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Introduzione
Secondo gli ultimi studi condotti da alcune agenzie quali Vigeo ed Eurosif si registra
un’esplosione del numero dei fondi socialmente responsabili presenti in circolazione. La loro
offerta rientra in quella logica del mercato che si propone di riconoscere e soddisfare nuove
esigenze degli investitori. Queste sono dettate da una sensibilità crescente nei confronti di tematiche
sociali, ambientali e di governance. I fondi socialmente responsabili sono organizzati internamente
come i fondi comuni ordinari ma ciò che li guida è l’adozione di alcuni principi etici nella scelta dei
titoli sui cui investire. Inseriscono nei loro portafogli solo titoli che rispondono a determinati
requisiti come, solo per dirne alcuni, quelli che sostengono l’uso di fonti energetiche rinnovabili,
che valorizzano il rapporto con gli stakeholder
e che non abbiano a che fare con la produzione e
commercializzazione di armi, con lo sfruttamento dei paesi del sud del mondo e della manodopera
minorile. Tuttavia un dibattito centrale in letteratura riguarda se l’adozione di tali strategie possa
ripagare il fondo in termini di rendimento. Lo scopo in questo lavoro è misurare la relazione tra
performance sociale e finanziaria per quanto riguarda i fondi che praticano l’investimento
socialmente responsabile. Ciò che si va a sostenere è che combinando le moderne teorie di
portafoglio e le teorie degli stakeholder, la perdita finanziaria generata da un fondo socialmente
responsabile con una povera diversificazione è controbilanciata da un’intensificata attività di
screening sociali perché si suppone che le imprese inserite nel portafoglio siano meglio gestite e più
stabili. Per far ciò si procederà nel confronto tra i risultati ottenuti da due campioni di fondi
pressoché simili differenti solo per le strategie utilizzate. Ne risulterà che sebbene gli investitori
stiano recentemente dando maggior valore a questa tipologia di investimenti, e che alcuni criteri
possono contribuire positivamente nella scelta dei titoli, un’adozione di tali criteri troppo severa
possa impattare negativamente sul rendimento dei fondi.
Nel primo capitoli si forniscono gli strumenti basilari per lo studio della finanza etica; nel secondo
si vedrà come i fondi socialmente responsabili sono divenuti sempre più presenti nel mercato; nel
terzo si discuterà la letteratura esistente, ed infine nel quarto si affronterà il lavoro empirico.
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Capitolo 1 Panoramica sulla Finanza Etica
1.1 Cos’ è la Finanza Etica?
Il tema dell’investimento etico non è ancora chiaramente definito, lo dimostrano i numerosi termini
usati per descriverlo e i loro continui mutamenti, basti pensare che dal 2008 la sigla SRI (Socially
and responsible investment) ha assunto un nuovo significato, almeno per alcune analisi, e il termine
socially è diventato sustainable. Quindi la sigla è rimasta la stessa ma sono emerse nuove sfumature
(Cacciamani 2013). Per questo prima di addentrarci nello studio dei FSR
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è necessario fornire un
quadro generale degli strumenti che appartengo a questo ramo della finanza come i rating etici, i
criteri di selezione dei titoli e gli indici di riferimento. Ciascun paese fornisce una propria
definizione di Finanza Etica, per quanto riguarda l’Italia possiamo prendere come punto di
riferimento il “Manifesto della finanza Etica”
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, promosso dall’Associazione Finanza Etica nel 1998
esso si esprime nel seguente modo:
1. “Ritiene che il credito, in tutte le sue forme, sia un diritto umano: non discrimina tra i
destinatari degli impieghi sulla base del sesso, dell’etnia o della religione e neanche sulla base del
patrimonio curando perciò i diritti dei poveri e degli emarginati. Finanzia quindi attività di
promozione umana, sociale ed ambientale, valutando i progetti con il duplice criterio della vitalità
economica e della utilità sociale. Le garanzie sui crediti sono un’altra forma con cui i partner si
assumono la responsabilità dei progetti finanziati. La finanza etica valuta, al pari delle garanzie di
tipo patrimoniale, altrettanto valide quelle forme di garanzie personali, di categoria o di comunità
che consentono l’accesso al credito anche alle fasce più deboli della popolazione.
2. Considera l’efficienza una componente della responsabilità etica: non è una forma di
beneficenza: è un’attività economicamente vitale che intende essere socialmente utile. L’assunzione
di responsabilità, sia nel mettere a disposizione il proprio risparmio, sia nel farne un uso che
consenta di conservarne il valore, è fondamento di una partnership tra soggetti con pari dignità.
3. Non ritiene legittimo l’arricchimento basato sul solo possesso e scambio di denaro: il
tasso di interesse, in questo contesto, è una misura di efficienza nell’utilizzo del risparmio, una
misura dell’impegno a salvaguardare le risorse messe a disposizione dai risparmiatori e a farle
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Nel gergo comune viene usato il termine Fondi Etici, ma il termine corretto è Fondi Socialmente Responsabili, le ragioni verranno
spiegate nel secondo capitolo. Tutta via nella trattazione verranno usati entrambi i termini.
