CAPITOLO I
Quadro demografico e socio-economico della zona colpita prima
del disastro
Il disastro di Seveso ebbe inizio il 10 luglio 1976 con la fuoriuscita di una nube tossica
dall'impianto chimico ICMESA (Industrie Chimiche Meda Società Azionaria) di Meda, circa
20 km a nord di Milano, nella bassa Brianza. I comuni maggiormente colpiti dalla nube
tossica e dalla conseguente deposizione del suo contenuto sul suolo furono quelli di
Seveso, Meda, Cesano Maderno, Desio, e in misura minore Bovisio, Barlassina e Nova
Milanese. I quattro comuni più colpiti erano abitati all'epoca del disastro da un totale di
101.250 abitanti, così ripartiti: 16.706 abitanti a Seveso, 18.919 a Meda, 33.225 a Cesano
Maderno e 32.400 a Desio; da questi dati emerge chiaramente come la situazione fosse
particolarmente critica vista la densità di popolazione della zona colpita.
Si prenda ora in esame il contesto dei quattro comuni maggiormente colpiti dal disastro. Il
tessuto produttivo locale era caratterizzato fondamentalmente da piccola impresa e
artigianato, in primis quello del mobile, che nella zona aveva una importante tradizione;
nel territorio insistevano anche alcuni stabilimenti produttivi di medie e grosse dimensioni,
quale l'ICMESA a Meda, la SNIA Viscosa e l'ACNA (Azienda Coloranti Nazionali e Affini) a
Cesano Maderno e la Autobianchi a Desio, che nel complesso occupavano circa 9.000
persone. Una parte della forza lavoro veniva attratta comunque da Milano e i suoi
sobborghi.
In questa parte della Brianza si succedettero due distinte fasi di immigrazione: la prima
portò, a cominciare dal periodo tra le due guerre, e poi ancora negli anni '50, un afflusso di
persone proveniente principalmente dal Veneto, attratte soprattutto dalla nascita dei
grossi complessi della SNIA e dell'ANCA nel primo dopoguerra; la seconda, dei primi anni
'60, proveniente dal sud (prevalentemente dalla Calabria) e dalle isole. Gli immigrati della
prima ondata (veneti e in misura minore lombardi), per via della contiguità culturale e dei
costumi, ebbero maggiore facilità nell'integrazione rispetto agli immigrati provenienti dal
sud Italia. Una prova di ciò è data dalle abitazioni: gli immigrati del nord vivevano spesso
in case unifamiliari o plurifamiliari con tanto di giardino e orto, mentre i meridionali
vivevano in larga parte in condomini popolari.
Il territorio era all'epoca dei fatti fortemente tradizionalista ed ampia era la presenza
cattolica. Ciò si rifletteva anche sul piano politico: la zona infatti era considerata una
“roccaforte bianca”. Questi aspetti culturali ebbero importanti risvolti nei mesi successivi al
disastro, quando la possibilità dell'aborto terapeutico concessa alle donne incinte esposte
alle sostanze tossiche sollevò aspre polemiche.
1
CAPITOLO II
L'impianto ICMESA di Meda
II.1 - Storia
La storia dell'impianto ICMESA di Meda ha inizio il 29 novembre 1945, quando la società
ICMESA, allora acronimo di “Industrie Chimiche Meridionali Società Azionaria”, con sede a
Milano, avanzò al Corpo del Genio Civile di Milano una richiesta di autorizzazione alla
costruzione di un impianto per la produzione di prodotti farmaceutici in un terreno di sua
proprietà locato nel Comune di Meda.
La società ICMESA era già operante da parecchio tempo: nacque infatti nel 1924, quando la
società Industrie Chimiche K. Benger e C.S.A. (in precedenza Industrie Chimiche Meridionali
K. Benger e C.) cambiò la sua denominazione in quella di Industrie Chimiche Meridionali
S.A. (ICMESA). L'aggettivo “meridionali” nel nome della società era dovuto al fatto che essa
aveva sede nella città di Napoli, dove era ubicato anche un suo stabilimento, che venne
bombardato e distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale; in questo impianto si
producevano composti chimici di base ed intermedi per l'industria farmaceutica e per
quella dei coloranti.
