numerosi studi nei vari campi di applicazione.(Vedi
bibliografia).
Il punto di partenza della teoria dello SHAKE-DOWN
Ł rappresentato dagli studi di Bleich e Melan (1932-
1938), che attraverso un approccio statico danno una
condizione necessaria e sufficiente sotto la quale le
dissipazioni plastiche di un corpo elastoplastico sono
finite, cosichØ le deformazioni plastiche sono limitate
in senso globale. Se per una struttura accade ci , si
dice che Ł in SHAKE-DOWN oinstabilizzazione
elastoplastica.
Complementari a questi sono gli studi di KOITER
(1960) che danno una condizione necessaria e
sufficiente affinchŁ avvenga lo SHAKE-DOWN, attraverso
un approccio di tipo cinematico.
Oggetto della presente tesi Ł la formulazione di
algoritmi e codici volti al calcolo del moltiplicatore
di SHAKE-DOWN e della corrispettiva distribuzione dei
momenti residui, utilizzando una "mesh" particolarmente
adatta per facilitare il calcolo automatico.
Lo studio sar rivolto a sistemi a telai piani,
soggetti prevalentemente a flessione.
A tale scopo si fa uso dei risultati del teorema
statico per lo SHAKE-DOWN (Bleich 1932 - Melan 1938).
Gli strumenti matematici indispensabili sono, oltre
agli ordinari elementi di algebra lineare volti
soprattutto all’analisi in campo elastico, gli
algoritmi della programmazione matematica e fra questi
quello noto come "algoritmo del simplesso", necessario
in programmazione lineare (PL).
2) ANALISI LIMITE - SHAKEDOWN
Il "limit design" o "analisi limite" consta di due
fasi distinte: la valutazione dei carichi di collasso,
aventi lo scopo di verificare lo stato limite ultimo
della struttura, e la eventuale determinazione
dell’entit delle deformazioni permanenti (ove la
struttura non sia pervenuta al collasso), onde poter
effettuare una verifica dello stato limite di
esercizio.
Lo studio dei carichi di collasso pu essere a
sua volta diviso in due classi tipiche, relative a due
diversi fenomeni di collasso, in funzione del modo in
cui si preveda possa variare la distribuzione dei
carichi che gravano sulla struttura.
Si premette un’apposizione sommaria di questi casi
volta ad inquadrare in un discorso unitario i fenomeni
del comportamento allo stato ultimo di una struttura.
Si consideri una struttura soggetta ad un sistema
di carichi di forma assegnata e di intensit crescente
in funzione di un unico parametro di carico monotono
linearmente crescente: si dice in questo caso che la
struttura Ł soggetta a carico proporzionale o
monotono. Si intende, con ci , che la variabilit dei
carichi nel tempo Ł limitata alla loro intensit che
pu crescere fino al suo valore ultimo. La variabilit
dei carichi pu essere posta in relazione con un
parametro K che al suo crescere ne amplifica il valore.
Il processo di carico viene pertanto ricondotto
all’amplificazione dello scalare K che moltiplica il
valore delle forze e delle azioni comunque gravanti
sulla struttura, K viene detto moltiplicatore dei
carichi.
Al crescere del moltiplicatore , il campo di
sollecitazioni presente, supponendo che si sia in fase
elastica, sar dipendente linearmente da K. Esistono
valori del parametro ai quali corrispondono
sollecitazioni inferiore al valore limite della
struttura, in ogni punto, eccetto che in uno in cui si
attinge la soglia plastica. Si pu individuare
nell’insieme di siffatti K, tale valore Ke chiamato
moltiplicatore di limite elastico. Esso rappresenta la
distanza lungo il percorso di carico tra il punto di
esercizio K=1 ed il punto in cui l’intensit dei
carichi Ł tale da fare attingere in almeno una sezione
il valore limite della sollecitazione.
Se si fa crescere il moltiplicatore dei carichi
oltre il limite K in almeno un punto della struttura si
avr come si Ł visto la fuoriuscita dal campo elastico;
ci comporta che, ivi, il materiale sar incapace di
sopportare ulteriori incrementi delle sollecitazioni, e
saranno consentite deformazioni libere nel verso
compatibile con l’incremento di tensioni che ha
prodotto la plasticizzazione. Nasce in definitiva in
questo punto un cosiddetto "snodo plastico" che pu
essere schematizzato come un vincolo monolatero che
impedisce le deformazioni plastiche dovute ad
incrementi di tensioni di segno opposto a quelli che
hanno portato alla plasticizzazione, ma consente le
deformazioni plastiche prodotte da variazioni di
tensione concordi con questi.
Se la struttura in esame Ł iperstatica cioŁ Ł
dotata di vincoli esterni in numero sovrabbondande
rispetto a quelli staticamente sufficienti a garantire
l’equilibrio, la nascita di uno snodo plastico
generalmente non produce la labilizzazione; a tal fine
Ł necessario che siano attivati piø snodi in numero o
posizioni tali da consentire un meccanismo. Il
moltiplicatore K sotto il quale ci si verifica viene
chiamato moltiplicatore di collasso per carichi
proporzionali.
Supponiamo ora che sulla struttura possano
avvicendarsi n condizioni di carico diverse; e
supponiamo inoltre che ciascuna di queste possa essere
amplificata mediante un comune moltiplicatore K.
Per ognuna di esse Ł possibile determinare il
moltiplicatore di limite elastico Keieil
moltiplicatore di collasso Sci nel senso definito in
precedenza.
