I CAPITOLO
Il consumo di sostanze: diffusione, significati e conseguenze
Indagini storiche ed etnologiche hanno dimostrato che il consumo di sostanze naturali
psicoattive è praticato fin dall'epoca preistorica.
I reperti hanno dimostrato che il genere umano ha da sempre tentato, durante l'evoluzione
dell'umanità, di manipolare la coscienza, di controllare il comportamento e di alterare gli
stati della mente.
La tendenza ad utilizzare sostanze psicoattive, al fine di modificare e controllare gli stati di
coscienza, è definita psicotropismo e si è diffusa nelle epoche e nelle culture con differenti
percorsi e assumendo diversi significati.
Già 6000 anni fa, gli uomini erano soliti mangiare erbe o semi per ottenere stati di
benessere ed euforia, perciò tale consumo non deve essere considerato un fenomeno
sociale patologico in sé o tipico della società moderna (Scarscelli, 2010).
È utile comprendere quali aspetti dei consumi odierni siano il frutto di processi sociali,
culturali o politici delle società contemporanee e quali invece derivino dal passato.
Nel passato, il consumo di sostanze psicoattive era finalizzato a diversi scopi: curare le
malattie, attenuare le preoccupazioni e la tristezza, rompere la quotidianità, affrontare la
natura e le sfide con gli altri.
Oggigiorno, a differenza dei tempi antichi, il consumo di sostanze psicoattive ha perso
ogni valore rituale e sacro.
A differenza del passato, oggidì, la diffusione di queste sostanze è finalizzata al
commercio e agli interessi del mercato. Le sostanze psicoattive vengono assunte in forma
sempre più pura in modo tale che siano così dotate di proprietà psicotrope superiori
rispetto a quelle delle piante psicoattive. Questo ha determinato la diffusione di sostanze
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illecite e la loro conseguente commercializzazione nel mercato nero.
Dalla definizione dell'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) per droga si intende
qualsiasi sostanza naturale o artificiale che introdotta in un organismo vivente è in grado di
alterare il funzionamento della mente e del corpo umano (Scarscelli, 2010).
Il consumo di droghe è illegale ed è un fenomeno sociale che ad oggi coinvolge milioni di
persone: l'Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (OEDT)
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stima che
la cannabis, sia stata utilizzata almeno una volta nella vita da oltre 70 milioni di persone in
Europa, cioè una stima di circa una persona su cinque di età compresa tra i 15 e i 64 anni
(Scarscelli, 2010).
Sono in prevalenza i giovani ad essere più tolleranti verso il consumo di droghe, in
particolare della cannabis (Buzzi, Cavalli, De Lillo, 2007).
L'OMS e il Royal College of Psychiatrists (1986) classificano anche l'alcol tra le droghe.
Tra le sostanze psicoattive l'alcol è infatti quella più diffusa, meglio integrata nel contesto
culturale e sociale e il suo consumo è legale.
È una droga giuridicamente lecita ma è una sostanza molto tossica per la cellula epatica,
ha un potere psicoattivo ed è in grado perciò di modificare il funzionamento del sistema
nervoso centrale. Se assunto a lungo genera crisi di astinenza, in quanto la sua azione sul
sistema nervoso è analoga a quella delle sostanze psicotrope e stupefacenti che
determinano dipendenza.
L'OMS dichiara che in Europa vi sia il più elevato consumo alcolico al mondo. Il consumo
per abitante è il doppio rispetto alla media mondiale.
Alla luce di quanto detto appare interessante analizzare come il consumo di alcol e
sostanze, le motivazioni e i significati che li accompagnano, si siano evoluti nei secoli
fino a giungere ad oggi.
1.1 Le origini e i significati del consumo di alcol: cenni storici
L’etimologia della parola alcol risale agli Arabi e la sua traduzione è “il meglio di una
cosa”.
Le principali bevande alcoliche che si ottengono con il processo di fermentazione sono il
vino e la birra, ma questi non esauriscono il lunghissimo elenco di bevande fermentate.
“Per ottenere una birra rozza basta masticare qualche frutto e poi sputarlo; la
1 http://www.emcdda.europa.eu/publications/edr/trends-developments/2013
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fermentazione naturale della saliva e il vegetale produrranno alcol di bassa gradazione”
(Escohotado, 1997, p.18).
Ogni popolazione nei secoli ha infatti tratto, tramite la fermentazione, da piante erbe e
secrezioni naturali, prodotti alcolici commestibili al punto tale che parte della storia dello
sviluppo dell'uomo è inscindibile da questo processo (Furlan e Picci, 1990).
