6
Da ciò, l’importanza delle decisioni giudiziali o consensuali con cui si assegna la casa,
posto che la crisi del matrimonio postula l’intollerabilità della prosecuzione della
convivenza sotto lo stesso tetto.
Alla luce delle scarne disposizioni normative, la presente analisi vorrebbe studiare
l’ambito negoziale entro cui i coniugi possono disporre al fine di assegnare la casa, in
particolare all’interno dei due istituti della separazione consensuale e del divorzio
congiunto.
Sono frequenti infatti, e conosciuti dalle cronache, i casi in cui in sede di separazione si
raggiungono accordi di sistemazione patrimoniale, che vanno ben al di là del contenuto
proprio di una separazione personale.
Si cercherà di capire con quale strumento possa essere disposta l’assegnazione, quale
natura abbia il diritto costituito, se sia opponibile ai terzi, se il consenso poi revocato
conservi efficacia, se sia possibile operare un trasferimento immobiliare ad efficacia reale,
quali siano gli strumenti di tutela del diritto costituito e quali le forme pubblicitarie cui
sottoporlo...
La casa svolge un ruolo imprescindibile nel momento della composizione della crisi
coniugale, quale elemento necessario del regolamento patrimoniale, nelle varie ipotesi di
separazione giudiziale, divorzio, separazione consensuale, separazione di fatto, divorzio
congiunto e cessazione della convivenza more uxorio. Infatti, esiste sempre, e
necessariamente, un immobile adibito a residenza familiare, anche se non c’è un titolo
legittimante all’uso in capo ad entrambi i coniugi; inoltre l’atto di destinazione a residenza
familiare non ha alcuna incidenza immediata sul titolo che tale atto ha legittimato, fino al
momento della cessazione della convivenza. Sino a tale momento, l’interesse al godimento
da parte del coniuge non titolare viene tutelato dallo strumento obbligatorio dei doveri
coniugali. Al momento della crisi matrimoniale, sorge il problema dell’attribuzione della
casa coniugale. Il legislatore interviene infatti esplicitamente dettandone una disciplina
all’interno della separazione nell’art. 155, 4 co. c.c. e per il divorzio nell’art. 6, 6 co., della
legge 1 dicembre 1970 n. 898.
L’art. 155 4 co. così recita: “l’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza, e ove
sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli”.
L’art. 6, 6 co., l. div., con una norma parzialmente diversa e più specifica, dispone che
“l’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli
7
o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età. In ogni caso ai fini dell’assegnazione
il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e
favorire il coniuge più debole. L’assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo
acquirente ai sensi dell’art. 1599 del codice civile.”
Alle due precedenti norme va aggiunta quella della legge 392/1978 che, nell’art. 6,
prevede le ipotesi di successione nel contratto di locazione e, specificamente, nel capoverso
dispone che “in caso di separazione giudiziale, di scioglimento del matrimonio o di
cessazione degli effetti civili dello stesso, nel contratto di locazione succede al conduttore
l’altro coniuge, se il diritto di abitare nella casa familiare sia stato attribuito dal giudice a
quest’ultimo.”
Successivamente, lo stesso art. 6 al 3 co.: “In caso di separazione consensuale o di nullità
matrimoniale al conduttore succede l’altro coniuge se tra i due si sia così convenuto”. Si
avrà modo di osservare come queste ultime disposizioni siano state il punto di riferimento di
una serie di argomentazioni relative alla natura del diritto costituito e, specificamente, alla
sua opponibilità ai terzi.
La presente indagine va, in particolare, ai due istituti della separazione consensuale e del
divorzio congiunto, dove, per definizione, si esplica l’autonomia negoziale, cosicchè il ruolo
del giudice si ridimensiona rispetto alla rilevanza assunta dagli accordi patrimoniali e
personali dei coniugi. Essi sono disciplinati nell’art. 158 c.c., quanto alla separazione
consensuale, e nell’art. 4, 13 co., l. div., quanto al divorzio congiunto.
1. Disciplina normativa
La separazione consensuale è compresa all’interno dell’istituto della separazione
personale dei coniugi, nel capo V del titolo VI del libro I del codice, ed è stata modificata
dalla riforma del diritto di famiglia del 1975 con l’aggiunta di un secondo comma.
