5
INTRODUZIONE
L’obiettivo che ci si prefigge con questa tesi è quello di affrontare e di
analizzare l’adozione internazionale in rapporto all’istituto islamico della kafalah.
Tale argomento riveste un certo interesse sia dal punto di vista socio-
culturale sia di quello giuridico alla luce del multiculturalismo e dei dilaganti
flussi migratori dei nostri tempi.
Sono state abbattute le barriere linguistiche, doganali e culturali,
trasformando così il pianeta in un vero e proprio villaggio globale dov’è sempre
piø difficile stabilire dei confini non solo territoriali ma anche culturali con la
conseguenza che sempre piø spesso ci si trova a dover confrontare sistemi
giuridici che non utilizzano gli stessi istituti.
«Le odierne società occidentali sono insiemi pluralistici, culturalmente
disomogenei, caratterizzati sempre piø dalla presenza di minoranze
I
che chiedono
il riconoscimento delle proprie specifiche identità»
II
. Per tale ragione «il termine
“multiculturalismo” può essere usato per definire un’ideale forma di convivenza
sociale attenta al pluralismo e sensibile alla difesa delle differenze»
III
. In altre
parole il multiculturalismo tende «a definire uno stato auspicato della società
futura, nel quale, superate le discriminazioni e le esclusioni che caratterizzano le
società occidentali attuali, si arriverà a un pieno riconoscimento delle libertà
individuali e delle differenze»
IV
.
Il multiculturalismo di cui oggi siamo spettatori è il frutto del fenomeno
della globalizzazione (o “mondializzazione”) ossia di quel processo che, a partire
dagli ultimi decenni del XX secolo, ha portato all’integrazione dei mercati nei
diversi paesi del mondo, sia la tendenza di certi fenomeni sociali (consumismo;
I
Minoranze intese quale gruppo di persone all’interno di uno Stato che si differenziano dalla
maggioranza per etnia, lingua o religione.
II
PASTORE B., LANZA L., Multiculturalismo e giurisdizione penale, Giappichelli, Torino, 2008,
pag. 5.
III
COLOMBO E., Le società multiculturali, Carocci, Roma, 2002, pag. 11.
IV
Ibidem.
6
diffusione dei mezzi d’informazione) e culturali (flussi migratori) ad estendersi su
scala mondiale. Ma tali processi di globalizzazione «conservano un carattere
contraddittorio: da un lato favoriscono un nuovo ecumene mondiale,
l’omologazione e la standardizzazione, dall’altro rivitalizzano le identità
comunitarie, etniche, culturali e religiose»
V
.
La diretta conseguenza di ciò è che le frontiere, per come erano state
conosciute sino all’inizio del Novecento, spariscono: «le odierne società
occidentali sono insiemi pluralistici, culturalmente disomogenei, caratterizzati
sempre piø dalla presenza di minoranze che chiedono il riconoscimento delle
proprie specifiche identità»
VI
e, comunque, un confronto tra le norme del paese di
origine e le norme dell’ordinamento giuridico in cui sono migrati.
In questa nuova società multiculturale, il diritto di famiglia si trova ad essere
particolarmente esposto alle problematiche connesse alla polietnia. La famiglia,
quale «gruppo sociale fondamentale, presente in ogni società storicamente
conosciuta, la cui struttura e le cui funzioni variano nel tempo e da una società
all’altra»
VII
, rappresenta il settore del diritto privato nel quale sono piø
considerevoli le influenze di fattori storici, culturali, religiosi e ciò costituisce
l’ostacolo principale per l’unificazione del diritto di famiglia in ambito europeo.
In tal senso «valutare l’impatto della globalizzazione sulle culture
giuridiche locali diviene un elemento di primaria importanza nel dispiegarsi delle
ricerche comparatistiche»
VIII
. Nello specifico ho scelto di analizzare l’istituto
islamico della kafalah in ragione della forte presenza sul nostro territorio di
persone di fede mussulmana così come dimostrato dai seguenti dati.
«Secondo i dati Istat in Italia al 1° gennaio 2008 circa il 23% degli
V
COLOMBO E., Le società multiculturali, op. cit., pag. 25.
VI
PASTORE B., LANZA L., Multiculturalismo e giurisdizione penale, op. cit., pag. 5.
VII
BENIGNI R., Identità culturale e regolazione dei rapporti di famiglia tra applicazioni
giurisprudenziali e dettami normativi, in rivista telematica “Stato, Chiese e pluralismo
confessionale”, in: www.statoechiese.it/index.php?option=com_content&task=view&id=209
VIII
VIGLIONE F., I «confini» nel diritto privato comparato, in “Nuova Giurisprudenza Civile
Commentata”, n. 3 febbraio 2011, anno XXVII, pag. 172.
7
immigrati residenti erano cittadini di Paesi nord-africani, tra cui Marocco con 365
mila persone ed Egitto con circa 70 mila»
IX
. Tali cifre non hanno fatto altro che
aumentare nel corso degli anni: l’Istat ha documentato che al «23 dicembre 2013,
tra i cittadini stranieri residenti in Italia, quelli provenienti dal Marocco, ove esiste
la kafala e non l’adozione, sono 407.097 e rappresentano il 10,1% della
popolazione straniera regolarmente residente. Significativo anche il dato dei
65.985 cittadini provenienti dall’Egitto (1,6% degli stranieri), altro Paese in cui
esiste la kafala»
X
.
