Introduzione
Nella moderna economia della cultura e della conoscenza, i musei non vengono intesi più solo
come puri e semplici strumenti di diffusione culturale; sono in primo luogo spazi da consumare,
capaci di attrarre turisti e visitatori e, in secondo luogo, possono trasformarsi in strumenti della
rinascita urbana ed economica per intere città dal passato industriale. Ma c’è qualcosa di più: i
musei nascono anche per dare sostanza e promuovere i valori delle elites di un paese, nel senso
che il museo viene edificato come focus fisico attorno al quale costruire un consensus culturale il
cui contenuto è deciso dalle stesse elites. D’altro lato, l’equazione e la relazione tra nazione e
musei è così stretta che oggi l’assenza per una nazione di un proprio museo appare un grave
deficit dato che i turisti - nazionali o stranieri che siano - che visitano la capitale di uno Stato
sono sempre più alla ricerca di elementi originali, particolari ed esperienziali che possono
concentrarsi proprio nei musei.
Il 13 Dicembre 1991 il Governo Basco annunciò ufficialmente la firma dell’accordo, raggiunto
dopo mesi di negoziazione, con la Guggenheim Foundation di New York per costruire un Museo
Guggenheim a Bilbao. Il Museo sarebbe stato progettato da un architetto di fama internazionale
come Frank Gehry e sarebbe sorto nella ex zona industriale del waterfront, in pieno centro
cittadino. Per i leader del Governo Basco, questo mega-progetto era un grande investimento per
il futuro del Paìs Vasco, a partire da tre argomenti: 1) avere un accordo con la Fondazione
significava accedere (in termini di qualità e quantità) alle collezioni private dell’arte del
ventunesimo secolo; 2) le industrie pesanti (legate alla siderurgia, alla cantieristica navale ed
alla lavorazione del ferro) che avevano guidato la prosperità economica di Bilbao e di gran parte
dell’area circostante fin dalla metà degli anni Settanta, stavano vivendo un declino che appariva
senza fine: i livelli di disoccupazione continuavano a crescere drammaticamente, mentre era
sempre presente la minaccia dell’ETA. In questo contesto di declino industriale e violenza
terrorista, il Governo Basco vide il Museo come la componente principale della strategia per
rilanciare l’immagine della città e dell’intero Paese Basco: sarebbe stata la trasformazione
emblematica di Bilbao che avrebbe dimostrato come la città non fosse chiusa in sé stessa, ma
pronta ad aprirsi alle correnti internazionali, essendo il Museo parte integrante di un asse
transatlantico legato a Venezia e New York; 3) il Governo aveva pianificato di rivitalizzare
Bilbao in toto, commissionando la costruzione di una serie di edifici emblematici: un business
center, un palazzo dei congressi e della musica, un nuovo sistema di trasporti, ecc. D’altra parte
tutte queste nuove costruzioni sarebbero state progettate da architetti di fama internazionale: Sir
Norman Foster, James Stirling, Santiago Calatrava, Cesar Pelli, ecc. L’obiettivo della strategia
era quello di far diventare Bilbao un centro europeo per le industrie dei servizi, le moderne
tecnologie ed il turismo. Per cambiare radicalmente quell’immagine di città che non aveva niente
da offrire, Bilbao iniziò un processo di ristrutturazione economica e culturale, puntando
soprattutto sull’architettura come catalizzatore del rinnovo urbano, ovvero sull’idea che un
museo, la sua particolare e scintillante forma estetica, le sue collezioni, ecc., potessero essere lo
strumento adatto per rivitalizzare l’ambiente urbano ed il sostrato economico della città. Il
successo del Museo, la trasformazione di Bilbao in un’attrattiva destinazione turistica e la
ristrutturazione economica ed urbana della città sono tutti elementi che dimostrano l’utilizzo
dell’architettura, dell’arte e della cultura nel restaurare l’immagine negativa di uno scenario
urbano: la creazione di Frank Gehry non può essere vista solo come un museo, ma va giudicata
come uno strumento di marketing usato per rilanciare l’immagine di Bilbao, rendendola
attrattiva agli occhi dei turisti, più vivibile per gli abitanti e dando a quest’ultimi un nuovo
progetto nel quale identificarsi (anche se non mancano le discussioni sulla contraddizione tra la
presenza di un museo americano in una regione con una forte identità nazionale come quella
basca). L’esempio di Bilbao è forse quello che ci mostra più chiaramente le trasformazioni e i
cambiamenti dell’economia capitalista a partire dagli anni Settanta: una forte presenza
industriale, motore della crescita economica per gran parte del Novecento (soprattutto l’industria
pesante del ferro e dell’acciaio), entra in crisi, portando con sé declino economico,
disoccupazione, degrado fisico ed ambientale, nuovi problemi sociali, ecc., segno che ormai quel
modello fordista, legato alla catena di montaggio e alla standardizzazione, è andato
definitivamente in crisi. Il modello economico predominante stava diventando quello post-
fordista basato sulla diversificazione della produzione, sull’industria leggera e soprattutto su
nuovi settori produttivi quali i servizi, il turismo, le tecnologie, l’informatica (il terziario
avanzato), in cui la cultura in generale (arte, architettura, musei, film, design, software), gioca un
ruolo fondamentale non solo nelle questioni strettamente economiche, ma anche in quelle
urbane, sociali e politiche: fenomeni visibilissimi nelle città post-fordiste americane ed europee.
