1
PREFAZIONE
La scelta di trattare in questa dissertazione il tema della riforma del lavoro ha
origini ben precise: non tutti conoscono infatti i punti principali di una legge complicata e
spesso comprensibile solo agli addetti ai lavori.
Nonostante la complessità della riforma tuttavia, fin dall’entrata in vigore essa fu
oggetto di numerose critiche da parte dei lavoratori e in particolare da parte dei precari
(alquanto strano, visto che doveva essere una norma proprio a favore dei precari, quasi a
compensare la riforma dell’articolo 18).
Questa avversione ha suscitato in me particolare interesse, tanto da portarmi a voler
analizzare un po’ più fondo una riforma che da una parte fu approvata in pompa magna e
dall’altra (da parte dei lavoratori in particolare) fu aspramente attaccata.
Vista l’ampiezza dei temi toccati dalla riforma, e vista l’impossibilità di trattarli tutti
in questa sede, mi limiterò ad occuparmi di un argomento che ha attirato più di altri la
mia attenzione: la nuova regolamentazione delle “partite I.V.A.”.
Nel breve trattato, diviso in 3 parti, mi occuperò del lavoro autonomo così come
disciplinato all’interno del codice civile italiano, passando poi al rapporto tra questo e il
lavoro a progetto concludendo con l’analisi approfondita di quello che poi è il vero tema
centrale della mia dissertazione: l’introduzione dell’art. 69 bis da parte della l. n. 92/2012
c.d. Riforma Fornero.
A conclusione dall’analisi, confrontandomi con i pareri degli esperti di dottrina e
giurisprudenza, proverò a spiegare se la riforma è riuscita o no nel suo intento e cercherò
di valutare l’eventuale fondatezza delle critiche ricevute dall’opinione pubblica.
2
CAPITOLO I
Il lavoro autonomo nella disciplina del codice civile: profili generali
SOMMARIO: 1. Disciplina generale del lavoro autonomo e contratto d’opera. – 1.1. In che consistono
lavoro autonomo e lavoro subordinato. – 1.2. Segue: Le differenze tra il lavoro autonomo e l’appalto. – 2.
Il contratto d’opera. – 2.1. Le caratteristiche principali del contratto di lavoro autonomo. – 2.2.
L’esecuzione della prestazione a carattere prevalentemente personale. – 2.3. Causa e oggetto del
contratto. – 2.4. Gli obblighi del prestatore d’opera: l’esecuzione dell’opera e la diligenza. – 2.5. I limiti
del potere direttivo del committente. – 2.6. Il corrispettivo. – 3. L’accettazione dell’opera. – 3.1. Vizi e
difformità dell’opera. – 4. Casi di estinzione del rapporto d’opera. – 4.1. Segue: L’impossibilità e
l’eccessiva onerosità sopravvenuta. – 5. La disciplina della responsabilità professionale: cenni. – 5.1. Il
recesso delle parti. – 6. I contratti di lavoro autonomo ad esecuzione continuativa. Agenzia e
rappresentanza commerciale: cenni.
1. Disciplina generale del lavoro autonomo e contratto d’opera
Al lavoro autonomo viene dedicato il Titolo III del libro V del codice civile
1
. La
dottrina rileva che il problema principale che si incontra nello studio del lavoro
autonomo, riguarda l’esistenza, all’interno dell’ordinamento, di una vera e propria
definizione di lavoratore autonomo
2
.
Viene fatto notare infatti come il concetto di lavoro autonomo sembri più che altro
“il risultato di un procedimento argomentativo a contrario
3
, calibrato sulla contrapposta
1
G. Santoro-Passarelli, voce Lavoro autonomo, in Enciclopedia del diritto, 2011, pag. 1, L’A. ricorda con
riferimento all’articolo 2222 del codice che: si ha rapporto di lavoro autonomo quando “una persona si
obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e
senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente”; v. anche G. Santoro-Passarelli, Dal
contratto d'opera al lavoro autonomo economicamente dipendente, attraverso il lavoro a progetto, in
Riv. It. Dir. lav., n. 4, 2004, il quale fa notare come manchino nel Titolo III del Libro V, pur dedicato al
lavoro autonomo, la fattispecie e la disciplina del lavoro autonomo continuativo, in cui non è il risultato,
ma il lavoro in sé e per sé considerato, ad essere dedotto in obbligazione.
2
U. Romagnoli, Arriva un bastimento carico di “A”, in M. D’Antona, a cura di, Politiche di flessibilità e
mutamenti del diritto del lavoro: Italia e Spagna, Napoli, 1990, pag. 36.
