Premessa
2
Ecco dunque la motivazione di questo nostro studio: valutare con la massima
generalità possibile l’opportunità ed i modi offerti al clinico per interagire con i dati
oggettivi disponibili.
Benché i risultati di questo studio siano generali, ovvi motivi di ordine pratico ci
hanno consentito di realizzarli e sperimentarli in una sola delle classi metodologiche
elencate: quella dell’esplorazione statistica dei dati. Tale categoria di metodi è tutt’altro
che esigua, racchiudendo una molteplicità di metodi utili per individuare preliminarmente
quelle direzioni “privilegiate” di indagine che sono ricavabili dall’esame del vettore
aleatorio, che di volta in volta, racchiude la struttura statistica dei dati da esplorare. A tale
categoria metodologica appartengono l’analisi fattoriale, l’analisi delle componenti
principali, la regressione lineare multipla, il multidimensional optimal scaling, l’analisi
dell’omogeneità (detta anche analisi multipla delle corrispondenze, in breve AO) e
l’insieme delle tecniche di elaborazione ottima dei segnali che comprendono oltre ai
metodi di filtraggio ottimo, anche le tecniche statistiche note come analisi delle
componenti indipendenti.
I dati ed i risultati, ottenuti con i vari metodi scelti, per essere efficaci e fornire al
clinico indicazioni significative in maniera immediata, necessitano della mediazione di
opportuni strumenti di rappresentazione grafica. Per questo, nostro ulteriore obiettivo è
affrontare lo studio dei limiti percettivi del sistema visivo umano. Tale studio è teso a
ricavare delle indicazioni che, osservate nella rappresentazione dei dati, permettano di
ottenere delle forme di visualizzazione in cui l’osservatore percepisca l’informazione
specifica con il minore sforzo possibile.
Si intuisce subito che non sarebbe possibile condurre lo studio sino alla
sperimentazione sul campo conservando un orizzonte di indagine così vasto.
Abbiamo dunque operato la scelta individuando quale metodo di riferimento
l’analisi dell’omogeneità, poiché consente di rappresentare le grandezze in modo
uniforme (indipendentemente dalla loro natura nominale, ordinale o quantitativa) e di
inserire nella casistica anche soggetti con profilo paziente non completamente noto.
Inoltre, elemento questo che accomuna le diverse tecniche di analisi multivariata, il
metodo AO meglio valorizza la concezione iterativa del processo cognitivo anche quando
la conoscenza iniziale è scarsa. Come asserito da L. Fabbris “…se e finché il livello di
conoscenza non è sufficiente a formulare una teoria, si possono analizzare i dati in una
prospettiva esplorativa. Esplorare i dati significa descrivere in forma sintetica le
esplorazioni raccolte al fine di evidenziare le strutture di relazione implicite che li
Premessa
3
percorrono e permettere così al ricercatore di inventare moduli interpretativi aderenti
alla realtà…Le procedure esplorative euristiche, in quanto hanno carattere intuitivo,
analogico, previsionale e danno risultati…” da verificarsi in modo rigoroso. Ecco
dunque che nel suo insieme l’analisi dei dati comprenderà un’alternanza tra una fase
esplorativa e una detta confermativa.
In definitiva si individua così quale obiettivo di questo studio l’interazione del
clinico con i dati in entrambe le direzioni, da un lato quello delle metodologie di analisi
multivariata, che appunto ci ha portato alla scelta dell’AO, dall’altro la valutazione dei
vincoli imposti dalla sensibilità percettiva della visione dell’uomo per realizzare
rappresentazioni grafiche efficienti.
4
Capitolo I:
La percezione visiva
Introduzione
Le tecniche di visualizzazione permettono di trasformare complessi insiemi di dati in
rappresentazioni visive significative, di facile comprensione ed interpretazione. Tali
rappresentazioni consentono di apprezzare maggiormente la struttura dell’informazione
contenuta nei dati rispetto a quanto è possibile ricavare dalla loro osservazione in forma
numerica o codificata.
