3 
Introduzione 
 
La presente ricerca si inserisce nell’ambito dell’acquisizione dell’italiano come 
lingua seconda da parte di sinofoni proponendo un’analisi dell’interlingua come 
emerge dalla produzione scritta in un contesto formale (esami di certificazione 
dell’italiano).  
L’italiano L2 di cinesi è stato oggetto di ricerca di alcuni progetti universitari che 
hanno trattato soprattutto l’acquisizione dei mezzi morfologici e discorsivi per 
l’espressione della temporalità. Il presente studio, invece, intende indagare 
l’espressione dei tratti morfologici e della morfosintassi per le categorie verbo e 
nome. 
Oggetto di analisi di questa ricerca sono state le prove di produzione scritta di 61 
apprendenti sinofoni reperite presso la Società Dante Alighieri di Roma che rilascia 
il certificato PLIDA, un diploma che attesta la competenza in italiano secondo una 
scala di sei livelli elaborati in riferimento a quelli definiti dal Consiglio d’Europa nel 
Quadro comune europeo di riferimento (QCER) per le lingue
1
. Il certificato dà la 
possibilità agli studenti stranieri di dimostrare la propria competenza in italiano per 
l’eventuale iscrizione all’università senza sostenere l’esame in lingua e di ottenere il 
permesso di lungo soggiorno.  
Le prove sono suddivise in livelli in base al riferimento del QCER e quindi in 
italiano elementare (PLIDA A1 e A2: rispettivamente, livello di contatto e di 
sopravvivenza), intermedio (PLIDA B1 e B2: livello soglia e livello progresso) e 
avanzato (PLIDA C1 e C2: livello dell’efficacia e livello di padronanza)
2
.  
La costruzione delle prove si fonda su principi comunicativi legati ad attività pratiche 
della vita quotidiana reale che richiedono l’impiego delle quattro abilità linguistiche 
di base: ascoltare, leggere, parlare, scrivere, in modo da suddividere l’esame in 
quattro prove. Per ciascuna prova sono previsti due testi (tre in alcune prove 
dell’ultimo livello)
3
.  
Nello specifico della nostra analisi, si tratta in particolare di 19 prove di 
certificazione di livello A2, 30 di B1 e 12 di B2.  
I 61 apprendenti hanno sostenuto la prova di certificazione in Italia e sono, dunque, 
tutti immersi in una situazione di acquisizione spontanea, a contatto con nativi, ma 
non sappiamo se e quanti abbiano preso parte a corsi o lezioni di italiano, seguendo, 
così, anche un contesto formale di apprendimento guidato. Non si hanno, inoltre, 
conoscenze circa le caratteristiche sociolinguistiche degli informanti. 
Le 61 prove analizzate provengono da diversi centri certificatori italiani e 
appartengono a sessioni d’esame che vanno da novembre 2012 a maggio 2013
4
.  
                                                 
1
 Cfr. Società Dante Alighieri. Chi siamo. http://ladante.it/it/chi-siamo (data di consultazione: 
10/01/2015). 
2
 Cfr. Società Dante Alighieri (2009). La certificazione Plida. http://www.dantealighieri-
roma.it/plida.htm (data di consultazione: 10/01/2015). 
3
 Per una descrizione dettagliata della struttura di ciascuna prova, i contenuti e le difficoltà relative a 
ciascun livello, cfr. Patota, G. e L. Pizzoli a cura di (2004). Plida. Progetto lingua italiana Dante 
Alighieri Roma. Il Sillabo della Società Dante Alighieri Roma.  
http://plida.it/plida/images/stories/documenti/sillabo.pdf (data di consultazione: 10/01/2015). 
4
 Nel dettaglio, per il livello A2: Bussolengo (1), Milano (1), Napoli (4), Prato (9), Roma (3), Vicenza 
(1); per il livello B1: Bari (1), Bolzano (1), Gorizia (1), Milano (19), Rovigo (4), Venezia (4); per il 
livello B2: Milano (2), Roma (5), Sesto San Giovanni (1), Venezia (1), per la sessione di aprile 2013; 
Prato (2) e Roma (1), per la sessione di novembre 2012.
4 
In particolare, per i livelli A2 e B1 sono state scelte prove della sessione di maggio 
2013, mentre per le 12 prove di livello B2, 9 sono state sostenute nella sessione di 
aprile 2013 e le restanti 3 a dicembre del 2012. Ciascuna prova di produzione scritta 
comprende due esercizi. Entrambi prevedono che l’apprendente, a seguito di una 
specifica domanda, componga liberamente un testo producendo un numero 
prestabilito di parole. Solo nel caso del livello A2 la seconda parte della prova 
prevede che gli apprendenti rispondano a una serie di domande, limitando, in questo 
modo, la libertà produttiva del soggetto, il quale è tenuto ad attenersi alle linee guida 
presenti nella traccia. La composizione, in questo caso, non sarà più libera ma 
guidata. 
 
