3
Introduzione
La presente ricerca si inserisce nell’ambito dell’acquisizione dell’italiano come
lingua seconda da parte di sinofoni proponendo un’analisi dell’interlingua come
emerge dalla produzione scritta in un contesto formale (esami di certificazione
dell’italiano).
L’italiano L2 di cinesi è stato oggetto di ricerca di alcuni progetti universitari che
hanno trattato soprattutto l’acquisizione dei mezzi morfologici e discorsivi per
l’espressione della temporalità. Il presente studio, invece, intende indagare
l’espressione dei tratti morfologici e della morfosintassi per le categorie verbo e
nome.
Oggetto di analisi di questa ricerca sono state le prove di produzione scritta di 61
apprendenti sinofoni reperite presso la Società Dante Alighieri di Roma che rilascia
il certificato PLIDA, un diploma che attesta la competenza in italiano secondo una
scala di sei livelli elaborati in riferimento a quelli definiti dal Consiglio d’Europa nel
Quadro comune europeo di riferimento (QCER) per le lingue
1
. Il certificato dà la
possibilità agli studenti stranieri di dimostrare la propria competenza in italiano per
l’eventuale iscrizione all’università senza sostenere l’esame in lingua e di ottenere il
permesso di lungo soggiorno.
Le prove sono suddivise in livelli in base al riferimento del QCER e quindi in
italiano elementare (PLIDA A1 e A2: rispettivamente, livello di contatto e di
sopravvivenza), intermedio (PLIDA B1 e B2: livello soglia e livello progresso) e
avanzato (PLIDA C1 e C2: livello dell’efficacia e livello di padronanza)
2
.
La costruzione delle prove si fonda su principi comunicativi legati ad attività pratiche
della vita quotidiana reale che richiedono l’impiego delle quattro abilità linguistiche
di base: ascoltare, leggere, parlare, scrivere, in modo da suddividere l’esame in
quattro prove. Per ciascuna prova sono previsti due testi (tre in alcune prove
dell’ultimo livello)
3
.
Nello specifico della nostra analisi, si tratta in particolare di 19 prove di
certificazione di livello A2, 30 di B1 e 12 di B2.
I 61 apprendenti hanno sostenuto la prova di certificazione in Italia e sono, dunque,
tutti immersi in una situazione di acquisizione spontanea, a contatto con nativi, ma
non sappiamo se e quanti abbiano preso parte a corsi o lezioni di italiano, seguendo,
così, anche un contesto formale di apprendimento guidato. Non si hanno, inoltre,
conoscenze circa le caratteristiche sociolinguistiche degli informanti.
Le 61 prove analizzate provengono da diversi centri certificatori italiani e
appartengono a sessioni d’esame che vanno da novembre 2012 a maggio 2013
4
.
1
Cfr. Società Dante Alighieri. Chi siamo. http://ladante.it/it/chi-siamo (data di consultazione:
10/01/2015).
2
Cfr. Società Dante Alighieri (2009). La certificazione Plida. http://www.dantealighieri-
roma.it/plida.htm (data di consultazione: 10/01/2015).
3
Per una descrizione dettagliata della struttura di ciascuna prova, i contenuti e le difficoltà relative a
ciascun livello, cfr. Patota, G. e L. Pizzoli a cura di (2004). Plida. Progetto lingua italiana Dante
Alighieri Roma. Il Sillabo della Società Dante Alighieri Roma.
http://plida.it/plida/images/stories/documenti/sillabo.pdf (data di consultazione: 10/01/2015).
4
Nel dettaglio, per il livello A2: Bussolengo (1), Milano (1), Napoli (4), Prato (9), Roma (3), Vicenza
(1); per il livello B1: Bari (1), Bolzano (1), Gorizia (1), Milano (19), Rovigo (4), Venezia (4); per il
livello B2: Milano (2), Roma (5), Sesto San Giovanni (1), Venezia (1), per la sessione di aprile 2013;
Prato (2) e Roma (1), per la sessione di novembre 2012.
