12
Nei regesti mi sono tenuto ad uno stretto ordine cronologico.
Quando mi sia parso necessario per una migliore intelligenza
della materia trattata nelle lettere mi sono valso anche di
deliberazioni assunte dalle magistrature veneziane o di lettere
di istruzione inviate ai pubblici rappresentanti. Questi
documenti non sono raggruppati in speciali sezioni ma sono,
invece, inframmezzati alle lettere.
Ogni capitolo propone, prima dei regesti, una sommaria
presentazione del problema. Per compilare queste piccole
introduzioni mi sono valso di studi recenti, ben noti e di largo
uso. Ciò perché queste introduzioni non hanno altro fine se
non quello di fornire al lettore un primo, elementare
ragguaglio.
Data la natura del lavoro svolto non è parso opportuno un
capitolo di conclusioni.
13
INTRODUZIONE
l’Impero ottomano nel sedicesimo secolo
Bombaci A. ne L’Impero Ottomano descrive così la situazione
di quel popolo: << I lunghi secoli di decentramento e di
decadenza ottomana si possono dividere in due periodi
relativamente distinti: 1) un secolo di instabilità interna, che
ebbe inizio con il regno di Selim II e terminò nel 1683, durante
il quale le difficoltà si moltiplicarono, ma né il popolo
ottomano né le nazioni europee furono sufficientemente consci
della situazione per intervenire, e 2) un secolo di disfacimento
comprendente gran parte del XVIII secolo.
Mentre l’ascesa dell’Impero ottomano era stata materialmente
resa possibile dal governo consecutivo di dieci sultani abili e
forti, la sua rovina si manifestò nel governo di una serie di
incapaci, dei quali non ci fu miglior esempio del primo, Selim
II (1566-1574) chiamato dai turchi “Selim il biondo” (Sari
Selim) e “Selim il beone” (Sarhos Selim), e dall’occidente
“Selim l’ubriacone”, a causa della sua dissolutezza e della sua
inclinazione al bere
2
>>.
Questo Selim riuscì ad emergere in una situazione di
corruzione all’interno del governo ottomano, eliminando
parecchi suoi contendenti e rivali. Si assicurò pure l’appoggio
dei militari, che poi a loro volta si intromisero negli stessi
affari di stato.
2
Bombaci: p.430
14
<<Selim si ritirò tosto per godersi i piaceri dell’harem e lasciò
le redini dello stato in mano a sua madre ed al brillante gran
visir che doveva dominare la vita politica fino a gran parte del
regno seguente, Soqullu Mehmed Pascià (1565-1579)
3
>>.
Soqullu ottenne risultati molto buoni con la mediazione che
aveva con la Francia, e si opponeva ad un gruppo che faceva a
capo alla moglie del Sultano, Safiye Sultan, di origini
veneziane. Sue principali alleate erano la moglie del Sultano
Nur Banu Sultan, madre del principe Murad (futuro Murad
III), ed una ebrea, Dona Gracia.
<<Costei era una ricca banchiera ebrea (…). Dona Gracia si
unì a Nur Banu Sultan nella lotta contro la fazione veneziana,
non solo appoggiando lo sforzo di Soqullu di recuperare
l’amicizia francese, ma anche organizzando una spedizione per
conquistare Cipro, che sotto il governo veneziano era divenuta
una base per i corsari cristiani che depredavano la marina
mercantile musulmana nel Mediterraneo orientale
4
>>.
Così Soqullu riuscì con una flotta guidata da Piyale Pascià a
conquistare Cipro (1571). Seguì quindi la reazione europea
con la Lega Santa tra Spagna, Venezia e papato, che portò alla
vittoria a Lepanto, ma tuttavia la battaglia non risultò decisiva.
<<Durante l’inverno Soqullu potè ricostruire interamente la
flotta, per cui questa riacquistò la supremazia navale nel
Mediterraneo orientale, mentre la flotta della Lega Santa si
ritirò ad ovest.
3
Ibidem: p.431
4
Ibidem: p.432
15
Venezia fu costretta a firmare un trattato di pace col Sultano (7
Marzo 1573) in cui accettava la perdita di Cipro ed anche
l’aumento del tributo annuo che pagava per mantenere
privilegi commerciali col Levante (…).
Selim II morì nel 1574. In ogni caso, il diritto a succedergli al
trono toccò al figlio di Nur Banu, Murad III (1574-1595) che
uccise tutti i suoi cinque fratelli per seder sicuro sul trono al
meno per qualche tempo.