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È un documento proposta durante l’occasione “verso una carta d’intenti per la finanza etica italiana” Firenze 1998. In particolare
Copyleft individua un modello di gestione dei diritti d'autore basato su un sistema di licenze attraverso le quali l'autore (in quanto
detentore originario dei diritti sull'opera) indica ai fruitori dell'opera che essa può essere utilizzata, diffusa e spesso anche modificata
liberamente, pur nel rispetto di alcune condizioni essenziali (wikipedia).
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fruttare in progetto vitali. Di conseguenza il tasso di interesse, il rendimento del risparmio, è
diverso da zero, ma va mantenuto il più basso possibile, sulla base di valutazioni economiche, ma
anche sociali ed etiche.
4. E’ trasparente: l’intermediario finanziario ha il dovere di trattare con riservatezza le
informazioni sui risparmiatori di cui entra in possesso nel corso della sua attività, tuttavia il
rapporto trasparente con il cliente impone la nominatività dei risparmi. I depositanti hanno il
diritto di conoscere i processi di funzionamento dell’istituzione finanziaria e le sue decisioni
d’impiego e di investimento.
5. Prevede la partecipazione alle scelte importanti dell’impresa non solo da parte dei soci,
ma anche dei risparmiatori: le forme possono comprendere sia meccanismi diretti di indicazione
delle preferenze nella destinazione dei fondi, sia meccanismi democratici di partecipazione alle
decisioni. La finanza etica è così portatrice di un messaggio forte e coraggioso di democrazia
economica.
6. Ha come criteri di riferimento per gli impieghi la responsabilità sociale ed ambientale:
individua i campi di impiego, ed eventualmente alcuni campi privilegiati, introducendo
nell’istruttoria economica criteri di riferimento basati sulla promozione dello sviluppo umano e
sulla responsabilità sociale ed ambientale. Esclude per principio rapporti finanziari con quelle
attività economiche che ostacolano lo sviluppo umano e contribuiscono a violare i diritti
fondamentali della persona, come la produzione e il commercio di armi, le produzioni gravemente
lesive della salute e dell’ambiente, le attività che si fondano sullo sfruttamento dei minori o sulla
repressione delle libertà civili.
7. Richiede un’adesione globale e coerente da parte del gestore che ne orienta tutta la
attività: qualora invece l’attività finanziaria eticamente orientata fosse soltanto parziale, è
necessario spiegare, in modo trasparente, le ragioni della limitazione adottata. In ogni caso
l’intermediario si dichiara disposto ad essere monitorato da istituzioni di garanzia dei
risparmiatori.”
1.2 Percorso storico
Nonostante si possa pensare che la diffusione della finanza con risvolti etici sia un fenomeno recente,
le origini sono antiche. Basti pensare alla creazione dei “Monti di Pietà” ad opera dei Francescani del
XV secolo e di alcuni fondi costituiti dai Quaccheri nei XVII che si rifiutarono di trarre profitto dalla
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guerra e dalla vendita di schiavi. Il perseverare di questa tendenza si ritrova più compiutamente
all’inizio del diciannovesimo secolo negli USA, allorché alcune istituzioni religiose iniziarono ad
evitare di investire nei “sin stocks” legati ai settori dell’alcool, del tabacco e del gioco d’azzardo:
questi “titoli del peccato” furono pertanto esclusi dal Pioneer Fund, il primo fondo di investimento
orientato in senso etico, verso il quale la maggior parte dei protestanti statunitensi indirizzò i propri
risparmi. Decisivi per la nascita dei fondi responsabili furono poi gli anni della contestazione, tra il
1960 ed il 1970 numerose comunità religiose ed università americane si rifiutarono infatti di investire
in titoli di aziende coinvolte nella guerra del Vietnam: per la prima volta anche il mondo laico (legato
in questo caso ai movimenti pacifisti) si interessò su come il proprio denaro veniva utilizzato.