Ai sensi dell’art. 158 c.c., “La separazione per il solo consenso dei coniugi non ha effetto
senza l’omologazione del giudice. Quando l’accordo dei coniugi relativamente
all’affidamento e al mantenimento dei figli è in contrasto con l’interesse di questi il giudice
riconvoca i coniugi indicando ad essi le modificazioni da adottare nell’interesse dei figli e,
in caso di inidonea soluzione, può rifiutare allo stato l’omologazione.”
8
La separazione consensuale è stata definita “un eccellente banco di prova nonchè un
osservatorio privilegiato per rilevare il ruolo e l’estensione dell’autonomia privata in ambito
familiare”
3
; ciò è intuitivamente evidente, alla luce della dizione letterale dell’art. 158 c.c.,
per il quale l’unico presupposto è il “solo consenso dei coniugi”.
Senza addentrarsi ora nelle discussioni relative al ruolo dell’intervento giudiziale, cui si
rimanda più avanti, è tuttavia lecito riconoscere subito come questo tipo di separazione sia
preferita ed auspicata dai coniugi rispetto a quella giudiziale proprio perchè consente loro di
definire autonomamente l’assetto patrimoniale e personale della crisi, e di sottoporre quindi
al giudice un accordo, sul quale esercitare soltanto un potere di controllo.
Le statistiche evidenziano come la tendenza, in concreto sia quella di evitare le sedi
giurisdizionali - dati i costi, i tempi, le inefficienze amministrative e burocratiche che
comporta - alla ricerca di alternative negoziali. Anzi, ragioni di pacificazione sociale, di
preclusione degli scandali, di salvaguardia degli interessi morali dei figli dimostrano che
questo istituto è stato creato per evitare le indagini e il contrasto giudiziale
4
. Già Carnelutti
scriveva che “l’accordo per la separazione significa il disaccordo per la convivenza, e una
convivenza discorde è socialmente peggiore di una separazione concorde. [...] Rei publicae
intersit non solo che cessino i litigi nella casa dove si educano i figlioli, ma persino che non
si trascinino, se è possibile, in Tribunale”
5
6
.
Si è notato verificarsi un fenomeno di privatizzazione del conflitto coniugale, che si
spiega nell’ambito di una generale tendenza alla soluzione conciliatoria o transattiva delle
controversie
7
; sociologicamente si parla di ‘degiuridicizzazione del divorzio’, in
considerazione dell’autonomia dei coniugi nel definire l’assetto del post-divorzio.
Quanto appunto all’istituto del divorzio, al di là dell’ipotesi contenziosa ordinaria,
particolarmente interessante è la figura del divorzio su domanda congiunta. Esso è
disciplinato dall’art. 4, 13 co., l. 898/70, ma è stato inserito solo nel 1987, dall’art. 8 della
3
ANGELONI, Autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti familiari, Padova, 1997, 414 ss.
4
AZZOLINA, La separazione personale dei coniugi, 3 ediz., Torino, 1966, 192 ss.
5
CARNELUTTI, Separazione per accordo tra coniugi, in Riv. dir. e proc. civ., 1936, II, 153 ss.
6
I dati ISTAT relativi al 1995 indicano il rapporto tra separazioni giudiziali e separazioni personali in
14,4% contro 85,6%.
7
COMPORTI, Autonomia privata e convenzioni preventive di separazione, divorzio e annullamento del
matrimonio, in Foro it., 1995, V, 105 s.
9
legge n. 74. La sua introduzione nell’ordinamento è recente, ma ha trovato grande eco nella
prassi, parimenti alla separazione consensuale, proprio per il largo spazio concesso alla
autonomia negoziale dei coniugi.
L’art. 4, 13 co., l. div. così dispone : “La domanda congiunta dei coniugi di scioglimento
o di cessazione degli effetti civili del matrimonio che indichi anche compiutamente le
condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici, è proposta con ricorso al Tribunale
in camera di consiglio. Il Tribunale, sentiti i coniugi, verificata l’esistenza dei presupposti
di legge e valutata la rispondenza delle condizioni all’interesse dei figli, decide con
sentenza. Qualora il tribunale ravvisi che le condizioni relative ai figli siano in contrasto
con gli interessi degli stessi, si applica la procedura di cui al comma 8 del presente
articolo.”
Parte degli autori subito sostennero che con questa norma era stato introdotto nel nostro
ordinamento il divorzio consensuale
8
; la dottrina maggioritaria rilevava, invece, come il
divorzio venisse concesso dal giudice soltanto quando si verificassero i presupposti previsti
dalla legge, tra cui non figura il mutuo consenso dei coniugi
9
. Nel corso di questo
intervento si parlerà di divorzio congiunto o divorzio consensuale, nel senso di divorzio su
domanda congiunta.