Soqullu potè resistere, ma tutte le fazioni, come pure il
Sultano Mehmed si irritarono per il suo predominio ed alla
fine fu ucciso nel 1579 (…).
Mentre Soqullu Mehmed era ancora vivo gli ottomani
riportarono vari successi diplomatici (…). Il gran visir inviò
quindi una spedizione nel Caucaso che, approfittando della
debolezza persiana e della disgregazione interna seguita alla
morte di Tahmasp (1576), conquistò la Georgia, l’Armenia, il
Dagestan e le coste caspiche del Sirvan, raccogliendo una
immensa quantità di bottino che mise per molti anni il Tesoro
imperiale al riparo dalle conseguenze della decadenza. Si può
anche ipotizzare che alla lunga la conquista del Caucaso
contribuì al declino ottomano, al declino ottomano, perché
dissimulò per qualche tempo le conseguenze finanziarie della
disgregazione interna, incoraggiando gli ottomani ad andare
avanti senza alcun cambiamento, finchè fu realmente troppo
tardi per agire efficacemente
5
>>.
5
Ibidem: p.p. 433, 434
16
Anche Tamborra interviene, ne Gli stati italiani, l’Europa , e il
problema turco dopo Lepanto, affermando che << una crisi
generale, dunque di struttura e di ordinamento, investe
l’Impero ottomano soprattutto a cominciare dalla seconda metà
del XVI secolo e ad essa reca una nota di fondo la stessa
staticità di sviluppi economici: in un breve giro di anni,
accanto a Venezia e Ragusa, mercanti e compagnie mercantili
inglesi, francesi ed olandesi finirono per dominare tutto il
commercio estero dell’impero; questo cominciò a dipendere,
in tutto dall’ occidente e le stesse attività industriali intristirono
per mancanza di iniziativa (…)
6
>>.
6
Tamborra: p. 6
17
Venezia nel XVI° secolo
Un momento importante che visse Venezia nel secolo XVI fu
la battaglia di Lepanto del 1571 e la pace concordata con la
Porta, del 1573.
Romanin spiega in Storia di Venezia, che <<laonde vedendo
la Repubblica che tutt’i suoi sforzi erano inutili, che le potenze
cristiane né facevano né avrebbero fatti i provvedimenti
vigorosi e corrispondenti imprese a suo favore, che era molto
facile che l’anno seguente si perdesse l’isola di Candia dalla
quale aveasi avviso che alcuni casali di Retino per causa delle
tante gravezze avevano trattato di darsi al Turco e già molti
fuggivano, che la Dalmazia era molestata e correva voce di un
adunamento di truppe turche per correre il Friuli, si decise a
maneggiare la pace col Bascià che vi si mostrava molto bene
disposto, assai opportunamente in ciò giovandosi dell’opera di
un Rabi Salomon Askanasi medico, che aveva col gran visir
molto entratura e interponendo anche i suoi uffici
l’ambasciatore di Francia, onde finalmente dopo molte
difficoltà si venne ad accordo il 7 maggio 1573.
Confermaronsi i precedenti trattati
7
>>.
Così fu deciso che il castello di Soppoto doveva essere
restituito agli ottomani, tutti i territori in Albania ed in
Slavonia dovevano essere come nello “status quo ante” della
guerra del 1570-1571. Si doveva riconsegnare ai mercanti ciò
che a loro era stato rubato; Venezia inoltre era obbligata a
pagare alla Porta trecentomila ducati in tre anni. <<Pareva i
7
Romanin: p.p. 236, 237
18
Turchi avessero vinto a Lepanto. Di tale pace - continua
ancora Romanin – levarono grande scalpore i principi
d’Europa, e maggiormente il Papa; lo stesso popolo veneziano
che non conosceva la condizione della cosa pubblica
mostravasene scontento (…)
8
>>.
Romanin nota ancora che << principal cura della Repubblica
dopo la conseguita pace fu quella di rialzare il commercio, la
navigazione, le industria nazionali con premi, incoraggiamenti,
ed ordini (…).
Tuttavia ad onta delle lunghe guerre, della interruzione dei
traffici, delle perdite di territori, tanta era a quei tempi
l’operosità veneziana che le piaghe ben presto si
rimarginarono, e le private e le pubbliche ricchezze si
spiegavano nelle solenni occasioni meravigliosamente.