Per quanto riguarda la strutturazione della tesi, dopo aver trattato, nel primo capitolo, 
alcuni dei più importanti fattori linguistici ed extralinguistici che condizionano a vari 
livelli il processo di acquisizione di una seconda lingua, con riferimento particolare 
all’acquisizione dell’italiano, si passano in rassegna le principali caratteristiche 
tipologiche della lingua cinese, presentate in prospettiva contrastiva nel secondo 
capitolo, dando particolare rilievo ai livelli morfologico e morfosintattico, proprio 
perché trattasi dei livelli presi in considerazione nell’analisi. Si presenta, inoltre, un 
quadro dettagliato delle principali ricerche nell’ambito di acquisizione dell’italiano 
L2 da parte di sinofoni condotte da vari autori, dai risultati del Progetto di Pavia, alle 
ricerche, tra gli altri, di Emanuele Banfi, Marina Chini e Ada Valentini. I capitoli 
terzo e quarto sono dedicati alla presentazione dei risultati, suddivisi in base alle due 
categorie oggetto di analisi, quella di nome e di verbo.  
Per ciascuna prova prodotta da ogni informante è stata elaborata una griglia di analisi 
in cui sono contenuti i diversi tratti relativi a morfologia e morfosintassi del nome e 
del verbo da monitorare e misurare quantitativamente.  
Per ogni tipologia è stato riportato il numero di occorrenze considerando i tratti 
grammaticali di nome e verbo (accordo di genere e numero per i sintagmi nominali; 
numero, persona, tempo, aspetto per il verbo). È stata poi calcolata la percentuale di 
occorrenze che rispecchiavano la struttura della lingua target per ciascuna categoria. 
Le griglie di analisi così strutturate sono numerate in base al livello (A2, B1, B2) e il 
numero del parlante di riferimento. Si avranno, quindi, riferimenti al parlante A2-1, 
B1-2, B2-3 e così via. Le griglie degli informanti di livello A2 sono ripetute due 
volte per ciascun apprendente, data la differenza della tipologia dei due testi per ogni 
prova, uno libero e uno guidato. Per gli altri due livelli le griglie sono state compilate 
sommando le occorrenze presenti nei due testi di ciascuna prova, entrambi di 
produzione libera. 
I fattori che influiscono nella produzione dell’interlingua da parte di apprendenti di 
L2 sono diversi, come sono diverse le cause riconducibili agli errori. L’ipotesi 
dell’analisi contrastiva e quindi il confronto tra L1 e L2, veniva considerata come 
strumento per interpretare i fenomeni riguardanti l’acquisizione linguistica
5
. In 
seguito, il metodo dell’analisi dell’errore ha permesso di dimostrare che la L1 ha un 
                                                 