4
In particolare, per i livelli A2 e B1 sono state scelte prove della sessione di maggio
2013, mentre per le 12 prove di livello B2, 9 sono state sostenute nella sessione di
aprile 2013 e le restanti 3 a dicembre del 2012. Ciascuna prova di produzione scritta
comprende due esercizi. Entrambi prevedono che l’apprendente, a seguito di una
specifica domanda, componga liberamente un testo producendo un numero
prestabilito di parole. Solo nel caso del livello A2 la seconda parte della prova
prevede che gli apprendenti rispondano a una serie di domande, limitando, in questo
modo, la libertà produttiva del soggetto, il quale è tenuto ad attenersi alle linee guida
presenti nella traccia. La composizione, in questo caso, non sarà più libera ma
guidata.
Per quanto riguarda la strutturazione della tesi, dopo aver trattato, nel primo capitolo,
alcuni dei più importanti fattori linguistici ed extralinguistici che condizionano a vari
livelli il processo di acquisizione di una seconda lingua, con riferimento particolare
all’acquisizione dell’italiano, si passano in rassegna le principali caratteristiche
tipologiche della lingua cinese, presentate in prospettiva contrastiva nel secondo
capitolo, dando particolare rilievo ai livelli morfologico e morfosintattico, proprio
perché trattasi dei livelli presi in considerazione nell’analisi. Si presenta, inoltre, un
quadro dettagliato delle principali ricerche nell’ambito di acquisizione dell’italiano
L2 da parte di sinofoni condotte da vari autori, dai risultati del Progetto di Pavia, alle
ricerche, tra gli altri, di Emanuele Banfi, Marina Chini e Ada Valentini. I capitoli
terzo e quarto sono dedicati alla presentazione dei risultati, suddivisi in base alle due
categorie oggetto di analisi, quella di nome e di verbo.
Per ciascuna prova prodotta da ogni informante è stata elaborata una griglia di analisi
in cui sono contenuti i diversi tratti relativi a morfologia e morfosintassi del nome e
del verbo da monitorare e misurare quantitativamente.
Per ogni tipologia è stato riportato il numero di occorrenze considerando i tratti
grammaticali di nome e verbo (accordo di genere e numero per i sintagmi nominali;
numero, persona, tempo, aspetto per il verbo). È stata poi calcolata la percentuale di
occorrenze che rispecchiavano la struttura della lingua target per ciascuna categoria.
Le griglie di analisi così strutturate sono numerate in base al livello (A2, B1, B2) e il
numero del parlante di riferimento. Si avranno, quindi, riferimenti al parlante A2-1,
B1-2, B2-3 e così via. Le griglie degli informanti di livello A2 sono ripetute due
volte per ciascun apprendente, data la differenza della tipologia dei due testi per ogni
prova, uno libero e uno guidato. Per gli altri due livelli le griglie sono state compilate
sommando le occorrenze presenti nei due testi di ciascuna prova, entrambi di
produzione libera.
I fattori che influiscono nella produzione dell’interlingua da parte di apprendenti di
L2 sono diversi, come sono diverse le cause riconducibili agli errori. L’ipotesi
dell’analisi contrastiva e quindi il confronto tra L1 e L2, veniva considerata come
strumento per interpretare i fenomeni riguardanti l’acquisizione linguistica
5
. In
seguito, il metodo dell’analisi dell’errore ha permesso di dimostrare che la L1 ha un
5
L’ipotesi dell’analisi contrastiva (Contrastive Analysis Hypothesis – CAH) fu formulata da Robert
Lado nel 1957. L’autore sosteneva che gli elementi simili alla L2 presenti nella lingua madre
dell’apprendente sarebbero stati di più facile acquisizione e, al contrario, gli elementi diversi e non
presenti nella lingua madre avrebbero previsto una più lenta e difficile acquisizione. In questo modo,
tutti gli errori commessi in L2 erano giustificati facendo riferimento all’interferenza della lingua
madre.
5
impatto meno decisivo su L2 di quanto non si credesse: esistono altri fattori che sono
coinvolti nel processo, simili a quelli che si creano durante l’apprendimento di L1. Si
tratta di processi cognitivo-mentali e di meccanismi innati e universali
6
.
Secondo il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue (QCER) del
Consiglio d’Europa, l’errore si distingue dallo “sbaglio” in quanto, mentre
quest’ultimo si verifica quando un apprendente non riesce ad attivare le proprie
competenze in maniera adeguata (può succedere anche a un parlante nativo), l’errore
è dovuto al grado di interlingua raggiunto e quindi ad una incompleta competenza
nella lingua target. Gli errori che è possibile riscontrare nell’interlingua sono di varia
tipologia: errori di omissione, accordo, collocazione errata degli elementi,
sostituzione di alcune componenti con altre o inserimento di elementi non previsti
dalla lingua target, errori che tendenzialmente, come è stato affermato in precedenza,
possono essere causati dal transfer, e quindi interferenza della L1, o da fenomeni di
semplificazione
7
.