8
TRABUCCHI, Un nuovo divorzio: il contenuto e il senso della riforma, in Riv. dir. civ., 1987, II, 128 ss.;
STASSANO, Il “nuovo” divorzio, Milano, 1989, 494 ss.
9
DE PAOLA, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale, I, Milano, 1991, 226 ss.; SALA, La rilevanza
del consenso dei coniugi nella separazione consensuale e nella separazione di fatto, in Riv. trim. dir. e proc.
civ., 1996, 1093 ss.; ANGELONI, op. cit., 414 s.
10
PARTE PRIMA
Autonomia negoziale
11
[…] A ragione Esiodo ha detto nel suo poema: ‘Casa nella sua essenza è la
donna e il bove che ara’ perché per i poveri il bove rimpiazza lo schiavo. La
comunità che si costituisce per la vita quotidiana secondo natura è la famiglia, i
cui membri Caronda chiama “compagni di tavola”, Epimenide cretese
“compagni di mensa”, mentre la prima comunità che risulta da più famiglie in
vista di bisogni non quotidiani è il villaggio. Nella forma più naturale il villaggio
par che sia una colonia della famiglia, formato da quelli che alcuni chiamano
“fratelli di latte”, “figli” e “figli di figli”. Per questo gli stati in un primo tempo
erano retti da re, come ancor oggi i popoli barbari: in realtà erano formato da
individui posti sotto il governo regale – e, infatti, ogni famiglia è posta sotto il
potere regale del più anziano, e lo stesso, quindi, le colonie per l’affinità
d’origine.
Aristotele, Politica, I, (A), 2, 10-22.
12
1. Autonomia privata nella famiglia
In dottrina, il dibattito sull’autonomia privata nel diritto di famiglia si è aperto a seguito
della riforma del 1975: alcune pronunce della Suprema Corte hanno rinsaldato certe
posizioni dottrinarie e, genericamente, vi è consenso su alcuni orientamenti di fondo
consolidati nel corso degli anni. Mancando però una specifica delimitazione normativa, sia
della separazione consensuale che del divorzio congiunto, alcune soluzioni giurisprudenziali
hanno lasciato ancora aperta la discussione su alcune soluzioni quali, ad esempio,
l’opponibilità ai terzi di un’assegnazione non trascritta o la trascrivibilità del verbale
contenente trasferimenti immobiliari. Si affronteranno i vari problemi, non prima di aver
inquadrato la questione all’interno dell’argomento dell’autonomia privata in generale, nel
diritto di famiglia e nella crisi familiare.
La giurisprudenza si è pronunciata su molte questioni relative all’assegnazione della casa
e spesso le soluzioni sono state cercate rispondendo a quesiti più generali, tra i quali quello
relativo alla natura dell’accordo o al ruolo del giudice in sede di omologa. Nel corso
dell’analisi sulla natura giuridica dell’accordo di separazione consensuale, l’attenzione è
stata posta sulla sua natura di negozio giuridico e sull’eventuale applicabilità delle norme
contrattuali. Invero, oggi, le posizioni risultano consolidate nel senso di un’esaltazione del
riconoscimento dell’autonomia privata anche nel diritto di famiglia e del ruolo negoziale dei
coniugi
10
.
Senza dubbio la svolta, nel senso del riconoscimento dell’autonomia negoziale, si è avuta
con la riforma del 1975, la quale ha introdotto un nuovo modello di famiglia costituito da
una comunità di eguali, potenziando il ruolo dell’accordo quale strumento di governo della
famiglia, nel segno della privatizzazione e del superamento delle concezioni pubblicistiche e
autoritarie in cui prevalevano pretesi valori superindividuali o interessi superiori.
In questa visione, anche all’interno della famiglia trova spazio l’esplicazione
dell’autonomia privata: nella fase fisiologica del rapporto così come in quella patologica
11
.
10
Sulla valenza del principio di autonomia privata nel diritto di famiglia vedi RESCIGNO, Appunti sulla
autonomia negoziale, in Persona e comunità, II, Bologna, Il Mulino, 1966, 474 ss.; RUSSO, L’autonomia
privata nella stipulazione delle convenzioni matrimoniali, in Vita not., 1982, 488 ss.