Si ritiene che le prime bevande alcoliche siano comparse sulla terra più di 20.000 anni fa e
che già ai tempi della preistoria gli uomini avessero conoscenze in merito all’effetto
stupefacente della fermentazione dell’uva e dei cereali.
Sono tanti i secoli di storia che hanno accompagnato la diffusione delle sostanze alcoliche
lasciando tracce nell'arte, nella letteratura e nella cultura con riferimenti religiosi, magici e
sacrali.
Le più antiche tracce di vino sono state rilevate dalla presenza di marcatori biochimici su
un antico recipiente risalente al 5000 a.C. proveniente da un sito iraniano.
Le prime testimonianze sulla birra invece risalgono al 3700 a.C, tavolette di argilla
dell'epoca predinastica sumera illustranti la ricetta per la produzione della birra,
attribuiscono alla regione mesopotamica l'origine stessa della bevanda.
Successivamente, già nell'antico Egitto intorno al 3000 a.C. si fabbricava e beveva birra e
grazie al Codice di Hammurabi risalente agli anni del 1800 a.C. è possibile ricavare le
prime testimonianze in merito alle norme per la regolamentazione del commercio del vino.
Il vino infatti appare chiaramente nei pittogrammi egizi già nel 4.000 a.C. .
Documenti storici del tempo rivelano la diffusione del vino come pratica medica per le
sue proprietà antisettiche e della birra per il suo potere nutritivo.
Tra i fattori scatenanti che hanno determinato la grande diffusione del consumo di bevande
alcoliche già in tempi antichi, vi era il timore legato alla nocività dell'acqua, a quei tempi
veicolo di diffusione di malattie in quanto non potabile.
Per tale motivo il consumo di acqua era assai ridotto e le bevande alcoliche quali vino e
birra ne rappresentavano un sostitutivo con finalità dissetante e dal potere nutritivo.
Dalla Mesopotamia il consumo di vino raggiunse la civiltà Greca dove si perfezionarono
le tecniche relative alla coltivazione e alla produzione del vino e dove si diffuse il concetto
di bere positivo.
Il bere vino diventò sinonimo di civiltà ed elemento essenziale di eventi sociali collettivi
come il Sinopsio. Per i greci inoltre il vino assunse significati religiosi, essi infatti erano
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soliti a offrire tributi a Dioniso, Dio del vino.
Anche nella religione cristiana il vino assunse significati importanti, riferimenti ad esso
sono presenti in ben sei libri nell'Antico Testamento, “Che un uomo mangi, beva e goda
del suo lavoro è un dono di Dio” (Da Ecclesiaste 3, 13). Anche nel Vangelo la bevanda
assume un significato sacro grazie alla sua identificazione con il sangue di Cristo.
Se nei testi sacri il consumo è considerato un comportamento lecito e incoraggiato, lo stato
di ubriachezza è unanimemente rifiutato. “Il vino è beffardo, il liquore tumultuoso, chi vi
indulge non è saggio”( da Proverbi 20,1).
Il territorio italiano si dimostrò adattissimo alla coltivazione della vite e la diffusione del
vino avvenne intorno al primo millennio a.C. per opera dei Fenici e degli Etruschi.
La letteratura di quell'epoca è ricca di cenni alla vite, al vino e all'ebrezza.
Successivamente i romani appresero le tecniche di coltivazione del vino dagli Etruschi e a
differenza dei Greci identificarono il vino come vera e propria bevanda legata ai pasti.
Nei primi secoli, a causa della scarsa produzione, il consumo del vino era limitato
esclusivamente ai ceti aristocratici, ma a partire dai primi secoli dopo Cristo il consumo di
vino aumentò e si diffuse in tutti i ceti sociali.
Nel Medioevo con la caduta dell'impero romano la produzione del vino diminuì, non vi
sono infatti molte testimonianze in merito al suo consumo o a quello di altri alcolici.
A partire dal XII secolo si diffuse nuovamente la produzione di vino in Europa,
specialmente in Francia dove divenne principale prodotto da esportazione. Il possesso
della vite divenne fonte e segno di ricchezza.
Con il Rinascimento una maggiore diffusione di ricchezza permise e favorì il consumo di
bevande alcoliche nella popolazione, il vino diventò simbolo di amicizia, amore e gioia di
vivere.
Nel corso degli anni, inizialmente in Francia e in Olanda, per poi espandersi in tutto il
mondo, fecero la loro comparsa anche i liquori.
L'alcol distillato dal vino, inizialmente fu utilizzato con fini medici e terapeutici, ma
successivamente il suo consumo si diffuse.
Intorno al XVIII secolo iniziò a diffondersi il timore che il bere eccessivo arrecasse
pericolo, ma fu solo nel secolo successivo che vennero presi provvedimenti a riguardo.