La questione relativa alla crescita dell’economia e delle industrie culturali è piuttosto dibattuta
tra gli studiosi, specie riguardo al problema di come opera quest’economia culturale: uno dei
tratti distintivi dell’economia culturale è quello di operare in maniera diseguale, creando
un’asimmetria spaziale tra le organizzazioni-chiave e localizzare i clusters solo in certe aree del
mondo. Da questo punto di vista, le industrie culturali hanno delle caratteristiche ben precise:
una struttura industriale paragonabile ad un ecosistema, una rete di connessioni facilitate da
lavoratori freelance e dal continuo flusso d’informazioni, un mercato piuttosto grande sul quale
lanciare i propri prodotti, un continuo ricambio d’innovazione, capace di garantire all’industria
una competitività internazionale, necessaria all’interno dell’economia globalizzata. A tal
proposito, in quest’economia della cultura e della conoscenza, due elementi basici sembrano
essere la creatività e l’innovazione, intese la prima, come la generazione di nuove idee ed
artefatti e, la seconda, come il processo attraverso il quale queste idee ed artefatti guidano le
nuove pratiche cognitive e comportamentali, anche se entrambe vengono usate sempre di più in
relazione al city-planning ed al rinnovo fisico ed economico delle città. A ciò è fortemente legato
il tema della globalizzazione: la relazione tra arte contemporanea, cultura ed
internazionalizzazione sembra essere così stretta da far apparire sulla scena internazionale attori
culturali ed artistici che prima o non esistevano o erano limitati ad un contesto locale. Questa
rivoluzione sembra proseguire verso due strade: da un lato, si sta sviluppando una scena artistica
internazionale, come risultato della crescita globale del network dell’arte, degli eventi e della
sfera pubblica e con nuovi attori provenienti da tutto il mondo; dall’altro lato, siccome la
maggior parte delle attività è locale (nel senso che sono il frutto delle reazioni personali e
soggettive dell’artista rispetto al contesto in cui si trova), il milieu viene ad essere parte
essenziale della questione. Nonostante il fatto che la creatività sia uno degli ingredienti essenziali
della crescita e della produttività economica, sembra essere anche un paradigma di esclusività,
ben visibile soprattutto nelle divisioni spaziali all’interno delle città: i concetti di classe creativa,
entertainment machine, capitale culturale, ecc., sono intrisi essi stessi dell’idea di escludere una
buona fetta di popolazione dai processi produttivi principali, relegando questa fascia di cittadini
(o pseudo-cittadini), non solo ai lavori più degradanti e meno qualificati, ma anche agli spazi
urbani più periferici e lontani dal vero centro economico, finanziario e culturale. Tutto ciò
implica anche l’idea di una intersezione crescente tra globalizzazione e diaspore: città globali
come New York, Londra, Tokyo, Los Angeles, ecc., non solo attirano milioni di immigrati (siano
essi “classe creativa”o lavoratori scarsamente qualificati), ma funzionano sempre di più come
entità a sé stanti in grado di superare i confini dello stato-nazione e di intessere una rete di
connessioni e di legami all’esterno che le rendono totalmente indipendenti o quasi. In tal senso,
fin dagli anni Settanta del Novecento, il sistema capitalista ha subito delle trasformazioni radicali
dovute a periodi di crisi, innovazione tecnologica (specie proveniente dall’Estremo Oriente),
nuovi mercati internazionali, ecc. Il classico sistema basato sulla forte industrializzazione, su uno
stato sociale Keynesiano, su una visione strettamente fordista e su una forte divisione del lavoro
tra i “colletti bianchi” e le “tute blu” era definitivamente entrato in crisi per lasciare il posto ad
un sistema molto più fluido, basato su nuovi settori chiave: tecnologia avanzata, affari e finanza,
media, film, musica e altri prodotti culturali, produzioni legate alla moda, al design,
all’artigianato e all’abbigliamento. Nasce la nuova economia c.d. “della cultura e della
conoscenza”. Tutto ciò ha una fortissima ripercussione sulle città che iniziano una lenta
