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Introduzione
Con questo studio ci proponiamo il compito di arrivare a comprendere il
significato della parola Manager e della corrispondente Management.
Esamineremo quindi la loro etimologia ed il loro significato.
Affronteremo una breve trattazione sulle differenze tra la figura del Manager
puro, cioè colui che viene inquadrato all'interno della compagine aziendale
semplicemente come un dipendente e la figura del Manager-Proprietario, cioè
colui che esercita l'attività manageriale in quanto proprietario dell'azienda, anche
solo perché ereditata, a volte senza neppure rendersi conto di svolgere un
compito di enorme portata proprio perché fondamentalmente digiuno di quella
"cultura manageriale" acquisibile sui banchi di scuola e dotto, invece,
semplicemente di quella imparata sul campo per affiancamento, generalmente,
alla figura paterna. Considereremo anche le difficoltà di inserimento di queste
figura esterne nell'ambito di aziende a livello familiare che nella maggior parte
dei casi vedono con enorme diffidenza l'arrivo di una persona estranea alla
compagine aziendale, anche all'or quando si rendano conto che è la figura
necessaria a garantire prima di tutto la sopravvivenza e forse anche l'espansione
su di un mercato in continua evoluzione.
Passeremo poi ad analizzare l'evoluzione storica della concezione manageriale,
facendo un significativo sunto di alcune delle più importanti teorie in merito,
osservando come la personalità manageriale si è evoluta nel tempo. Inizialmente
era fortemente impositiva, il manager dava ordini incontrastabili ed indiscutibili,
ma la divulgazione della cultura e l'aumento degli studi in merito hanno portato
all'affermarsi di una personalità molto più collaborativa; studieremo, quindi, le
conseguenze verificatesi sia nel miglioramento delle performance dei
collaboratori, sia nell'andamento aziendale nella sua completezza.
Non mancheremo poi di occuparci del problema culturale Italiano che con la sua
mentalità fortemente maschilista e tradizionalista sta impedendo l'affermarsi sia
di figure manageriali femminili (di cui sono note, ad esempio, la precisione e la
diplomazia) e sia di figure manageriali giovanili (di cui sono note, ad esempio,
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l'energia, la mentalità fortemente tecnologica e la voglia di far carriera);
elementi, invece, giudicati dagli studiosi come un'ottima soluzione per tutelarsi
di fronte alla forte evoluzione, soprattutto in campo tecnologico, presente in tutti
i mercati mondiali.
Entreremo poi nel merito di cosa effettivamente comporti l'essere manager; quali
siano i suoi compiti, i suoi obiettivi e come essi debbano essere svolti al meglio.
Solo a livello espositivo suddivideremo il lavoro manageriale in attività,
funzioni, ruoli ed abilità, consci però del fatto che questi verranno svolti tutti
contemporaneamente e solo in alcuni casi, in funzione delle diverse necessità,
sarà evidente lo svolgimento preponderante di una di esse rispetto ad un'altra.
Termineremo poi, avvalendoci dell’annuale ricerca ASFOR (Associazione
Italiana per la formazione manageriale) sulla domanda di formazione
manageriale relativa all'anno 2014 pubblicata nel Febbraio 2015. con l'analizzare
i metodi formativi, più utilizzati dalle aziende per migliorare le performance del
personale interno o neo assunto. Non tralasceremo però di analizzare quelli
forniti dalle Business School, ed in particolare ci soffermeremo sugli Mba
(Master in business administration), alle quali possono rivolgersi direttamente i
neo-laureati con la speranza di garantirsi una immediata assunzione a livelli di
top-management in aziende di grande rilevanza, spesso anche a livello
internazionale, presenti sul mercato.
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CAPITOLO I
MANAGER E MANAGEMENT
1.01. Definizione di management e manager
Nel campo economico-aziendale si può definire il management come
quell'attività volta ad "operare con le risorse umane" (le persone), "finanziarie"
(il denaro) "e fisiche" (impianti, attrezzature e materiali) "per raggiungere gli
obiettivi dell'organizzazione svolgendo funzioni di pianificazione,
organizzazione, guida e controllo"
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Dopo aver letto varie opere ed essersi imbattuti in diverse definizioni esposte da
studiosi molto qualificati, abbiamo deciso di adottare quella sopra citata, per la
sua linearità e sinteticità espositiva.