Emblematica è la contestazione da parte di 1200 studenti dell’Università di Cornell che rivolsero al
Consiglio di Amministrazione dell’ateneo per rendere pubblica la propria disapprovazione riguardo le
discriminazioni razziali del governo sudafricano; per questo motivo chiesero di eliminare dal
portafoglio finanziario dell’università le aziende che collaboravano con l’Apartheid. Se da un lato vi
fu chi operò una vera e propria demonizzazione del sistema finanziario, visto come estraneo a
qualsiasi principio morale, dall’altro lato vi fu chi comprese che forse era sufficiente migliorarlo
fissando regole nuove. Nel 1966, dopo la pubblicazione di “Unsafe at any Speed” di Ralph Nader, si
diffuse in USA la consapevolezza che il mercato finanziario ignorasse gli interessi dei consumatori al
fine di massimizzare i profitti. Nader ed un gruppo di attivisti, dopo aver dimostrato la scarsa
sicurezza di alcune automobili americane, avanzarono ben nove “resolutions” (ovvero proposte
inoltrate dai portatori di interessi, i cosiddetti stakeholders) alla General Motors durante l’assemblea
annuale del 1970 in merito al rispetto delle minoranze, dei lavoratori e dei consumatori. Così nel
1971 due ministri metodisti capirono che non esisteva in USA nessun fondo di investimento che non
traesse profitto dalla guerra e per questo crearono il Pax World Fund, il primo fondo comune di
investimento socialmente responsabile moderno, poiché i titoli inseriti in portafoglio appartenevano
ad aziende non coinvolte nel commercio delle armi, nella produzione del tabacco, dell’alcol, del
gioco d’azzardo, ma che anzi dimostravano buone relazioni coi dipendenti e rispetto per l’ambiente.
Scopo del fondo era “contribuire alla pace nel mondo attraverso l’investimento in compagnie che
producessero beni e servizi a sostegno della vita”. Successivamente l’OCSE si impegnò per dare
anche una connotazione ufficiale a quelle che erano le responsabilità sociali che le imprese
multinazionali dovevano rispettare. Vennero ufficializzati inoltre i principi di etica aziendale proposti
da Leon Sullivan, un reverendo nominato amministratore delegato di GM (General Motors), il cui
scopo era quello di abolire le discriminazioni raziali sul posto di lavoro, garantire uguali stipendi e un
programma di formazione per i lavoratori di colore. Il Social Investment Fund, uno dei primi club di
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investimento etico, delineò le linee guida del comportamento etico delle aziende, sempre come
testimonianza dell’importanza che stavano acquisendo i principi etici tra le imprese. Agli inizi degli
anni ’70 si sviluppano i fondi etici nei paesi anglosassoni, mentre nell’Europa continentale iniziano a
sorgere le prime banche alternative. La prima ad essere stata fondata in Europa nel 1974 è la
Steineriana GLS-Bank ( Gemeinschaft fuer Leihen und Schenken, comunità per prestare e donare) a
Bochum, Germania. Il suo scopo era di permettere a tutti la realizzazione di progetti di coesione
sociale mettendo insieme molti piccoli contribuiti. Nei primi dépliant si legge “Iniziative promosse
da gruppi di persone e non da interessi anonimi alla ricerca di capitali o del massimo profitto
possibile”. È quindi in quegli anni che comincia ad emergere un nuovo approccio allo SRI che in
seguito i fondi etici faranno proprio: lo shareholder activism, strategia che mira a coinvolgere gli
investitori riguardo i criteri di responsabilità sociale adottati dalle aziende. Nel 1980 venne creato il
primo indice finanziario dalla Boston Bank il quale includeva solo aziende che non facevano affari
con il Sudafrica. In questi anni però si assiste ad una evoluzione dei fondi, essi passano dalla
semplice elencazione di divieti ad una gestione propositiva dei fondi: vengono privilegiate, ad
esempio, quelle imprese che si occupano di riciclaggio delle materie prime e che nella produzione
hanno una forte attenzione verso le problematiche ambientali. Sempre in questo periodo nascono
centri di ricerca e fondazioni come l’Eiris (Ethical Investment Research Service), nata a Londra nel
1983. Da allora si è verificato un costante aumento, a livello mondiale, del numero di società di
consulenza. specializzate nel campo dell’etica. Ciò è indubbiamente indicativo dal crescente interesse
degli investitori per i prodotti socialmente responsabili, il cui settore si presenta oggi in rapida
espansione, benché le risorse investite in strumenti finanziari etici costituiscano ancora una
percentuale minoritaria rispetto a quelle destinate agli strumenti finanziari tradizionali. A partire dal
1999 la società Dow Jones che rileva l’indice azionario di Wall Street, ha realizzato un sotto indice
Dow Jones Sustainability Group Index (DJSGI) che monitora e raggruppa i risultati borsistici di
aziende “sostenibili”. Nel 2001 l’Agenzia Europea di Investimenti Standard Ethics ha introdotto una
nuova metodologia di rating per la valutazione delle cosiddette “Corporate Social Responsability”
che permetteva di individuare società, enti pubblici e organizzazioni attive a livello di responsabilità
sociale e di valutare i modelli di governance. La novità stava nel seguire i principi e le indicazione
delle Nazioni Unite, dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) e
dell’ Unione europea. Se pur con un po’ di ritardo, anche in Italia fecero la loro apparizione i primi
fondi etici, come il “San Paolo salute e ambiente”, il quale investiva circa il 60% del proprio
patrimonio in azioni di società impegnate nel riciclaggio, nella depurazione delle acque, in società
farmaceutiche e per lo sviluppo della ricerca medica. Sempre nell’ambito italiano tra la fine degli