trasformazione, tesa a stravolgere inevitabilmente il milieu urbano. La città diventa “fabbrica del
divertimento” (Lloyd e Clark 2001) oppure “città creativa” (Florida 2002) o ancora “città della
cultura e della conoscenza” (Scott 2008), cioè spazi sempre più indipendenti rispetto al contesto
nazionale e in grado di valorizzare i nuovi settori del capitalismo della cultura e della
conoscenza. E’ così che inizia la riqualificazione di intere aree industriali ormai depresse e
cadute in miseria, anche attraverso il fenomeno della gentrification, un termine che indica il
processo di reinvenzione dello spazio urbano da parte delle nuove classi cognitivo-culturali
(artisti e bohémien su tutti). L’importanza dell’arte, della cultura e dell’architettura nel
trasformare il tessuto urbano, sociale ed economico di una città post-fordista è testimoniata dal
caso eccezionale di Bilbao. E’ vero che tante altre città hanno sperimentato un simile processo di
trasformazione e di rinnovo (specie se si pensa alle città nordamericane ed europee), ma Bilbao
resta un caso unico ed irripetibile che ha dato vita in letteratura alle espressioni Bilbao effect o
Guggenheim effect.
Il Pais Vasco è un’area di antica tradizione industriale a causa della massiccia presenza di
minerali ferrosi e carbone che favorirono la nascita di numerose industrie siderurgiche. Anche
questo settore, però, va in crisi a partire dagli anni Settanta costringendo tutta l’area ad un lungo
periodo di stagnazione e povertà. Solo nel 1997 viene inaugurato il Museo Guggenheim, nel
contesto di un progetto di rivitalizzazione della città di Bilbao e della provincia di Biscaglia,
intrapreso dall'amministrazione pubblica basca. Sin dalla sua apertura, il Museo si è trasformato
in un'importantissima attrazione turistica, richiamando numerosi visitatori da ogni parte del
mondo, diventando così il nuovo simbolo della città di Bilbao, ma soprattutto dando vita ad
un’intensa opera di riqualificazione di ampi spazi della città e rilanciando la sua immagine: da
cupa e grigia città industriale a capitale culturale europea.
Obiettivo principale del lavoro che segue, sarà quello di approfondire le questioni delle
trasformazioni economiche e urbane proprie del caso di Bilbao, a partire dalle teorie degli
studiosi della “scuola di Los Angeles”, in particolare A. J. Scott e E.W. Soja sulla trasformazione
urbana delle città in epoca postfordista e cercare di capire in che modo la presenza del
Guggenheim sia stata fondamentale per il cambiamento urbano e per la rinascita della città.
Naturalmente si cercheranno di evidenziare non solo gli aspetti positivi di questa trasformazione
(nuova linfa economica, rinnovo urbano, crescita culturale, ecc.), ma anche le conseguenze
negative che un processo di gentrification di tale portata ha riservato per intere fasce di
popolazione. Inoltre, tutto ciò va inserito in contesto storico di medio-lunga durata, attraverso il
quale sarà analizzata, per esempio, la questione del forte indipendentismo basco e
dell’organizzazione terroristica dell’ ETA; va, inoltre, capito se c’è un legame tra la rinascita
culturale ed economica di Bilbao e la momentanea sconfitta dell’organizzazione terroristica da
parte delle forze dell’ordine e dell’amministrazione pubblica. Il lavoro cercherà di integrare la
ricerca di testi, articoli e saggi specifici con l’osservazione diretta della trasformazione urbana
della città. Infatti, il programma di mobilità Erasmus Studio darà la possibilità a chi scrive, di
studiare i fenomeni di trasformazione urbana e sociale in loco, di raccogliere un numero
sufficiente di informazioni in grado di fornire un quadro più completo su Bilbao. In particolare si
è scelto di intervistare quei personaggi che possono essere considerati i veri protagonisti della
trasformazione della città: istituzioni politiche, associazioni culturali, rappresentanti dei musei
locali, partnership pubblico-private, ecc., che direttamente o indirettamente sono stati gli attori
principali di questa vera “rivoluzione”. Le preziose parole degli intervistati verranno
accompagnate da immagini e foto scattate sui luoghi di cui si parla nel testo. Obiettivo ultimo del