La distinzione tra le due motivazioni che portano a strutture errate in L2 non è
sempre di facile interpretazione. Nel caso di apprendenti sinofoni, in particolare,
alcuni errori che potrebbero ricondursi a fenomeni di semplificazione (omissione di
articoli, preposizioni o riduzione paradigmatica dei verbi), potrebbero anche essere
dettati dall’interferenza del cinese, lingua isolante e priva di alcune categorie presenti
nel sistema linguistico italiano.
6
Cfr. Bulfoni e Pozzi, 2014.
7
Si spiega un errore attraverso la semplificazione quando si suppone che una struttura errata prodotta
non sia altro che una forma semplificata di una struttura presente nella lingua d’arrivo.
6
Capitolo 1
L’acquisizione di una lingua seconda, il caso dell’italiano L2
Per acquisizione di una lingua seconda (L2) si intende il processo di apprendimento
di una lingua non materna, appresa, cioè, successivamente alla prima lingua o lingua
materna (L1). Il termine SLA – second language acquisition – fa riferimento
unicamente all’acquisizione della seconda lingua in un contesto in cui la lingua
straniera sia utilizzata come mezzo di comunicazione nel paese dove avviene
l’apprendimento. Si parla di apprendimento di lingua straniera (foreign language
learning), invece, se quest’ultima è appresa nel paese d’origine dell’apprendente,
generalmente in contesto formale.
L’opposizione tra lingua seconda e lingua prima, o materna, riguarda principalmente
l’aspetto della temporalità: la L2 è appresa dopo la L1. Tuttavia, l’espressione
seconda lingua può essere utilizzata più genericamente in opposizione a prima lingua
per indicare qualsiasi lingua non appresa come lingua madre, indipendentemente
dalla modalità e dal contesto. La lingua materna può favorire o ostacolare la seconda
lingua che può anche non arrivare a raggiungere livelli di competenza paragonabili a
quelli dei nativi in L1 e vedere la presenza di errori, imperfezioni e interferenze. La
lingua materna acquisita durante l’infanzia in ambiente familiare assume
un’importanza diversa rispetto alla L2, sia a livello cognitivo, sia a livello sociale.
L’acquisizione è stata designata in base al contesto di applicazione e in particolare si
parla di acquisizione spontanea di L2 in contesto naturale se il soggetto apprende la
L2 nell’ambiente in cui vive interagendo quotidianamente con i nativi
1
.
Si parla di apprendimento guidato nel caso in cui questo avvenga per mezzo di un
percorso strutturato e della mediazione di un insegnante. La dicotomia “spontaneo
vs. guidato” si basa su condizioni esterne all’apprendente, mentre la dicotomia
“acquisizione vs. apprendimento” fa capo a condizioni interne, relative al suo grado
di focalizzazione sul compito acquisizionale.
2
Ad ogni modo, la principale differenza
fra L2 e LS si riduce alle modalità di ricezione dell’input linguistico cui
l’apprendente è esposto, generalmente più abbondante e diversificato in L2, oltre al
fatto che LS è appresa tramite sequenze programmate di insegnamento. Inoltre, per
L2 entrano più fortemente in campo fattori culturali e di integrazione sociale rispetto
a LS: imparare L2 in un contesto in cui è abitualmente mezzo di comunicazione, non
vuol dire solo apprendere un codice linguistico nuovo, ma anche accedere a una
nuova cultura, a nuove reti comunicative e sociali.
A livello terminologico va fatta una distinzione tra seconda lingua e lingua target, le
quali talvolta sono usate sinonimicamente, o meglio, con L2 si intende (anche) la
lingua target. In senso proprio però, “con L2 va intesa la lingua imparata
dall’apprendente, caratterizzata spesso da strutture, fenomeni più o meno transistori,
mentre con la lingua target si intende il sistema linguistico verso cui la L2 va
evolvendo, il suo ideale punto d’arrivo” (Chini, 2005: 13).
1
Si può esemplificare facendo riferimento al caso di immigrati che interagiscono con la comunità
risiedente nel paese di arrivo ricevendo diverse fonti di input.
2
Cfr. Chini, 2005.