Una simile affermazione trova palese conferma nell’esempio proposto da F. J. Anscombe
[1]. Anscombe propone quattro serie di dati caratterizzate dagli stessi indici
statistici e dalle quali, applicando la regressione lineare, si perviene allo stesso
modello.
Serie 1 Serie 2 Serie 3 Serie 4
X Y X Y X Y X Y
10,00 8,04 10,00 9,14 10,00 7,46 8,00 6,58
8,00 6,95 8,00 8,14 8,00 6,77 8,00 5,76
13,00 7,58 13,00 8,74 13,00 12,74 8,00 7,71
9,00 8,81 9,00 8,77 9,00 7,11 8,00 8,84
11,00 8,33 11,00 9,26 11,00 7,81 8,00 8,47
14,00 9,96 14,00 8,10 14,00 8,84 8,00 7,04
6,00 7,24 6,00 6,13 6,00 6,08 8,00 5,25
4,00 4,26 4,00 3,10 4,00 5,39 19,00 12,50
12,00 10,84 12,00 9,13 12,00 8,15 8,00 5,56
7,00 4,82 7,00 7,26 7,00 6,42 8,00 7,91
5,00 5,68 5,00 4,74 5,00 5,73 8,00 6,89
Tabella 1: Serie proposte da Anscombe
Capitolo I: La percezione visiva
5
n° osservazioni (N): 11
valor medio delle serie X: 9.00
valor medio delle serie Y: 7.50
equazione della retta di regressione: Y=3+0.5*X
errore standard della stima della pendenza: 0.118
coefficiente di correlazione (r): 0.82
quadrato del coefficiente di correlazione (r
2
): 0.67
Tabella 2: Alcuni indici statistici delle serie di Anscombe
Dai dati riportati in tabella 1 e alla luce dell’uguaglianza del modello cui si perviene, si
sarebbe indotti a pensare che tali serie siano frutto di analoghi fenomeni e che siano
caratterizzati da analoga variabilità. Così non è come si può vedere facilmente allorché si
provveda a rappresentare le serie su dei piani cartesiani (vedi figura 1).
Figura 1: Diagrammi delle serie di Anscombe e dei modelli lineari derivanti
dalla regressione lineare
Capitolo I: La percezione visiva
6
Osservando i grafici si deduce come la serie 1 possa derivare da rilevazioni sperimentali,
che la serie 2 possa discendere dal campionamento della funzione y=y(x) e non contiene
valori anomali, mentre le serie 3 e 4 individuano due relazioni lineari con ognuna un
punto anomalo (outlier). Si noti inoltre come siano i punti anomali a condizionare il
calcolo della retta di regressione nelle serie 3 e 4; eliminati questi le rette che meglio
approssimano i dati sono quelle che passano per essi, in quanti i punti giacciono su una
retta. Si conclude perciò che il modello a cui la regressione lineare conduce è adeguato
solo per la prima serie.
Potevamo pervenire alle stesse conclusioni dalla semplice osservazione della tabella dei
dati? La risposta è ovviamente negativa.
Questo illuminante esempio dimostra come un’adeguata forma di visualizzazione
consenta una maggiore comprensione dell’informazione contenuta nei dati, permettendo,
in particolare, di evidenziare le strutture che in essi sono celate.
Per queste sue capacità, la visualizzazione si propone come strumento idoneo per essere
utilizzato nell’analisi esplorativa dei dati.
Ma quali sono le regole da seguire affinché i vantaggi offerti dalla visualizzazione
possano essere sfruttati al meglio?
In questo capitolo cercheremo di dare risposta a questa domanda.
Partendo dall’esame della neurofisiologia alla base del processo di visione, cercheremo di
valutare le prestazioni del sistema visivo. Proseguiremo indagando sui processi che
permettono una più immediata comprensione di quanto osservato. Concluderemo con
delle linee guida da seguire per ottenere forme di visualizzazione efficaci utilizzabili
come strumento alternativo, o quanto meno complementare, ai metodi di analisi statistica
multivariata finalizzati all’analisi esplorativa dei dati.