11
DORIA, “Negozio” di separazione consensuale e revocabilità del consenso, in Dir. fam. pers., 1990, 509
ss.
13
Nel corso del rapporto matrimoniale, l’art. 144 c.c. sottolinea come sia l’accordo a porre
le regole di svolgimento del mènage
12
: “i coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita
familiare e fissano la residenza della famiglia...”, attribuendo “a ciascuno dei coniugi il
potere di attuare l’indirizzo concordato”. L’accordo sull’indirizzo della vita familiare è lo
strumento con cui la volontà negoziale dei coniugi opera. L’art. 144 c.c. costituisce la fonte
di legittimazione di ogni manifestazione negoziale dei coniugi
13
. Parimenti, sempre nello
svolgimento fisiologico del matrimonio, l’autonomia si manifesta nell’aspetto relativo alla
derogabilità del regime patrimoniale legale, costituito dalla comunione dei beni, a favore di
soluzioni convenzionali che trovano limiti unicamente negli artt 160 c.c.: “gli sposi non
possono derogare nè ai diritti nè ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio”, e
161 c.c.: “gli sposi non possono pattuire in modo generico che i loro rapporti patrimoniali
siano in tutto o in parte regolati da leggi alle quali non sono sottoposti o dagli usi, ma
devono enunciare in modo concreto il contenuto dei patti con i quali intendono regolare
questi loro rapporti”. Inoltre, ai coniugi è consentito disporre, nell’ambito della comunione
legale, di un singolo bene sottraendolo alla destinazione originaria, con un atto dispositivo
non avente natura di convenzione matrimoniale. L’art. 160 c.c., letto in negativo, riconosce
la libertà dei coniugi di modificare il regime patrimoniale mediante accordi di natura
patrimoniale
14
.
12
DORIA, Autonomia dei coniugi in occasione della separazione consensuale e efficacia degli accordi non
omologati, in Dir. fam. pers., 1994, I, 554 ss.
13
ZATTI, MANTOVANI, La separazione personale dei coniugi, Padova, 1983, sub art. 150 c.c., 382 ss.;
RUSSO, Le convenzioni matrimoniali ed altri saggi sul nuovo diritto di famiglia, Milano,1983, 221 ss.;
D’ANNA, Note in tema di autonomia negoziale e poteri del giudice in materia di separazione dei coniugi,
in Riv. not., 1984, II, 595; DOGLIOTTI, Separazione e divorzio: il dato normativo, i problemi
interpretativi, II ediz., Torino, 1995, 7 ss.; RESCIGNO, Il problema della determinazione dei doveri
coniugali, in I diritti e i doveri del matrimonio, Trattato di diritto privato diretto da Rescigno, III, 2 ed.,
Torino, 1996, 33 ss.
14
DORIA, Autonomia privata e “causa” familiare. Gli accordi traslativi tra coniugi in occasione della
separazione personale e del divorzio, Milano, 1996, 70 ss.; ALPA, FERRANDO, Se siano efficaci in
assenza di omologazione gli accordi tra i coniugi separati con i quali vengono modificate le condizioni
stabilite nella sentenza di separazione relative al mantenimento dei figli, in Questioni di diritto patrimoniale
della famiglia discusse da vari giuristi e dedicate ad Alberto Trabucchi, Padova, 1989, 505 ss.
14
Lo stesso spazio viene riservato all’autonomia privata anche nell’ambito della fase
patologica del rapporto matrimoniale; si è sostenuto che “il dispiegamento dell’autonomia
privata nel rapporto matrimoniale si estende ormai ad abbracciare un campo che va dalla
celebrazione delle nozze sino allo scioglimento del vincolo”
15
. Infatti, sotto il primo
aspetto, rileva il ruolo del consenso come fatto individuale, rispetto alla celebrazione come
fatto sociale; quanto allo scioglimento del vincolo basti pensare all’accordo sulla
corresponsione una tantum dell’assegno, all’intesa del divorzio congiunto e alla validità
delle pattuizioni a latere non omologate, alla disponibilità del diritto all’assegno a favore
del coniuge divorziato.
Si può notare come, mentre gli artt. 143, 144, 145 c.c. richiamano ’l’interesse familiare’
ed esprimono la prevalenza di quest’ultimo sull’interesse dei singoli componenti, nella fase
patologica del matrimonio non si parli più di ’interesse familiare’ ma solo di coniugi e di
prole. Invero il diverso tenore letterale è dovuto solo al fatto che la separazione è vista come
elemento disgregante del nucleo, comportando il sorgere di nuove e diverse esigenze.
