Introduzione
Il presente lavoro nasce dalla volontà di analizzare le caratteristiche e l’importanza di
una figura nuova introdotta nel nostro ordinamento, il professionista attestatore dei piani
di risanamento aziendale. Lo scopo è quello di mettere in evidenza i riflessi dei nuovi
istituti introdotti dalla riforma della Legge Fallimentare e la rinnovata posizione che ha
assunto il professionista.
L'attuale contesto di congiuntura economica ha determinato il notevole aumento di
imprese che, trovandosi in situazioni di crisi ricorrono a procedure giudiziali e
stragiudiziali per tentare di evitare il fallimento raggiungendo un accordo con i creditori,
tramite concordato preventivo, accordi di ristrutturazione del debito e piani attestati di
risanamento.
Al professionista attestatore è affidato il delicato compito di redigere una relazione nella
quale attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità/attuabilità del piano proposto
dal debitore ai propri creditori per tentare di risanare la situazione di crisi in cui versa
l'impresa.
Si è scelto di esaminare i requisiti che tale soggetto deve possedere e le operazioni che
deve compiere, in quanto può essere individuato come punto di connessione tra queste
diverse procedure, analizzate dalla prospettiva di un soggetto che dovrebbe essere terzo
rispetto al debitore ed ai creditori.
L'analisi ha lo scopo di verificare da un lato, se tale figura è idonea a svolgere il
compito ad essa demandato, dall'altro se la relazione prodotta sia in grado di informare
in modo adeguato, oltre che il Tribunale, anche i principali interessati, i creditori, sulle
prospettive del piano.
È trascorso più di un anno dall’entrata in vigore del Decreto Sviluppo che, insieme con
la Legge di conversione, ha integrato e modificato l’apparato normativo per la
composizione concordata della crisi d’impresa.
Le novità sono state rilevanti, anche dal punto di vista applicativo: si va
dall’introduzione dell’art. 161, comma 6, l.f. che prevede il cosiddetto concordato in
bianco o concordato con riserva, alle disposizioni di cui all’art. 182-quinquies l.f. sui
finanziamenti interinali prededucibili, all’art. 186-bis l.f. sul concordato in continuità
aziendale.
Queste sono solo alcune delle novità introdotte dal Legislatore del 2012, che hanno
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implementato un sistema di norme già mutato notevolmente negli anni 2005, 2006,
2007 e 2010.
Ora, l’intenzione non è quella di analizzare nello specifico la novella e le conseguenze
concrete che ha determinato, bensì di esprimere alcune osservazioni su quella che è
divenuta la figura centrale negli istituti per la soluzione negoziale della crisi d’impresa:
l’attestatore.
Infatti, sia nel concordato preventivo, sia negli accordi di ristrutturazione dei debiti, sia
nel piano di risanamento, sia ancora nelle previsioni dei nuovi artt. 182-quinquies e 186-
bis l.f., il professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. d), l.f.
ha assunto una funzione primaria, tantoché ne sono stati definiti, più che in passato, i
requisiti, il ruolo e le responsabilità.
A rafforzare il concetto che l'argomento trattato è di recente attualità e di notevole
rilevanza vi è la Circolare n. 30/IR dell’11 Febbraio 2013 con cui l’Istituto di Ricerca
dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (IRDCEC) ha analizzato il tema de
“Il ruolo del professionista attestatore nella composizione negoziale della crisi: requisiti
di professionalità e indipendenza e contenuto delle relazioni”.
2
Capitolo 1
Crisi d'impresa: soluzioni e riforme
1.1. La crisi d'impresa
Lo studio della crisi d'impresa può essere affrontato partendo dalla considerazione
secondo cui l’azienda, per ottenere un profitto dalla propria attività, deve essere in grado
tramite i ricavi, non solo di coprire i costi di produzione, ma deve anche creare le risorse
necessarie a remunerare, in modo ritenuto adeguato, i capitali investiti a vario titolo al
fine del raggiungimento e del mantenimento di un soddisfacente equilibrio economico
1
durevole nel tempo. Si tratta di una condizione essenziale ai fini della sopravvivenza e
della crescita dell’azienda, senza questa, il capitale ed il lavoro non troverebbero
convenienza nella permanenza in ambito aziendale.
