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INTRODUZIONE
L’energia è la capacità di svolgere lavoro; in un mondo sempre più industrializzato e
tecnologico le richieste di energia crescono sempre. Essa ha varie forme (elettrica,
termica, elastica, chimica, nucleare, radiativa, …) e può essere convertita da una forma
ad un'altra ma non in modo ugualmente semplice.
Fino ad oggi la produzione di carburante si basa essenzialmente sull’industria petrolifera
e dei combustibili fossili in generale (90% circa). Il petrolio (fonte esauribile e non
rinnovabile) aveva il pregio, fino a qualche tempo fa, di essere una risorsa abbondante;
il problema è che l’ “oro nero” è una risorsa che si forma con una velocità di gran lunga
più bassa di quella con cui viene consumata per produrre molte delle cose che ci
circondano e che utilizziamo tra cui plastiche, carburanti, lubrificanti, energia elettrica
e persino concimi chimici; come inesorabile conseguenza si ha che questa risorsa, prima
o poi (secondo un rapporto della British Petroleum, tra soli 53.3 anni), dovrà finire, e
ciò comporta il bisogno di trovare valide alternative, che possibilmente non siano
destinate, anche esse, ad esaurirsi nel tempo, cioè che siano inesauribili o che possano
rigenerarsi con una velocità uguale o maggiore a quella con cui si consumano (fonti
rinnovabili).
Da milioni di anni esistono organismi, detti autotrofi, che riescono a convertire i prodotti
ossidati (CO2 ed H2O) in zuccheri e composti oleosi utilizzando l’energia proveniente
dalla luce. Questi organismi sono molto diversificati ed hanno complessità differenti,
vanno dai batteri fino alle piante.
Le ricerche mirano allo sfruttamento efficace di questi organismi per produrre
combustibili sostenibili e rinnovabili; questi biocarburanti hanno una caratteristica
particolare: ci permettono di ottenere un ciclo chiuso del carbonio; in effetti per produrli
serve anidride carbonica, la stessa che poi sarà liberata all’atto della combustione per la
produzione di energia (cosa da non sottovalutare visto gli effetti climatici dovuti
all’effetto serra).
Non bisogna dimenticare che la produzione biologica ci permette di avere pochissimi se
non nulli prodotti di scarto; al contrario la filiera del petrolio non solo produce scarti (ad
esempio Pet coke, ricco in zolfo, utilizzato anche come combustibile), ma utilizza
composti altamente tossici e cancerogeni che provocano molto spesso, a causa del non
rispetto delle normative, morti tra i lavoratori e non solo.
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La CO2 non è un inquinante, in quanto non risulta essere tossico per alcuna forma di
vita; il suo effetto schermante per le radiazioni emesse dalla Terra provoca però un
“effetto serra” con conseguente surriscaldamento climatico; sebbene non abbia
intrinsecamente un alto potere schermante la sua quantità relativamente alta rispetto agli
altri gas schermanti, 350ppm ca., la rende una rilevante protagonista di tale effetto; in
effetti risultano maggiormente capaci di catturare le radiazioni terrestri le molecole
asimmetriche, la CO2 non lo è.
Per sopperire alle grandi necessità di energia che non smettono di crescere è possibile
sfruttare altre forme di energia rinnovabile e non esauribile, che prese singolarmente
non sembrano poter in alcun modo soddisfare i bisogni mondiali, ma se si sommano si
capisce che può funzionare, soprattutto se si investe nello sviluppo e nella ricerca per
l’ottimizzazione dei sistemi di produzione.
La produzione di biocarburanti da microalghe è una delle vie più promettenti per
ottenere energia “pulita”; purtroppo i costi di produzione sono ancora molto (troppo)
alti ma le innovazioni e ottimizzazioni sono continue e si spera che in un futuro si
possano completamente (o quasi) sostituire i carburanti da fonti fossili con i
biocarburanti. Con questa tesi si cerca di esporre in modo semplice solo alcune nozioni
e concetti fondamentali riguardanti, soprattutto, il biodiesel, le microalghe e la filiera di
produzione del biodiesel da microalghe.
