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INTRODUZIONE
“La Russia è uno degli attori statuali del sistema internazionale fra i più
camaleontici e magmatici, in grado di cambiamenti tanto repentini quanto violenti”
(Giusti, 2012, 5). Nello secolo scorso il paese ha manifestato tre diverse varianti
nella struttura di potere: l’Impero Russo (1721-1917), l’Unione Sovietica (1917-
1991) e infine l’attuale configurazione della Federazione Russa (1991-oggi) che
comprende uno stato ridotto di circa il 20% e una popolazione inferiore del 40%
rispetto all’URSS.
La Russia attuale è quindi ciò che resta dopo lo sgretolamento, a partire dal
1989, dell’Unione Sovietica e del relativo sistema di potere che aveva dominato
l’Europa orientale per quasi tutto il XX secolo. Il nuovo stato creatosi sulle ceneri
dell’URSS ha sì conservato il carattere peculiare della multinazionalità, con oltre un
20% della popolazione costituito da non russi, ma ha anche ereditato una particolare
instabilità interna, con forze centrifughe che si pongono come una minaccia costante
per l’ordine pubblico.
Il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, nel 2005 dichiarava
che “la caduta dell'Unione sovietica è stata la più grande catastrofe geopolitica del
XX secolo”. Analizzando oggi la sua affermazione si capisce come Putin abbia solo
espresso un sentimento diffuso tra i suoi compatrioti. Il repentino crollo del regime
nel 1991 è stato vissuto dalla popolazione come un momento estremamente
drammatico, tuttora ben impresso nell’immaginario collettivo. Il dissolvimento della
struttura di potere centrale, oltre ad aver prodotto un lungo periodo d’instabilità
all’interno dal paese, ha infatti generato una perdita di status a livello internazionale
con la conseguenza di instaurare una forte crisi d’identità nella popolazione. La
Russia del XXI secolo si presenta quindi come un paese molto diverso sia dalla
superpotenza sovietica, sia dal turbolento stato in evoluzione del decennio 1990.
Obiettivo di questa trattazione è pertanto quello di descrivere la Russia
contemporanea analizzandola attraverso la lente dei suoi rapporti con i propri partner
internazionali, riferendosi con essi sia al contesto strettamente interno e regionale,
nel quale il paese risulta ancora lo stato egemonico, sia a quello internazionale in
senso più ampio, dove la Russia ripropone con forza un’immagine di potenza
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globale. Filo conduttore di questa tesi sarà, Vladimir Putin, figura umana e politica in
grado di imprimere un profondo cambiamento allo stato dalla fine della presidenza
Eltsin fino ad oggi.
Per raggiungere quest’obiettivo il primo passo da compiere sarà quello di
tracciare un percorso che attraversa, a tappe, la storia recente, focalizzando
l’attenzione su alcuni avvenimenti di primaria importanza per il paese. Sarà pertanto
necessario fare un passo indietro fino al decennio ottanta del XX secolo, quando lo
stato oggetto della trattazione si chiamava ancora Unione Sovietica e rappresentava,
con gli Stati Uniti, uno delle due superpotenze dominanti il sistema internazionale.
La base di partenza simbolica sarà collocata nell’invasione sovietica
dell’Afghanistan, iniziata la vigilia di Natale del 1979. La scelta del periodo risulta
importante sia da un punto di vista geopolitico, sia storico. Dal punto di vista
geografico l’importanza è da ricercarsi nel fatto che, nel caso di uno stato esteso
come quello russo, la vastità territoriale di uno stato esteso porta necessariamente
quest’ultimo a relazionarsi contemporaneamente su diversi scenari regionali.
Dal punto di vista storico sarà sottolineata l’importanza del periodo in esame
situato oramai alla fine del dominio politico di Leonid Breznev e di poco precedente
alla nomina a segretario generale del PCUS di Michael Gorbachev, avvenuta l’11
marzo del 1985. La strada di rinnovamento intrapresa dal leader, rappresenta un
punto di rottura nella politica sovietica, sia dal punto di vista della gestione interna
del potere, sia per quanto riguarda le relazioni internazionali con gli altri paesi, ma
sarà anche la causa della progressiva perdita di potere da parte del governo centrale e
darà inizio al capitolo conclusivo dell’Unione Sovietica.
La seconda parte del capitolo si concentrerà maggiormente sulla persona di
Boris Eltsin, protagonista controverso dei primi turbolenti anni della Russia post-
sovietica. Primo leader democraticamente eletto in Russia e figura politica, per molti
aspetti, di maggior statura politica rispetto a Gorbachev (Lucas, 2009, 8), fu uno tra i
principali artefici dello smantellamento del potere comunista. A fini della trattazione
risulta particolarmente importante poiché rappresenta l’anello di congiunzione tra la
fine del totalitarismo sovietico e l’inizio del potere autocratico di Vladimir Putin.