Management pianifica, organizza, guida e controlla,
le risorse umane, finanziarie e fisiche,
per raggiungere gli obiettivi aziendali.
Il termine management, ormai molto diffuso anche in italiano, deriva dal verbo
inglese to manage che letteralmente significa "gestire, coordinare", e in Italiano
viene tradotto con la dicitura direzione aziendale.
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Probabilmente però il termine inglese a sua volta prende spunto da quello latino
manus agere che significa: "facilitare, organizzare, realizzare con le proprie
mani, creare collegamenti concreti tra persone e situazioni, tra problemi e
soluzioni".
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La figura professionale che ha la responsabilità della realizzazione di questo
processo è conseguentemente definita con il termine inglese manager o
indistintamente con quello italiano di dirigente.
Questa figura da molti studiosi
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viene idoneamente parificata al Direttore
d''Orchestra, che pur non essendo in grado di suonare tutti gli strumenti ne
conosce le potenzialità. Il risultato dell'esecuzione dipende sicuramente dalla
1 Megginson, Mosley,Pietri. - Management concetti e applicazioni. Milano. Franco Angeli , 2002 Pag.48
2 Dizionario di Inglese/italiano Editore Garzanti Linguistica.
3 Dizionario Italiano/latino Badellino Calonghi Edizione Le Monnier
4 Demattè Claudio – Imprenditori e manager: si nasce o si diventa. Milano Etas 2007, pag. 59
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bravura dei musicisti, ma ancor di più dalla capacità di colui che li indirizza, li
catalizza e li coordina verso un progetto collettivo
1.02 Il manager e la dimensione aziendale.
Il manager può essere presente sia nelle aziende della pubblica amministrazione
che in quelle private. In entrambe è inquadrato come un dipendente,
L'art. 2095 del nostro codice civile cita testualmente:
"I prestatori di lavoro subordinato si distinguono in dirigenti, quadri, impiegati e
operai. Le leggi speciali [ e le norme corporative ], in relazione a ciascun ramo
di produzione e alla particolare struttura dell'impresa, determinano i requisiti di
appartenenza alle indicate categorie".
Inserisce quindi il dirigente tra le categorie dei lavoratori subordinati, ma non
prevede nessun requisito per l'appartenenza a tale categoria, demandando
l'obbligo alla legge o alle norme corporative. Dato che le norme corporative
sono state abrogate, quali fonti di diritto, per effetto della soppressione
dell'ordinamento corporativo, disposto con R.D.L. 9 agosto 1943, n.721 e della
soppressione delle organizzazioni sindacali Fasciste, disposta con D.Lgs. 23
novembre 1944, n. 369 e che nessuna legge si è occupata di stabilire tali
requisiti, essi possono essere individuati solo nelle contrattazioni collettive.
Quando si analizza questa figura nell'ambito privato occorre però attentamente
osservare la dimensione dell'azienda nella quale il soggetto-manager opera,
perché al variare di essa potremmo arrivare ad inglobare il termine di manager in
quello di imprenditore, facendo quindi venir meno il suo inquadramento da
dipendente a favore di quello di proprietario.
Nel particolare è facile osservare che maggiore è la dimensione aziendale
maggiori e più complessi sono i compiti da eseguire e i collegamenti da
coordinare: ne scaturisce la necessità di suddividere tali compiti tra più manager
e si rende sempre più netta ed evidente la scissione tra la proprietà ed i dipendenti
(anche se di livello elevato come quello manageriale). Questa figura e la
professionalità ad essa legate diventano dunque sempre più necessarie
all'espandersi della dimensione aziendale a differenza di quanto avviene nella
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piccola impresa dove quasi sempre la figura del dirigente è un tutt'uno
indistinguibile con quella dell'Imprenditore-proprietario.