In questa tesi ci si concentrerà maggiormente sull’analisi dei fattori che influenzano la
parte più limitante e costosa del processo: i processi di dewatering e l’estrazione degli
oli, approfondendo alcuni aspetti riguardanti le principali dipendenze della crescita delle
popolazioni di microalghe autotrofe e non solo, in quanto non si può prescindere da ciò
per ottenere una materia prima (biomassa) in quantità e di qualità.
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CAPITOLO 1
I biocarburanti
1.1 Concetti generali e principali vantaggi dei biocombustibili. [1]
In generale, i combustibili sono sostanze (soprattutto a base di idrogeno e carbonio) che
vengono bruciate in presenza di un comburente (ossigeno) per produrre energia. Questa
energia sviluppata dalla combustione potrà essere utilizzata così come è (energia
termica) o convertita in forme “più nobili” di energia quali quella meccanica ed elettrica.
Molti combustibili subiscono modifiche chimiche per aumentare la loro performance e
il loro rendimento all’atto della combustione, altri invece sono convertiti in materiali o
prodotti chimici non finalizzati alla combustione. I combustibili, in qualunque caso,
sono presenti in natura o ricavati da materiale in essa presente.
La differenza tra i vari combustibili sta:
- nella serie di stadi che lo portano dalla natura fino al suo utilizzo (in cui si deve tener
conto anche dei fattori ambientali);
- nella composizione chimica (in maggior quantità idrogeno e/o carbonio diversamente
legato);
- nella rinnovabilità della materia prima utilizzata per la produzione.
Tra i carburanti, i biocombustibili sono quelle sostanze (solide, liquide o gassose)
ricavate da prodotti degli organismi viventi: le biomasse.
Sebbene le biomasse possono essere di origine animale (tessuti adiposi), oggi
l’attenzione è posta su quelle vegetali anche perché se ne ha una disponibilità maggiore,
senza volerne fare poi un discorso etico ed animalista.
L’interesse nei biocombustibili è dovuto a due motivi fondamentali:
- in linea di principio sono una fonte rinnovabile;
- non hanno impatto sull’anidride carbonica atmosferica, sempre in linea di principio.
Si prenda come esempio la coltivazione di pannocchie utilizzate per la produzione
fermentativa del bioetanolo: il campo potrà essere, anno dopo anno, ricoltivato; inoltre
si può notare come queste piante crescano sottraendo CO2 all’atmosfera per produrre
sostanze a loro vitali, come gli zuccheri, che saranno poi alla base del processo
fermentativo.
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In natura nelle piante si svolgono complesse reazioni, alcune delle quali chiamate nel
loro complesso fotosintesi, che trasformano, grazie all’ausilio di energia solare, diossido
di carbonio ed acqua in sostanze organiche ed ossigeno biatomico. Semplificando molto
ciò che succede nella realtà e prendendo in considerazione un composto semplice come
il glucosio si può riassumere il concetto prima esposto in questo modo:
6CO2+6H2O+energia solare→C6H12O6+6O2 (fotosintesi).
L’utilizzo del combustibile porterà invece alla formazione di ossidi di carbonio (la
combustione è un processo ossidativo) e di acqua con sviluppo di calore in funzione
della maggiore stabilità o equivalentemente della minore energia dei prodotti;
ipotizzando combustione completa del carbonio si può scrivere:
C6H12O6+6O2→6CO2+6H2O+energia termica (combustione).
Si è voluto chiarire il termine energetico per evitare ambiguità, in quanto i processi reali
non hanno efficienza unitaria (2° principio della termodinamica) e per questo si deve
necessariamente dedurre che il calore rilasciato durante la combustione è minore
dell’energia fotonica assorbita dalle piante per produrre i combustibili ed inoltre la
diversità del tipo di energia ci fa capire che la fonte energetica che si sta sfruttando per
produrre il combustibile è rinnovabile ed ad alta disponibilità nei paesi più soleggiati.
Tanto per capirsi, non è un gatto che si morde la coda poiché il sole è gratuito, non
inquina, e non si esaurisce in tempi umani.
Facendo la somma dei due processi si ottiene:
6CO2+6H2O+energia solare→C6H12O6+6O2 +
C6H12O6+6O2→6CO2+6H2O+energia termica =
Calore non compensato
Il calore non compensato sta ad indicare l’irreversibilità del
processo.