Neurofisiologia della percezione visiva
Il meccanismo fisiologico che consente la percezione visiva è caratterizzato da una
notevole complessità ed in parte è ancora ignoto. Nonostante ciò il numero di distretti
anatomici implicati nella visione è contenuto ed il percorso dell’informazione
relativamente semplice. L’informazione visiva, acquisita tramite i fotosensori retinici,
viene convogliata mediante il nervo ottico a delle strutture subcorticali, denominate
nuclei genicolati laterali, e da questi alla corteccia visiva.
Le strutture anatomiche implicate nella visione ed i loro collegamenti funzionali sono
mostrati in figura 2.
Capitolo I: La percezione visiva
7
Alla base del processo visivo ci sono una fase di acquisizione dell’immagine ed una
successiva elaborazione ed interpretazione della scena osservata.
La retina è il distretto preposto all’acquisizione dell’informazione, mentre la base della
percezione cosciente, intendendo con ciò tutti i processi di elaborazione che consentono
di passare dall’immagine retinica all’elaborazione della scena, è da ricercarsi nella
corteccia visiva.
La fase di interpretazione è necessaria poiché l’informazione visiva, per come acquisita
dalla retina, costituisce un codice di informazione mutevole: variazioni di illuminazione
della scena osservata o del punto di osservazione modificano l’immagine retinica pur non
alterandone il significato.
Esaminiamo in dettaglio gli apparati preposti all’acquisizione e all’interpretazione
dell’immagine.
Figura 2: Distretti anatomici implicati nella visione
(da Zeki S., “L’elaborazione dell’immagine visiva”, Le Scienze n°291, novembre 1992)
NERVO
OTTICO
RETINA
NUCLEO
GENICOLATO
LATERALE
CORTECCIA VISIVA PRIMARIA (V1)
Capitolo I: La percezione visiva
8
La retina [2]
La retina è la parte fotosensibile dell’occhio. Essa è caratterizzata da una struttura
stratificata, illustrata in figura 3, che dall’esterno all’interno comprende lo strato
pigmentato, lo strato dei fotorecettori (bastoncelli e coni), la membrana limitante esterna,
lo strato granulare esterno, lo strato plessiforme esterno, lo strato granulare interno, lo
strato plessiforme interno, lo strato delle cellule gangliari, lo strato delle fibre nervose e la
membrana limitante interna.
Lo strato pigmentato è composto di melanina, un pigmento di colore nero; questo serve
ad impedire che la luce non assorbita dai fotorecettori venga riflessa all’interno del bulbo
oculare. Se ciò avvenisse, infatti, si avrebbe un’illuminazione diffusa della retina che
pregiudicherebbe la percezione dei contrasti e quindi la percezione nitida della scena
osservata.
Figura 3: Struttura della retina
(da Polyak, The Retina, Chicago, University of Chicago Press.)
Capitolo I: La percezione visiva
9
La retina contiene una moltitudine di cellule neuronali, distinguibili in fotorecettori,
cellule orizzontali, bipolari, amacrine e gangliari, organizzate ed interagenti tra loro in
maniera differente a seconda delle diverse zone retiniche.
I coni, responsabili della visione cromatica, e i bastoncelli, cui si deve la visione
crepuscolare, sono gli elementi sensibili alla luce (fotorecettori o fotocettori).
Entrambi i tipi di fotorecettore sono formati da quattro segmenti funzionali: il segmento
esterno, il segmento interno, il nucleo e il corpo sinaptico. Le uniche differenze
morfologiche tra coni e bastoncelli stanno nelle dimensioni e nella forma del segmento
esterno (cilindrica per i bastoncelli, conica per i coni da cui la denominazione).
Il segmento esterno contiene la sostanza fotosensibile in concentrazione massiccia,
arrivando ad essere il 40% della massa di tale porzione cellulare.
