PREMESSA
In Italia, secondo i dati dell’ultimo censimento ISTAT (2011), le organizzazioni
nonprofit hanno assunto e, continuano ad assumere, un ruolo particolarmente rile-
vante: sono oltre 300 mila, impiegano 681 mila addetti, la loro attività è sostenuta
da 4,7 milioni di volontari e contribuiscono a produrre il 4,3% del PIL nazionale.
Non è corretto parlare di settore del nonprofit, perché non si tratta di una realtà
omogenea, bensì di un mondo composto da soggetti tra loro molto diversi per di-
mensioni e natura (cooperative sociali, associazioni di promozione sociale e vo-
lontariato, organizzazioni non governative, onlus, enti non commerciali).
Nel primo capitolo del presente lavoro si vuole restringere e delineare il campo
oggetto di studio, inquadrando a livello teorico, economico e giuridico le organiz-
zazioni nonprofit, affrontando sia le problematiche definitorie, sia quelle evolutive
che le hanno caratterizzate negli anni.
Particolare accento viene posto sulle differenze sostanziali che consentono di di-
stinguere gli enti nonprofit da realtà di diversa natura economica, attraverso un
breve confronto tra la dottrina classica e le teorie di più recente fattura, con alcuni
accenni anche alla letteratura internazionale in materia.
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Si tratta poi di un contesto che continua a svilupparsi nella quasi totale mancanza
di direttive specifiche in materia di controlli e senza la vigilanza di un’authority
dedicata (l’Agenzia per il terzo settore è stata soppressa nel 2012 e le sue compe-
tenze sono state trasferite al ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali) e quin-
di, sempre maggiormente esposto a tutta una serie di rischi nuovi e potenzialmen-
te molto dannosi.
Nel secondo capitolo, dopo una preliminare presentazione dei modelli di riferi-
mento CoSO Report I, ERM e Modello 231/2001 e, una breve analisi dei rischi
propri delle organizzazioni nonprofit, si spiega quindi come sia sempre più urgen-
te per queste ultime, specialmente per quelle di grandi dimensioni che si trovano
ogni giorno a gestire ingenti carichi di operazioni, investire nella predisposizione
di un programma strutturato di risk management. A tal proposito viene presentato
un caso di studio relativo al Modello organizzativo 231/2001 implementato da Ac-
tionAid, a dimostrazione di come sia possibile adattare tale modello, rendendolo
efficace anche nel contesto di un ente nonprofit.
Ma è il terzo capitolo quello che affronta il tema centrale del presente lavoro, ov-
vero quello relativo al ruolo che la funzione di Internal Auditing ha, o potrebbe
avere, nell’universo delle organizzazioni nonprofit.
Per interpretare meglio le caratteriste assunte dalla funzione di Internal Auditing
nello scenario odierno, viene proposto un excursus storico relativo all’evoluzione
di cui questa ultima è stata protagonista negli anni, partendo dalle origini agli inizi
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del ‘900 fino ad arrivare alla definizione fornita dall’Institute of Internal Auditors
nel 1999, identificando i cambiamenti intervenuti negli obiettivi e nel ruolo di tale
attività.
Obiettivo primario del capitolo è, a questo punto, quello di capire come la funzio-
ne di Internal Auditing sia realmente capace di contribuire al processo di creazio-
ne di valore all’interno di un’organizzazione nonprofit e, come si possa misurare
in maniera idonea tale contributo.
Al fine di fornire degli spunti concreti di riflessione sul tema, vengono presentati
tre casi di studio, Save the Children, AIESEC Italia e AIL, nei quali vengono de-
scritti diversi metodi di implementazione della funzione di Internal Auditing.
La decisione di sviluppare il tema del ruolo dell’internal auditing nelle organizza-
zioni nonprofit, non è stata dettata solo dalla sempre maggior rilevanza che tali
realtà stanno assumendo nel nostro paese e, quindi, dal crescente fabbisogno di
strutturate forme di controllo, ma anche da una profonda passione che nutro nei
confronti della revisione interna e dall’esperienza diretta che ho avuto lavorando
sia in AIL che in AIESEC Italia.
