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Introduzione
L’uomo, dall’inizio della storia, ha sfruttato le risorse naturali per vivere. Da
sempre ha costruito case ed industrie e consumato le fonti alimentari, minerarie,
idriche ed energetiche disponibili sulla Terra. La situazione molto spesso è sfuggita
al controllo e l’equilibro fra ambiente, salute e lavoro è venuto meno a causa della
logica del profitto che ha fatto dimenticare agli uomini che è loro compito far
coesistere i tre elementi in modo tale che le attività lavorative non finiscano con il
distruggere il pianeta e di conseguenza la salute della popolazione.
La Costituzione italiana tra i suoi principi menziona questo equilibrio
nell’articolo 41 che recita: “L'iniziativa economica non può svolgersi in contrasto
con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità
umana”.
Il 26 luglio 2012 una tra le più grande acciaierie d’Europa, l’Ilva di Taranto, è
stata messa sotto accusa per il suo forte impatto ambientale. Il giudice per le indagini
preliminari di Taranto, Patrizia Todisco, ha firmato l’ordinanza con la quale ha
stabilito il sequestro senza facoltà d’uso dell’intera area a caldo dello stabilimento
siderurgico, e messo agli arresti il patron Emilio Riva, il figlio Nicola e sei dirigenti
delle aree con le accuse di disastro ambientale colposo e doloso, avvelenamento di
sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro,
danneggiamento aggravato dei beni pubblici, getto e sversamento di sostanze
pericolose e inquinamento atmosferico.
Il caso ha destato grosse polemiche. Il 27 luglio 2012 la notizia è apparsa
sulle maggiori testate giornalistiche, le quali hanno dedicato molto spazio alla
vicenda trattandola attraverso diverse prospettive, chi facendo emergere l’importanza
del diritto al lavoro, chi salvaguardando la salute o la tutela ambientale. In questa
sede sono stati presi in considerazione il Corriere della sera, l’Avvenire, Libero, il
Fatto quotidiano e la Repubblica, quotidiani che riflettono un ampio schieramento
politico da destra a sinistra.
L’Ilva di Taranto è causa di forte inquinamento e impatto sull’ecosistema, un
caso simile a molti altri nella storia contemporanea che ha visto contrapporre il
lavoro, la salute e la tutela dell’ambiente. Un caso che invita a riflettere e rimarca
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l’importanza del concetto di limite
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che porta a contenere la nostra azione distruttiva
sul nostro pianeta e a risvegliare un senso di appartenenza verso quest’ultimo.
Occorre imparare ad utilizzare in modo corretto le risorse naturali perché è solo
grazie all’impegno personale che si possono combattere ed evitare le minacce alla
salute e all’ambiente, garantendo un equilibrio con le esigenze lavorative. È
necessario sviluppare e diffondere un’educazione ambientale in grado di
responsabilizzare la popolazione (sia le giovani generazioni sia gli adulti) al rispetto
delle normative; fondamentale è il ruolo che ogni semplice cittadino può esercitare
denunciando, anche alle autorità, i casi di inquinamento e di inadempienza. I mezzi
di comunicazione di massa, come scritto anche sulla Dichiarazione di Stoccolma,
devono diffondere le informazioni educative sulla necessità di proteggere e
migliorare l’ambiente. Per questo motivo, sono stati analizzati i giornali citati in
precedenza per capire come si sono comportati durante i mesi cruciali in cui si è
svolta la vicenda Ilva, come hanno informato i tarantini e la popolazione italiana, e
soprattutto che tipo di soluzioni hanno offerto.
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Salomone Mario, Mondo intorno, mondo dentro. Un percorso nella complessità ambientale,
Bergamo, Celsb, 2004, pp 68.
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1. Contesto storico/economico
1.1. Storia dell’acciaieria “Ilva” di Taranto
Nel 1905 viene costituita a Genova la società anonima ILVA (antico nome
latino dell’isola d’Elba, dalla quale veniva estratto il minerale di ferro utilizzato per
alimentare i primi altiforni italiani), per la realizzazione dello stabilimento a “ciclo
integrale” di Bagnoli (Napoli), entrato in funzione tra il 1909 e il 1911.
Grazie ad una serie di accordi fra banche e imprese, dal 1911 si arriva alla
creazione di un consorzio di cui ILVA ne assume la guida per 12 anni, e grazie a
particolari convenzioni vi confluiscono le società Alti Forni, Fonderie e Acciaierie di
Piombino, Elba di Miniere e Altiforni, Siderurgica di Savona e altre minori
concentrando così tutta la produzione nazionale di ghisa da altoforno e quella di
acciaio.
Nasce nel 1918 Ilva Alti Forni e Acciaierie d’Italia con l’incorporazione di
tutte le società del Consorzio ILVA portando così il complesso a racchiudere le unità
produttive di Piombino, Bagnoli, Bolzaneto, Torre Annunziata, San Giovanni
Valdarno, Savona, Sestri Ponente, Pra, Portoferraio. L’idea che ne nacque fu quella
di una grande impresa polisettoriale, ma il crollo dei valori azionari e il calo della
domanda a seguito della crisi economica del 1920 arrestarono tale progetto. Con la
crisi mondiale degli anni ’30 l’azienda si concentrò sulla riorganizzazione degli
impianti e nel 1931 la sede ILVA venne trasferita da Roma a Genova.