Eltsin, trovato a confrontarsi con le enormi difficoltà dovute al passaggio da
un sistema economico centralizzato a uno di mercato, intraprese con fatica la strada
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verso la democrazia liberale, ma le privatizzazioni selvagge, di cui fu il maggior
fautore, favorirono la creazione di un sistema clientelare i cui effetti economico-
politici arrivano fino ad oggi. Allo stesso tempo si rivelò un leader dai connotati
dispotici e contrastò duramente i centri potere alternativi, come nel caso dell’assalto
al parlamento del 1993.
Nella terza e ultima parte del capitolo l’attenzione si sposterà sulla figura di
Vladimir Putin. Il nuovo leader della Russia sale al potere alla fine dei turbolenti anni
novanta del secolo scorso su nomina del presidente Eltsin, ereditando un paese in
preda alla crisi economica e alle mire separatiste dei territori caucasici. Vladimir
Putin, insieme a Yuri Andropov, segretario del PCUS tra il 1982 e il 1984, è l’unico
leader russo che presenti un background personale ascrivibile a un percorso nei
servizi segreti. Andropov è stato direttore del KGB dal 1967 al 1982, mentre Putin ha
diretto l’FSB, diretto successore del KGB, per un solo anno dal luglio 1998
all’agosto 1999.
Nella visione politica di Putin la disciplina ferrea rappresenta una delle chiavi
per la ripresa economica e come il suo predecessore sovietico da grande importanza
all’uso della polizia segreta per raccogliere informazioni ed intimidire, in maniera
più meno violenta, gli avversari. L’Occidente è rappresentato come un avversario
debole e ipocrita e ritiene di poter operare con successo contro di esso attraverso un
misto di minacce e pressioni (Lucas, 2009). Tuttavia, soprattutto in patria, è
giudicato un leader in grado di ridare lustro alla sbiadita immagine della Russia in
decadenza che ci appare dopo il golpe del 1991 e gode di un ampio sostegno
popolare.
L’analisi della figura di Putin, il suo background e la sua rapida ascesa al
potere consente di introdurci nella seconda parte della tesi con un bagaglio
sufficiente ad esporre obiettivamente i diversi aspetti caratteristici dell’odierno stato
russo. La divisione interna per singoli paragrafi è d’obbligo in quanto si
analizzeranno, sia aspetti della politica interna, sia l’influenza che questi esercitano
nella politica estera. I primi due paragrafi saranno quindi dedicati a due aspetti
fondamentali nella gestione del potere nella Russia di Putin, rispettivamente il
controllo delle risorse economiche e della popolazione attraverso i media, la giustizia
e i servizi segreti.
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Il primo paragrafo rappresenta un tentativo di delineare al lettore l’indirizzo
raggiunto dall’economia in Russia oggi, sia da un punto di vista strutturale, sia da un
punto di vista gestione del potere. In un’ottica puramente tecnica l’economia russa
basa ancora la propria forza sull’immensa ricchezza naturale del proprio territorio, di
cui gas e petrolio non rappresentano che i settori più noti. Questa base economica ha
generato una notevole crescita di ricchezza in termini di PIL nel periodo della
presidenza Putin, generando uno scenario in cui “i soldi la più grande forza della
Russia e la nostra più grande debolezza” (Lucas, 2009, 127).
Da punto di vista del potere invece, la gestione di queste risorse è frutto della
contesa tra il polo di Putin e la lunga schiera di affaristi e imprenditori nati, quasi dal
nulla, sotto la presidenza Eltsin, che hanno acquisito il loro potere nell’epoca delle
privatizzazioni del primo periodo post-sovietico.
Questa ambigua fusione di potere economico e potere politico si inserisce su
uno sfondo politico-sociale, oggetto del secondo paragrafo, che ci evidenzia, in
maniera inequivocabile, come la Russia si sia allontanata dalla strada della
democrazia liberale, intrapresa a partire dal 1991, e si sia avviata verso una profonda
involuzione autocratica. Il paese ci appare oggi come uno stato profondamente
illiberale, nel quale il governo, oltre ad essere il gestore delle risorse economiche del
paese, è anche un attento controllore nella vita dei propri cittadini. Si presterà
particolare attenzione alle analogie e/o differenze con l’epoca sovietica, in una sorta
di modello a spirale nel quale gli eventi si ripetono, ma ad un livello differente
rispetto al passato.