5
 L’ipotesi dell’analisi contrastiva (Contrastive Analysis Hypothesis – CAH) fu formulata da Robert 
Lado nel 1957. L’autore sosteneva che gli elementi simili alla L2 presenti nella lingua madre 
dell’apprendente sarebbero stati di più facile acquisizione e, al contrario, gli elementi diversi e non 
presenti nella lingua madre avrebbero previsto una più lenta e difficile acquisizione. In questo modo, 
tutti gli errori commessi in L2 erano giustificati facendo riferimento all’interferenza della lingua 
madre.
5 
impatto meno decisivo su L2 di quanto non si credesse: esistono altri fattori che sono 
coinvolti nel processo, simili a quelli che si creano durante l’apprendimento di L1. Si 
tratta di processi cognitivo-mentali e di meccanismi innati e universali
6
.  
Secondo il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue (QCER) del 
Consiglio d’Europa, l’errore si distingue dallo “sbaglio” in quanto, mentre 
quest’ultimo si verifica quando un apprendente non riesce ad attivare le proprie 
competenze in maniera adeguata (può succedere anche a un parlante nativo), l’errore 
è dovuto al grado di interlingua raggiunto e quindi ad una incompleta competenza 
nella lingua target. Gli errori che è possibile riscontrare nell’interlingua sono di varia 
tipologia: errori di omissione, accordo, collocazione errata degli elementi, 
sostituzione di alcune componenti con altre o inserimento di elementi non previsti 
dalla lingua target, errori che tendenzialmente, come è stato affermato in precedenza, 
possono essere causati dal transfer, e quindi interferenza della L1, o da fenomeni di 
semplificazione
7
.  
La distinzione tra le due motivazioni che portano a strutture errate in L2 non è 
sempre di facile interpretazione. Nel caso di apprendenti sinofoni, in particolare, 
alcuni errori che potrebbero ricondursi a fenomeni di semplificazione (omissione di 
articoli, preposizioni o riduzione paradigmatica dei verbi), potrebbero anche essere 
dettati dall’interferenza del cinese, lingua isolante e priva di alcune categorie presenti 
nel sistema linguistico italiano.  
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                 
6
 Cfr. Bulfoni e Pozzi, 2014. 
7
 Si spiega un errore attraverso la semplificazione quando si suppone che una struttura errata prodotta 
non sia altro che una forma semplificata di una struttura presente nella lingua d’arrivo.
6 
Capitolo 1 
 
L’acquisizione di una lingua seconda, il caso dell’italiano L2 
 
Per acquisizione di una lingua seconda (L2) si intende il processo di apprendimento 
di una lingua non materna, appresa, cioè, successivamente alla prima lingua o lingua 
materna (L1). Il termine SLA – second language acquisition – fa riferimento 
unicamente all’acquisizione della seconda lingua in un contesto in cui la lingua 
straniera sia utilizzata come mezzo di comunicazione nel paese dove avviene 
l’apprendimento. Si parla di apprendimento di lingua straniera (foreign language 
learning), invece, se quest’ultima è appresa nel paese d’origine dell’apprendente, 
generalmente in contesto formale.  
L’opposizione tra lingua seconda e lingua prima, o materna, riguarda principalmente 
l’aspetto della temporalità: la L2 è appresa dopo la L1. Tuttavia, l’espressione 
seconda lingua può essere utilizzata più genericamente in opposizione a prima lingua 
per indicare qualsiasi lingua non appresa come lingua madre, indipendentemente 
dalla modalità e dal contesto. La lingua materna può favorire o ostacolare la seconda 
lingua che può anche non arrivare a raggiungere livelli di competenza paragonabili a 
quelli dei nativi in L1 e vedere la presenza di errori, imperfezioni e interferenze. La 
lingua materna acquisita durante l’infanzia in ambiente familiare assume 
un’importanza diversa rispetto alla L2, sia a livello cognitivo, sia a livello sociale. 
L’acquisizione è stata designata in base al contesto di applicazione e in particolare si 
parla di acquisizione spontanea di L2 in contesto naturale se il soggetto apprende la 
L2 nell’ambiente in cui vive interagendo quotidianamente con i nativi
1
.  
Si parla di apprendimento guidato nel caso in cui questo avvenga per mezzo di un 
percorso strutturato e della mediazione di un insegnante. La dicotomia “spontaneo 
vs. guidato” si basa su condizioni esterne all’apprendente, mentre la dicotomia 
“acquisizione vs. apprendimento” fa capo a condizioni interne, relative al suo grado 
di focalizzazione sul compito acquisizionale.
2
 Ad ogni modo, la principale differenza 
fra L2 e LS si riduce alle modalità di ricezione dell’input linguistico cui 
l’apprendente è esposto, generalmente più abbondante e diversificato in L2, oltre al 
fatto che LS è appresa tramite sequenze programmate di insegnamento. Inoltre, per 
L2 entrano più fortemente in campo fattori culturali e di integrazione sociale rispetto 
a LS: imparare L2 in un contesto in cui è abitualmente mezzo di comunicazione, non 
vuol dire solo apprendere un codice linguistico nuovo, ma anche accedere a una 
nuova cultura, a nuove reti comunicative e sociali.  
A livello terminologico va fatta una distinzione tra seconda lingua e lingua target, le 
quali talvolta sono usate sinonimicamente, o meglio, con L2 si intende (anche) la 
lingua target. In senso proprio però, “con L2 va intesa la lingua imparata 
dall’apprendente, caratterizzata spesso da strutture, fenomeni più o meno transistori, 
mentre con la lingua target si intende il sistema linguistico verso cui la L2 va 
evolvendo, il suo ideale punto d’arrivo” (Chini, 2005: 13). 
 
