INTRODUZIONE
Con il mio lavoro mi propongo di presentare una riflessione, su quelli che
sono i fenomeni che accompagnano la separazione amorosa, in quanto la
fine di un amore mette in luce con molta chiarezza il carattere passionale e
pulsionale di una catastrofe umana (cfr. Caruso, 1988 pp. 9 - 10). Indagare
la separazione amorosa significa, infatti, indagare la presenza della morte
nella nostra vita, in quanto la separazione è l’irruzione della morte nella
coscienza umana, poiché uccide la coscienza di un vivente in un altro
vivente (ibidem p. 10). Mi soffermerò poi sulle relazioni esistenti tra la
separazione amorosa e la morte, dedicando una particolare attenzione alle
ipotesi clinico-teoriche seguendo le quali l’una potrà apparire come
messaggera e simbolo dell’altra. Conseguentemente, porrò in relazione
l’esperienza dolorosa della separazione amorosa in particolare con la morte
fisica di una persona amata.
L’ipotesi che intendo argomentare sostiene che una separazione volontaria
di due persone, in particolare amanti, può essere, in determinate circostanze
soggettive e relazionali, molto più difficile da superare della stessa morte
fisica del partner.
La mia tesi si divide in quattro capitoli. Per primo esamino il concetto di
separazione per Freud, che identifica “l’angoscia originaria” con il trauma
della separazione dalla madre al momento della nascita, quindi la nascita è
un prototipo dello stato di angoscia. Al momento della nascita nel bambino
non c’è, però, alcun contenuto psichico, quindi in realtà prova soltanto un
forte momento di turbamento, ben diverso dal trauma narcisistico che
proverà in una successiva esperienza di separazione (cfr. Frappier, 2001 p.
361). Nel secondo capitolo, esamino poi il concetto di separazione per M.
Klein andando a ritroso verso la vita affettiva originaria del bambino.
Seguendo M. Klein, incontreremo due modalità fondamentali di assetto
psichico e di relazione con l’oggetto: la posizione schizo-paranoide e la
posizione depressiva. In sostanza il bambino per i primi tempi della sua vita
vede la madre come un oggetto interno, cioè come qualcosa che appartiene
al suo sé, quindi si rappresenta una madre interiorizzata separata dal suo
doppio, cioè la madre esterna. È importante che poi crescendo il bambino
riesca a riconoscere sua madre come una persona staccata da lui, un’identità
a sé stante, un oggetto esterno. Crescere e non vedere più la propria madre
come l’oggetto interno aiuta l’individuo a mettere in atto dei meccanismi di
difesa che gli serviranno per superare le situazioni problematiche. Metto
quindi in luce come questa capacità di riconoscere la figura materna come
altro da sé è fondamentale per riuscire ad affrontare le esperienze difficili
come una separazione (cfr. Diatkine, 2001, p. 401). Verrà poi preso in
considerazione il lavoro di un autore che partendo dalla psicoanalisi pone al
centro della propria teoria proprio il concetto di perdita. Si tratta di J.
Bowlby. Attraverso la teoria dell’attaccamento dalle eclettiche radici,
relativamente nuova, concepita inizialmente come una revisione della teoria
psicoanalitica, permeata dagli attuali principi biologici, etologici,
cibernetici e dalla psicologia cognitiva, metto in evidenza quello che
presenta come un nuovo modo di concepire come si costruisce il legame del
neonato con la madre e come viceversa si struttura quando c’è una
separazione e una deprivazione, e come questa avvenga passando attraverso
stadi ben precisi che corrispondono alle reazioni universali, di protesta,
disperazione e distacco (cfr. Muscetta, 1993, p. 121). Nel terzo capitolo
considero il concetto di separazione all’interno della disamina svolta da I.
A. Caruso su una particolare forma di separazione, la separazione
volontaria degli amanti, che devono necessariamente lasciarsi di propria
volontà per riguardo a regole morali, convinzioni religiose, situazioni
sociali. Si tratta di separazioni accettate da entrambi le parti come grave
sacrificio sotto la pressione di un “principio di realtà” che accettato come
valido dalle persone che si separano, fa apparire impossibile il loro amore.
Il problema della separazione è il “problema della morte fra viventi” (cfr.
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Caruso, 1988, p. 17). La separazione può diventare uno scandalo più grande
della morte fisica, perché al servizio della coscienza è necessario uccidere
la coscienza di un vivente in un altro vivente. E risulta essere peggiore della
morte perché è una capitolazione nella vita davanti alla morte. Entrambi
sanno che la loro sofferenza sarà terribile. Sanno che ognuno dimenticherà
l’altro. Questa è la presenza della morte nella coscienza e la morte della
coscienza. Ognuna di queste persone pronuncia sull’altra una sentenza di
morte, che colpisce entrambi: poiché la sentenza viene eseguita nella
propria coscienza e in quella dell’altra persona, in sostanza si muore, ma si
muore vivi nella coscienza dell’altro e questo significa anche morte di
entrambe le coscienze. Di conseguenza vengono messi in moto diversi
meccanismi di difesa, primo fra tutti l’oblio, che rappresenta la grande
difesa contro la propria morte; in ogni caso viene messo in atto un omicidio
in nome della vita, ma anche un suicidio della propria coscienza (cfr.
