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DIRITTI TV: IL MONDO DEL CALCIO TRA BUSINESS E
ANTITRUST
PREMESSA
La crescente espansione dello sport ha evidenziato nel tempo, accanto alla sua
principale vocazione sociale e culturale, anche la natura di importante settore
economico i cui attori principali sono gli atleti, le società sportive e le
federazioni sportive nazionali e internazionali. Ciò vale, soprattutto, per lo
sport più praticato al mondo: il calcio. Il calcio professionistico, sia in Italia
che nel resto d'Europa, costituisce un business prezioso. Il fatturato del calcio
europeo è pari ormai a 10 miliardi di euro, un giro di affari superiore al Pil di
molti stati. Il fatto che il nostro paese sia una nazione “pallonata” che vive di
calcio dodici mesi l'anno non è una novità. Le grandi del calcio europeo
fatturano svariati milioni di euro attuando strategie societarie che vanno ben
oltre lo sport, riversando enormi sforzi finanziari in attività di marketing,
comunicazione e attività di promozione del marchio e brand extension. Questi
ingenti ricavi hanno consentito di incrementare il peso nel bilancio relativo ai
costi per l'ingaggio di calciatori, soprattutto quelli più affermati, ricoperti d'oro
dalle loro squadre. Tale spregiudicatezza ha condotto sovente i club italiani a
crisi finanziarie che nei casi estremi hanno portato al ridimensionamento o al
fallimento delle società stesse. L'attenzione agli aspetti di bilancio dei grandi
club è un campo che non va sottovalutato, soprattutto da quando gran parte di
essi sono quotati in borsa ed hanno dunque responsabilità verso gli azionisti.
Per tali ragioni è necessaria una rigida regolamentazione antitrust, al fine di
tutelare il mercato da eventuali fallimenti in grado di comportare inefficienze a
livello allocativo e di tutelare tutti coloro che hanno interessi verso il corretto
funzionamento di tale particolare mercato.
Analizzando in dettaglio la provenienza dei ricavi maggiori dei clubs è
interessante notare come la quota più rilevante, in Italia oltre il 50% del totale,
derivi dalla vendita dei diritti televisivi. Il resto arriva dagli introiti delle
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partite, dagli sponsor e da altre attività come il merchandising. Inoltre va
sottolineato che, mentre all'estero la crescita è sostenuta e costante, in Italia i
ricavi sono aumentati quasi esclusivamente grazie ai contratti delle pay-tv.
Viene spontaneo chiedersi quale evoluzione avrebbe avuto il calcio europeo
degli ultimi 20 anni senza la pay-tv. Probabilmente staremmo parlando pur
sempre di un business anche se di dimensioni ridotte. La commercializzazione
dei diritti televisivi tra le società calcistiche e le emittenti satellitari ha
storicamente comportato, in virtù delle differenti forze contrattuali delle varie
parti chiamate in causa, sperequazioni in termini di introiti, sia tra le varie
società calcistiche, sia per quanto riguarda il differente potere di mercato delle
varie compagnie televisive le quali lottano animatamente per conquistarsi i
diritti di trasmettere i più avvincenti avvenimenti calcistici, mirando a far
fruttare l'investimento con ricavi da pubblicità, sponsor e abbonamenti.
L'obiettivo di questa tesi consiste proprio nell' analizzare a fondo tutto ciò che
sta dietro la conclusione di contratti tra pay-tv o televisioni in chiaro e società
calcistiche via le federazioni organizzatrici dei principali avvenimenti
calcistici, sia dal lato imprenditoriale, sia dal lato delle necessità di una
regolamentazione volta alla tutela della concorrenza.
Il primo capitolo introdurrà le dinamiche concorrenziali del settore calcio, la
necessità di ricercare un equilibrio competitivo tra le società operanti e,
quindi, il modo in cui si applica il diritto antitrust in questo particolare settore.