 
                                                 
1
 Si può esemplificare facendo riferimento al caso di immigrati che interagiscono con la comunità 
risiedente nel paese di arrivo ricevendo diverse fonti di input. 
2
 Cfr. Chini, 2005.
7 
1.1 I principali modelli sull’acquisizione di L2 
 
La nozione di interlingua cerca di dar conto del fatto che le produzioni di un apprendente non 
costituiscono un’accozzaglia di frasi più o meno devianti, più o meno costellate di errori, ma un 
sistema governato da regole ben precise, anche se tali regole corrispondono solo in parte a quelle 
della lingua in arrivo. (…) Le ricerche sulla varietà iniziale mostrano quindi come l’acquisizione 
di una seconda lingua sia un processo ricostruttivo caratterizzato dalle ipotesi dell’apprendente, 
che cerca attivamente di produrre regole sempre più efficaci comunicativamente e che sempre più 
si avvicinano alle norme della lingua di arrivo. 
(Pallotti, 1998: 21 e 43) 
 
Prima di riflettere sull’acquisizione di L2 e i principali modelli e principi che ne 
regolano il funzionamento si deve partire dal concetto di interlingua proposto per la 
prima volta da Selinker nel 1972 per designare un sistema linguistico a sé stante che 
risulta nel tentativo di produzione da parte dell’apprendente di una norma della LO 
(lingua obiettivo o target)
3
. Nel momento in cui l’acquisizione di L2 si arresta a uno 
stadio precedente lo stadio finale e si stabilizzano certe forme linguistiche si può 
parlare di fossilizzazione (Cfr. Gass, 2009). 
Non esiste, attualmente, una teoria unitaria che spieghi l’acquisizione di una seconda 
lingua, ma sono stati sviluppati diversi modelli. Qui saranno trattati brevemente i 
modelli innatisti, i modelli cognitivi, cognitivo-funzionali, i modelli ambientalisti e i 
modelli integrati. 
Secondo i modelli innatisti è grazie alla facoltà di linguaggio dell’essere umano che è 
possibile apprendere la lingua materna nella primissima infanzia e le altre lingue in 
seguito a una sua riattivazione. Una vasta parte di questi modelli fa capo 
all’approccio chomskyano sulla grammatica generativa, che fa ricorso alla nozione di 
Grammatica Universale (GU) innata che guida l’apprendente attraverso principi e 
regole innati
4
.  
I modelli cognitivi e cognitivo-funzionali si occupano principalmente dei 
meccanismi mentali che determinano l’acquisizione di L2, dal momento in cui 
l’apprendente è sottoposto all’input fino all’output. Alcuni modelli trattano 
l’acquisizione linguistica in riferimento alle modalità di trattamento 
dell’informazione, come il modello di McLaughlin del 1987, detto dell’information 
processing che descrive l’apprendimento come il passaggio da processi controllati e 
lenti verso processi automatici e rapidi
5
. Ancora, tra i modelli cognitivo-funzionali 
figura il cosiddetto Competition model di Brian MacWhinney del 1989, secondo il 
quale sarebbe attraverso l’individuazione di indizi che l’apprendente riesce a cogliere 
l’input e produrre strutture e significati nella lingua di arrivo. A differenza dei 
modelli innatisti, modelli cognitivo-funzionali come quelli descritti riguardano più 
l’elaborazione che la competenza in L2.  
I modelli ambientalisti danno una particolare importanza al contesto socioculturale e 
sociolinguistico in cui avviene l’acquisizione.  
 