3
A. Perulli, Il lavoro autonomo, in Trattato di diritto Civile e Commerciale, tomo I n. XXVII, Milano,
1996, pag. 3, È proprio dalla previsione del lavoro autonomo che si deve ricavare la definizione di
lavoratore autonomo; si v. anche G. Oppo, voce Impresa e imprenditore, in En. Giur. Trecc., XVI, Roma,
3
fattispecie di lavoro subordinato”. Il lavoro autonomo trova la sua disciplina essenziale
dal codice civile, poiché, il summenzionato codice, “nel dettare le regole generali (art.
2222 e ss.), fa espressamente salve le disposizioni del libro IV sui contratti di trasporto,
mandato, commissione, spedizione, agenzia, mediazione e deposito, i quali possono
essere stipulati sia da un lavoratore autonomo, sia da un imprenditore”
4
.
Per molto tempo ricordano gli autori, il lavoro autonomo non è stato considerato
degno di riconoscimento, in quanto compresso tra la fattispecie di subordinazione e di
appalto, ed escludendo l’art. 35 della Costituzione (“la Repubblica tutela il lavoro in tutte
le sue forme ed applicazioni”), che può essere esteso ad ogni forma di lavoro
indipendentemente dal fatto che sia subordinato e la tutela previdenziale, il legislatore
non ha ritenuto necessario di riconoscere al lavoratore autonomo alcuna forma di tutela
ulteriore rispetto a quella prevista dagli art. 2222-2238 c.c.
5
.
Detto questo, è importante analizzare la figura del prestatore d’opera. La dottrina
osserva come a differenza dell’appaltatore esso sia un lavoratore autonomo
6
; dallo stesso
1989, pag. 7, ora in Id., Diritto dell’impresa, scritti giuridici, Padova, 1992, pag. 282 e segg., per il quale
“Compito dell’interprete, quindi, è quello di ricostruire tale figura partendo dalla nozione di contratto
d’opera contenuta nell’art. 2222 del codice civile; quindi, non quello di cancellare una distinzione che
appare centrale nel sistema della legge, ma quello di coglierne il vero significato”.
4
A. Vallebona, Istituzioni di diritto del lavoro, Torino, 2011, pag. 210.
5
G. Santoro-Passarelli, Dal contratto d’opera, op. cit. pag. 546, L'ampia formulazione dell'art. 35 Cost.
funge da base per un intervento legislativo che riconosca, in base al principio del bilanciamento degli
interessi, i diritti irrinunciabili previsti dal Titolo III della Costituzione anche ai lavoratori autonomi,
specie se titolari di un rapporto di durata; A. Vallebona, Istituzioni di diritto del lavoro, op. cit., pag. 234,
In altre parole, la tutela dei suddetti lavoratori, è rimasta ferma alla disciplina civilistica del contratto
d’opera e alla disciplina dei tipi di lavoro autonomo regolati dal libro IV delle obbligazioni. Il legislatore,
peraltro, ha esteso ai prestatori d’opera lo specifico regime previdenziale previsto per i lavori
parasubordinati dell’art. 2, commi 26-31, legge 8 agosto 1995, n. 335, limitatamente ai compensi
derivanti da prestazioni di lavoro autonomo ex art. 2222 c.c. eccedenti il limite di 5.000,00 euro lordi
annui, a prescindere dal numero di committenti (art. 44 , comma 2, d. l. 30 settembre 2003, n. 269 come
convertito dalla legge 24 novembre 2003, n. 326; circolare INPS n. 103 del 6 luglio 2004); v. anche D.
Mezzacapo, Il lavoro a progetto e le altre collaborazioni continuative e coordinate, in G. Santoro-
Passarelli, Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale, Torino, 2014, dove secondo l’A. la
mancata attenzione al lavoro autonomo continuativo dipende dall’elasticità della nozione di
subordinazione, idonea a ricomprendere agevolmente qualunque attività finalizzata alla soddisfazione di
un interesse durevole.
6
O. Cagnasso, voce Opera (contratto di) in Dig. It., disc. priv. sez. comm., X, Torino, 1994, pag. 327, il
quale ricorda che “dottrina e giurisprudenza concordano nell’individuare la linea di demarcazione tra i
due modelli contrattuali con riferimento alle modalità di svolgimento dell’attività produttiva e quindi alla
qualificazione delle parti”. Tuttavia, nel caso in cui il prestatore svolga professionalmente una
determinata attività e si avvalga di una piccola organizzazione prevalente rispetto al suo lavoro personale,
lo stesso assume la qualifica di piccolo imprenditore ex art. 2083 c.c.; cfr. G. De Nova, Il tipo
contrattuale, Padova, 1974, pag. 97, Tale articolo, non indica i caratteri di un’attività (come l’art. 2082
4
art. 2222 c.c. risulta che il prestatore d’opera compie un’opera o un servizio con il lavoro
prevalentemente proprio.