In particolar modo, dopo oltre tre anni nell’organizzazione, ho avuto il piacere di
ricoprire il ruolo di Internal Auditor in AIESEC Italia, esperienza che mi ha con-
sentito di affrontare concretamente i temi legati alla revisione interna.
Nello svolgimento del suddetto ruolo e, soprattutto nel corso della stesura della
presente tesi di ricerca, ho avuto modo di incontrare numerosi esperti e professio-
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nisti, il cui contributo è risultato essere di fondamentale importanza per il rag-
giungimento degli obiettivi che mi ero proposta.
Colgo quindi l’occasione per ringraziare, primo fra tutti, il mio relatore, il Prof.
Carlo Regoliosi, per avermi supportata sin dal primo momento, senza essere mai
invadente, fornendomi costruttivi spunti di riflessione ed ampi margini di libertà
nella trattazione del tema da me scelto, ma soprattutto perché é proprio grazie al
corso da lui tenuto che, sin dal primo anno, mi sono profondamente appassionata
ai temi del controllo, della gestione dei rischi e della revisione interna.
Un ringraziamento speciale va poi a tutti i professionisti che mi hanno dedicato
parte del loro prezioso tempo, per fornirmi le conoscenze e gli strumenti necessari
a svolgere una trattazione che non fosse solo puramente teorica, bensì supportata
da casi di studio reali e concreti. In particolar modo vorrei ringraziare la Dott.ssa
Liberata Giovannelli, il Dott. Andrea Marcoccio, la Dott.ssa Tiziana Mazzini, il
Dott. Francesco Papa, il Dott. Giovanni Poggio, il Dott. Nicola Giovinazzi, il
Dott. Domenico Lascala, la Dott.ssa Marialuisa Petrelli, la Dott.ssa Elisa Londei
ed il Dott. Enrico Spitaleri.
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CAPITOLO I
INQUADRAMENTO TEORICO
DELLE ORGANIZZAZIONI NONPROFIT
SOMMARIO: 1.1 Introduzione. - 1.2 I molti nomi di un concetto in evoluzione:
definizioni a confronto. - 1.3 Crisi del welfare state e sviluppo del nonprofit in
Italia. - 1.4 Organizzazioni nonprofit nell’accezione economico-aziendale: nuove
tendenze negli studi di economia aziendale. - 1.4.1 Relazione tra le organizzazioni
nonprofit ed il concetto di azienda. - 1.4.2 Le organizzazioni nonprofit nel dibatti-
to sulla classificazione delle aziende: caratteri distintivi. - 1.5 La dimensione
quantitativa del NonProfit italiano e le prospettive future di sviluppo. - 1.6 Le or-
ganizzazioni nonprofit nell’ordinamento giuridico italiano. - 1.7 Conclusioni.
1.1 Introduzione
L’obiettivo che si prefigge questo primo capitolo è quello di svolgere un’ana-
lisi preliminare sul tema oggetto di studio, finalizzata a restringere il campo og-
getto di studio e, a fornire alcune nozioni elementari essenziali per la piena com-
prensione dei capitoli successivi. Si cerca di inquadrare a livello teorico, econo-
mico e giuridico le organizzazioni nonprofit, affrontando sia le problematiche de-
finitorie sia quelle evolutive che le hanno caratterizzate negli anni. Si pone parti-
colare attenzione allo sviluppo che tali organizzazioni hanno avuto nella realtà
italiana, fornendo un’idea riguardo al ruolo da esse ricoperto nell’economia attua-
le del nostro paese e alle loro prospettive future di crescita.