Tra tutti gli Sci relativi alle varie condizioni
di carico Ł possibile estrarre il valore
Smin = mini { Sci } 1.1
tale valore rappresenta il minimo moltiplicatore
dei carichi cui compete la nascita di un meccanismo.
Tra tutti i Kei, nvece, si pu ricercare il Ke
minimo che rappresenta il piø piccolo valore dei
carichi per il quale si ha la nascita, in almeno un
punto della struttura, di uno snodo plastico.
Tutti i moltiplicatori compresi tra KeeSmin sono
relativi ad intensit dei carichi che, pur non
producendo il collasso, inducono plasticizzazione
diffuse nel corpo.
Il fatto che i carichi per valori di K compresi
nell’intervallo
] Ke , Smin [ 1.2
siano inferiori ai valori di collasso, non assicura
che la struttura rimanga efficiente, infatti possono
verificarsi fenomeni diversi.
Si esclude che per basso numero di cicli possa
esservi rottura per fatica.
Una prima evenienza Ł che, sotto i carichi
amplificati secondo un moltiplicatore K appartenente
all’intervallo (1,2), in alcuni punti si abbia la
nascita di deformazioni permanenti che, al susseguirsi
dei cicli di carico, cambiano di segno indefinitamente.
Ci conduce il materiale alla crisi.
Infatti, il lavoro dissipato negli snodi plastici
cresce nel tempo, ma, poichŁ esiste una soglia
superiore ammessa per la dissipazione, al suo
raggiungimento si ha la rottura per fatica plastica. E’
altres possibile che il segno degli incrementi delle
deformazioni plastiche sia costante nel tempo sicchŁ
queste sommandosi, producano spostamenti finiti,
crescenti nel senso di un cinematismo anche se
improprio.
Diverso Ł il caso dello Shake-Down. Le deformazioni
plastiche relative ai primi cicli di carico producono
stati di autotensioni a causa del fatto che al cessare
dei carichi queste deformazioni non sono congruenti, da
sole, con i vincoli.
Gli stati di tensioni cos prodotti possono avere
intensit e distribuzioni tali che per i successivi
avvicendamenti dei carichi si abbia una risposta
perfettamente elastica della struttura.
I fenomeni fin qui analizzati consentono di notare
che non si pu limitare l’analisi di una struttura al
solo campo elastico, poichŁ, questa generalmente non
consente di valutare le effettive riserve di sicurezza
relativa ad un sistema di carichi, conducendo spesso, a
dimensionamenti eccessivi. L’analisi in campo elastico
permette di conoscere esclusivamente il coefficiente di
sicurezza in campo elastico. Non Ł possibile per
misurare l’effettiva distanza tra l’evento di carico
per il quale si sta effettuando la verifica e quello
che produrrebbe il collasso.
Premettendo che la sicurezza al collasso, nel caso
di carichi variabili, non garantisce dalla
plasticizzazione alternata o dal collasso incrementale
ove non si controlli il moltiplicatore limite di Shake-
Down, Ł notevole considerare che per i carichi di
stabilizzazione, dopo un limitato numero di escursioni
in campo plastico, la struttura, nei confronti dei
carichi successivi, riprende en comportamento
completamente elastico pur conservando una
distribuzione di deformazioni permanenti e di tensioni
residue. Qualora le deformazioni e gli spostamenti ad
esse connesse siano compatibili con le finalit della
struttura e non ne compromettono la morfologia Ł
pensabile che essa sia ancora perfettamente in
sicurezza.
3) TEOREMA STATICO DELL'ADATTAMENTO PLASTICO
(Teorema di Bleich 1932 - Melan 1938)
Sia definibile sulla struttura un campo di tensioni
del tipo residue σ ; cioŁ un campo di tensioni
autoequilibrate (ovvero equilibrato con forze b, t
nulle) e indipendenti dal tempo e siano determinate
sotto i carichi esterni fissati le tensioni che
costituirebbero la risposta elastica della struttura
σ *.
1^Parte Condizione necessaria di stabilizzazione
elastoplasica
Se per il solido non esiste alcun campo di tensioni
residue, indipendenti dal tempo σ tali che il campo (
σ +σ *(t)) sia un campo ammissibile, lo shakedown non pu
avvenire.
Tale affermazione Ł del tutto ovvia in quanto
significa che nel solido non esiste alcuna
distribuzione di tensioni del tipo residuo σ capace di
riportare la somma (σ +σ *(t)) nei limiti
dell’ammissibilit ; evidentemente in ogni istante si
debbono verificare incrementi di deformazioni plastiche
e quindi il solido non pu stabilizzarsi
elastoplasticamente.
Sulla base della implicazione logica:
la non ✄ σ a Non avviene lo Shake-Down,
si deduce la seguente implicazione:
Avviene lo Shake-Down ✄✄ σ a
Pu allora affermarsi che:
Condizione necessaria per il verificarsi dello
Shake-Down Ł l’esistenza di un campo di tensioni del
tipo residue σ , autoequilibrate ed indipendenti dal
tempo tale che lo stato di tensione:
σ a(t)=σ +σ *(t)
sia del tipo ammissibile e soddisfi cioŁ la
condizione
f(σ a(t)) ≤ 0 ∀ x∈ V, ∀ t
Tale affermazione Ł una formulazione equivalente
alla 1^ parte del teorema di Bleich-Melan.