Il segmento interno contiene il citoplasma ed i corpuscoli cellulari, mentre il corpo
sinaptico permette la connessione del fotorecettore con le altre cellule neuronale che
costituiscono i successivi stadi della catena visiva.
I coni si distinguono in tre tipi a seconda della lunghezza d’onda della radiazione
luminosa a cui sono sensibili. Si hanno coni sensibili alla radiazione luminosa rossa, blu e
verde. La sensibilità alle diverse lunghezze d’onda va ricercata nelle diverse capacità di
assorbimento delle sostanze fotosensibili presenti al loro interno e che sono denominate
fotopigmento blu – sensibile, fotopigmento rosso – sensibile e fotopigmento verde –
sensibile. Si è osservato sperimentalmente che le curve di sensibilità spettrale dei coni ai
vari tipi di colore sono essenzialmente uguali alle curve di assorbimento dei tre tipi di
pigmenti presenti nei coni. Tali curve sono riportate in fig.4, dove è riportato anche il
campo di assorbimento della rodopsina, pigmento alla base dell’attivazione dei
bastoncelli.
Da tale curve si nota un picco di assorbanza per lunghezze d’onda pari a 445 nm, 535 nm
e 570 nm per i coni del blu, del verde e del rosso rispettivamente, mentre la rodopsina,
sostanza fotosensibile dei bastoncelli, ha il massimo di assorbimento per λ pari a 505 nm.
Alla base della percezione cromatica c’è un diverso grado di attivazione dei vari tipi di
coni. Con un’attivazione massimale dei coni del blu (attivazione al 100%), con gli altri
fotocettori cromatici inattivi (attivazione 0%), percepiamo un colore blu corrispondente al
codice di attivazione 0:0:100 nella rappresentazione RGB. E’ proprio questa serie di
rapporti di attivazione cromatica che il sistema interpreta come sensazione di colore. Al
variare di questi rapporti si riescono a percepire tutti i colori dello spettro visibile.
Un discorso a parte merita la percezione del bianco. Questa è frutto di una stimolazione
contemporanea con intensità circa uguale di tutti i tipi di fotocettori cromatici. Ciò è
Capitolo I: La percezione visiva
10
legato anche al fatto che al bianco non corrisponde alcuna lunghezza d’onda
nell’intervallo del visibile (400 – 700 nm), essendo questo il frutto di una combinazione
di tutte le lunghezze d’onda dello spettro.
L’assenza o l’esiguo numero di coni di un tipo determina cecità o debolezza cromatica
per le lunghezze d’onda di competenza per quello specifico genere di fotocettori. Tipico è
il caso della cecità per il rosso - verde causato dalla mancanza di coni sensibili al rosso o
al verde, anche se si può riscontrare debolezza o assenza di percezione per il blu.
Il meccanismo fotochimico alla base dell’attivazione dei fotorecettori è complesso e non
lo tratteremo in dettaglio. Basti sapere che, quando una radiazione luminosa colpendo un
fotocettore attiva la sostanza fotosensibile, si genera un’iperpolarizzazione dell’intera
membrana cellulare. Tale iperpolarizzazione, detta potenziale recettoriale, raggiunge il
suo massimo in circa 0,3 secondi e dura per circa un secondo nei bastoncelli, mentre per i
coni tali durate sono circa quattro volte minori. L’intensità del potenziale recettoriale è
circa proporzionale al logaritmo dell’intensità dello stimolo luminoso incidente. Tale
relazione logaritmica è di estrema importanza poiché grazie ad essa il nostro sistema
visivo può discriminare intensità luminose in una gamma enormemente più ampia di
quanto sarebbe possibile con un legame di diretta proporzionalità. Con tale meccanismo
si contiene la differenza del potenziale di membrana a poche decine di mV a fronte di una
variazione dell’intensità luminosa di parecchi ordini di grandezza.