Essendo attenuato, ma non eliminato il vincolo coniugale, il regime primario della famiglia
risulta tuttavia ancora applicabile
16
. Perciò l’istituto della separazione personale, e della
separazione consensuale in particolare, vanno studiati all’interno del regime patrimoniale
della famiglia e quindi dei principi generali dell’ordinamento in tema di accordi
patrimoniali. Secondo la definizione del Betti
17
, l’autonomia privata può essere definita
come il potere di autodeterminazione e di autoregolamentazione dei propri interessi e
rapporti.
Mediante atti di autonomia privata, la legge consente ai privati di introdurre schemi
alternativi ai modelli legali dispositivi; da questo punto di vista essa diviene fonte di
regolamento dei rapporti, sullo stesso piano della legge e in concorso con essa
18
. Il campo
del diritto di famiglia è totalmente permeato di autonomia e rimesso alle determinazioni
negoziali dei privati. La legge opera mediante l’apposizione di limiti, individuando
15
OBERTO, I contratti della crisi coniugale, I, Milano, 1999, 126 ss.
16
TREROTOLA, Regole del gioco e ambito del controllo giudiziale nel procedimento di separazione
coniugale, in Giur. mer., 1997, 1119 ss.
17
BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1943, 179 ss.
18
DORIA, Autonomia dei coniugi in occasione della separazione consensuale e efficacia degli accordi non
omologati, cit., 554 s.
15
situazioni da tutelare. Solo un divieto esplicito, posto specificamente dalla legge, o la
sottrazione di poteri all’autonomia privata, con la correlativa attribuzione ad altri soggetti,
può impedire il pieno esplicarsi dell’autonomia privata nel diritto di famiglia
19
. In realtà il
campo più adatto per l’esplicazione della stessa autonomia è quello contrattuale; in esso,
data la patrimonialità delle prestazioni, risulta legittima l’autodeterminazione dei rapporti
giuridici.
Numerosi sono i dati normativi che fanno propendere per il riconoscimento
dell’autonomia nel diritto di famiglia; ne sarebbero stati individuati addirittura 31
manifestazioni
20
, tra le quali la previsione della separazione personale consensuale; la
natura negoziale del matrimonio; l’introduzione della dissolubilità del matrimonio mediante
divorzio; la depenalizzazione delle infedeltà coniugali; l’unico limite generale dell’art. 161
c.c. all’autonomia in sede di stipula di convenzioni matrimoniali; il venire meno della
tassatività delle cause di separazione personale; la legittimazione dei soli coniugi, o anche
solo ad uno di essi, anche se “colpevole” a chiedere la separazione, il divorzio o lo
scioglimento degli effetti civili del matrimonio; il divorzio su domanda congiunta; la
possibilità di regolare convenzionalmente il regime patrimoniale...
Per completezza occorre precisare che in dottrina si levano anche voci di dissenso rispetto
a questa tesi
21
. Si è osservato che il richiamo al concetto di autonomia privata non sarebbe
del tutto appropriato in campo familiare, non potendosi riconoscere ai privati in tale settore
il potere di autodisciplinare da sè i propri interessi, essendo la famiglia una formazione
sociale caratterizzata da interessi comuni a tutti i suoi membri e pertanto non
necessariamente coincidenti con quelli di suoi singoli componenti. Inoltre, il fenomeno della
19
RUSSO, Negozio giuridico e dichiarazioni di volontà relative ai procedimenti “matrimoniali” di
separazione, divorzio, nullità, in Dir. fam. pers., 1989, 1092 ss.
20
ANGELONI, op. cit., 214 s.
21
DONISI, Limiti alla autoregolamentazione degli interessi nel diritto di famiglia, in Famiglia e
circolazione giuridica a cura di Fuccillo, Milano, 1997, 7 ss.; FEDERICO, Accordi di divorzio nel
procedimento a domanda congiunta, in Famiglia e circolazione giuridica, cit., 92 ss.
16
privatizzazione comporterebbe un rischio di mercantilizzazione
22
, nonchè una serie di
preoccupazioni per la situazione della parte più debole.