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Le organizzazioni oggetto di studio vengono considerate come aziende, badando
bene al fatto che, considerare le organizzazioni nonprofit dal punto di vista azien-
dale, non significa far prevalere la logica ed i criteri di scelta economici sui valori
e le motivazioni etiche individuali, ma comprendere che fare ricorso alla raziona-
lità tipicamente impiegata nella gestione degli enti profit, consente di ottenere
maggiori e migliori performance in vista del raggiungimento di quanto è stato
pianificato, trasformando la necessità di mantenere l’equilibrio economico in un
vincolo e non più in un obiettivo.
1.2 I molti nomi di un concetto in evoluzione: definizioni a confronto
Prima di addentrarci nel problema legato alla definizione della linea di de-
marcazione tra organizzazioni nonprofit e realtà che esulano da tale categoria, ap-
pare opportuno proporre alcuni chiarimenti in merito ai molteplici nomi utilizzati
per indicare queste organizzazioni.
Non di rado ci si ritrova di fronte a differenti grafie del termine nonprofit, quali:
“no profit”, “non profit”, “nonprofit” o “non-profit”. Come esaurientemente espli-
cato da Barbetta e Maggio
1
, le prime due dizioni vanno rifiutate in quanto gram-
maticalmente scorrette, mentre le altre due grafie, “nonprofit” e “non-profit” sono
entrambe accettate dagli studiosi statunitensi ed inglesi, ma il loro significato non
coincide pienamente. Il termine “non-profit” pone in evidenza il prefisso “non”
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1
Barbetta G.P. - Maggio F., Nonprofit, Società editrice Il Mulino, 2008, p. 9,10
così da identificare le organizzazioni appartenenti al settore non-profit in senso
negativo rispetto alla restante parte del sistema economico e sociale, cioè come
organizzazioni il cui fine non consiste nel perseguimento di un utile economico
2
.
Il termine “nonprofit” mira invece a sottolineare le caratteristiche positive delle
organizzazioni che ne fanno parte e che le distinguono dal resto dell’economia. Si
tratta, infatti, di organizzazioni che, sebbene nella maggior parte dei casi non pro-
ducano un utile espresso in termini monetari, hanno comunque come finalità ulti-
ma la produzione di utilità per la collettività di riferimento. Esse producono co-
munque nuova ricchezza, la quale però non risulta espressa in termini monetari
risultando, conseguentemente, di più difficile misurazione.
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Proprio partendo da quest’ultima nomenclatura, nel 1996 Salomon e Anheimer
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hanno individuato nelle seguenti caratteristiche gli elementi che “in positivo”
vanno considerati per decidere della natura nonprofit di un’organizzazione:
a) costituzione formale;
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A tal proposito il grande grande studioso di management – l’americano Peter Drucker –
scriveva in un saggio del 1989: “Non a scopo di lucro, non imprenditoriale, non governa-
tivo sono tutte definizioni negative, ed è impossibile definire qualcosa dicendo ciò che
non è.” (Drucker P.F., Economia, politica e management, Etas, 1989)
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“...quello che manca è uno strumento di agevole valorizzazione della ricchezza prodot-
ta, non la ricchezza prodotta”. Leardini C., L’amministrazione della fondazione banca-
ria, CEDAM, 2005,
p. 6
4
Salomon Lester M. - Anheimer H. K., Defining the nonprofit sector: a cross-national
analysis, Manchester-New York, Manchester University Press, 1996
a) natura giuridica privata, ovvero che facciano riferimento all’autonomia
di iniziativa privata e a comportamenti non vincolati da norme di diritto
pubblico;
b) autogoverno, ovvero che abbiano organi gestionali e di controllo auto-
nomi e con un proprio potere decisionale;
c) assenza di distribuzione di profitto;
d) presenza di lavoro volontario, ovvero che non sia obbligatorio divenire
soci dell’organizzazione, e che sia prevista la partecipazione di volonta-
ri all’attività.
Ci sono però pareri discordanti sull’applicazione rigorosa dei criteri suggeriti,
perché essa, a parere di alcuni, porterebbe ad escludere alcune realtà importanti
quali le cooperative sociali e gli organismi di diretta emanazione della Chiesa Cat-
tolica.
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