Figura 4: Assorbimento dei pigmenti fotosensibili dei fotorecettori retinici alle
varie lunghezze d’onda della luce visibile
(Marks, Dobelle e MacNichol, Science, 143/1181, 1964 e Brown e Wald, Science, 144/45, 1964)
Capitolo I: La percezione visiva
11
Il potenziale recettoriale, che si genera inizialmente nel segmento esterno del fotocettore
attivato, si propaga a tutta la membrana cellulare, fino a raggiungere i corpi sinaptici, per
conduzione elettrotonica
1
. Qui il fotocettore rilascia un neurotrasmettitore eccitatorio (si
presume essere il glutamato) che consente la sinapsi, quindi la propagazione dello
stimolo, ai successivi strati neuronali della retina, cellule orizzontali e bipolari. Queste a
loro volta propagano lo stimolo, sempre per conduzione elettrotonica, alle cellule
amacrine che lo convogliano alle cellule gangliari. Solamente a livello delle cellule
gangliari si ha la codifica dell’informazione dello stimolo luminoso sotto forma di treni di
impulsi (potenziale di azione), con frequenza di scarica proporzionale al potenziale di
sinapsi. La conversione è necessaria in quanto la conduzione elettrotonica, pur essendo
capace di garantire la trasmissione tra le varie cellule considerato lo stretto contatto tra i
vari corpi cellulari, è inadeguata alla trasmissione dalle cellule gangliari al cervello a
causa delle grandi distanze in gioco.
Le cellule orizzontali stabiliscono connessioni laterali tra i corpi sinaptici dei fotocettori
ed anche con i dendriti delle cellule bipolari. La funzione di queste cellule è fornire un
sistema, detto di inibizione laterale, basilare per una fedele trasmissione
dell’informazione al sistema nervoso centrale, in particolare di quella relativa ai fronti di
contrasto presenti nell’immagine. Quando un settore retinico è stimolato da un fascio
luminoso, non si ha una propagazione dell’eccitazione a tutta la retina perché la
trasmissione dello stimolo attraverso le cellule orizzontali lo impedisce. Tale
impedimento si ottiene inibendo l’area circostante a quella stimolata. E’ probabile che
alcuni tipi di cellule amacrine contribuiscano ulteriormente al fenomeno dell’inibizione
laterale.
Di cellule amacrine ne sono state individuate una trentina di tipi, ognuna delle quali è
sensibile ad un diverso tipo di stimolo (ad esempio variazioni improvvise di
illuminazione della scena o direzione dello stimolo luminoso). Data la specificità della
risposta di questi interneuroni, si può affermare che le cellule amacrine concorrono ad
una prima analisi dei segnali visivi, analisi che ha luogo prima ancora che questi lascino
la retina.
Le cellule gangliari sono localizzate nello strato più interno della retina e l’insieme dei
loro assoni forma il nervo ottico, canale di comunicazione tra retina e sistema nervoso
centrale.
1
L’importanza della conduzione elettrotonica risiede nel fatto che essa consente una conduzione
graduata dell’intensità del segnale conseguente allo stimolo.
Capitolo I: La percezione visiva
12
La maggior parte delle cellule gangliari non è sensibile al livello attuale di illuminazione
della scena, ma risponde solo al contrasto tra aree retiniche diversamente illuminate. Ciò
è frutto del fenomeno dell’inibizione laterale che abbiamo già trattato.
Una singola cellula gangliare può essere stimolata da tutti i tipi di coni o solo da alcuni.
Quando la cellula gangliare riceve terminazioni da tutti i tipi di fotocettori cromatici essa
trasmette un segnale analogo per ogni colore dello spettro, quindi non trasmette al sistema
nervoso centrale alcuna informazione utile alla discriminazione dei colori.