Un noto modello ambientalista è il modello dell’acculturazione e della pidginizzazione di 
Shumann (1978), secondo cui l’acquisizione di L2 non sarebbe altro che un aspetto 
dell’adeguamento dell’apprendente alla cultura legata a L2, e risentirebbe di vari fattori, in 
particolare della distanza sociale e psicologica percepita dall’apprendente fra il gruppo che parla 
                                                 
3
 Cfr. Selinker, 1972. 
4
 Cfr. Chomsky, 1993. 
5
 Cfr. Višnja Pavičić Takač, 2008.
8 
L1 e i parlanti L2: maggiore è la distanza, minore è l’acculturazione e più carente 
l’apprendimento. 
(Chini, 2005: 43) 
 
Su questa scia, altri modelli intendono l’apprendimento come un fenomeno 
dipendente dall’interazione sociale e dal dialogo
6
. Altri modelli ambientalisti si 
concentrano sul ruolo assunto dall’input in L2. Secondo l’ipotesi interazionista di 
Long grande importanza assumerebbero le modalità dell’interazione e la qualità 
linguistica dell’input, insieme alle modifiche della struttura conversazionale tra 
nativo e non nativo (ripetizioni, domande sull’input, negoziazione del significato)
7
. 
I modelli integrati tengono conto dell’interazione tra fattori di diversa natura (input, 
fattori ambientali e fattori innati) per spiegare l’apprendimento. Il modello integrato 
di Gass (1997) è esemplificativo di questa teoria in quanto tiene conto di diversi 
fattori e suddivide quattro diversi momenti nell’elaborazione dell’interlingua: 
1. Fase della percezione dell’input in cui agiscono soprattutto fattori di tipo 
personale, psicologico e ambientale tra cui la personalità dell’apprendente, le 
conoscenze pregresse, l’attenzione e forma e frequenza dell’input. 
2. Fase di comprensione dell’input in cui agiscono conoscenze linguistiche 
specifiche innate, precedenti e in fase di sviluppo. 
3. Nella fase di accettazione dell’input (che diventa intake) si utilizzano 
meccanismi cognitivi e linguistici per produrre, testare e modificare ipotesi 
sulla L2. 
4. Fase di integrazione dell’intake in cui agiscono principi che governano i 
sistemi linguistici e le conoscenze dell’apprendente
8
. 
 
 
1.2 Fattori linguistici 
 
Come si è visto, l’acquisizione di una seconda lingua è determinata e dipende da 
diversi fattori. I fattori linguistici che incidono sull’apprendimento dipendono dalle 
caratteristiche delle lingue di arrivo e partenza. Saranno di seguito trattati i fattori 
universali, che incidono in modo analogo su tutti gli apprendenti e i fattori linguistici 
più specifici. 
 