7
1.1 I principali modelli sull’acquisizione di L2
La nozione di interlingua cerca di dar conto del fatto che le produzioni di un apprendente non
costituiscono un’accozzaglia di frasi più o meno devianti, più o meno costellate di errori, ma un
sistema governato da regole ben precise, anche se tali regole corrispondono solo in parte a quelle
della lingua in arrivo. (…) Le ricerche sulla varietà iniziale mostrano quindi come l’acquisizione
di una seconda lingua sia un processo ricostruttivo caratterizzato dalle ipotesi dell’apprendente,
che cerca attivamente di produrre regole sempre più efficaci comunicativamente e che sempre più
si avvicinano alle norme della lingua di arrivo.
(Pallotti, 1998: 21 e 43)
Prima di riflettere sull’acquisizione di L2 e i principali modelli e principi che ne
regolano il funzionamento si deve partire dal concetto di interlingua proposto per la
prima volta da Selinker nel 1972 per designare un sistema linguistico a sé stante che
risulta nel tentativo di produzione da parte dell’apprendente di una norma della LO
(lingua obiettivo o target)
3
. Nel momento in cui l’acquisizione di L2 si arresta a uno
stadio precedente lo stadio finale e si stabilizzano certe forme linguistiche si può
parlare di fossilizzazione (Cfr. Gass, 2009).
Non esiste, attualmente, una teoria unitaria che spieghi l’acquisizione di una seconda
lingua, ma sono stati sviluppati diversi modelli. Qui saranno trattati brevemente i
modelli innatisti, i modelli cognitivi, cognitivo-funzionali, i modelli ambientalisti e i
modelli integrati.
Secondo i modelli innatisti è grazie alla facoltà di linguaggio dell’essere umano che è
possibile apprendere la lingua materna nella primissima infanzia e le altre lingue in
seguito a una sua riattivazione. Una vasta parte di questi modelli fa capo
all’approccio chomskyano sulla grammatica generativa, che fa ricorso alla nozione di
Grammatica Universale (GU) innata che guida l’apprendente attraverso principi e
regole innati
4
.
I modelli cognitivi e cognitivo-funzionali si occupano principalmente dei
meccanismi mentali che determinano l’acquisizione di L2, dal momento in cui
l’apprendente è sottoposto all’input fino all’output. Alcuni modelli trattano
l’acquisizione linguistica in riferimento alle modalità di trattamento
dell’informazione, come il modello di McLaughlin del 1987, detto dell’information
processing che descrive l’apprendimento come il passaggio da processi controllati e
lenti verso processi automatici e rapidi
5
. Ancora, tra i modelli cognitivo-funzionali
figura il cosiddetto Competition model di Brian MacWhinney del 1989, secondo il
quale sarebbe attraverso l’individuazione di indizi che l’apprendente riesce a cogliere
l’input e produrre strutture e significati nella lingua di arrivo. A differenza dei
modelli innatisti, modelli cognitivo-funzionali come quelli descritti riguardano più
l’elaborazione che la competenza in L2.
I modelli ambientalisti danno una particolare importanza al contesto socioculturale e
sociolinguistico in cui avviene l’acquisizione.
Un noto modello ambientalista è il modello dell’acculturazione e della pidginizzazione di
Shumann (1978), secondo cui l’acquisizione di L2 non sarebbe altro che un aspetto
dell’adeguamento dell’apprendente alla cultura legata a L2, e risentirebbe di vari fattori, in
particolare della distanza sociale e psicologica percepita dall’apprendente fra il gruppo che parla
3
Cfr. Selinker, 1972.
4
Cfr. Chomsky, 1993.
5
Cfr. Višnja Pavičić Takač, 2008.
8
L1 e i parlanti L2: maggiore è la distanza, minore è l’acculturazione e più carente
l’apprendimento.
(Chini, 2005: 43)
Su questa scia, altri modelli intendono l’apprendimento come un fenomeno
dipendente dall’interazione sociale e dal dialogo
6
. Altri modelli ambientalisti si
concentrano sul ruolo assunto dall’input in L2. Secondo l’ipotesi interazionista di
Long grande importanza assumerebbero le modalità dell’interazione e la qualità
linguistica dell’input, insieme alle modifiche della struttura conversazionale tra
nativo e non nativo (ripetizioni, domande sull’input, negoziazione del significato)
7
.