9
>>
Knapton rileva poi, nella Repubblica di Venezia nell’età
moderna, che << se nello stato da mar del Quattrocento i
problemi di difesa furono inseparabili dallo svolgimento dei
grandi commerci marittimi e dalla quotidiana azione del
governo locale, le vicende del Cinquecento non fecero che
confermare la stretta interdipendenza fra questi tre elementi,
pur accentuando notevolmente l’importanza relativa delle
preoccupazioni militari. Il cambiamento in questo senso
riflette il fondamentale mutamento del quadro politico
mediterraneo dovuto anzitutto all’instaurazione del controllo
ottomano su una fascia costiera che dall’Albania si estendeva
ininterrotta fino alle sponde dell’Africa nord-occidentale.(…)
8
Ibidem: p. 237
9
Ibidem: p238
19
Furono antagonisti territorialmente vicini alle colonie
marittime della Repubblica: i turchi addirittura confinanti con
buona parte dello Stato da Mar, gli spagnoli insediati nel
Regno e quindi di fronte a Corfù e a buona parte dei territori
adriatici della Repubblica.(…)
Tuttavia le guerre combattute da Venezia nell’ambito dello
Stato da Mar fra l’inizio del Cinquecento e i primi decenni del
Seicento furono poche e brevi: contro i turchi nel 1537-1540 e
nel 1570-1573, entrambe le volte in risposta ad aggressioni
subite.
Questa politica di neutralità armata divenne una scelta più
consapevole ed esplicita (…)
10
>>. Aumentarono però le
aggressioni contro la Serenissima da parte di corsari e pirati
(sia musulmani, sia cristiani)
Afferma Giovanni Scarabello, in Guida alla civiltà di Venezia,
che: <<Dopo la parentesi della Lega che aveva portato alla
vittoria di Lepanto, ripresero gli attriti con Roma (…) . Sui
problemi posti dai rapporti con Roma e su altri importanti
problemi si andò creando nell’ambito dell’area del potere
veneziano un raggruppamento di intransigenti che spesso
riusciva ad avere il sopravvento sul tradizionale schieramento
di maggioranza, più prudente, conservatore, moderato. Fu il
cosiddetto gruppo dei “giovani” contrapposto a quello dei
“vecchi”.
10
Knapton: p.p. 326, 327
20
Momento cruciale di crescita politica dei “giovani” furono gli
anni 1582-1583 in cui, ai vertici della struttura istituzionale
della Repubblica arrivò a maturazione la questione già da
tempo trascinata, dei poteri del Consiglio dei X (…). Di fatto i
Dieci erano divenuti una sorta di motore dell’alta politica della
Repubblica. Nei rapporti internazionali, per esempio, negli
ultimi tempi, essi non avevano esitato a prendere
autonomamente importanti iniziative: la pace con i turchi nel
1540 era stata da esso trattata e sottoscritta scavalcando il
Senato e così pure in modo autonomo era stata da essi gestita
la condotta diplomatica dello scontro contro gli ottomani nel
1570 e 1573.
11
>>
Nel 1582 si attuò una correzione nei poteri del Consiglio dei
X, delimitando i suoi poteri in gestione finanziaria e in politica
estera, con preminenza del Senato, mentre gli restava la
giustizia e la sicurezza dello Stato.
Tornando a spiegare chi erano i “vecchi” ed i “giovani”, << la
parte dei “vecchi” raggruppava gli esponenti più radicati
nell’establishment del potere: accomodanti in politica estera
(politica del “raccoglimento”(…).
Venezia stretta tra i domini asburgici di Spagna ed Austria, ed
i buoni rapporti con Roma); inclini, in politica interna, a
considerare il Senato un organo troppo numeroso per
trattarvigli affari d’importanza e quindi inclini ad accettare una
supremazia di organi più ristretti come il Consiglio dei Dieci.
11
Scarabello: pp. 59, 60.
21
La parte dei “giovani”, viceversa raggruppava i patrizi più
disposti a tentare vie politiche aperte e meno collaudate dalla
tradizione: una politica estera non timida nel tentare accordi
con alcune potenze europee, anche protestanti (…); un
atteggiamento nei confronti di Roma di rigorosa salvaguardia
delle prerogative dello Stato nella sfera del “temporale”
12
>>.
12
Ibidem: p. 60