1.2.1 Concetto di somiglianza e transfer 
 
A partire dagli anni quaranta comincia a svilupparsi il filone di ricerca di stampo 
comportamentista dell’analisi contrastiva (Contrastive Analysis Hypothesis), 
secondo cui i sistemi linguistici di arrivo e partenza degli apprendenti venivano 
messi a confronto e in base ai risultati di tale confronto venivano fatte previsioni 
sulle aree in cui gli apprendenti avrebbero avuto maggiori difficoltà. L’ipotesi 
dell’analisi contrastiva mirava a giustificare tutti gli errori commessi dagli 
apprendenti attraverso il confronto tra la loro lingua madre e la seconda lingua. La 
nozione di transfer nasce da questo concetto
9
. Nello studio dell’apprendimento di L2 
il termine transfer è usato per descrivere il processo per il quale un elemento o una 
                                                 
6
 Cfr. la activity theory di Leont’ev in Mitchell e Myles, 2014. 
7
 Cfr. Long, 1983. 
8
 Cfr. Arcodia e Strik Lievers, A.A. 2010/2011. 
9
 Cfr. Gluth, 2013.
9 
regola della lingua madre dell’apprendente sono trasferiti nella grammatica della sua 
interlingua. Possono presentarsi transfer a tutti i livelli linguistici: fonologia, 
morfologia, sintassi, semantica e lessico. In particolare, in base al rapporto tra gli 
elementi della L1 e i corrispettivi elementi in L2, si parla di transfer negativo quando 
le differenze tra i due fenomeni danno come risultato un errore nella produzione 
dell’interlingua; un transfer positivo, invece, si avrà quando i due fenomeni sono 
talmente simili che si otterrà una produzione corretta nell’interlingua
10
. 
 
1.2.2 Universali linguistici e marcatezza 
 
Con lo studio di acquisizione di differenti L2 e di sequenze acquisizionali analoghe 
in diversi settori e principi organizzativi delle varietà di apprendimento 
sostanzialmente identici si è consolidato il nesso tra la linguistica acquisizionale e la 
teoria degli universali linguistici
11
. Per universali linguistici s’intende l’insieme di 
proprietà generalmente condivise dalle lingue. Il ruolo degli universali linguistici 
nell’acquisizione di L2 fa capo a due principi: uno si rifà alla Grammatica Universale 
di Chomsky
12
 e l’altro fa riferimento alla ricerca sugli universali tipologici, 
cominciata da Greenberg negli anni sessanta
13
.  
Strettamente legato alla teoria degli universali linguistici troviamo il concetto di 
marcatezza, inteso diversamente nei due ambiti, generativo e tipologico. La teoria 
generativa considera la marcatezza una funzione della grammatica centrale (core 
grammar): ciò che non è marcato fa parte di essa ed è per questo innato, mentre ciò 
che è marcato appartiene alle regole periferiche della grammatica. Le regole marcate 
si apprenderebbero solo sulla base di evidenze positive presenti nell’input, mentre 
per acquisire quelle non marcate basterebbe un’esposizione minima. 
Nell’ambito degli universali tipologici di Greenberg, questi sono generalizzazioni 
induttive relative ai diversi livelli linguistici, formulate a partire da campioni di 
lingue. In generale, possiamo parlare di marcatezza in termini di complessità, 
frequenza d’uso o deviazione da una forma che è considerata canonica in una data 
lingua. La definizione più stretta è basata su un sistema di gerarchie implicazionali: 
un elemento x è più marcato di un elemento y se la presenza di x implica la presenza 
di y ma non viceversa.  
Secondo una definizione meno stretta la marcatezza si basa sulla frequenza statistica 
dei segmenti. A questa nozione si associa anche quella di naturalezza, secondo cui 
marcato significa innaturale e meno probabile
14
. Il concetto di marcatezza può anche 
essere interpretato in termini tipologici: la ricerca su L2 spesso conferma le 
implicazioni, riscontrando che i tratti marcati sono appresi più tardi dei meno 
marcati, oltre ad essere più frequentemente fonte di errori.  
 