1.1 Negozio giuridico e negozio familiare: la separazione consensuale
Oggi la dottrina sta iniziando a mettere in dubbio il facile binomio patrimonialità-
disponibilità, alla luce di molte penetranti discipline di tutela di categorie di soggetti,
testimonianti il fenomeno della eterointegrazione da parte della legge anche all’interno di
ambiti tipicamente patrimoniali, e quindi disponibili
23
.
L’altro binomio attualmente rivisto è quello che associa disponibilità e negozialità.
Essendo stata riconosciuta l’autonomia privata anche nell’ambito del diritto familiare, non
ci si può non chiedere se gli atti dispositivi dei coniugi non rivestano la figura tipica
dell’atto di autonomia privata, cioè il negozio giuridico.
Quanto alla figura del negozio giuridico, essa proviene dalla tradizione tedesca del BGB,
ma nel nostro codice non è stata esplicitamente accolta, sebbene sembri averla talvolta
presupposta. Il negozio giuridico è stato tradizionalmente definito dalla volontarietà degli
effetti prodotti; è negozio giuridico se sussiste, oltre alla volontarietà dell’atto, anche la
volontarietà degli effetti. Tale affermazione è andata perdendo parte del suo significato,
essendosi progressivamente diffuse forme di eteroinegrazione da parte della legge e
indisponibilità di alcuni effetti. L’elemento costituito dalla totale disponibilità degli effetti
può essere considerato quindi inidoneo alla costruzione del concetto di negozio e il fulcro
della teoria negoziale si sposta sul rilievo attribuito alla dichiarazione di volontà
24
. La vera
contrapposizione è tra dichiarazioni di volontà e atti reali. Infatti, è stato recentemente
dimostrato come sia tipico degli effetti dell’attività negoziale che questi non siano
22
DONISI, Limiti alla autoregolamentazione degli interessi nel diritto di famiglia, cit., 30 ss.;
CARAVAGLIOS, Trasferimenti immobiliari nella separazione consensuale tra coniugi, in Fam. e dir.,
1997, 430 ss.
23
RUSSO, Negozio giuridico e dichiarazioni di volontà relative ai procedimenti “matrimoniali” di
separazione, divorzio, nullità, cit., 1092 s.
24
RUSSO, Negozio giuridico e dichiarazioni di volontà relative ai procedimenti “matrimoniali” di
separazione, divorzio, nullità, cit., 1085 s.
17
necessariamente sempre, e in quanto tali, commisurati alla volontà delle parti, bene potendo
divergere dal voluto, senza perdere il carattere negoziale della manifestazione di volontà
25
.
Oggi la dottrina e la giurisprudenza sono consolidate nel sostenere la natura negoziale
dell’accordo di separazione consensuale
26
; quanto al divorzio congiunto si faranno in
seguito alcune considerazioni.
La natura negoziale dell’accordo di separazione consensuale sembra essere dimostrabile
sulla base dell’analisi del ruolo svolto dal giudice in sede di omologazione, rispetto alla
manifestazione di volontà dei coniugi. Il giudice ha sempre svolto una funzione di controllo
in sede di omologa; inizialmente si estendeva fino a sindacare la serietà dei motivi che
spingevano alla separazione; in seguito, il controllo sulle ragioni della separazione lasciò lo
spazio ad un controllo sulle condizioni della separazione
27
.
25
Il termine negozio individua, dunque, una manifestazione di volontà, produttiva di effetti nell’ordine
giuridico, sottoposta a determinati requisiti di validità o a certe cause di caducazione, che richiama
l’applicazione di certi principi dell’ordinamento, quali quello dell’affidamento da parte di terzi o
dell’interpretazione delle dichiarazioni di volontà.
26
FALZEA, La separazione personale, Milano, 1943, 96 ss.; AZZOLINA, La separazione personale dei
coniugi, 3 ediz., Torino, 1966, 203 ss.; RUSSO, Negozio giuridico e dichiarazioni di volontà relative ai
procedimenti “matrimoniali” di separazione, divorzio, nullità, cit., 1093 ss.; DELCONTE, Il rapporto tra
omologa del giudice e consenso dei coniugi nella separazione personale, in Arch. civ., 1992, 641 s.;
CECCHERINI, Separazione consensuale e contratti tra coniugi, in Giust. civ., 1996, II, 186 ss.; DORIA,
Autonomia privata e “causa” familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione della separazione
personale e del divorzio, cit., 118 s.; SALA, La rilevanza del consenso dei coniugi nella separazione
consensuale e nella separazione di fatto, cit., 1032 ss.; ANGELONI, op. cit., 221 ss.; ZATTI, I diritti e i
doveri che nascono dal matrimonio e la separazione dei coniugi, in Trattato di diritto privato, diretto da
Rescigno, II ediz., III, Torino, 1996, 135 ss.