Nella vita di ogni impresa esiste come evento probabile quello di non riuscire per
periodi più o meno lunghi, per cause di varia gravità, a mantenere questa condizione
fondamentale di vitalità, ciò non può che portare ad una situazione di crisi economica
2
.
Con il verificarsi delle criticità per l’impresa ha inizio un pericoloso declino che può
condurla in uno stato di crisi oppure, ed ancor peggio, in una situazione di insolvenza.
La crisi d'impresa e lo stato d'insolvenza rappresentano temi classici, da tempo affrontati
in letteratura da diverse prospettive d'indagine. In tempi recenti, tuttavia, si può
osservare un rinnovato interesse al problema della crisi almeno per due ragioni:
1. la crisi economica e finanziaria, che ha interessato diversi paesi negli ultimi
tempi, ha determinato un rilevante incremento del numero di imprese in
difficoltà e delle difficoltà anche sul piano sociale, questo ha fatto sì che la
tematica in questione stia assumendo centralità nei dibattiti politici e negli studi
economico-aziendali, sia italiani che internazionali.
2. l'impostazione di fondo appare mutata; infatti, mentre in passato la crisi era
considerata un fattore eccezionale, negli ultimi tempi essa è gestita in modo
consapevole e sistematico, mediate l'impiego di strumenti di prevenzione e
monitoraggio. In questa ottica, più che di gestione dello stato di crisi, si sta
affermando una logica di gestione del rischio di crisi.
Nella vita delle imprese si verifica normalmente un’alternanza di fasi positive e fasi
1 Amaduzzi A, L’azienda nel suo sistema e nell’ordine delle sue rilevazioni, III edizione aggiornata,
Ristampa 1984, Utet, Torino, pagg. 198 ss.
2 Guatri L.,Turnaround Declino, crisi e ritorno al valore, Egea, Milano, 1995, pag. 5
3
negative, che possono presentarsi con cadenza periodica; dal punto di vista statistico
3
si
può parlare di carattere ciclico
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delle crisi, a questa alternanza le aziende dei vari settori
sono abituate, sanno che al periodo negativo seguirà quello positivo e sono consapevoli
che la cosa importante è sapersi preparare per tempo ai periodi negativi, infatti chi si
prepara con metodologie sbagliate o non si prepara affatto, nella maggior parte dei casi
non regge la fase negativa e viene espulso dal mercato. Ma oltre alle fasi negative di
natura ciclica, le aziende possono trovarsi in fasi negative dovute a cause che, per
periodi più o meno lunghi, maturano all’interno dell’unità produttiva occultandosi
all’esterno, per poi esplodere in modo improvviso ed inatteso segnando le sorti
dell’entità economica.
Solitamente l'avvicinarsi di questa condizione è preceduta da sintomi premonitori che
non sempre i manager e gli imprenditori colgono per tempo, ciò permette alla fase
negativa di manifestarsi, e con il raggiungimento di un certo grado di intensità può
degenerare nella crisi vera e propria.
Quindi nella consapevolezza che la crisi dell’impresa può derivare anche da disfunzioni
gestionali, oggi giorno più che mai, è impossibile valutare la capacità di permanere sul
mercato prescindendo dalla valutazione del rischio imprenditoriale e delle procedure di
risk management internamente adottate dall’azienda.
Ad una efficiente organizzazione dell’impresa sono interessati inoltre non solo i
creditori, ma anche tutti i cosiddetti portatori di interesse, ovvero gli “stakeholder”,
coloro cioè che hanno instaurato con essa relazioni di lavoro e di collaborazione oppure
che, a vario titolo, manifestano interessi affinché l’impresa permanga sul mercato e
continui a svolgere la funzione economica per cui è sorta.
E’ facile comprendere quindi che la crisi d’impresa non rappresenta solamente un
fenomeno economico, bensì anche un fattore di rilevanza sociale e relazionale. Ciò
spiega perché sia progressivamente aumentata l’attenzione degli operatori economici e,
soprattutto, del legislatore verso la salvaguardia della continuità aziendale.
Il tema della crisi d’impresa in economia è un campo molto esplorato e la più autorevole
letteratura, nel tempo, ha cercato di analizzare il fenomeno secondo diverse prospettive
d'indagine
5
.