Esistono invece cellule gangliari che ricevono segnali eccitatori da un solo tipo di coni
mentre sono inibite da coni relativi ad altri colori. Tale organizzazione si verifica, ad
esempio, tra i coni del blu (eccitatori) ed una combinazione di coni verdi e rossi (inibitori)
determinando una relazione reciproca tra i colori blu e giallo secondo un meccanismo di
“opponenza cromatica”. Lo stimolo che afferisce al cervello da cellule gangliari di tipo a
contrasto cromatico contiene l’informazione relativa al colore. Infatti, grazie
all’opponenza cromatica, tali cellule vengono eccitate da un dato colore ma inibite dal
colore opponente. In conseguenza a ciò, il grado di eccitazione della cellula fornisce al
sistema nervoso centrale informazione sul rapporto esistente tra colore eccitante ed
inibitorio nella scena osservata, quindi un’indicazione sul grado cromatico.
Si può allora affermare che l’analisi dei colori inizia già a livello retinico, almeno per
quel che concerne la fase di codifica dell’informazione cromatica.
Le cellule gangliari preposte alla trasmissione dell’immagine visiva e del colore sono
dette cellule X. Sono le più numerose tra le cellule gangliari (circa il 55% del totale) sono
caratterizzate da dimensioni dell’ordine dei 10 – 15 µ m di diametro e con le loro fibre
nervose trasmettono segnali nel nervo ottico alla velocità di circa 14 m/s.
Le cellule gangliari di tipo W costituiscono il 40% delle cellule gangliari. Hanno
diametro inferiore ai 10 µ m e trasmettono segnali nel nervo ottico alla velocità di 8 m/s.
Sono eccitate in massima parte dai bastoncelli, hanno campi recettivi ampi e sembrano
specialmente idonee alla rilevazione di movimenti direzionali all’interno del campo
visivo. E’ possibile che queste giochino un ruolo importante anche per la funzione visiva
del sistema dei bastoncelli in condizioni di oscurità.
Le cellule gangliari di tipo Y sono le cellule gangliari contraddistinte dalle maggiori
dimensioni: il loro diametro può raggiungere i 35 µ m. Il loro numero è contenuto (circa
5% del totale) e sono in grado di trasmettere i loro segnali al cervello a velocità elevata,
fino a 50 m/s. Queste cellule rispondono, come parte delle cellule amacrine, a rapide
variazioni dell’immagine visiva, sia che questi siano cambiamenti di illuminazione che
Capitolo I: La percezione visiva
13
movimenti rapidi all’interno della scena osservata. La loro riposta, pressoché istantanea,
informa il sistema nervoso centrale della variazione ed è in grado di fornire le
informazioni appropriate a far deviare lo sguardo verso il nuovo stimolo visivo.
Nella retina si distinguono due diversi tipi di sistemi visivi: uno “antico” basato sui
bastoncelli e uno “recente” basato sui coni e quindi responsabile della percezione
cromatica. Il sistema visivo “recente” è caratterizzato da cellule neuronali e fibre nervose
più grosse che assicurano una maggiore velocità di trasmissione al cervello dello stimolo
visivo rispetto al sistema “antico”. Il sistema visivo “recente” trova la sua collocazione
nella regione della fovea, piccola porzione centrale della macula (zona centrale della
retina) caratterizzata da elevata acuità visiva. La fovea contiene solo coni; questi hanno
delle caratteristiche speciali che li rendono particolarmente adatti a cogliere i dettagli
della scena osservata. La loro dimensione è inferiore a quella dei coni periferici: solo 1,5
µ m di diametro contro 5 – 8 µ m. Inoltre nella fovea si ha un’associazione di tipo uno a
uno tra coni e le fibre nervose afferenti al cervello. Ciò garantisce un’elevata specificità
degli stimoli trasmessi al cervello ed è quindi responsabile dell’alta acuità visiva della
regione foveale e della forte predisposizione alla percezione dei dettagli di questa
porzione retinica. Tale rapporto di innervazione è proprio della fovea, infatti mediamente
su ogni fibra nervosa convergono le terminazioni di circa sessanta bastoncelli e due coni.
In particolare, nella periferia retinica, su ogni fibra nervosa possono convergere anche
duecento bastoncelli. Tale situazione determina un’ovvia diminuzione dell’acuità visiva,
per contro si ottiene invece una maggiore sensibilità alla luce determinata da un processo
di sommazione delle risposte dei singoli fotocettori convergenti su una stessa fibra
nervosa.
