono identificate
alcune forme lineari molto importanti quali i radiali, i soli, e i mandala;
- lo stadio pittorico, caratteristico dei 4-5 anni e identificato dal disegno
rappresentativo.
Sempre in ambito stadiale, intorno agli anni Cinquanta, gli studi si sono
focalizzati maggiormente sui rapporti esistenti tra disegno e funzioni mentali. Di
questa tendenza si sono fatti portavoce Piaget e Inhelder (1948) che considerano
l’evoluzione del grafismo infantile corrispondente alle tappe fondamentali dello
sviluppo mentale. In questo modello evolutivo tanto più il bambino cresce, tanto più i
suoi disegni diventano dettagliati, proporzionati e visivamente realistici, denotando
così una crescita intellettuale attraverso una serie di stadi. Piaget e Inhelder
analizzano la rappresentazione dei rapporti spaziali nei disegni dei bambini
distinguendone tre classi:
- i rapporti topologici, tipici del periodo che va dai 2 anni e mezzo ai 4 anni e
caratterizzati dall’invarianza dei rapporti spaziali quali vicinanza, separazione,
inclusione, chiusura e ordine; qui la figura, sottoposta a deformazioni senza indurne
rotture, mantiene gli stessi rapporti tra le parti (una figura geometrica può cambiare
aspetto, ma alcuni rapporti tra i punti che la compongono vengono conservati). Per
Piaget e Inhelder la fase del realismo mancato di Luquet è caratterizzata dal fatto che
i bambini riescono ad utilizzare solo alcuni rapporti topologici, senza però riuscire a
coordinarli nel caso di rappresentazioni complesse;
- i rapporti euclidei, rappresentati tra i 4 e i 7 anni e caratterizzati dall’invarianza dei
rappporti quando le trasformazioni dell’oggetto sono rotazioni o spostamenti. Per
Piaget e Inhelder la fase del realismo intellettuale di Luquet è caratterizzata dal fatto
che i bambini riescono ad utilizzare tutti i rapporti topologici, presentando anche
alcuni rapporti euclidei, non coordinati, però, con prospettive e distanze;
- i rapporti proiettivi, conquistati tra i 7 e i 9 anni e caratterizzati dai rapporti
prospettici e dalla comprensione della posizione del punto di vista richiesto; il
bambino, in questo caso, riesce a coordinare le dimensioni e le distanze tra gli oggetti.
Per Piaget e Inhelder la fase del realismo visivo di Luquet è caratterizzata dal fatto
che il bambino disegna le cose così come gli appaiono, in quanto sa tener conto delle
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prospettive e delle distanze, coordinando tra loro i rapporti spaziali topologici,
euclidei e proiettivi.
1.1.3 Critiche all’approccio stadiale
L’ipotesi avanzata dai teorici della stadialità ha raccolto molti consensi ed ha
guidato la ricerca nel tentativo di cogliere i tempi e le modalità di passaggio tra il
realismo intellettuale e il realismo visivo (Litt, 1977; Di Leo, 1979; Flavell, Flavell e
Green, 1983). Nonostante ciò, in tempi più recenti si sono concretizzate vivaci
opposizioni all’interpretazione del grafismo infantile centrata sui concetti di stadio e
di modello interno. Benchè risulti condivisa l’opinione che l’evoluzione proceda per
fasi distinte e successive, sembra oramai superata l’ipotesi che queste fasi
costituiscano veri e propri stadi di sviluppo.
Arnheim (1974) si è occupato principalmente del modo in cui l’arte stabilisce
un rapporto tra ciò che si vede effettivamente ed il pensiero attivo: quello che i
bambini disegnano non è una riproduzione, ma un equivalente dell’originale.
Secondo Arnheim la posizione stadiale non coglie sufficientemente l’importanza
dell’informazione percettiva rispetto a quella concettuale ed è per questo che critica la
consistenza strutturale interna del concetto di stadio e l’ordine invariante. In questa
visione la rappresentazione grafica viene vista come una corrispondenza diretta tra
l’oggetto rappresentato e l’oggetto reale, senza passare attraverso il modello interno.
Inoltre i bambini, nel corso del loro sviluppo, seguono le proprie inclinazioni senza
rispettare una prefissata sequenza di stadi.
Secondo Lurçat (1971) la posizione stadiale non coglie sufficientemente
l’importanza della coordinazione oculo-manuale nello sviluppo del grafismo. Questa
autrice ha evidenziato come lo sviluppo della funzione grafica sia fortemente
condizionato dal progredire del controllo della motricità, preludio per lo sviluppo
della coordinazione oculo-manuale. Il raggiungimento di un adeguato
comportamento grafico, quindi, dipende dal progressivo controllo della motilità che è
legato ad una maturazione biologica.
Gardner (1980), pure, critica la posizione stadiale in quanto, quest’ultima, non
rende sufficientemente conto dei collegamenti tra le variazioni del grafismo e altri
aspetti della crescita mentale, sociale ed emotiva. Egli inserisce l’evoluzione della
capacità grafica nello sviluppo generale del bambino, da ciò ne deriva che
interpretare il disegno infantile come una sequenza di stadi risulta statico e sterile.
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Secondo Barrett (1983) il problema principale nelle ipotesi stadiali risiede nel
non considerare che i disegni dei bambini dipendono dal tipo di compito richiesto,
dal contesto in cui il disegno viene eseguito e dalle effettive capacità del bambino.
Anche se Barrett non rifiuta del tutto il concetto di sviluppo per stadi, ne evidenzia la
mancanza di un’accurata metodologia sperimentale tale per cui sia possibile
controllare i fattori che influiscono sui processi di esecuzione dei disegni durante il
naturale corso dello sviluppo.
1.1.4 Recenti acquisizioni sullo sviluppo del disegno infantile
Nel momento in cui ci si è accorti di come determinati fattori influiscano sui
processi di esecuzione dei disegni durante le produzioni grafiche spontanee, ci si è
trovati nella necessità di creare una più accurata metodologia sperimentale (Barrett,
1983). E’ per questo che il nuovo approccio emergente ha portato con sè dei
cambiamenti teorici e metodologici. Questi cambiamenti introducono: l’utilizzazione
di procedure sperimentali rigorose, l’attenzione maggiore al processo esecutivo
piuttosto che al prodotto finale di un disegno, l’attenzione alle consegne date al
soggetto, lo studio di fenomeni particolari che si verificano durante la
rappresentazione pittorica (come occlusione, forma canonica, relazioni di profondità,
orientamento e sensibilità al contesto) e l’interpretazione dell’utilizzo di determinate
strategie rappresentative che hanno un particolare scopo comunicativo. Le più
recenti linee di ricerca anche se tendono a superare la soluzione stadiale, non riescono
tuttavia a formulare una teoria olistica dello sviluppo del disegno infantile. Ciascun
autore si focalizza su un problema specifico che si può verificare in una delle varie
fasi attraversate dal bambino nella realizzazione di un disegno, partendo dalle
istruzioni verbali del compito, fino ad arrivare al prodotto finale, la rappresentazione
pittorica.
L’attività pittorica coinvolge diversi processi che interagiscono tra di loro, una
coordinazione senso-motoria, la percezione di un modello esterno quando questo sia
presente, oppure la consultazione di uno schema interno presente in memoria
quando non è presente un modello esterno, la produzione di forme grafiche, la
comprensione del disegno in qualità di espressione comunicativa. La separazione di
questi diversi processi che accadono in brevissimo tempo rappresenta una sfida per
gli psicologi.
Tutte queste problematiche possono essere inquadrate nell’ambito di diversi
approcci teorici che verranno di seguito accennati.