Non bisogna dimenticare che lo stato russo non ha mai affrontato, nel corso
della sua storia, un reale periodo di democrazia consolidata e che l’abbandono di un
sistema politico ha sempre prodotto, a sua volta, regimi generalmente illiberali. Si
tratta di “una forma ibrida di democrazia che fa coesistere elementi tipici dei sistemi
liberali occidentali e pratiche autoritarie, secondo un concetto definito come
overmanaged” (Giusti, 2012, 12).
Nella seconda parte del capitolo, ci addentreremo nel territorio delle relazioni
internazionali, soffermandoci sugli elementi critici che pongono la Russia a
confronto con i partner esteri. Anche qui la divisione in due paragrafi è necessaria in
virtù del fatto che la politica russa presenta due proiezioni. La prima in quella che
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essa considera il proprio “giardino di casa”, ossia gli ex paesi componenti l’Unione
Sovietica e i relativi “satelliti” dell’Europa orientale. La seconda si esprime invece
nel contesto internazionale in senso più ampio e ci permette di analizzare i rapporti
della Russia con le altre potenze globali, in particolare USA e UE, soffermandoci con
attenzione su alcuni nodi cruciali dell’attuale sistema internazionale, come il
terrorismo di matrice islamica e il trattato ABM.
Anche qui non mancherà la possibilità di sottolineare le analogie con la
Russia sovietica. Le tattiche usate nelle relazioni con gli altri stati non si presentano
più sotto forma di forza bruta o di minaccia nucleare e non esiste più un contesto
ideologico dietro il quale mascherare la propria politica imperialista. Ma anche se la
Russia di oggi ha adottato i segni esteriori del sistema occidentale, elezioni e
proprietà privata in primis, possiede molte altre tattiche per sovvertire il confronto
con l’Occidente a proprio favore.
Il quadro generale che emergerà dall’analisi svolta ci permetterà di affrontare
il capitolo finale con l’obiettivo di inserire quanto espresso precedentemente, in linea
generale, all’interno di alcuni casi di studio esemplificativi, in maniera tale da poter
dare diretta applicazione ai principi riscontrati.
Si partirà quindi dall’analisi di un’area particolarmente calda e contestata
quale quella caucasica, teatro di un infinito conflitto con i separatisti della repubblica
autonoma della Cecenia, conflitto che affonda le sue radici nei primi anni post
sovietici, e di una ripresa dell’imperialismo da guerra fredda, come dimostra la
brevissima guerra con la Georgia dell’agosto 2008.
Si tratta di un’analisi particolarmente cruciale in quanto le forze centrifughe
rappresentano un forte elemento d’instabilità interna e sono la causa, o il pretesto, di
interventi militari diretti nelle regione in esame. La crisi del teatro Dubrovka o
l’assalto alla scuola di Beslan hanno evidenziato, in maniera drammatica, le capacità
del separatismo ceceno di colpire con violenza tanto nel cuore dello stato quanto
nelle sue regioni estreme.
Il secondo caso di studio si concentrerà invece su un’area di diretta tensione
tra l’Unione Europea/NATO e la Russia, geograficamente compresa tra gli stati di
Bielorussia e Ucraina. Questi ultimi rappresentano due esempi opposti nelle relazioni
tra la Russia e gli ex paesi sovietici. La Bielorussia è, sulla carta, l’alleato più stretto
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del Cremlino (Lucas, 2009); l’Ucraina rappresenta uno dei maggiori rivali sin dalla
“rivoluzione arancione” del 2004. Il tutto inserito in un contesto economico basato
sulla sostanziale dipendenza dell’Europa dalle risorse russe (gas in primis) in grado
di evidenziare, ancora una volta, la debole politica comune dell’Unione nei momenti
di crisi.
Quest’ultimo paragrafo consentirà inoltre di effettuare anche un’analisi diretta
dei rapporti fra la Russia e gli USA, (ex) nemico e ultima superpotenza rimasta.
Nell’esposizione di un nodo cruciale del sistema internazionale verrà tracciata
un’importante linea di demarcazione tra la presidenza di George W. Bush e quella di
Barack Obama. Il tutto inserito in un contesto generale che vede lo spostamento
simbolico dell’asse economico mondiale verso i paesi in ascesa, il contrasto al
“Washington consensus” e l’erosione progressiva del potere americano nel mondo.
Alla luce del percorso svolto, nella conclusione finale, si cercherà di esporre
le possibili evoluzioni politiche della Russia, soprattutto nei suoi rapporti con
l’estero. L’obiettivo sarà quello di poter offrire le giuste ipotesi per definire il ruolo
del paese nel sistema internazionale, sistema che ci appare esso stesso in cerca di una
sua definizione.
La realtà della relazioni tra Russia ed Europa-Occidente ne sono un esempio
evidente e le iniziali aspettative sulla “fine della storia” hanno ricevuto con esse una
drammatica smentita.