                                                 
10
 Cfr. Liu, 2001. 
11
 Cfr. Gilardoni, 2014. 
12
 Secondo questo modello le interlingue e le lingue naturali sarebbero il risultato di grammatiche 
generative influenzate dalle regole di GU e nonostante l’apprendente ricrei la sua grammatica ogni 
qualvolta si approccia a una nuova lingua, questi, per farlo, si baserebbe sugli universali linguistici.  
13
 J. H. Greenberg, dell’università di Stanford, impostò un vasto progetto di ricerca in cui si 
confrontavano trenta lingue del mondo, prive di relazioni genetiche, il che permetteva di escludere che 
le proprietà comuni si fossero diffuse per contatto tra comunità diverse di parlanti. L’indagine rivelò 
una serie di proprietà comuni (per i risultati della ricerca cfr. Universals of human language, 1978). 
14
 Cfr. Major, 2001.
10 
1.2.3 Le caratteristiche del sistema di arrivo  
 
Oltre alla marcatezza e agli universali linguistici, sull’acquisizione di L2 incidono 
anche le caratteristiche del sistema della L2 stessa. Per alcuni parlanti un determinato 
tratto linguistico può risultare più difficile da acquisire in quanto marcato o 
marginale, mentre per altri lo stesso tratto può non essere marcato e risultare quindi 
di più facile acquisizione. È probabile che le strutture meno marcate siano anche le 
più frequenti nell’input e per questo vengano apprese più velocemente; strutture 
marcate, ma frequenti, possono essere apprese con minore difficoltà o lentezza di 
quanto farebbe prevedere la loro marcatezza: per queste ragioni si prevede una 
relazione fra marcatezza interna al sistema, frequenza nell’input in L2 e 
apprendimento di certe strutture
15
. Sulla velocità e facilità di strutture marcate incide 
spesso anche il tipo di input ricevuto. Un input formale e scritto facilita il compito 
dell’apprendente rispetto a strutture marcate; un input molto semplificato potrà 
produrre strutture semplificate. L’ipotesi dell’analisi contrastiva prevedeva che la 
lingua madre influisse sul sistema di L2 in formazione con la produzione di errori, 
transfer o interferenza, fatti risalire esclusivamente alla L1
16
.  
In seguito, il ruolo della prima lingua venne ridimensionato riportando molti esiti 
delle interlingue a fattori innati e universali.  
 
 
1.3 Fattori extralinguistici 
 
Tra i fattori extralinguistici che incidono maggiormente sull’acquisizione di L2 
troviamo in particolare l’età dell’apprendente, l’ansia, la motivazione. Tali fattori 
sono considerati la causa principale che della velocità o meno dell’apprendimento e 
il suo esito finale, più o meno vicino al modello nativo. Si tratta di variabili che sono 
difficilmente quantificabili, in quanto spesso legate al carattere e al comportamento 
psicologico dell’individuo. È possibile suddividere i fattori extralinguistici legati 
all’apprendimento in due macro categorie: fattori individuali e fattori 
sociocontestuali. 
 
1.3.1 I fattori individuali 
 
Tra i fattori individuali figurano soprattutto età, attitudini, motivazione e stili 
cognitivi. Si tratta di caratteristiche biologiche, cognitive o affettive legate alla 
personalità dell’apprendente e al suo modo di approcciarsi all’apprendimento di L2.  
Per quanto riguarda l’età dell’apprendente, si individua l’esistenza di un periodo 
critico nello sviluppo cognitivo dell’essere umano, superato il quale non sarebbe più 
possibile raggiungere un livello di competenza nativo nella lingua straniera che si sta 
apprendendo. Per questo motivo, i bambini sarebbero naturalmente più predisposti 
all’apprendimento di una lingua straniera rispetto agli adulti
17
. L’ipotesi avanzata da 
Lenneberg afferma che esiste un periodo nella crescita del bambino, collocabile 
prima della pubertà, in cui l’apprendimento linguistico ha luogo in modo spontaneo, 
senza alcuno sforzo cognitivo, e che dopo tale periodo lo stesso apprendimento 
                                                 