Poi l'attenzione si sposterà su un'analisi economico-finanziaria del settore del
calcio professionistico in Italia, specificando le varie fonti di ricavi e le varie
spese delle società calcistiche, con particolare attenzione all'evoluzione storica
ed economica della vendita dei diritti tv come aspetto rilevante degli introiti
provenienti dal calcio per i vari club.
L'indagine si approfondirà in merito alle modalità dell'intervento antitrust sul
mercato dei diritti televisivi, sia dal lato della garanzia delle dinamiche
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competitive tra le società di calcio, sia per evitare abusi di posizione
dominante nel settore radiotelevisivo.
Tornando in una dimensione più puramente di business, il quarto capitolo
presenterà una riflessione sull'incidenza dei diritti televisivi sulla relazione
che lega nel mondo del calcio le performances sportive con quelle
economiche, con particolare riferimento alla situazione attuale di scarsa
competitività internazionale delle società calcistiche italiane, in considerazione
dell' eccessiva dipendenza dagli introiti dei diritti tv che rappresenta una delle
maggiori cause di tale crisi.
La tesi si concluderà con una valutazione di merito, analizzando possibili
scenari evolutivi riguardanti il mercato dei diritti televisivi e, soprattutto,
eventuali interventi per migliorare la concorrenza nel settore del calcio
professionistico in Italia, e al contempo rilanciarne la competitività.
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CAPITOLO I
IL SETTORE CALCIO TRA LE DINAMICHE CONCORRENZIALI E
IL DIRITTO ANTITRUST
1.1 IL CALCIO COME MODELLO IMPERFETTO DI CONCORRENZA
Il settore del calcio professionistico, dal punto di vista concorrenziale, presenta
peculiarità che lo distinguono nettamente dagli altri mercati. Ogni società di
calcio esprime le proprie potenzialità attraverso la competizione sportiva
nell’ambito dei campionati. Necessita, pertanto, della presenza di concorrenti.
Quindi, diversamente dagli altri mercati, se da un lato ha interesse a prevalere
sulle altre (dal punto di vista della competizione sportiva) dall’altro è
impossibile che metta in essere comportamenti escludenti al fine di ridurre il
numero delle imprese presenti nel mercato, ciò sia in quanto il numero delle
squadre presenti nel campionato è fisso, sia in quanto ogni società necessita
della presenza delle altre. Anzi, i profitti di una società di calcio dipendono
strettamente dalla “qualità” dei suoi concorrenti. Infatti, soltanto se vi è
equilibrio tecnico tra le squadre che prendono parte ad un campionato vi può
essere incertezza in merito al risultato, la quale comporta a sua volta che i
fruitori dell’evento sportivo avranno certamente maggiore interesse ad
acquistare il bene, rappresentato proprio dall’evento. In tal senso si è espresso
Simon Rottenberg (1956) in "The economics of professional sport leagues"
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affermando che sports-fan interest is greatest when sporting competition is at
its most intense. Quanto poi agli obiettivi delle società sportive
professionistiche, la massimizzazione dei profitti non costituirebbe l’obiettivo
primario di tali società, rilevando piuttosto la massimizzazione dell'utilità
tramite elementi quali l’immagine, il prestigio e l’entusiasmo sportivo degli
imprenditori che decidono di investire nelle società sportive, il cui unico
strumento è il successo nelle competizioni sportive, sul quale vi è una
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Cfr. Simon Rottenberg (1956) in “The economics of professional sport leagues”
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convergenza di interessi da parte dei proprietari delle società, degli
amministratori nonché dei consumatori.