Per come sono strutturati, il sistema visivo basato sui coni e quello fondato sui bastoncelli
hanno proprietà complementari: l’uno consentendo di percepire i dettagli è da ritenersi
collegato alla visione cognitiva, legata fortemente al livello di attenzione, l’altro, legato
alla visione precedente l’attenzione quindi svincolato dal livello di concentrazione,
consente una visione d’insieme della scena osservata (il famoso “colpo d’occhio”) in cui
informazioni dettagliate si potranno percepire solo grazie ad una successiva indagine
visiva.
Tali concetti, basilari per l’analisi delle forme di visualizzazione, saranno ripresi ed
approfonditi in seguito.
Capitolo I: La percezione visiva
14
La corteccia visiva [3]
« … Per conoscere ciò che è visibile, il cervello non può dunque limitarsi ad analizzare
le immagini presentate alla retina, ma deve costruirsi un mondo visivo… » [Zeki, 1992].
A tale fine il cervello ha sviluppato un complesso meccanismo neuronale caratterizzato
da una spiccata “divisione del lavoro” le cui basi anatomiche sono aree corticali distinte e
sottoregioni specializzate in determinate funzioni visive.
Da esperimenti condotti sul macaco e poi estesi all’uomo, Zeki ha dimostrato che la
corteccia visiva associativa o prestriata è composta da svariate aree separate dall’area V1,
corteccia visiva primaria o striata, dalla regione denominata V2. Ognuna di queste aree,
denominate V3, V3A, V4 e V5, è specializzata nella percezione di un diverso attributo
dell’immagine osservata.
Sappiamo che l’area V5 elabora le informazioni relative al movimento, la V4 si occupa
del colore e parzialmente della forma, infine la V3 e la V3A sono attivate dalla forma ma
come V5 sono totalmente insensibili all’aspetto cromatico.
La funzione di V1 e V2 è quella di distribuire le informazioni visive alle aree
specializzate della corteccia prestriata. Per fare ciò, al loro interno sono presenti strati
cellulari sensibili ai vari aspetti visivi. Tali cellule non hanno particolari capacità di
elaborazione, servono solo a riconoscere il tipo di informazione per poi convogliarla in
maniera congruente al distretto corticale preposto ad elaborarla. Proprio per la funzione
che svolgono, essenzialmente di smistamento dell’informazione visiva, le regioni V1 e
V2 vengono sempre attivate qualunque sia l’attributo da elaborare.
Trascurando i complessi aspetti morfologici di V1 e V2, che sono alla base
dell’interazione tra queste regioni corticali e le aree che elaborano gli attributi visivi,
possiamo affermare che nella corteccia visiva esistono quattro sistemi paralleli di analisi
dell’immagine osservata. Di questi sistemi uno, dovuto a V1 e V5, è finalizzato all’analisi
del movimento, uno a quella del colore mentre i restanti elaborano la forma di quanto
osservato.
Un danno alle regioni della corteccia prestriata impedisce la percezione degli attributi
visivi la cui elaborazione sarebbe competenza delle zone lese. La letteratura specializzata
riporta numerosi casi. Tra le patologie più frequenti l’acromatopsia, incapacità di
percepire i colori, causata da un danno a V4 e la acinetopsia, che impedisce la percezione
di oggetti in movimento conseguenza di lesione a livello di area V5. Lesioni alle aree V1
e V2 causano generalmente cecità totale, anche se in qualche sporadico caso rimangono
Capitolo I: La percezione visiva
15
delle capacità visive di tipo specializzato alle quale però il paziente non è in grado di
associare alcun significato.
Figura 5: Attivazione delle varie zone della corteccia visiva per stimoli visivi
diversi (a sinistra: immagini a colori, a destra: immagini in movimento)
(da Zeki S., “L’elaborazione dell’immagine visiva”, Le Scienze n°291, novembre 1992)