15
 Cfr. Chini, 2005. 
16
 Cfr. 1.2.1 
17
 Cfr. DeKeyser, 2000.
11 
diventi più difficoltoso, o comunque diverso. Entro questo periodo critico 
l’apprendimento di L1 o L2 sarebbe facilitato da una maggiore plasticità neurale; una 
volta oltrepassata la pubertà, la lateralizzazione delle funzioni del linguaggio 
nell’emisfero dominante della corteccia cerebrale (la specializzazione 
interemisferica) è stata completata e il cervello ha, perciò, perso la sua plasticità, 
ovvero l’adattabilità e la capacità di riorganizzazione necessarie per l’apprendimento 
naturale di una lingua
18
.  
Il processo di lateralizzazione cerebrale, cioè di specializzazione dei due emisferi del 
cervello, avviene entro i sei anni di età del bambino. È questo un periodo in cui la 
struttura cerebrale risulta più plastica e si compiono i percorsi principali 
dell’apprendimento della lingua materna. Secondo la teoria di Lenneberg, ci sarebbe 
una fase della vita in cui il cervello umano è più predisposto all’apprendimento 
linguistico: questa fase terminerebbe con la pubertà, ma si tende ad anticipare attorno 
ai 6-8 anni la fine del periodo critico per alcune componenti dell’apprendimento 
linguistico come quelle legate alla fonetica e alla prosodia
19
. Ad ogni modo, non è 
possibile stabilire effettivamente l’esistenza di un periodo oltre il quale non sia più 
possibile raggiungere una competenza linguistica nativa in L2. L’idea comune a tutte 
le ricerche è che minore è l’età dell’apprendente, maggiori sono le possibilità che 
questi raggiunga una competenza quasi nativa in L2.  
Tra i fattori cognitivi che influenzano l’acquisizione vi sono l’attitudine linguistica, 
lo stile cognitivo e lo stile di apprendimento. Per attitudine linguistica si intende 
l’attitudine ad apprendere le lingue con facilità. Comprende abilità relative a 
fonetica, grammatica, memorizzazione di materiale linguistico ecc. Lo stile cognitivo 
si riferisce ad alcune differenze individuali nel funzionamento intellettivo di una 
persona, oltre che alla sua organizzazione mentale: il modo inconsapevole e 
involontario di apprendere, organizzare, elaborare le informazioni. Grazie ad un 
determinato stile cognitivo è possibile elaborare specifiche strategie di 
apprendimento. 
Con stile di apprendimento ci si riferisce al modo in cui l’apprendente elabora nuove 
informazioni: qualcuno preferisce input visivi, altri uditivi, alcuni individui 
prediligono l’interazione a livello fisico, altri preferiscono concentrarsi sui principali 
aspetti linguistici e culturali della lingua in questione.  
Infine, i fattori legati alla sfera affettiva e alla personalità dell’apprendente sembrano 
influenzare l’apprendimento, anche se è indubbia la difficoltà di calcolare 
quantitativamente in che modo questo ne subisca gli effetti.  
Tra i fattori non linguistici più importanti ritroviamo la motivazione. Solitamente si 
distinguono tre tipi di motivazione, in base ai bisogni e agli atteggiamenti 
dell’individuo nei confronti di L2 e della comunità dei parlanti L2: la motivazione 
integrativa, la motivazione strumentale e la motivazione di identificazione con il 
gruppo sociale. La prima riguarda il desiderio di apprendere la lingua per conoscere 
meglio e integrarsi a pieno nella società ospitante; la seconda motivazione è 
frequente se l’apprendimento è finalizzato al raggiungimento di uno scopo ben 
preciso (trovare lavoro o superare un esame); la terza motivazione è specifica di quei 
                                                 
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 Cfr. Lenneberg, 1967. 
19
 Cfr. Indire (2004). Dall’analisi alla gestione delle individualità nei processi di apprendimento della 
lingua straniera. Il fattore età. http://puntoeduri.indire.it/neoassunti2008/offerta_lo/lo/55/1006.htm 
(data di consultazione: 22/10/2014).