3 Lenti L., Statistica economica, Utet, Torino, 1972, pagg. 1055 – 1206
4 Tedeschi Toschi A., Crisi d’impresa tra sistema e management per un approccio allo studio delle crisi
aziendali, Egea, Milano, 1993, pagg. 15 ss.
5 Bisogno M., Crisi e risanamento d'impresa in una prospettiva internazionale, Franco Angeli,
4
Una prima prospettiva d'indagine è di tipo macro-economico: in tal caso la crisi è
analizzata con prevalente riferimento all'andamento dello sviluppo economico,
caratterizzato dall'alternarsi di cicli espansivi e recessivi, concentrando l'attenzione su
variabili di portata strutturale quali la produzione, l'occupazione, il risparmio, le
dinamiche tecnologiche ed i fattori ambientali. Inoltre, la crisi è analizzata rispetto
all'impatto prodotto sul funzionamento e sulle caratteristiche strutturali del mercato,
infatti, la crisi d'impresa è considerata quale selezione naturale, consentendo di
eliminare dal mercato le unità produttive inefficienti, in modo da rendere possibile una
migliore allocazione delle risorse nell'ambito del sistema economico.
Strettamente collegata alla prospettiva macro-economica ma anche a quella micro-
economica, è una prospettiva d'indagine di tipo settoriale, in cui sono analizzate sia le
variabili citate in precedenza ma declinate a livello settoriale, sia le dinamiche
competitive dei diversi settori, le cui peculiarità richiedono spesso il ricorso a specifici
strumenti d'indagine.
Una seconda prospettiva d'indagine è di tipo giuridico: la crisi dell'impresa è investigata
allo scopo di individuare appropriati strumenti di tutela delle posizioni dei soggetti
esterni, in particolare dei creditori. In presenza di più creditori, infatti, l'escussione dei
singoli beni rappresenterebbe una soluzione poco efficiente. Inoltre ed in termini più
ampi, il legislatore disciplina la crisi e l'insolvenza d'impresa perché essa potrebbe sia
determinare la crisi di altre imprese, con cui l'impresa in crisi ha avuto rapporti, sia
alterare le logiche di funzionamento dei mercati dovute a un improduttivo immobilizzo
di fattori e di risorse.
Infine la terza prospettiva d'indagine, di tipo economico-aziendale, è caratterizzata
dall'adozione del punto di vista interno della singola impresa in crisi, rispetto alla quale
sono investigate variabili quali: le strategie di consapevole gestione del rischio di crisi;
gli strumenti di monitoraggio e di prevenzione i fattori interni ed esterni all'origine della
crisi; le strategie di superamento e di risanamento, spesso fondate sul coinvolgimento di
diversi soggetti, in particolare manager, dipendenti e creditori.
Milano,2012 pagg. 13 ss.
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1.2. Cause e tipologie di crisi aziendali
La letteratura si è interrogata sui fattori alla base della crisi e del declino delle imprese
ed emergono, in tal senso, due filoni contrapposti: il primo soggettivo-
comportamentista
6
, che attribuisce la principale causa del declino al fattore umano e
quindi alla cattiva gestione, agli errori manageriali dovuti a inadeguatezza ed
incompetenza direzionale; il secondo filone, qualificato come obiettivo, che riconosce
l'esistenza di alcune condizioni di oggettività che rendono l'impresa vulnerabile e quindi
"predisposta“ alla crisi, specie per il verificarsi di fattori come il rialzo del costo dei
fattori produttivi, le cadute della domanda, l'ingresso improvviso di nuovi concorrenti,
l'avvento di discontinuità tecnologiche e produttive, il manifestarsi di situazioni
negative dei mercati finanziari.
