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L’armonizzazione contabile e il bilancio consolidato nelle Amministrazioni Pubbliche
Premessa
Per “armonizzazione contabile delle amministrazioni pubbliche” si
intende il processo di riforma degli ordinamenti contabili al fine di rendere i
bilanci delle amministrazioni pubbliche omogenei, confrontabili ed
aggregabili.
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Esso nasce dalla evoluzione del contesto economico nazionale
e dall’esigenza di adeguare la normativa del comparto pubblico alle nuove
regole scaturenti dall’adesione dell’Italia alla UE.
Ed infatti, poiché il rispetto dei vincoli finanziari stabiliti in sede
comunitaria può essere verificato solo in presenza di una completa ed
omogenea rappresentazione dei dati contabili, l’Unione Europea, con la
Direttiva n. 2011/85 dell’8 novembre 2011, ha fissato regole minime comuni
per i quadri di bilancio nazionale, finalizzate a rendere gli stessi più
trasparenti, confrontabili ed il più possibile completi e veritieri. In
particolare, da un lato si richiede, in sede di programmazione di bilancio,
l’adozione di meccanismi di coordinamento tra tutti i sottosettori
dell’amministrazione; dall’altro si evidenzia la necessità di uniformare le
regole delle procedure contabili. Recita al riguardo l’articolo 3 della
predetta Direttiva: “gli Stati membri si dotano di sistemi di contabilità
pubblica che coprono in modo completo e uniforme tutti i sotto-settori
dell’amministrazione pubblica e contengono le informazioni necessarie per
generare dati fondati sul principio di competenza”.
La stessa Corte dei Conti, nella audizione sullo schema del decreto
legislativo n. 118/2011 in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e
degli schemi di bilancio degli enti pubblici, osservava che “Da più parti – e
soprattutto in sede europea – critiche vengono frequentemente rivolte alla
trasparenza dei conti pubblici dell’Italia, avvalorate dalla pluralità dei
sistemi contabili e degli schemi di bilancio vigenti nei diversi sotto-settori
dell’amministrazione pubblica”.
Il legislatore italiano aveva già cominciato a dare attuazione a tali
indicazioni, sollecitato da una serie di criticità da tempo rilevate nel
complesso ed eterogeneo ordinamento contabile nazionale, costituite in
particolare da:
- carenze di uniformità nella redazione dei bilanci, anche tra enti
appartenenti allo stesso comparto e/o allo stesso gruppo;
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Cfr. A. Cavalieri, R. Loiero: L’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli
Enti Locali e dei loro organismi – Maggioli Editore, Rimini – 2011
Cfr L. Gerla, S. Minieri: Compendio di contabilità degli enti locali – Maggioli Editore, Rimini - 2011
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L’armonizzazione contabile e il bilancio consolidato nelle Amministrazioni Pubbliche
- mancanza di un coordinamento tra principi contabili generali e principi del
consolidamento dei conti delle amministrazioni pubbliche;
- una non completa affidabilità dei dati della finanza pubblica, tale
da rendere difficoltosa la verifica della rispondenza dei conti pubblici alle
condizioni previste dalla normativa europea sui disavanzi pubblici eccessivi;
- una conseguente problematicità a disporre di un adeguato grado di
conoscenza e di controllo della spesa pubblica.
L’esigenza di armonizzare i bilanci degli enti pubblici era emersa in
Italia da vari decenni, prova ne sia che le legge 5 agosto 1978 n. 468, titolata
“Riforme di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di
bilancio”, prevedeva la normalizzazione dei sistemi contabili del settore
pubblico. I tentativi effettuati in tal senso nel lungo arco temporale
successivo hanno avuto scarso successo, fino alla emanazione delle leggi n.
42/2009 (“Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione
dell’articolo 119 della Costituzione”) e n. 196/2009 (“Legge di contabilità e
finanza pubblica”).
Le specifiche disposizioni in materia di armonizzazione dei bilanci
pubblici venivano finalmente emanate col decreto legislativo n. 118/2011, al
quale faceva seguito il decreto ministeriale attuativo del 28 dicembre 2011.
Ma prima di entrare nel merito dell’argomento, si ritiene opportuno
fare una breve sintesi sulla evoluzione storica e normativa del Servizio
Pubblico Locale, per comprendere le ragioni che nel tempo hanno
trasformato gli enti pubblici in vere e proprie holding
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, e la conseguente
improrogabile necessità di armonizzare i sistemi contabili dei Gruppi
Pubblici Locali sulla base di criteri omogenei e trasparenti.
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Le holding sono società (o enti) che detengono il controllo di un gruppo di aziende, attraverso il possesso diretto o
indiretto di una rilevante quota del pacchetto azionario di ciascuna. Se la società capogruppo non svolge alcuna
attività produttiva o di scambio, ma si limita a dirigere e coordinare le società controllate, definendone le strategie,
si verifica l’ipotesi della holding pura, e le società controllate assumono il nome di società operanti. Se invece la
capogruppo svolge anche un’attività di produzione e di scambio, si ha l’ipotesi della holding mista.
In teoria, l’esercizio del controllo da parte della holding richiede il possesso almeno del 51 per cento del pacchetto
azionario della controllata. In realtà, il controllo può essere acquisito anche in virtù di situazioni “di fatto” (quindi,
non solo “di diritto”), idonee a determinare un’influenza dominante sulla gestione della controllata (vedasi
paragrafo 4.3).