A voler essere molto pignoli dovremmo precisare che il vocabolo "imprenditore"
è comunemente associato a quello di "proprietario dell'azienda", ma nella realtà
le due figure possono anche non coincidere
L'art 2082 del codice civile afferma infatti: " E' imprenditore chi esercita
professionalmente un'attività economica organizzativa al fine della produzione e
dello scambio di beni e servizi ".
Le caratteristiche sufficienti a qualificare questo soggetto dovrebbero essere:
- l'esercizio professionale (cioè sistematico) di un'attività di tipo economico,
- e la capacità organizzativa, che presupponga l'impiego coordinato di mezzi e
persone,
non impone quindi l'obbligatorietà dell'apporto di capitale di rischio, quindi ne
possiamo dedurre che non ne presupponga la proprietà.
Non essendo però questo particolare problema inerente alla nostra trattazione
eviteremo di addentrarci ulteriormente in una definizione di tipo normativo per
soffermarci solo su quella generalmente accolta nel mondo economico che vede
la figura imprenditoriale accentrare in sé tutte le tre più importanti funzioni:
- la proprietà
- l'imprenditorialità (intesa come capacità strategico-innovativa, cioè l'abilità nel
comprendere le esigenze del mercato, nel creare nuovi prodotti, nell'inserire ed
utilizzare nuove tecnologie o nel formulare e modificare ulteriori strategie, il
tutto per meglio soddisfare i bisogni del consumatore che sono sempre in
continua espansione)
- la capacità di gestire l'ordinarietà delle operazioni (questa è ovviamente quella
parte di funzione manageriale svolta dall'imprenditore).
Di questo terzo punto, in particolare, è necessario chiarire alcuni aspetti.
E' importante infatti domandarci su quali basi l'imprenditore (qui inteso nella sua
qualità di apportatore di capitali di rischio) presuma di possedere anche le doti
manageriali.
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Ogni qualvolta che un soggetto decide di intraprendere un'attività economica che
per sua stessa natura può causare rischi a lui stesso o a terzi, deve ottenere
l'abilitazione a tale esercizio. Questa abilitazione, che generalmente si ottiene
dietro sostenimento di un esame, garantisce che il soggetto abbia seguito un
qualche genere di attività formativa teorica quasi sempre affiancata da quella
pratica (stage, tirocinio ecc) e che l'abbia ben appresa.
Esistono scuole che insegnano i mestieri più disparati, dai meno impegnativi
tecnicamente, come il parrucchiere, passando per altri un po’ più complessi come
l'elettricista fino ad arrivare a quelli tecnicamente molto elevati come il pilota
d'aerei.
Per l'attività di dirigente questo non accade ed è necessario sottolineare, ancora
una volta, che troppo spesso, soprattutto quando la dimensione aziendale è
piccola, si dà per scontato che l'imprenditore abbia anche tutte le necessarie
qualità dirigenziali e che le possieda per il semplice fatto di essere il proprietario
della stessa. Demattè infatti sostiene "che non si possa liquidare la questione
dell'Imprenditorialità presumendola già abbondante e già incorporata nei
soggetti che possono esercitarla per diritto di proprietà".
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Proprietà che tra
l'altro, osserva ancora lo stesso Demattè, alcune volte può essergli derivata per
semplice eredità.
Generalmente si ritiene, infatti, che coloro che posseggano, come frutto del loro
lavoro o perché ereditati, i capitali sufficienti alla creazione di un'impresa,
abbiano anche i requisiti, innati, o al massimo appresi sul campo affiancando il
lavoro genitoriale, per poterla gestire. Sulla base di questi assunti si arriva a
ritenere che dirigere non sia una qualità acquisibile bensì un'attitudine innata e
tutt'al più migliorabile grazie all'esperienza sul campo, un'esperienza magari che i
figli molto spesso tendono ad acquisire non per loro volontà, ma per
imposizione familiare, forzati fin da piccoli alla frequentazione solo di
quell'ambiente lavorativo.
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Demattè Claudio – Imprenditori e manager: si nasce o si diventa – Milano – Etas 2007, pag. 25