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Introduzione
Una riflessione sulla tipologia linguistica non può nascere senza aver prima
analizzato le teorie di Joseph Greenberg degli anni Sessanta e il loro impatto
sulla linguistica, il cui studio si apre verso nuovi orizzonti e mira a trovare una
ratio della lingua.
Lo studioso elabora le sue teorie partendo dall’analisi degli studi effettuati
da Edward Sapir all’inizio del Novecento, il quale però non spiega con chiarezza
il metodo attraverso il quale è riuscito a sviluppare tali idee e a effettuare una
classificazione delle lingue in agglutinanti, flessive, polisintetiche, isolanti.
Affascinato dagli studi di Sapir, Greenberg decide così di formulare una nuova
classificazione delle lingue, ma questa volta basata sull’applicazione di un
metodo empirico, più scientifico, basato sull’analisi di un campione di lingue.
Nonostante inizialmente le teorie greenberghiane siano state guardate con
un certo sospetto, soprattutto per la comparazione molto vasta delle lingue da lui
prese in esame, in un secondo tempo sono state riconosciute dalla linguistica per
le grandi novità che hanno saputo apportare alla disciplina. La tipologia studia
infatti le lingue in un’ottica interlinguistica, cercando somiglianze, ma soprattutto
differenze fra le lingue del mondo, a prescindere dal fatto che esse siano moderne
o antiche, facendo sempre ricorso a dati empirici e non a mere analisi teoriche.
Ciò fa sì che la comparazione delle lingue, indirizzata alla comprensione della
loro struttura intrinseca, abbia un valore scientifico e non sia solo un puro
ragionamento astratto.
È ovvio che rinvenire attestazioni di tutte le lingue del mondo sia un’utopia,
ma gli studi tipologici sono in continuo fermento e continuano a fornire sempre
più materiale sul quale poter riflettere. Così, le teorie secondo le quali sarebbe
possibile trovare una struttura soggiacente a tutte le lingue del mondo che le
accomunerebbe, anche se appartenenti a famiglie genetiche diverse, non fanno
che diffondersi ed essere al centro di numerosi dibattiti. Un’analisi sulle lingue
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basata sul metodo tipologico consente di prevedere, con un sempre più elevato
grado di certezza, quali caratteristiche presenteranno i vari tipi di lingue.
Metodo fondante della tipologia, che non può non caratterizzare anche
questa dissertazione, è quindi la comparazione di dati empirici di lingue
appartenenti ai vari tipi linguistici; limitarsi ad analisi teoriche non sarebbe in
linea con lo studio tipologico, secondo il quale differenze ed eterogeneità delle
lingue sono il continuo spunto per nuove analisi, che consentono non solo di
capire e cogliere meglio le infinite sfumature delle lingue del mondo, specchio
delle diverse culture, ma anche della propria.
Parlare di tipologia spesso porta, inevitabilmente, a trattare anche degli
universali linguistici di Greenberg, in seguito poi rielaborati da numerosi
studiosi, che sono però argomento sul quale non ci si vuole soffermare più del
dovuto all’interno della trattazione, se non per chiarire più adeguatamente
concetti a essi collegati. All’interno di questa riflessione si è infatti scelto di
approfondire solo determinati argomenti per poterli trattare con maggiore
specificità, e non di dare una panoramica generale della tipologia. La scelta degli
argomenti è soggettiva ma mirata a dare rilievo ai nuovi studi che sono stati
realizzati nell’ambito della disciplina.
Partendo da quelli che sono gli elementi fondanti della tipologia linguistica,
come l’ordine dei costituenti e i vari tipi in cui le lingue possono essere
classificate in base ad esso, all’interno della dissertazione si proseguirà a
un’analisi del verbo su tre differenti livelli, che mostreranno il suo particolare
rapporto con il soggetto, la cui definizione classica, come vedremo, spesso
tralascia alcuni aspetti molto importanti.
Fulcro dell’analisi è il concetto di scalarità in relazione alla transitività del
verbo, frutto di recenti studi che hanno condotto a delle novità e arricchito il
concetto di continuum che secondo Bernard Comrie, uno dei maggiori studiosi di
tipologia linguistica negli anni Ottanta, esiste tra i due poli dell’agentività e
pazientività. Sarà messo in evidenza come la scalarità del verbo all’interno di
questo continuum riveli una vera e propria gradualità a livello semantico e
pragmatico del verbo, tale da influenzare non solo tutto l’enunciato, ma anche
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l’intera lingua e, si potrebbe dire, la sua funzione metalinguistica. L’analisi del
concetto di scalarità mostrerà come nelle lingue spesso manchino degli indicatori
di questa gradualità, la quale si limita a rimanere come una sorta di “tonalità”
implicita del “colore” del verbo.