Se la società controllata, a sua volta, acquista il controllo di una terza società, si determina una costruzione a
piramide che consente alla capogruppo di moltiplicare il capitale controllato partendo da un investimento iniziale
relativamente basso.
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L’armonizzazione contabile e il bilancio consolidato nelle Amministrazioni Pubbliche
1 – Il Servizio Pubblico Locale
1.1 – Definizione e cenni sulla sua evoluzione storica
La storia ha dimostrato che il libero mercato non sempre è in grado di
autoregolarsi e di offrire soluzioni ottimali per l’utilizzo e la corretta
allocazione delle risorse. Nel tempo, infatti, si è reso necessario l’intervento
in campo economico del settore pubblico per colmare gli inevitabili squilibri
creati da un sistema basato sulla libera iniziativa dei privati.
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L’Ente Pubblico comincia così ad avvicinarsi a quei settori produttivi
tendenti a soddisfare bisogni giudicati dal privato antieconomici, a volte
perché la realizzazione delle relative infrastrutture richiedeva risorse
finanziarie assai elevate.
La progressiva evoluzione della società, poi, ha comportato
l’insorgere di nuovi e molteplici bisogni collettivi considerati di pubblico
interesse, il cui soddisfacimento richiede una sempre più ampia e complessa
gestione economica degli Enti Pubblici.
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L’elemento distintivo del servizio pubblico è costituito dalla sua
idoneità a soddisfare bisogni che, in un determinato contesto temporale e
territoriale, vengono richiesti dall’intera comunità. Non può pertanto esistere
una identificazione univoca di servizio pubblico, essendo tale concetto per
sua stessa natura relativo ed al contempo dinamico.
Relativo perché un determinato servizio può essere giudicato di
pubblico interesse in un luogo e non in un altro. Dinamico perché, pur nel
medesimo contesto territoriale, le norme che riconoscono la sua pubblica
utilità possono cambiare nel tempo col cambiare della qualità della vita e
delle scelte politiche e sociali.
Una definizione chiara ed esaustiva di servizio pubblico locale è
contenuta nell’articolo 112, comma 1, del Testo Unico Enti Locali (decreto
legislativo 18 agosto 2000 n. 267), il quale dispone testualmente:
“Gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono
alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni
ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo
economico e civile delle comunità locali”.
Dalla norma di cui sopra emergono i seguenti tre aspetti che
identificano come pubblico un determinato servizio:
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Cfr. Romano A.: Profili della concessione di pubblici servizi, in Dir. Amm., 1991, n. 4, p. 472
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Cfr. Di Gaspare G.: I servizi pubblici locali in trasformazione – Padova 2010
Cenni
sull’evoluzione
storica
Definizione:
l’articolo 112 TUEL
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L’armonizzazione contabile e il bilancio consolidato nelle Amministrazioni Pubbliche
1°) la scelta delle attività di pubblico interesse deve essere effettuata
dall’Ente Pubblico Locale;
2°) la dizione “produzione di beni” va intesa nell’accezione più
ampia del termine, ossia come produzione di beni ed erogazione di servizi;
3°) le attività individuate e gestite dall’Ente devono essere idonee a
conseguire fini sociali e a sviluppare le condizioni economiche e civili
della comunità locale.
Come si può notare, la nozione di servizio pubblico contenuta nella
norma sopra citata presenta i caratteri della dinamicità e della relatività, in
quanto:
- l’Ente Locale, unico soggetto al quale è attribuita la scelta, può nel
tempo modificare la propria valutazione sull’esistenza o meno dell’interesse
pubblico di un determinato servizio (carattere dinamico);
- lo stesso servizio, nel medesimo arco temporale, può essere
considerato di pubblico interesse da un Ente e non da altri (carattere
relativo).
Il concetto di servizio pubblico è stato puntualmente definito anche
dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 2605 del 9 maggio 2001, Sezione
Quinta, nella quale si afferma che “Per servizio pubblico si intende qualsiasi
attività che si concretizzi nella produzione di beni o servizi in funzione di
un’utilità per la comunità locale, non solo in termini economici ma anche in
termini di promozione sociale, purché risponda ad esigenze di utilità
generale o ad essa destinata in quanto preordinata a soddisfare interessi
collettivi”.
Una definizione, come è agevole constatare, in linea con gli aspetti in
precedenza chiariti.
Anche il diritto comunitario ha fornito contributi significativi in tema
di servizi pubblici mediante il “Libro verde sui servizi di interesse generale”,
pubblicato il 21 maggio 2003 ed avente la finalità di lanciare un dibattito sul
ruolo dell’Unione europea nella promozione della fornitura di servizi di
interesse generale. Al riguardo il Parlamento Europeo
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ha affermato che non
è possibile né pertinente elaborare definizioni comuni dei servizi di interesse
generale, essendo riconosciuti tali dall’articolo 86 del Trattato tutti quei
servizi che ciascuno Stato membro ritiene di regolamentare per garantire
obiettivi di interesse pubblico, imponendo specifici obblighi contrattuali ai
fornitori dei servizi stessi.
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Vedasi Risoluzione del 13 gennaio 2004
Definizione:
sentenza
Consiglio di Stato
n. 2605/2001
Il contributo fornito
dall’Unione europea