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INTRODUZIONE
La tutela delle specie animali a rischio di estinzione è un argomento che ha assunto una
rilevanza sempre maggiore, sia in rapporto all’interesse scientifico suscitato dalla
questione, sia riguardo all’opinione pubblica nei confronti di tale problema. Molte specie
rischiano di essere condotte all’estinzione non a causa del naturale e lento processo
evolutivo, ma per opera di fattori antropogenici quali la caccia, l’urbanizzazione,
l’industrializzazione e la frammentazione degli habitat. Quest’ultimo aspetto è
particolarmente rilevante, poiché riduce l’areale occupato dalle specie, che possono così
andare incontro a problemi di inbreeding e dunque ad una perdita di varietà genetica della
popolazione (Holt & Pickard, 1999).
La valutazione dello stato di conservazione delle specie è stimata dalla lista rossa IUCN
(International Union for the Conservation of Nature), che rappresenta il maggiore database
contenente le informazioni sullo stato di sopravvivenza degli organismi animali e vegetali
che popolano il pianeta. La conservazione della biodiversità è d’importanza cruciale,
poiché anche la scomparsa di una singola specie può compromettere il funzionamento di
un dato ecosistema (Hosey et al., 2009).
La salvaguardia delle specie animali può avvenire sia in situ, tramite programmi di tutela e
protezione effettuati direttamente sull’area occupata dalla specie interessata, sia ex situ
dove invece gli animali vengono preservati e mantenuti in ambiente controllato: in questo
caso ricadono ad esempio strutture quali i giardini zoologici (Hosey et al., 2009).
Lo stato di conservazione dei felidi è particolarmente minacciato a livello mondiale,
soprattutto a causa di fattori antropogenici. Una conservazione ex situ diventa quindi di
grande importanza, eventualmente integrata con progetti di reintroduzione delle specie nei
loro habitat. Tuttavia proprio questi animali mostrano facilmente comportamenti anormali
quando sono mantenuti in ambiente controllato, quali l’apatia, l’insorgenza di stereotipie
(pacing, freezing) oppure un comportamento estremamente aggressivo (Carlstead, 1996).
Si rende pertanto necessaria una gestione corretta degli animali, che preveda ad esempio
l’impiego di arricchimenti ambientali di tipo olfattivo e alimentare (Szokalski et al., 2012),
l’uso di strutture sufficientemente spaziose (White et al., 2003), la valutazione degli effetti
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riguardanti la gestione di più conspecifici nello stesso reparto (De Rouck et al., 2005), la
verifica delle possibili conseguenze relative alla presenza dei visitatori (Margulis et al.,
2003) e una corretta gestione dei protocolli di tipo medico veterinario (Kleiman et al.,
1996), in modo da garantire ai felidi uno stato adeguato di benessere (Hosey et al., 2009).
Il concetto di benessere è inteso come stato di salute completo, sia fisico sia mentale, in cui
l’animale è in armonia con il suo ambiente. Questo include sia le emozioni, che sono parte
dei sistemi di adattamento, sia la salute; inoltre è presente una continuità tra benessere
elevato in condizioni ideali e benessere scarso in ambiente non ideale (Hughes, 1976;
Broom, 1991). Un soggetto che riesce ad adattarsi alle condizioni ambientali si trova in
uno stato di benessere, mentre un soggetto che non riesce ad adattarsi in tal senso, per
fattori quali condizioni psicofisiche proprie o caratteristiche esterne, viene a trovarsi in una
condizione di stress. È importante che ogni definizione di benessere tenga conto
dell’ambiente, della fisiologia e del comportamento specifico dell’animale (Hosey et al.,
2009).
In particolare la tutela del benessere animale avviene garantendo le cosiddette cinque
libertà (Brambell, 1965):
Libertà dalla fame, dalla sete e dalla cattiva nutrizione
Libertà dal disagio ambientale
Libertà dal dolore, ferite e malattie
Libertà di poter esprimere le proprie caratteristiche comportamentali specie-
specifiche
Libertà dalla paura e dall’angoscia
È importante comprendere quali siano i mezzi migliori attraverso cui valutare il benessere
animale, in modo da poter intervenire in caso di problemi nei soggetti mantenuti in
strutture controllate, che si traducono in una condizione di stress.