Caruso, 1988, pp. 17 - 18). Nel quarto e ultimo capitolo indago le
manifestazioni conseguenti ad una separazione determinata dalla morte
fisica di una persona amata e tutte le varie fasi e reazioni del processo del
lutto, mettendo a confronto gli aspetti di una rottura di un’unione possano
presentare fenomeni e processi psichici e manifestazioni fisiche simili alla
perdita per morte del coniuge. Una sorta di viaggio, una farmacopea della
scrittura alla ricerca di una comprensione più profonda dell’umanità
attraverso la separazione.
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CAPITOLO PRIMO
La separazione: coordinate di base e posizione
della questione in Freud
1.1 La psicosessualità
Molti studiosi hanno tentato di comprendere il fenomeno amoroso,
investigandone gli aspetti, le modalità, le origini e soprattutto i beneficiari
principali, per scoprire se esso rappresenti un’unica dimensione generale o
se non sia formato per caso da più dimensioni (cfr. Sternberg e Barnes,
1988, p. 14). Per la mia discussione sull’argomento della separazione
amorosa, mi sembra doveroso innanzitutto presentare tutto ciò che riguarda
la passione e le pulsioni che uniscono e permettono di entrare in relazione
con l’altro, partendo dalla figura e dai messaggi freudiani. L’opera di Freud,
pur avendo le sue radici nei temi scientifico-culturali della fine dell’800,
appartiene pienamente alla vita del XX secolo. Egli è nostro
contemporaneo. Attraverso i decenni le teorie di Freud hanno mantenuto un
ruolo centrale non solo nella cultura specialistica, ma anche nella
concezione più generale dei rapporti interpersonali nella sfera privata, in
particolare l’analisi delle interazioni riguardanti i legami della vita affettiva
(cfr. Jervis e Bartolomei, 1996, p. 14).
Tra la fine dell’800 e i primi decenni del ’900 propone una teoria generale
della natura umana, che si basa su alcuni presupposti di impostazione
materialista. Secondo Freud il comportamento e la psiche umana
rispondono a due esigenze fondamentali: le pulsioni di auto conservazione,
o dell’Io, e quelle sessuali. Le pulsioni di auto conservazione
corrispondono, come dice il termine stesso, ai bisogni fondamentali,
indispensabili alla conservazione dell’individuo. Il loro paradigma è
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rappresentato dalla fame. Le pulsioni sessuali, invece, travalicano
l’individuo singolo ed hanno come contenuto la generazione di altri
individui, cioè la conservazione della specie. Le prime (le pulsioni di auto
conservazione) offrono alla sessualità una specie di “appoggio”:
inizialmente le pulsioni sessuali ricevono da quelle di auto conservazione
una fonte, una modalità di rapporto, un oggetto (se pensiamo ancora alla
suzione ad esempio) e solo successivamente se ne distaccano (cfr. Vegetti
Finzi, 1986, pp. 101 - 102).
Bisogna precisare che Freud dà al termine “libido” un significato più ampio
del desiderio sessuale in senso stretto, tanto che, mediante la teoria della
libido, tenta di spiegare tutti gli aspetti del comportamento umano,
l’attaccamento al seno del lattante, i conflitti dei figli nei confronti dei
genitori, i sogni, l’arte, l’amicizia, l’amore. In ogni caso sostiene che in
ognuno di noi esiste una tendenza a non vedere l’origine libidica del nostro
comportamento e della nostra vita psichica, a causa di una inconscia
resistenza a prendere atto dell’istintualità da cui dipendiamo. Su tali
presupposti, modifica l’originaria dualità pulsionale, ipotizzando l’esistenza
di pulsioni di vita, o Eros, che includerebbero sia le pulsioni sessuali che
quelle di auto conservazione, e di pulsioni di morte, Thanatos, in lotta con il
prime e tendenti a portare l’individuo verso la dissoluzione (cfr. Jervis,
1996, pp. 43 - 44). Vita e morte sono le due potenze cosmiche cui la vis
mitopoietica freudiana ha affidato il destino del singolo uomo e
dell’umanità in generale (cfr. Meo, 1989, p. 9).
Definire la pulsione di vita come Eros, dio greco dell’amore, significa
anche considerare la sessualità la spinta naturale verso la vita, la crescita
psichica e la formazione di legami, in contrapposizione a Thanatos, che non
è semplicemente odio, ma tendenza a ritornare allo stato inorganico, ricerca
di una condizione precedente alla nascita, in cui sono assenti desideri e
tensioni (Nirvana), quindi, dissoluzione della propria dimensione
psicologica (cfr. Laplanche e Pontalis, 1967). Quando Freud si occupa di
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