Una caratteristica importante delle competizioni sportive è la loro natura di
monopoli naturali per quanto concerne la "produzione del bene". L’argomento
alla base di tale approccio è quello secondo cui ogni contesto sportivo si
propone come fine ultimo l’individuazione di un unico vincitore, in quanto
non avrebbe alcun significato l’esistenza di due vincitori per la medesima
competizione sportiva. La conseguenza di tale constatazione è la necessità che
ad organizzare e "offrire" questo particolare prodotto (ossia la competizione
sportiva al fine di individuare l’unico vincitore) non può essere che una
singola "impresa", la quale si qualifica pertanto come monopolista naturale,
giacchè, qualora vi fossero due "imprese"-leghe che competano
nell’organizzazione, in parallelo, di due campionati di calcio della medesima
serie, oltre alle inefficienze legate ai notevoli costi organizzativi (ad esempio,
nell’ipotesi della società che decidesse di prendere parte ad entrambi i
campionati e alle connesse difficoltà di definizione dei calendari) il problema
principale che deriverebbe sarebbe quello dell’individuazione, a fine stagione,
di due vincitori. E tale monopolista naturale è generalmente una singola
federazione sportiva per ciascun paese, come ribadisce la Commissione UE
nel Rapporto di Helsinki sullo Sport
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. Di conseguenza la concorrenza nel
calcio professionistico deve essere sviluppata solo a livello di rapporti tra le
diverse società di calcio piuttosto che tra differenti Leghe Calcio. Tale
competizione deve svilupparsi in un contesto in cui è necessario che sia
garantito un equilibrio competitivo tra le stesse società. Un momento di
competizione importante tra le società di calcio è, ad esempio, l’acquisto dei
calciatori sul mercato in occasione delle campagne acquisti, dal momento che i
risultati economici di una società di calcio sono strettamente correlati ai
risultati sportivi, il raggiungimento dei quali è a sua volta strettamente
dipendente dalle maggiori o minori capacità dei calciatori ingaggiati.
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Cfr. Rapporto di Helsinki sullo sport – Commissione UE 1995
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Ovviamente la competizione sportiva è un elemento importante ai fini della
stabilizzazione dei ricavi (basti pensare all'influenza economica dell'accedere
o meno ad una competizione internazionale o alla retrocessione ad una serie
inferiore). Nell'ottica della concorrenza e della competizione quasi tutte le
società calcistiche devono affrontare il problema dei rapporti di forza tra i
diversi competitor, atteso che, come detto, la domanda dei consumatori (tifosi
e emittenti televisive) è strettamente correlata al livello di equilibrio
competitivo tra le diverse squadre in gioco. A tal fine, varie sono state le
soluzioni adottate. Una prima soluzione è nota come salary cap la quale
prevede l’individuazione di un tetto massimo ai salari dei giocatori le cui
modalità di implementazione possono poi variare a seconda del contesto, pur
essendovi in ogni caso l’obiettivo condiviso di contenere le spese per stipendi.
Tale meccanismo riduce la possibilità che siano le sole società con maggior
spessore finanziario ad acquisire i migliori giocatori presenti sul mercato, così
incrementando l’equilibrio competitivo tra le società e contribuendo a ridurre
le perdite finanziare di molte società sportive. Inoltre, tale tetto dovrebbe poi,
da un punto di vista economico, correggere un fallimento di mercato dovuto al
fatto che le società sportive non terrebbero nella giusta considerazione il
concetto di equilibrio competitivo quando prendono decisioni sui giocatori da
acquistare. Sul punto, l’Avvocato Generale Lenz, nelle conclusioni rese in
relazione al caso Bosman (di cui si parlerà successivamente), si è espresso nel
senso che una misura come il salary cap, sarebbe difficilmente praticabile
all’interno di un contesto in cui i trasferimenti di calciatori avvengono ormai a
livello internazionale, in quanto potrebbe indurre gli stessi calciatori a
preferire club di federazioni che non prevedono tale meccanismo, derogando
ai principi di equa concorrenza. Il primo e, finora, unico caso di salary cap
adottato nel campionato italiano è stato introdotto a partire dalla stagione in
corso per il campionato di Serie B. La soluzione, invece, adottata
dall'organismo sovranazionale UEFA è stata quella del fair play finanziario:
un progetto, avviato nel settembre 2009, mirante a far estinguere i debiti