Nel 1947 la società cambiò il suo nome in quello finale: Industrie Chimiche Meda Società
Azionaria, mantenendo lo stesso acronimo ICMESA, e nello stesso anno iniziò le attività
nello stabilimento di Meda. L'azionista di maggioranza dell'ICMESA rimase sempre, sin dal
trasferimento della società da Napoli a Milano, la Givaudan, azienda svizzera operante nel
campo dei profumi, la quale fu acquisita poi nel 1963 dal gigante farmaceutico Roche.
Il pacchetto azionario ICMESA al 31 luglio 1976, 3 settimane dopo l'incidente, era così
costituito: 462.170 azioni appartenenti alla Givaudan, 295.750 appartenenti alla Roche e
242.080 alla Dreirosen.
Alla data dell'incidente l'impianto occupava 160 dipendenti: 112 operai, 45 impiegati e 3
dirigenti.
2
Figura 1 - Vista dell'ingresso dello stabilimento ICMESA
II.2 - Produzione
All'ICMESA si producevano complessivamente 33 sostanze, alcune delle quali pericolose:
acetato di benzile, acetato di feniletile, acetato di mentanile, acetato di terpinile, acido
cloridrico, acido fenilacetico, alcol benzilico, alcol fenilpropilico, aldeide cinnamica,
antranilato di metile, aldeide benzoica, benzilidenacetone, benzoato di benzile, benzoato
di etile, benzoato di metile, cianuro di benzile, citronellolo, cloruro di benzile, etere
benzilico, fenilacetammide, fenilacetato di etile, fenilacetato di feniletile, fenilacetato di
isobutile, fenilacetato di metile, fenilacetato di potassio, 3-fenil-5-cloroantranile,
paraidrossibenzilidenacetone, nerolina, propionato di benzile, salicilato di amile, salicilato
di benzile, etere metilico del β-naftolo, e infine 2,4,5-triclorofenolo.
Quest'ultimo composto è quello di interesse per quanto concerne il disastro di Seveso,
poiché è proprio nel reparto B dell'ICMESA, nel quale si produceva il 2,4,5-triclorofenolo,
che scaturì l'incidente che diede origine alla nube tossica.
Il 2,4,5-triclorofenolo è un intermedio nella produzione di esaclorofene, un antibatterico
utilizzato in alcuni saponi, disinfettanti e dentifrici, nonché in quella dell'erbicida acido
2,4,5-triclorofenossiacetico.
II.3 - Ciclo produttivo del 2,4,5-triclorofenolo all'ICMESA
Il reparto di produzione del 2,4,5-triclorofenolo (2,4,5-TCP) venne costruito tra il 1970 e il
1971, con una capacità produttiva di circa 1 t/d. Durante il biennio '71-'72 ne vennero
prodotte circa 72 t, quindi si sospese temporaneamente la produzione fino al '75; tra il
'75-'76 ne vennero prodotte infine circa 235 t.
1
Nello stabilimento di Meda il 2,4,5-TCP veniva prodotto a partire dai seguenti componenti,
immessi in un reattore da 10m
3
nelle corrispondenti quantità:
• 1,2,4,5-tetraclorobenzene (1,2,4,5-TCB) ~2000 kg;
• NaOH ~1050 kg;
• glicole etilenico (1,2-etandiolo) ~3300 kg;
• xilene ~600 kg.
La produzione avveniva nelle fasi di seguito descritte.
1) In una prima fase si caricava il reattore e si avviava la reazione di idrolisi alcalina del
1,2,4,5-TCB a pressione atmosferica e temperatura compresa tra 140°C e 160°C, con
la presenza di glicole etilenico come solvente.
La reazione è di tipo esotermico e da questa si ottenevano: 2,4,5-triclorofenato di
sodio (2,4,5-Na TCP), cloruro di sodio e acqua.
Schematicamente:
1 Paolo Mocarelli – Seveso: a teaching story – Chemosphere 43 (2001) pagg. 391-402
3
Lo xilene era utilizzato allo scopo di formare una miscela azeotropica con l'acqua
prodotta; la miscela veniva distillata simultaneamente all'avanzare dell'idrolisi, in
modo da eliminare l'acqua presente nel reattore. Questo processo richiedeva
apporto di calore dall'esterno.
Dopo questa prima fase nel reattore erano presenti i seguenti prodotti:
• 2,4,5-Na TCP;
• glicole etilenico;
• glicole dietilenico (derivante dalla condensazione del glicole etilenico);
• NaCl;
• NaOH residuo;
• H
2
O.