I modelli integrati tengono conto dell’interazione tra fattori di diversa natura (input,
fattori ambientali e fattori innati) per spiegare l’apprendimento. Il modello integrato
di Gass (1997) è esemplificativo di questa teoria in quanto tiene conto di diversi
fattori e suddivide quattro diversi momenti nell’elaborazione dell’interlingua:
1. Fase della percezione dell’input in cui agiscono soprattutto fattori di tipo
personale, psicologico e ambientale tra cui la personalità dell’apprendente, le
conoscenze pregresse, l’attenzione e forma e frequenza dell’input.
2. Fase di comprensione dell’input in cui agiscono conoscenze linguistiche
specifiche innate, precedenti e in fase di sviluppo.
3. Nella fase di accettazione dell’input (che diventa intake) si utilizzano
meccanismi cognitivi e linguistici per produrre, testare e modificare ipotesi
sulla L2.
4. Fase di integrazione dell’intake in cui agiscono principi che governano i
sistemi linguistici e le conoscenze dell’apprendente
8
.
1.2 Fattori linguistici
Come si è visto, l’acquisizione di una seconda lingua è determinata e dipende da
diversi fattori. I fattori linguistici che incidono sull’apprendimento dipendono dalle
caratteristiche delle lingue di arrivo e partenza. Saranno di seguito trattati i fattori
universali, che incidono in modo analogo su tutti gli apprendenti e i fattori linguistici
più specifici.
1.2.1 Concetto di somiglianza e transfer
A partire dagli anni quaranta comincia a svilupparsi il filone di ricerca di stampo
comportamentista dell’analisi contrastiva (Contrastive Analysis Hypothesis),
secondo cui i sistemi linguistici di arrivo e partenza degli apprendenti venivano
messi a confronto e in base ai risultati di tale confronto venivano fatte previsioni
sulle aree in cui gli apprendenti avrebbero avuto maggiori difficoltà. L’ipotesi
dell’analisi contrastiva mirava a giustificare tutti gli errori commessi dagli
apprendenti attraverso il confronto tra la loro lingua madre e la seconda lingua. La
nozione di transfer nasce da questo concetto
9
. Nello studio dell’apprendimento di L2
il termine transfer è usato per descrivere il processo per il quale un elemento o una
6
Cfr. la activity theory di Leont’ev in Mitchell e Myles, 2014.
7
Cfr. Long, 1983.
8
Cfr. Arcodia e Strik Lievers, A.A. 2010/2011.
9
Cfr. Gluth, 2013.
9
regola della lingua madre dell’apprendente sono trasferiti nella grammatica della sua
interlingua. Possono presentarsi transfer a tutti i livelli linguistici: fonologia,
morfologia, sintassi, semantica e lessico. In particolare, in base al rapporto tra gli
elementi della L1 e i corrispettivi elementi in L2, si parla di transfer negativo quando
le differenze tra i due fenomeni danno come risultato un errore nella produzione
dell’interlingua; un transfer positivo, invece, si avrà quando i due fenomeni sono
talmente simili che si otterrà una produzione corretta nell’interlingua
10
.
1.2.2 Universali linguistici e marcatezza
Con lo studio di acquisizione di differenti L2 e di sequenze acquisizionali analoghe
in diversi settori e principi organizzativi delle varietà di apprendimento
sostanzialmente identici si è consolidato il nesso tra la linguistica acquisizionale e la
teoria degli universali linguistici
11
. Per universali linguistici s’intende l’insieme di
proprietà generalmente condivise dalle lingue. Il ruolo degli universali linguistici
nell’acquisizione di L2 fa capo a due principi: uno si rifà alla Grammatica Universale
di Chomsky
12
e l’altro fa riferimento alla ricerca sugli universali tipologici,
cominciata da Greenberg negli anni sessanta
13
.
Strettamente legato alla teoria degli universali linguistici troviamo il concetto di
marcatezza, inteso diversamente nei due ambiti, generativo e tipologico. La teoria
generativa considera la marcatezza una funzione della grammatica centrale (core
grammar): ciò che non è marcato fa parte di essa ed è per questo innato, mentre ciò
che è marcato appartiene alle regole periferiche della grammatica. Le regole marcate
si apprenderebbero solo sulla base di evidenze positive presenti nell’input, mentre
per acquisire quelle non marcate basterebbe un’esposizione minima.