Lo stress, innalzando i livelli di cortisolo, molecola con effetto immunosoppressivo, rende
l’animale più suscettibile a diverse patologie (Munck et al., 1984). Animali sottoposti a
meno stimoli stressogeni avranno una probabilità più bassa di incorrere in malattie e quindi
necessiteranno minori spese sanitarie (Moberg & Mench, 2000). Inoltre, alti livelli di
cortisolo incidono sul comportamento sessuale, andando a modificare la regolarità dei cicli
estrali della femmina: animali con valori fisiologici di cortisolo (e dunque meno stressati)
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avranno più probabilità di mostrare un comportamento sessuale corretto e
conseguentemente di riprodursi (Moberg & Mench, 2000).
Per affacciarsi ad uno studio che preveda la valutazione dello stato di benessere animale,
possono essere utilizzate due metodiche distinte: la prima consiste in un approccio di tipo
etologico, mentre la seconda in una valutazione di parametri fisiologici (Hosey et al.,
2009). Nel primo caso sarà eseguita un’analisi qualitativa e quantitativa dei comportamenti
degli animali presi in esame, prestando attenzione all’insorgenza di segni quali stereotipie
e comportamenti patologici specie-specifici. Nel secondo caso saranno presi in esame
parametri biochimici indicatori della risposta endocrina, quali concentrazioni di alcuni
ormoni o dei loro metaboliti in materiale biologico come sangue, feci, urina, saliva o pelo
degli animali, basandosi sulla correlazione tra stato di benessere e funzionamento normale
dell’organismo. Chiaramente un approccio che comprenda le due metodiche può fornire un
numero maggiore di dati che, integrati tra loro, permettono di comprendere meglio lo stato
di benessere dei soggetti considerati (Hosey et al., 2009).
Scopo di questo studio, effettuato presso il Bioparco Zoom di Cumiana (TO), è stato quello
di valutare le risposte endocrine e comportamentali (valutazione dello stato di benessere) di
tre esemplari maschi di tigre siberiana (Panthera tigris altaica) sottoposti a condizioni
gestionali differenti, dovute a interventi di manutenzione dell’habitat durante il periodo di
chiusura invernale del parco. Inoltre sono stati valutati i benefici derivanti dall’utilizzo di
un arricchimento ambientale effettuato tramite erba gatta (Nepeta cataria), volto a ridurre
lo stress negli animali che hanno dovuto soggiornare presso una struttura interna per un
tempo medio breve (Tucker & Tucker, 1988; Ellis & Wells, 2010; Resende et al., 2011).
Animali meno stressati esibiranno un comportamento più attivo (Hosey et al., 2009), che
solitamente è fonte di intrattenimento per i visitatori della struttura zoologica (Margulis et
al., 2003), traducendosi così in un guadagno anche per quanto riguarda il prestigio e le
effettive entrate economiche del parco stesso. Il controllo e la tutela del benessere animale
divengono quindi importanti non solo per motivi etici, ma anche per ragioni economiche,
fatto cruciale per investire sforzi e risorse in questo senso.
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CAPITOLO 1
LA SPECIE - LA TIGRE DELL’AMUR O TIGRE SIBERIANA
1.1 - Classificazione ed etimologia
La tigre dell’Amur (Fig.1.1) (detta anche tigre siberiana, tigre coreana, tigre della
Manciuria o tigre della Cina settentrionale) (Panthera tigris altaica) è una sottospecie di
tigre (Panthera tigris), un mammifero carnivoro appartenente alla famiglia dei Felidae ed
è il rappresentate di maggiori dimensioni di questo taxon. La sua classificazione è la
seguente (Myers et al., 2014):
Regno: Animalia
Sottoregno: Eumetazoa
Ramo: Bilateria
Superphylum: Deuterostomia
Phylum: Chordata
Subphylum: Vertebrata
Superclasse: Gnathostomata
Classe: Mammalia
Sottoclasse: Theria
Infraclasse: Eutheria
Ordine: Carnivora
Sottordine: Feliformia
Famiglia: Felidae
Sottofamiglia: Pantherinae
Genere: Panthera
Specie: Panthera tigris
Sottospecie: Panthera tigris altaica
Fig.1.1: Uno degli esemplari di tigre dell’Amur dello studio
(Fotografia a cura di Marco Sconfienza – Bioparco Zoom).