Un altro fattore che influisce nella distinzione del verbo è l’animatezza,
concetto che risale al protoindoeuropeo, al quale sarà dedicata una parte della
trattazione in quanto aspetto molto importante e influente nella classificazione
delle lingue nell’ottica tipologica. Tale aspetto, insieme a quello del controllo e
dell’agentività, è fondamentale per poter collocare il verbo all’interno del
continuum.
Si passerà poi alla questione dei casi: è molto dibattuta la distinzione tra
lingue nominativo-accusative ed ergativo-assolutive e il loro differente modo di
trattare il rapporto con il soggetto e l’oggetto, in basse alla transitività o
intransitività del verbo. Una forte curiosità a riguardo ha spinto numerosi studiosi
come Comrie ad approfondirne lo studio e a considerare non così netta la
distinzione tra le lingue ergativo-assolutive, sempre considerate solo una
minoranza rispetto a quelle nominativo-accusative, la classica codificazione di
soggetto e oggetto nelle lingue indoeuropee. Pare, infatti, che in determinate
situazioni, una lingua nominativo-accusativo abbia degli elementi in comune con
le lingue ergativo-assolutive.
Dalle lingue ergativo-assolutive, si passerà all’analisi della classificazione
delle lingue come Fluid-S e Split-S, in cui avviene, in queste ultime, una vera e
propria “scissione” dell’ergatività. Ci soffermeremo adeguatamente
sull’argomento all’interno del capitolo sulle lingue nominativo-accusative ed
ergativo-assolutive, per poterlo esaminare nel modo più chiaro ed esaustivo
possibile.
Le riflessioni sulla transitività e intransitività del verbo, anch’esse trattate
all’interno del capitolo relativo alla questione dei casi, porteranno infine
all’analisi delle lingue attivo-stative, proprio perché in esse non è la transitività o
meno del verbo l’aspetto preminente, ma il fatto che in queste il verbo sia attivo,
dinamico, o stativo, privo di dinamicità e movimento. Sarà spiegato come questa
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differenza comporti, ad esempio, nelle lingue scelte diverse nell’impiego
dell’ausiliare “essere” piuttosto che dell’ausiliare “avere”.
È importante precisare che questo lavoro mira a mettere in risalto come la
tipologia, e gli sviluppi che essa ha avuto nel corso degli anni, abbiano cambiato
la linguistica e, più in generale, l’approccio alle lingue.
La ragione per la quale è stato scelto di trattare argomenti tanto dibattuti,
frutto di studi contemporanei e le cui opinioni sono in continuo mutamento
sarebbero molteplici, ma ritengo che una sola sia quella più evidente: una grande
passione per le lingue, il cui studio a un livello più profondo consente di poter
utilizzare con maggior sapienza e cognizione anche la propria.
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1. L’ordine basico dei costituenti
1.1. I tipi di lingue nel mondo
L’ordine basico delle parole è il parametro fondamentale in base al quale la
tipologia linguistica studia e classifica le lingue.
Il concetto nasce già con Greenberg, che lo definisce “ordine degli elementi
significativi”
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ovvero i costituenti di una frase, qualcosa di più di una semplice
combinazione di parole, che permette di cogliere come lingue apparentemente
tanto diverse in realtà condividano di fondo una stessa struttura.
L’ordine dei costituenti non è però l’unico aspetto da analizzare, perché
anche prefissi, suffissi e infissi consentono di scomporre la frase in unità sempre
più piccole. La morfologia è quindi un indicatore importante che ci consente di
capire a quali tipi appartengono le lingue e quindi, per poterle classificare.
La tipologia adotta il parametro dell’ordine basico dei costituenti per poterli
ricondurre a un preciso schema sintattico nel quale esiste una correlazione tra la
testa del sintagma e i suoi modificatori. Fondamentali all’interno dell’enunciato
sono la posizione di soggetto, oggetto e verbo, la cui combinazione dà origine a
sei tipi di cui sono state riscontrate attestazioni
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:
(1) turco (SOV)
Hasa ösüz- ü ald ı
Hasan bue ACC comprò
“Hasan comprò il bue”
(2) inglese (SVO)
The farmer killed the duckling
il contadino uccide l’ anatroccolo
“Il contadino uccise l’anatroccolo”
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Greenberg J. H., Some universals of grammar with particular reference to the order of meaningful
elements, Cambridge, MIT Press, 1966; trad. it. in Ramat P. (a cura di), La tipologia linguistica, Bologna,
Il Mulino, 1976.
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Gli esempi delle lingue (1), (2), (3), (4), (5) sono stati tratti da Comrie B., Universali del linguaggio e
tipologia linguistica, Bologna, Il Mulino, 1983, p. 131. L’esempio della lingua (6), di cui sono stati solo
recentemente trovati dati empirici, è tratto da Song J. J., Linguistic Typology: Morphology and Syntax,
s.l., Longman Linguistic Library, 2001, p. 3.