Nell’ambito degli universali tipologici di Greenberg, questi sono generalizzazioni
induttive relative ai diversi livelli linguistici, formulate a partire da campioni di
lingue. In generale, possiamo parlare di marcatezza in termini di complessità,
frequenza d’uso o deviazione da una forma che è considerata canonica in una data
lingua. La definizione più stretta è basata su un sistema di gerarchie implicazionali:
un elemento x è più marcato di un elemento y se la presenza di x implica la presenza
di y ma non viceversa.
Secondo una definizione meno stretta la marcatezza si basa sulla frequenza statistica
dei segmenti. A questa nozione si associa anche quella di naturalezza, secondo cui
marcato significa innaturale e meno probabile
14
. Il concetto di marcatezza può anche
essere interpretato in termini tipologici: la ricerca su L2 spesso conferma le
implicazioni, riscontrando che i tratti marcati sono appresi più tardi dei meno
marcati, oltre ad essere più frequentemente fonte di errori.
10
Cfr. Liu, 2001.
11
Cfr. Gilardoni, 2014.
12
Secondo questo modello le interlingue e le lingue naturali sarebbero il risultato di grammatiche
generative influenzate dalle regole di GU e nonostante l’apprendente ricrei la sua grammatica ogni
qualvolta si approccia a una nuova lingua, questi, per farlo, si baserebbe sugli universali linguistici.
13
J. H. Greenberg, dell’università di Stanford, impostò un vasto progetto di ricerca in cui si
confrontavano trenta lingue del mondo, prive di relazioni genetiche, il che permetteva di escludere che
le proprietà comuni si fossero diffuse per contatto tra comunità diverse di parlanti. L’indagine rivelò
una serie di proprietà comuni (per i risultati della ricerca cfr. Universals of human language, 1978).
14
Cfr. Major, 2001.
10
1.2.3 Le caratteristiche del sistema di arrivo
Oltre alla marcatezza e agli universali linguistici, sull’acquisizione di L2 incidono
anche le caratteristiche del sistema della L2 stessa. Per alcuni parlanti un determinato
tratto linguistico può risultare più difficile da acquisire in quanto marcato o
marginale, mentre per altri lo stesso tratto può non essere marcato e risultare quindi
di più facile acquisizione. È probabile che le strutture meno marcate siano anche le
più frequenti nell’input e per questo vengano apprese più velocemente; strutture
marcate, ma frequenti, possono essere apprese con minore difficoltà o lentezza di
quanto farebbe prevedere la loro marcatezza: per queste ragioni si prevede una
relazione fra marcatezza interna al sistema, frequenza nell’input in L2 e
apprendimento di certe strutture
15
. Sulla velocità e facilità di strutture marcate incide
spesso anche il tipo di input ricevuto. Un input formale e scritto facilita il compito
dell’apprendente rispetto a strutture marcate; un input molto semplificato potrà
produrre strutture semplificate. L’ipotesi dell’analisi contrastiva prevedeva che la
lingua madre influisse sul sistema di L2 in formazione con la produzione di errori,
transfer o interferenza, fatti risalire esclusivamente alla L1
16
.
In seguito, il ruolo della prima lingua venne ridimensionato riportando molti esiti
delle interlingue a fattori innati e universali.
1.3 Fattori extralinguistici
Tra i fattori extralinguistici che incidono maggiormente sull’acquisizione di L2
troviamo in particolare l’età dell’apprendente, l’ansia, la motivazione. Tali fattori
sono considerati la causa principale che della velocità o meno dell’apprendimento e
il suo esito finale, più o meno vicino al modello nativo. Si tratta di variabili che sono
difficilmente quantificabili, in quanto spesso legate al carattere e al comportamento
psicologico dell’individuo. È possibile suddividere i fattori extralinguistici legati
all’apprendimento in due macro categorie: fattori individuali e fattori
sociocontestuali.
1.3.1 I fattori individuali
Tra i fattori individuali figurano soprattutto età, attitudini, motivazione e stili
cognitivi. Si tratta di caratteristiche biologiche, cognitive o affettive legate alla
personalità dell’apprendente e al suo modo di approcciarsi all’apprendimento di L2.