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Fa parte, insieme a leone (Panthera leo), leopardo (Panthera pardus), giaguaro (Panthera
onca) e leopardo delle nevi (Panthera uncia), del genere Panthera, ossia dei cosiddetti
“grandi felini”, tutti caratterizzati dalla possibilità di ruggire grazie ad una particolare
conformazione dell’apparecchio ioideo, che è in parte cartilagineo e in parte ossificato.
L’etimologia del suo nome specifico può essere fatta risalire al latino tigris, che deriva
dalla parola greca τίγρις (tígris). Questa originerebbe a sua volta dalla parola persiana tigra
(che significa appuntito o affilato) e avestica (una lingua iranica nord-orientale) tighri (che
significa freccia o dardo), forse riferendosi alla velocità con cui la tigre si lancia
all’inseguimento della sua preda (Harper, 2011b).
La derivazione di Panthera potrebbe invece esser fatta risalire al greco pan (tutto) e ther
(bestia), ma si tratterebbe probabilmente di una pseudo etimologia non confermata
(Harper, 2011a). È probabile che il nome sia invece di origine orientale, rintracciabile
effettivamente nella parola greca panther, nel latino panthera e nel francese antico (parlato
dal IX al XIV secolo nella regione della Francia settentrionale, Belgio e Svizzera,
conosciuto come lingua d'oïl) pantere, che significherebbe “animale giallognolo” (Collins
English Dictionary, 2014). Sulla base dell’analisi morfologica e filogenetica (tramite
tecniche di analisi molecolare) sono state distinte nove sottospecie di tigre (Nowell &
Jackson, 1996) (Tab 1.1): la tigre siberiana (Panthera tigris altaica), di cui fanno parte gli
Tab. 1.1: Sottospecie di Panthera tigris, peso medio, distribuzione e stato di conservazione (Nowell &Jackson, 1996).
Sottospecie Peso (kg)
(maschi) |
(femmine)
Distribuzione Stato di
conservazione
Panthera tigris altaica 180-280 | 100-167 Siberia sud-orientale Esistente
Panthera tigris
amoyensis
130-175 | 100-115 Provincia dell’Hunan (Cina) Esistente
Panthera tigris
corbetti
150-195 | 100-130
Birmania, Cambogia, Laos,
Thailandia, Vietnam
Esistente
Panthera tigris
jacksoni
100-120 | 80-100 Malesia peninsulare Esistente
Panthera tigris
sumatrae
100-140 | 75-110 Sumatra Esistente
Panthera tigris tigris 180-260 | 100-170 India, Birmania Esistente
Panthera tigris balica 90-100 | 65-80 Bali Estinta
Panthera tigris
sondaica
100-141 | 75-115 Giava Estinta
Panthera tigris virgata 170-240 | 85-135
Anatolia, Caucaso, Kurdistan,
Iran, Afghanistan, Asia centrale,
Mongolia
Estinta
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esemplari di questo studio, la tigre della Cina meridionale (Panthera tigris amoyensis), la
tigre indocinese (Panthera tigris corbetti), la tigre malese (Panthera tigris jacksoni), la
tigre di Sumatra (Panthera tigris sumatrae), la tigre reale del Bengala o tigre indiana
(Panthera tigris tigris), la tigre di Bali (Panthera tigris balica), la tigre di Giava (Panthera
tigris sondaica) e la tigre del Caspio (Panthera tigris virgata). Tra queste le ultime tre
sottospecie sono attualmente estinte: la tigre di Bali nel 1937, la tigre di Giava nel 1994
(Gratwicke, 2007) e la tigre del Caspio nel 1970 (Mazák, 2004).
1.2 – Distribuzione e habitat
La tigre dell’Amur è diffusa nella porzione sudorientale più estrema della Siberia (Fig.
1.2), nella regione a sud-est del basso corso del fiume Amur e a est del suo affluente
Ussuri.
Fig. 1.2: Il rettangolo rosso indica la distribuzione dalla tigre dell’Amur (P.t.altaica) su scala globale
(www.iucnredlist.org).