Nel 1933 Ilva Alti Forni e Acciaierie d’Italia, Terni Società per l’Industria e
l’Elettricità, Stabilimenti di Dalmine, SIAC (Società Italiana Acciaierie Cornigliano -
costituita nel ’34 per raggruppare le attività siderurgiche dell’Ansaldo) passano sotto
il controllo del neo-costituito Istituto per la Ricostruzione Industriale – IRI e tra il
1934-43 IRI-Finsider (Finanziaria dell’IRI per il settore siderurgico) avvia un
imponente programma di riorganizzazione e razionalizzazione della propria struttura
impiantistica. A Cornigliano (Genova) viene avviata la costruzione di uno
stabilimento per la produzione di semilavorati da laminare in altri stabilimenti del
Gruppo e di terzi.
I disastri della seconda guerra mondiale si abbattono sugli stabilimenti e sugli
operai del gruppo ILVA e i maggiori danni vengono riportati nei siti di Bagnoli e
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Piombini dove si erano concentrati gli impegni per il progresso e le asportazioni
impiantistiche segnano la sospensione quasi totale delle attività di Dalmine e Terni.
Al finire del conflitto si da inizio alla ricostruzione degli stabilimenti
danneggiati con nuovi assetti ai siti di Campi e Cornigliano, quest’ultimo con il
progetto che ne prevede la destinazione alla produzione a ciclo integrale di laminati
piani sottili per l’emergente industria di massa dell’auto e degli elettrodomestici.
Tra il 1952 e il 1958 attraverso il piano di Sinigaglia, ILVA fa entrare in
esercizio il centro siderurgico integrale di Genova grazie alla Cornigliano S.p.A.,
termina la ristrutturazione dei siti di Bagnoli e Piombino e assegna una nuova
struttura al sito di Campi, basata su lamiere grosse, alberi a manovella per grandi
motori, rotori monoblocco, alberi per turbine e cilindri per laminatoi.
Il 9 luglio 1960 ILVA dà il via alla costruzione del quarto centro siderurgico
a ciclo integrale a Taranto e nel settembre dello stesso anno a quella del complesso di
laminazione a freddo di Novi Ligure.
All’inizio degli anni Sessanta ILVA incorpora la ex SIAC-Cornigliano e
cambia la sua denominazione in Italsider Alti Forni e Acciaierie Riunite Ilva e
Cornigliano per poi diventare semplicemente Italsider.
Tra il giugno 1964 e l’inizio del 1965, gli impianti di Taranto entrano in
funzione e consentono al centro siderurgico una produttività annua di tre milioni di
tonnellate di acciaio liquido, trasformate poi in larghi nastri laminati a caldo, lamiere
e tubi di medio e grande diametro a saldatura longitudinale ed elicoidale.
Successivamente nel 1968 con una prima fase, e nel 1975 con la seconda, il CIPE
approva l’aumento degli impianti portando la capacità produttiva a 10,5 milioni di
tonnellate di acciaio.
Nel 1983 viene approvato dalla Commissione Europea un piano di
dismissioni e 10 anni dopo l’IRI approva un piano di ristrutturazione e
privatizzazione dell’intero comparto siderurgico, che avrebbe portato alla definitiva
uscita dell’IRI da quest’ultimo.
Nel frattempo, già sul finire degli anni ottanta, si era avviata una graduale
privatizzazione delle imprese del settore siderurgico. Nel 1988 una prima
privatizzazione, seppure parziale, riguardò l’area fusoria dello stabilimento di
Cornigliano che passò, con la denominazione di Acciaierie di Cornigliano, sotto il
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controllo di maggioranza del gruppo RIVA, attivo nell’elettrosiderurgia e per la
prima volta impegnato a gestire un ciclo integrale.
La denominazione ILVA viene ripristinata nell’ambito di una società di
riaggregazione della produzione siderurgica statale che nel 1989 assume il ruolo di
società caposettore operativa. L’obiettivo cui ILVA mirava era quello di far affluire
attività verso segmenti più redditizi come laminati piani, piani speciali, laminati
lunghi e speciali tubi saldati e senza saldatura.
Una nuova fase di depressione dei mercati si aprì all’inizio degli anni
Novanta portando a forti ribassi dei prezzi, uniti all’aumento dei costi dei fattori
produttivi e alle difficoltà legate all’avvio dei nuovi impianti. Il deteriorarsi della
situazione finanziaria portò nel 1992 alla cessione delle Acciaierie di Piombino al
gruppo Lucchini e nel 1993 alla scissione dell’ILVA in due società messe in vendita:
Ilva Laminati Piani (ILP) e Acciai Speciali Terni (AST). Nell’aprile del 1995 le
manovre di cessione per ILP si completarono con la sua acquisizione da parte del
Gruppo Riva concludendo così anche la fase siderurgica italiana che aveva visto lo
Stato con l’IRI salvare, a partire dal 1933, la sezione impiantistica più importante
della siderurgia nazionale e poi svilupparla, nel secondo dopoguerra, secondo le linee
del “Piano Sinigaglia” che aveva posto le premesse per inserire l’imponente
segmento fondato sui quattro centri costieri di Cornigliano, Piombino, Bagnoli e
Taranto a ciclo integrale, ricostruiti, ammodernati o insediati ex novo e diventati fra i
più moderni in esercizio nelle siderurgie europee e mondiali.
Nel 1997, al compimento di cento anni dalla fondazione, il gruppo RIVA
restituiva al principale attore della siderurgia italiana l’antica e storica
denominazione di ILVA.
1.2. Il ciclo siderurgico integrale
Il ciclo integrale è la configurazione classica degli stabilimenti il cui scopo è
la trasformazione del minerale di ferro in ghisa. Tali impianti si caratterizzano per il
fatto che concentrano le loro attività produttive siderurgiche in pochi stabilimenti di
grandi dimensioni, in cui il minerale viene preparato, ridotto e convertito in acciaio.
Solitamente sono in genere ubicati in zone costiere, vicine a zone portuali, per
facilitare l’importazione e il trasporto del minerale.