27
CICU, Il diritto di famiglia, Roma, 1914, 244 ss.; DEGNI, Il diritto di famiglia nel nuovo codice civile
italiano, Padova, 1943, 252 ss.; CECCHERINI, Separazione consensuale e contratti tra coniugi, cit., 185 ss.;
ZATTI, I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio e la separazione dei coniugi, in Trattato dir. priv.,
diretto da Rescigno, III, II ediz., cit., 129 ss.; ALPA e FERRANDO, Se siano efficaci in assenza di
omologazione gli accordi tra i coniugi separati con i quali vengono modificate le condizioni stabilite nella
sentenza di separazione relative al mantenimento dei figli, in Questioni di diritto patrimoniale della famiglia
discusse da vari giuristi e dedicate ad Alberto Trabucchi, cit., 510 ss.; D’ANNA, Note in tema di autonomia
negoziale e poteri del giudice in materia di separazione dei coniugi, cit., 598 ss.; DORIA, Autonomia dei
coniugi in occasione della separazione consensuale e efficacia degli accordi non omologati, cit., 564 s.;
18
Ciò che rileva è unicamente il “solo consenso dei coniugi”, quale dichiarazione di volontà
di entrambi, non modificabile o integrabile dal giudice. Esso è senza dubbio un atto
negoziale, e anche la Suprema Corte ha riconosciuto che “gli accordi di separazione
rientrano in quei negozi che hanno la loro sede naturale nel processo, seppur processo di
volontaria giurisdizione”
28
.
D’altra parte è stato fatto un espresso richiamo all’art. 1322 c.c. quando si è deciso sulla
validità, sia di accordi preventivi tra coniugi in materia di conseguenze patrimoniali
dell’annullamento del matrimonio
29
, sia di trasferimenti mobiliari e immobiliari in sede di
divorzio
30
.
Sarebbe già sufficiente considerare la molteplicità di contenuti che possono assumere gli
atti determinativi in sede, non solo di separazione consensuale, ma anche di divorzio
congiunto, per esaltare la negozialità familiare
31
. La stessa Cassazione è arrivata a ravvisare
proprio nella separazione consensuale “uno dei momenti di più significativa emersione della
negozialità nel diritto di famiglia”
32
, definendola un “negozio di diritto di famiglia,
espressamente previsto dagli artt. 150 e 158 c.c. e disciplinato nei suoi aspetti formali
dall’art. 711 c.p.c”
33
.
BONILINI, Il matrimonio-La nozione, in Il diritto di famiglia. Trattato diretto da Bonilini e Cattaneo, I,
Famiglia e matrimonio, Torino, 1997, 53 ss.
28
Cass. civ., 13 febbraio 1985, n. 1208, in Giust. civ., 1985, I, 1654.
29
Cass. civ., 13 gennaio 1993, n. 348, in Corr. giur., 1993, 823.
30
“D’altro canto, l’accordo di separazione non si scinde in una duplice tipologia di clausole strutturalmente
differenziate, ma è atto unitario ed essenzialmente negoziale, soggetto a controllo ma innanzitutto
espressione della capacità dei coniugi di responsabilmente autodeterminarsi (artt. 2 e 29 Cost.), tanto che in
dottrina si è indicata la separazione consensuale come uno dei momenti di più significativa emersione della
negozialità nel diritto di famiglia e in tale prospettiva si è collocata anche la giurisprudenza di questa Corte
con alcune recenti sentenze, come la n. 2788 del 1991, la quale ha dato notevole rilievo all’autonomia dei
coniugi, affermando il diritto di ciascuno di essi di “condizionare il proprio consenso alla separazione
personale ad un soddisfacente assetto generale dei propri interessi economici, semprechè con tale
composizione non si realizzi una lesione di interessi inderogabili.” (Cass. civ. 22.1.1994, n. 657, in Dir. fam.
pers., 1994, 868).
31
DORIA, “Negozio” di separazione consensuale dei coniugi e revocabilità del consenso, cit., 501 ss.
32
Cass. civ., 22 gennaio 1994, n. 657, cit.
33
Cass. civ., 15 maggio 1997, n. 4306, in Nuova giur. civ. comm., 1999, I, 279.