Fu nel XIX secolo che la scienza iniziò ad interessarsi ai danni provocati dal consumo di
alcol, focalizzandosi sugli effetti fisici, comportamentali e sociali che il bere smodato
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potesse provocare.
Fu Trotter nel 1804 in un suo libro, il primo a considerare i bevitori smodati delle persone
malate, il cui vizio correva il rischio di determinare loro un'alterazione dell'equilibrio
psicofisico.
In quegli anni in Inghilterra vi furono diversi studi sull'abuso di sostanze alcoliche tanto da
promuovere una riduzione delle vendite di birra e gin.
Iniziò così a diffondersi una concezione di alcolismo come fattore problematico e di
rischio.
Fu Magnus Huss, professore di Medicina Interna dell'Università di Stoccolma, nel 1849, a
definire per la prima volta il concetto di alcolismo intendendolo come intossicazione e
definendolo una malattia ( Pergamo, Drogo, 2002).
Durante la prima metà del XX secolo, guerre e conflitti politici, determinarono un crollo
nella produzione del vino. Ma i progressi tecnici nella viticoltura della seconda metà del
XX secolo determinarono una diffusione crescente di questa attività in tutto il mondo.
Sulla base di quanto esplicitato in questo excursus temporale, a seconda dei vari periodi
storici e dei contesti culturali, è stato possibile osservare come il consumo alcolico abbia
assunto nei secoli funzioni e significati differenti.
1.2 Valore, funzione e significato del consumo di alcol nella società odierna
Ad oggi, in Italia ed in Europa, la cultura del bere sta subendo notevoli cambiamenti.
Nel contesto contemporaneo il consumo di alcol è definito un fattore sociale totale molto
complesso e difficile da inserire all'interno di letture monodisciplinari.
Il consumo alcolico viene quindi analizzato all'interno di un'ottica della complessità,
concetto definito per la prima volta da Edgar Morin nel 1987.
Utilizzare l'ottica della complessità per osservare il fenomeno del consumo di alcolici in
analogia al sociale, richiede di osservare i comportamenti tenendo presente che essi sono
collocati all'intersezione tra atti individuali e sociali e che per questo ci dicono qualcosa sia
sul fenomeno in sé, sia sul contesto in cui si verifica.
Pertanto i comportamenti di uso e abuso di alcol non possono prescindere dalla
legittimazione sociale di cui godono e dal radicamento che essi hanno nella cultura.
Le modalità con cui infatti ci si rapporta alle bevande alcoliche nelle diverse realtà
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nazionali varia in relazione al contesto storico, culturale, sociale ed economico delle
singole comunità.
Il posto occupato dall'alcol nell'odierna società Europea è ricco di contrasti; in alcuni paesi
è soggetto a forti restrizioni, in altri invece il consumo responsabile di vino, birra o
superalcolici costituisce parte di un sano stile di vita e della dieta quotidiana di molte
persone.
Lo studio del ruolo dell'alcol nei vari contesti sociali ha condotto ad una articolazione
delle culture lungo un continuum. Sono stati individuati quattro modelli culturali
(Cattarinussi 1992).
• Le culture astinenti: tipica dei paesi musulmani di religione induista.
Cultura caratterizzata dalla proibizione assoluta per motivi religiosi o tradizionali.
L'astinenza è un valore morale e non rispettarla è un'infrazione grave. L'alcolismo
è un fenomeno piuttosto raro, anche se può emergere sotto forma clandestina a fini
di ribellione.
• Le culture ambivalenti: tipico modello statunitense.
Modello culturale caratterizzato da atteggiamenti contraddittori, dal contrasto tra la
netta valorizzazione e la rigida disapprovazione del bere. La bevanda alcolica viene
prodotta e venduta, ma nascosta, quasi a rappresentare una fonte di vergogna ed
uno strumento di colpevolizzazione.
• Le culture permissive: tipica cultura italiana, portoghese, spagnola ed ebraica.
Questo modello culturale presenta norme volte a regolamentare l'uso di alcol.
Tale consumo è diffuso in particolare durante le feste, le cerimonie, i pasti, ma
comunque con attenzione e limitazione delle quantità.
Da un lato vi è un atteggiamento favorevole nei confronti di un consumo
regolarizzato e ritualizzato, dall'altro lato emerge una certa intolleranza nei
confronti dell'ubriachezza e del bere smodato.
• Le culture ultrapermissive: tipica di Paesi del Nord Europa.
Si tratta di un modello culturale caratterizzato da un atteggiamento favorevole nei
confronti del bere sia moderato, che smodato. Caratterizzato dalla tolleranza nei
confronti di coloro che raggiungono gli eccessi e si ubriacano in pubblico, a patto
che non si presentino comportamenti violenti.
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