Il prestatore d’opera è sempre una persona fisica “e la sua prestazione viene
contrassegnata dell’intuitus personae e dalla fiducia che riguarda l’esecuzione personale
dell’obbligazione di facere del prestatore d’opera”
7
.
1.1. In che consistono lavoro autonomo e lavoro subordinato
La dottrina ricorda che in riferimento al vecchio codice civile italiano del 1865,
sulle orme della tradizione giuridica romana, si usava definire con l'espressione locatio
8
il
lavoro come locazione di opere accanto alla locazione delle cose
9
.
Nel diritto romano la locatio conductio, presenta tre tipi fondamentali: locatio
rei, locatio operis faciendi, conductio operarum
10
. La ragione, per cui tipi così diversi
che invece riguarda l’imprenditore), piuttosto , definisce un contratto. Cass. 29 maggio 2001, n. 7307, in
Rep. Foro it., 2001, voce Appalto, n. 26: “Il contratto d’appalto ed il contratto d’opera si differenziano per
il fatto che nel primo l’esecuzione dell’opera commissionata avviene mediante una organizzazione di
media o grande impresa cui l’obbligato è preposto e nel secondo con il prevalente lavoro di quest’ultimo,
pur se adiuvato da componenti della sua famiglia o da qualche collaboratore secondo il modulo
organizzativo della piccola impresa desumibile dall’ art. 2083 c.c.”; nello stesso senso, Cass. 17 luglio
1999, n. 7606, in Rep. Foro it., 1999, voce Appalto, n. 16.
7
G. Santoro-Passarelli, Diritto dei lavori, Torino, 2013, pag. 320.
8
L. Amirante, voce Locazione (in generale). Diritto romano, in Noviss. Dig. It., IX, Torino, pag. 992 e
segg.
9
V. Arangio-Ruiz, Istituzioni, Napoli, 1921, pag. 235 e segg., Nell’accezione tradizionale, propria della
dottrina ottocentesca, ciò che attualmente denominiamo “lavoro autonomo” veniva ricompreso nella
locatio operis – contratto avente ad oggetto l’attività diretta alla realizzazione di un determinato risultato
dietro corrispettivo di una mercede –, a sua volta riconducibile, assieme alla locatio rei e alla locatio
operarum, allo schema romanistico della locatio et conductio. L’indagine storica più recente ha tuttavia
respinto l’assunto della pandettistica, negando la summenzionata tripartizione ed affermando come, nella
concezione romana classica, l’unico fenomeno di locazione ricomprendesse unitariamente sia la locatio
rei utendae et fruendae, sia la locatio operis faciendi, mentre la locatio operarum si caratterizzava quale
prestazione materiale fornita dagli schiavi (locatio hominis).
10
E. Costa, Storia del diritto romano privato, Torino, 1925; si v. anche U. Brasiello, L'unitarietà del
concetto di locazione nel diritto romano, in Riv. it. sc. giur., 1927, pag. 529 segg., 1928, p. 3 segg., il
quale osserva che, Il censore locabat - proprio nel senso di "mettere a posto, collocare" - gli stabili o le
imposte al maggiore offerente, l'opus faciendum a chi meno pretendeva; il magistrato conducebat con sé
alcuni uomini liberi per quei servigi che non si volevano commettere a schiavi. Ciò spiegherebbe anche
perché si chiami locator tanto chi concede il godimento della cosa, quanto chi dà un lavoro da eseguire
contro retribuzione, sebbene il primo abbia diritto alla mercede e il secondo vi resti obbligato, mentre si
dice conductor colui che si obbliga alla mercede e assume gli altrui servigi.
5
vennero raggruppati sotto un solo concetto, è da ritenersi storica secondo la dottrina: il
modello fu posto dai negozi conchiusi dallo stato
11
.
V. Arangio Ruiz ha sostenuto la tesi secondo cui i Romani non distinguessero tre
tipi di contratti diversi uniti dall'analogia della funzione economica, ma un contratto
unico in cui "una delle parti (il locatore) mette nella materiale disposizione dell'altra (il
conduttore) una certa cosa che questa si obbliga a restituire dopo averla goduta per un
certo tempo o dopo averla manipolata o trasportata nel modo convenuto"
12
.