Si può notare da questa analisi semplicistica che il carbonio subisce il cosiddetto ciclo
chiuso, cioè il diossido di carbonio rilasciato nell’atmosfera a causa della combustione
è, in linea teorica, completamente risequestrato dalla stessa per produrre nuovamente il
bio-carburante.
Questo non si può certo dire dei combustibili fossili che subiscono un ciclo
unidirezionale, dai giacimenti formati in milioni di anni alla combustione con cui si
immette nell’atmosfera anidride carbonica (e non solo).
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Potrebbero, comunque, esser sottolineati i problemi dovuti all’impoverimento del suolo
coltivato ed al suo utilizzo a scopo diverso da quello alimentare ed in effetti questo
problema troverà risposta in seguito con l’esposizione dell’argomento principale della
tesi: la produzione di biodiesel da microalghe.
1.2 Classificazione dei biocombustibili [2]
I biocombustibili sono molti, non è facile classificarli anche perché i criteri possono
essere diversi e ugualmente validi. Una classificazione molto usata si basa sul tipo di
materia prima utilizzata e sui metodi di produzione e relativo sviluppo; i biocarburanti
si distinguono in:
- biocarburanti di prima generazione, i più comuni combustibili prodotti da raccolti
alimentari e grassi animali (vi sono biodiesel, oli vegetali e biogas);
- biocarburanti di seconda generazione, ricavati da biomasse di scarto, i quali risultano
più sostenibili se confrontati ai primi (includono vari alcoli, biogas e diesel da scarti
vegetali);
- biocarburanti di terza generazione, di diversi tipi, ottenuti a partire dalle alghe e
microalghe (laddove la procedura di ottenimento è soggetta a ingegnerizzazione della
via metabolica si parlerà di quarta generazione).
Si noti come per produrre i primi è necessaria la coltivazione su grande scala di piante
non dedicate a scopo alimentare; laddove si operi con tecniche monocolturali, il rischio
è quello di ridurre la biodiversità ed aumentare l’erosione del suolo; una conseguenza
altrettanto negativa è l’innalzamento del prezzo delle stesse derrate agricole nei paesi
del terzo mondo che finirebbe per inasprire le condizioni di vita.
La seconda generazione sopperisce a questo vincolo, utilizzando prodotti di scarto
dell’industria alimentare e non solo. La terza alternativa offre rese molto maggiori delle
prime due ed inoltre necessita di spazi minori per la produzione.
1.3 Alcuni biocarburanti
1.3.1 Il bio-etanolo [2]
L’etanolo, un alcol a due atomi di carbonio, può essere prodotto a partire da melasse,
canne da zucchero, orzo, frumento, mais, lignocellulosa, rifiuti alimentari e biomasse
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amidacee. Esso è attualmente utilizzato come carburante, per aumentare il numero di
ottani delle benzine e l’efficienza termica dei motori ad accensione comandata.
La produzione dell’etanolo da biomasse si basa su differenti fasi:
1) la macinazione della materia prima;
2) la liquefazione degli amidi (lunghi polisaccaridi) con ausilio di enzimi idrolitici(α-
amilasi);
3) la conversione dei polisaccaridi in zuccheri semplici (soprattutto monosaccaridi)
attraverso gluco-amilasi;
4) la fermentazione degli zuccheri tramite lieviti a dare etanolo ed anidride carbonica
(comunemente si usano saccharomyces cerevisiae, i quali sono utilizzati anche per
la fermentazione di birra e vino);
5) il recupero dell’etanolo attraverso metodi di separazione e denaturazione (che lo
rende non edibile).
Nel caso il materiale di partenza fosse di natura cellulosica si dovrà procedere con
operazioni più complicate (e costose per gli enzimi coinvolti) di idrolisi della cellulosa.
Di seguito sono illustrate le reazioni fermentative di una cellula di lievito(fig.1).
Fig.1
Metabolic pathway of ethanol fermentation in S. cerevisiae. Abbreviations: HK: hexokinase, PGI: phosphoglucoisomerase,
PFK: phosphofructokinase, FBPA: fructose bisphosphate aldolase, TPI: triose phosphate isomerase, GAPDH: glyceraldehydes-
3-phosphate dehy- drogenase, PGK: phosphoglycerate kinase, PGM: phosphoglyceromutase, ENO: enolase, PYK: pyruvate
kinase, PDC: pyruvate decarboxylase, ADH: alcohol dehydrogenase.[5]