2) L'idrolisi veniva seguita dalla distillazione sottovuoto, alla temperatura di 140°C
-170°C, della miscela dei composti sopra elencati, al fine di separare il glicole
etilenico e lo xilene residuo. Da notare che questa distillazione permetteva il
recupero di circa il 50% del totale del glicole etilenico inizialmente presente nel
reattore, poiché il rimanente condensava durante la fase di idrolisi in glicole
dietilenico, il quale non veniva separato tramite la distillazione.
3) La miscela nel reattore veniva quindi diluita con acqua e acidificata con acido
cloridrico fino a portarla a pH=3, in modo da permettere la formazione del 2,4,5-
TCP , il quale veniva poi recuperato per distillazione sottovuoto (alla pressione di 0,1
mmHg). Schematicamente:
Con le quantità di reagenti specificate in precedenza, questo processo portava ad ottenere
circa 1000 kg di 2,4,5-TCP puro al 97-98% per ogni ciclo di produzione.
La durata del ciclo di produzione era compresa tra 11 e 14 ore.
II.4 - Il reattore A101
All'ICMESA il 2,4,5-TCP veniva prodotto nel reattore A101, progettato dall'ingegner Fritz
Möri nel 1969
2
. Caratterizzato da un volume di 10 m
3
, era realizzato
in acciaio al cromo-
nichel-molibdeno e dotato di miscelatore. Poteva essere scaldato con vapore e refrigerato
con acqua, ed era dotato di un disco di rottura, progettato per resistere ad una differenza
di pressione tra l'interno e l'esterno del reattore fino a 3,8 bar.
2 Daniele Biacchessi – La fabbrica dei profumi pag. 47
4
II.5 - Criticità nella produzione del 2,4,5-triclorofenolo all'ICMESA
Il metodo di produzione del 2,4,5-TCP illustrato presenta una criticità: infatti la reazione
collaterale tra due anioni triclorofenossilici, che in piccole concentrazioni si possono
trovare fisiologicamente nei reattori che sfruttano la metodologia di produzione sopra
descritta, genera un sottoprodotto altamente tossico: la 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-
diossina (2,3,7,8-TCDD). Schematicamente:
Questa reazione è dal punto di vista cinetico una reazione di secondo ordine rispetto allo
ione triclorofenossilico, quindi la sua velocità è proporzionale al quadrato della
concentrazione di quest'ultimo; inoltre, l'aumentare della temperatura la fa accelerare a
discapito della reazione principale. È perciò ovvio che per contenere al minimo la
produzione di 2,3,7,8-TCDD è necessario tenere strettamente sotto controllo la
concentrazione di ione triclorofenossilico e la temperatura durante il processo produttivo.
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CAPITOLO III
Le policlorodibenzodiossine e la 2,3,7,8-TCDD
III.1 - Cenni sulle policlorodibenzodiossine
La 2,3,7,8-TCDD, spesso indicata poco propriamente come TCDD o diossina, ma anche
come diossina Seveso, è una molecola organica clorurata appartenente alla famiglia delle
policlorodibenzodiossine (PCDD), una famiglia di sostanze altamente tossiche. Dal punto
di vista chimico le PCDD sono tutte caratterizzate dalla presenza della seguente molecola:
la 1,4 diossina o p-diossina.
Da questa deriva l'unità molecolare fondamentale delle PCDD: la dibenzo-p-diossina,
costituita da una p-diossina legata a due anelli benzenici in questo modo:
Si nota subito che questa molecola è simmetrica sia rispetto ad un asse verticale che ad
uno orizzontale passanti per il centro. Recenti ricerche hanno mostrato che essa si genera
a temperature superiori ai 650°C e che la clorurazione avviene quando la temperatura è
compresa tra 650°C e 200°C.
Le PCDD, che sono state inserite dalle Nazioni Unite nella lista degli Inquinanti Organici
Persistenti (POP – Persistent Organic Pollutants) costituiscono una famiglia di
settantacinque molecole, differenti tra loro per numero degli atomi di cloro sostituiti a
quelli di idrogeno sugli anelli benzenici (variabile tra uno e otto), e per la loro posizione.
Tutte sono planari.
III.1.1 - Sistema di nomenclatura delle PCDD
Il nome dell'unità molecolare fondamentale delle PCDD è, come già spiegato, dibenzo-p-
diossina, perciò per spiegare la nomenclatura di questi composti rimane da chiarire solo il
sistema di numerazione degli atomi che li compongono: nella numerazione non si tiene
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