IX
AA. VV., I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia. 2° Rapporto Supplementare alle
Nazioni Unite sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in
Italia, a cura del Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza,
Arti GraficheAgostini, Roma, 2009, pag. 78 pubblicato nel sito web all’indirizzo:
www.gruppocrc.net/IMG/pdf/2_Rapporto_supplementare-2.pdf.
X
AA. VV., I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia. 7° Rapporto di aggiornamento sul
monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia 2013-2014, a
cura del Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Arti
GraficheAgostini, Roma, 2014, pag. 73, pubblicato nel sito web all’indirizzo:
http://www.gruppocrc.net/-documenti-.
8
CAPITOLO 1
L’ADOZIONE: LE ORIGINI DELL’ISTITUTO NELLA
LEGISLAZIONE ITALIANA
1.1. Gli albori dell’istituto
Sin dall’antichità col termine adozione si qualificava un istituto giuridico
per mezzo del quale si creavano dei rapporti di famiglia (nello specifico un
rapporto di filiazione “artificiale”) tra persone non legate da un vincolo naturale.
Si tratta di un concetto di origine molto antica, addirittura precedente al
diritto romano; tuttavia fu solo grazie ai Romani che tale istituto venne
perfezionato ed universalizzato fino a giungere alle moderne codificazioni dei
nostri giorni.
Già all’incirca nel 2000 a.C., all’interno del Codice di Hammurrabi, si
rinvengono le prime tracce di un istituto che richiama l’adozione: l’ingresso
all’interno di una famiglia di una persona estranea che era stata riconosciuta come
figlio legittimo.
Tracce piø precise sull’istituto si rinvengono presso il popolo ebraico ove
nella Bibbia si narra la vicenda di come Ester sia stata adottata da Mardocheo
1
.
Altro esempio biblico (Esodo, 2, 10) è costituito dall’adozione di Mosè da parte
della famiglia del faraone egiziano, trattasi invero del primo caso documentato di
adozione internazionale.
Anche all’interno del mondo greco antico si reperiscono tracce dell’istituto
adottivo, tuttavia questo veniva utilizzato esclusivamente allo scopo di perpetuare
il nome della famiglia: difatti solo i maschi potevano essere adottati, inoltre era
loro concesso di tornare alla propria famiglia solo qualora avessero lasciato un
proprio figlio legittimo nella famiglia adottiva
2
.
1
Si veda in tal senso FIORE P., Adozione , in “Digesto italiano”, II, Torino, 1884, pagg. 160 ss.
2
Si veda sul punto RUSSO RUGGERI C., La datio in adoptionem, dalla pretesa influenza elleno-
9
Anche presso gli Egiziani era noto l’istituto dell’adozione tuttavia non sono
chiare nØ le modalità della sua applicazione nØ le sue finalità.
In definitiva, nel “diritto primitivo” non si può affermare che l’istituto
dell’adozione abbia avuto uno sviluppo omogeneo quanto piuttosto si trattava di
un rapporto giuridico che acquisiva finalità differenti in ragione delle esigenze di
ciascun popolo. Sarà solo nel diritto romano che l’adozione raggiungerà il
massimo sviluppo.
1.2. Il diritto romano
Presso i Romani l’adozione era uno strumento versatile e polivalente: era
utilizzato per conservare il nomen della famiglia, per esercitare il culto domestico,
e per rendere possibile ai parenti naturali (esclusi dalla classe degli agnati) di
diventare eredi o tutori divenendo figli adottivi
3
. Poteva avere anche natura
politica come nel caso dei patrizi che, volendo occupare posizioni politiche di
rilievo, si facevano adottare per acquisire la condizione sociale di plebeo ed, in tal
modo, poter aspirare ad assumere la carica di tribuno della plebe
4
.
L’adozione nel diritto romano aveva anche un duplice effetto inclusorio ed
esclusorio: col perfezionamento dell’adozione, l’adottato acquisiva lo status e il
nomen della famiglia adottante ed i conseguenti diritti successori e doveri nei
confronti del culto degli Dei domestici della nuova famiglia; viceversa perdeva i
diritti di agnazione e di quelli di successione verso la famiglia originaria oltre che
divenire estraneo agli Dei domestici della famiglia naturale.
Appare il caso di precisare cosa s’intende col termine “famiglia”. Mentre ai
nostri giorni col termine famiglia si identifica il «nucleo fondamentale della
società umana costituito da genitori e figli»
5
, per i Romani la famiglia era piø
cristiana alla riforma giustinianea, Giuffrè, Milano, 1995, pag. 8.
3
Cfr. FIORE P., Adozione, op. cit., pag. 161.
4
Facendo ciò i patrizi non perdevano nØ i vantaggi nØ le prerogative proprie del loro status.
5
ZINGARELLI N., Il nuovo Zingarelli minore, Vocabolario della lingua italiana, XIV Edizione,
Zanichelli, Torino, 2008, pag. 451.