lavoro, oltre ad analizzare gli aspetti culturali, sociali (gentrification), ed economici legati alla
presenza del Guggenheim a Bilbao, sarà quello di capire e dedurre, soprattutto attraverso le
interviste, se esiste una correlazione tra la presenza del Museo, l’internazionalità della città, il
successo turistico, ecc., e la momentanea tregua militare dichiarata dall’ETA nel gennaio del
2011 e, più in generale, se c’è un legame tra la trasformazione di Bilbao ed una certa
pacificazione politica presente in tutto il Paìs Vasco. D’altro lato, il lavoro di ricerca si è
concentrato sull’analisi di articoli di riviste specifiche: in particolare molto utile si è rivelato il
portale http://www.scholars-on-bilbao.info, che conserva numerosi articoli accademici che
analizzano vari aspetti della rigenerazione urbana di Bilbao (piani strategici, infrastrutture,
turismo culturale, gentrification, industrie creative, Museo Guggenheim, ecc.). In tal senso una
fonte fondamentale sono stati gli articoli di Beatriz Plaza (The Return of Investment of the
Guggenheim Museum Bilbao, International Journal of Urban and Regional Research, 2006; e
The Guggenheim-Bilbao Museum Effect: a Reply, International Journal of Urban and Regional
Research (23), 1999). Naturalmente la ricerca di testi è proseguita nelle differenti biblioteche cui
si è avuto accesso: la Biblioteca di Scienze Sociali dell’Università degli Studi di Napoli
“L’Orientale”, la Biblioteca Conde Duque di Madrid e la Biblioteca della Facultad de Filosofia e
della Facultad de Derecho dell’Università Autònoma di Madrid. Altrettanto utile si è rivelata la
lettura e l’analisi di alcuni testi presenti in queste ultime biblioteche, specie di autori e studiosi
accreditati come Joseba Zulaika (Cronica de una seducciòn : el Museo Guggenheim Bilbao,
Nerea, 1997 e Guggenheim Bilbao Museoa. Museums, Architecture, And City Renewal, Center
for Basque Studies, University of Nevada, Reno, 2003) e Judith Moreno Zumalde (Bilbao:
declive industrial, rigeneraciòn urbana y reactivaciòn economica de un espacio metropolitano,
Instituto Vasco de Administraciòn Pùblica, 2005). Infine, di particolare aiuto sono stati i
documenti inviati dall’Ayuntamiento de Bilbao (Oficina de Turismo) su dati, statistiche e risultati
dei sondaggi svolti negli anni precedenti in città; si vuole sottolineare, in conclusione, la grande
disponibilità di tutti i rappresentanti di enti, associazioni ed istituzioni che hanno gentilmente
accettato di farsi intervistare (si vuole ringraziare specificamente, su tutti, il Vicedirettore del
Museo delle Belle Arti di Bilbao, Josè Julian Bakedano ed il tecnico del Plan de Revitalizaciòn
della Società Bilbao Metropoli-30, Ana Sancho). Il lavoro verrà articolato nel seguente modo:
dopo una breve introduzione sul passaggio dal Fordismo al Post-fordismo, ci concentreremo
direttamente sulla situazione geopolitica e geoeconomica di Bilbao e del Paìs Vasco, puntando in
particolare sul passato storico della città e sulla sua transizione post-fordista. Successivamente,
nel secondo capitolo, si descriveranno nel dettaglio le caratteristiche della città post-fordista e del
turismo culturale, introducendo così i paragrafi relativi al Guggenheim Museum, agli attori, ai
costi e ai piani strategici e al Guggenheim Effect e al Return on Investment. Infine nel terzo
capitolo si “entrerà direttamente in città”, essendo il capitolo relativo all’indagine di terreno.
Dapprima si affronterà la questione della posizione di Bilbao nel quadro internazionale,
comparando la città basca ad altre metropoli su scala europea, nazionale e regionale.
Successivamente si passerà ad esaminare la trasformazione nella città, specie nel quartiere
“simbolo” di Abandoibarra e introducendo il tema della gentrification, della nuova “città
creativa” e dei problemi sociali ancora identificati nel quartiere di Bilbao La Vieja. L’ultimo
paragrafo sarà dedicato alle interviste raccolte in loco: verrà spiegata nel dettaglio la
metodologia, gli aspetti qualitativi, i riscontri pratici e si cercherà di arrivare a conclusioni e
deduzioni sugli aspetti che più interessano da vicino il lavoro, a partire proprio dalle parole degli
intervistati e dalla loro contestualizzazione.