Molti studiosi ritengono che i due filoni teorici non siano contrapposti ma correlati, la
crisi viene considerata come la conseguenza dell'accumularsi di risultati sfavorevoli di
gestione, dovuti sia all'incapacità del gruppo imprenditoriale e manageriale di governare
i complessi rapporti tra le dinamiche esterne ambientali e quelle interne aziendali, sia
dal manifestarsi di situazioni non prevedibili e comunque non adeguatamente
governabili facendo leva sulle risorse e competenze disponibili, né la variabile
manageriale né le variabili aziendali da sole possono dare origine ad una crisi
7
. In base
a tale prospettiva vi è la sovrapposizione tra fattori interni ed esterni, l'incidenza di
eventi esterni sfavorevoli sull'economia delle imprese è profondamente diversa secondo
che si tratti di imprese che poggiano il loro successo su fragili basi, destinate prima o
poi a crollare o, all'opposto, di imprese dotate di ben concepite formule imprenditoriali
di successo internamente coerenti.
Per quanto attiene alle tipologie di crisi ve ne sono di diverse
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, tra le più rilevanti alle
quali l'impresa vi deve prestare attenzione sono:
- la crisi competitiva che si ha quando l'impresa non riesce a conseguire o mantenere e
difendere il successo competitivo nell'ambito del suo business di riferimento. Questo
può dipendere da non prevedibili o non previsti mutamenti delle condizioni della
domanda o della concorrenza, collegati all'incapacità di adeguamento dell'offerta
aziendale ai mutati fattori critici di successo richiesti dal business.
6 Guatri L.,Turnaround Declino, crisi e ritorno al valore, Egea, Milano, 1995
7 Coda V .,Crisi d'impresa e strategie di superamento, Giuffrè, Milano, 1987
8 Pancarelli T.,Le crisi d'impresa: diagnosi,previsione e procedure di risanamento, Franco Angeli, Milano,
2013
6
La caduta dei consumi e della domanda di molti beni e servizi a seguito della crisi
finanziaria mondiale del 2008 e la sopravvenuta apparizione di situazioni di eccesso di
offerta in molti settori sono stati tra i principali fattori di dissesto e di fallimento di
numerose imprese, colte impreparate ad affrontare lo shock anche per eccesso di rigidità
produttiva e di capacità produttiva inutilizzata, oltre che per insufficiente flessibilità
strategica che ha limitato i necessari processi di riorientamento strategico traducibili in
processi di spostamento verso aree competitive più attrattive, o in mutamenti
significativi delle strategie competitive in essere.
- La crisi di legittimazione sociale si riscontra quando l'impresa non è in grado di
soddisfare le aspettative degli interlocutori sociali e dei portatori di interessi, generando
un clima di sfiducia verso l'organizzazione e compromettendo la possibilità di
approvvigionarsi delle risorse necessarie al processo aziendale. Questo tipo di crisi è
prioritariamente una crisi di fiducia tra l'impresa ed il sistema degli attori sociali, e nel
caso in cui venisse meno, creerebbe le condizioni per alimentare insufficiente
soddisfazione degli stakeholder e un atteggiamento non favorevole se non ostile nei
confronti dell'impresa. La carenza di fiducia genera conseguenze negative sui mercati
finanziari e bancari, rendendo più difficile e più costoso il reperimento di capitali esterni
per finanziare gli investimenti, sul mercato del lavoro, impedendo l'attrazione dei talenti
e delle professionalità migliori oltre che sui mercati di fornitura, rendendo più incerti e
onerosi i processi di approvvigionamento.
- La crisi d'innovazione e di incapacità di apprendimento
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si riscontra nei casi in cui
l'impresa, indebolisce o arresta i processi di innovazione e di apprendimento necessari
all'adeguamento dell'azienda ai mutamenti delle condizioni di contesto ed ai
cambiamenti dei fattori critici di successo del sistema competitivo.
- Le crisi di tipo economico-finanziario si hanno quando l'impresa manifesta squilibri
nella dimensione reddituale, conseguendo perdite economiche destinate a deteriorare il
valore del capitale aziendale e quando, nella dimensione finanziaria, si manifestano
conseguenze negative sulla solvibilità a breve ed a medio lungo termine. Crisi di
carattere reddituale possono essere dovute a molteplici cause, quali l'eccessiva rigidità
della struttura dei costi, che non consente di assorbire efficientemente flessioni
improvvise del fatturato, ovvero difficoltà a trasferire sui prezzi rialzi non previsti dei
9 Rullani E., La conoscenza e le reti: gli orizzonti competitivi del caso italiano e una riflessione
metodologica sull'economia di impresa, Sinergie, n. 61-62
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