Per quanto riguarda l’età dell’apprendente, si individua l’esistenza di un periodo
critico nello sviluppo cognitivo dell’essere umano, superato il quale non sarebbe più
possibile raggiungere un livello di competenza nativo nella lingua straniera che si sta
apprendendo. Per questo motivo, i bambini sarebbero naturalmente più predisposti
all’apprendimento di una lingua straniera rispetto agli adulti
17
. L’ipotesi avanzata da
Lenneberg afferma che esiste un periodo nella crescita del bambino, collocabile
prima della pubertà, in cui l’apprendimento linguistico ha luogo in modo spontaneo,
senza alcuno sforzo cognitivo, e che dopo tale periodo lo stesso apprendimento
15
Cfr. Chini, 2005.
16
Cfr. 1.2.1
17
Cfr. DeKeyser, 2000.
11
diventi più difficoltoso, o comunque diverso. Entro questo periodo critico
l’apprendimento di L1 o L2 sarebbe facilitato da una maggiore plasticità neurale; una
volta oltrepassata la pubertà, la lateralizzazione delle funzioni del linguaggio
nell’emisfero dominante della corteccia cerebrale (la specializzazione
interemisferica) è stata completata e il cervello ha, perciò, perso la sua plasticità,
ovvero l’adattabilità e la capacità di riorganizzazione necessarie per l’apprendimento
naturale di una lingua
18
.
Il processo di lateralizzazione cerebrale, cioè di specializzazione dei due emisferi del
cervello, avviene entro i sei anni di età del bambino. È questo un periodo in cui la
struttura cerebrale risulta più plastica e si compiono i percorsi principali
dell’apprendimento della lingua materna. Secondo la teoria di Lenneberg, ci sarebbe
una fase della vita in cui il cervello umano è più predisposto all’apprendimento
linguistico: questa fase terminerebbe con la pubertà, ma si tende ad anticipare attorno
ai 6-8 anni la fine del periodo critico per alcune componenti dell’apprendimento
linguistico come quelle legate alla fonetica e alla prosodia
19
. Ad ogni modo, non è
possibile stabilire effettivamente l’esistenza di un periodo oltre il quale non sia più
possibile raggiungere una competenza linguistica nativa in L2. L’idea comune a tutte
le ricerche è che minore è l’età dell’apprendente, maggiori sono le possibilità che
questi raggiunga una competenza quasi nativa in L2.
Tra i fattori cognitivi che influenzano l’acquisizione vi sono l’attitudine linguistica,
lo stile cognitivo e lo stile di apprendimento. Per attitudine linguistica si intende
l’attitudine ad apprendere le lingue con facilità. Comprende abilità relative a
fonetica, grammatica, memorizzazione di materiale linguistico ecc. Lo stile cognitivo
si riferisce ad alcune differenze individuali nel funzionamento intellettivo di una
persona, oltre che alla sua organizzazione mentale: il modo inconsapevole e
involontario di apprendere, organizzare, elaborare le informazioni. Grazie ad un
determinato stile cognitivo è possibile elaborare specifiche strategie di
apprendimento.
Con stile di apprendimento ci si riferisce al modo in cui l’apprendente elabora nuove
informazioni: qualcuno preferisce input visivi, altri uditivi, alcuni individui
prediligono l’interazione a livello fisico, altri preferiscono concentrarsi sui principali
aspetti linguistici e culturali della lingua in questione.
Infine, i fattori legati alla sfera affettiva e alla personalità dell’apprendente sembrano
influenzare l’apprendimento, anche se è indubbia la difficoltà di calcolare
quantitativamente in che modo questo ne subisca gli effetti.
Tra i fattori non linguistici più importanti ritroviamo la motivazione. Solitamente si
distinguono tre tipi di motivazione, in base ai bisogni e agli atteggiamenti
dell’individuo nei confronti di L2 e della comunità dei parlanti L2: la motivazione
integrativa, la motivazione strumentale e la motivazione di identificazione con il
gruppo sociale. La prima riguarda il desiderio di apprendere la lingua per conoscere
meglio e integrarsi a pieno nella società ospitante; la seconda motivazione è
frequente se l’apprendimento è finalizzato al raggiungimento di uno scopo ben
preciso (trovare lavoro o superare un esame); la terza motivazione è specifica di quei
18
Cfr. Lenneberg, 1967.
19
Cfr. Indire (2004). Dall’analisi alla gestione delle individualità nei processi di apprendimento della
lingua straniera. Il fattore età. http://puntoeduri.indire.it/neoassunti2008/offerta_lo/lo/55/1006.htm
(data di consultazione: 22/10/2014).