Nella locatio rei, a corrispettivo dell'uso e godimento della cosa locata, il conduttore
deve prestare una merces che nel diritto antico, e probabilmente ancora nel diritto
classico, era fissata in denaro
13
.
Dalla locatio rei si sviluppò la locatio che ha per oggetto l'attività umana. Questa
più recente applicazione della locatio assume, a detta della dottrina, due diversi
atteggiamenti a seconda che l'attività che ne forma oggetto sia prestata a tempo e per un
corrispettivo commisurato alla sua durata (locatio operarum) o sia invece rivolta al
raggiungimento di un certo fine, come ad esempio la costruzione di un edificio per cui è
convenuto un dato compenso (locatio operis)
14
.
11
F. De Robertis, G. Ghezzi, Lezioni di storia di diritto del lavoro, Bari, 1967, Il problema della
distinzione tra i differenti tipi di locatio, seppur non storicamente fondata, è probabilmente avvertita
quando la sensibilità giuridica discerne le diverse funzioni economico-sociali tipiche di ciascun contratto,
e si ripropone sia nel periodo medievale – ove però sembra porsi solo in relazione alle attività svolte nelle
città da artigiani liberi – sia nella fase precedente le codificazioni, laddove lo schema locatio-conductio
viene recepito dai glossatori per identificare nel conduttore colui che si impegna a dare un corrispettivo in
cambio del godimento di alcunché (opere, servizi, cose). La classificazione, per genus et differentiam,
della locazione in locazione di opere e di cose, fu proposta da Pothier (che includeva nel louage des
choses anche la locatio operarum) per poi consolidarsi definitivamente nel Code Napoleon.
12
V. Arangio-Ruiz, Istituzioni di diritto romano, Napoli, 1926, L’idea che la locazione-conduzione si
perfezioni soltanto con la consegna della cosa, sostenuta per l'età primitiva dell'istituto da O. Karlowa e
ancora per l'epoca classica da S. Perozzi, non sia sorretta da alcun argomento decisivo e urta contro la
classificazione dei contratti che troviamo nelle nostre fonti e nella quale essa è posta fra i contratti che si
perfezionano col semplice consenso.
13
A. Perulli, Il lavoro autonomo, op. cit., riporta la visione di E. Costa (La locazione di cose in diritto
romano, Torino, 1915), il quale ricordava che nell'età avanzata, per influenza dei diritti locali di alcune
provincie grecizzanti, si riconobbe che nelle locazioni di terreni la merces potesse essere pattuita in una
certa quantità di frutti (v. colonia parziaria), senza che la figura del negozio ne fosse alterata. Perulli
analizza poi l’opinione di C. Ferrini, secondo il quale il diritto giustinianeo, reagendo contro la pratica
precedente, avrebbe richiesto la merces in denaro. (C. Ferrini, La colonia parziaria, in Opere, III, Milano
1929, pag. 1 segg.).
14
L. Abello, Trattato della locazione, 2 ed., IV (Locazione d’opera, Appalto), Napoli-Torino, 1922, pag.
42, per il quale la locatio operis comprenderebbe non solo il fare ma anche il curare, da cui una
6
Per operae normalmente s'intendono, ricordano gli autori, i servigi manuali, poiché
l'attività d'indole intellettuale e morale (del precettore, del medico, dell'orator advocatus,
del iuris studiosus che presta consiglio nella trattazione degli affari, del notaio) è già
giuridicamente protetta durante l'impero extra ordinem, prima nei paesi provinciali, poi in
Italia
15
.
La pandettistica tedesca evidenzia come una singolare applicazione della locatio
operis abbia luogo nel contratto di trasporto marittimo disciplinato da norme che
dovevano essere, fin dal sec. IV a. C., comuni ai vari popoli greci che praticavano il
commercio marittimo. Queste leggi, conosciute dai Romani attraverso i rapporti con
l'isola di Rodi, furono dette lex Rhodia
16
.
Tornando alla locatio operis, viene osservato come essa aveva ad oggetto uno
specifico risultato e si distingueva dalla locatio operarum riguardante un'attività
lavorativa avulsa dal rischio del risultato
17
. In tal modo si distingueva tra lavoro
autonomo (comprendendo le professioni intellettuali) e il lavoro subordinato
18
. Tale
distinzione, ha subìto non poche critiche dalla dottrina tradizionale poiché presentava
delle contraddizioni di fondo se applicata a determinati situazioni
19
.
coincidenza “con quel contratto che suole denominarsi impresa”. In realtà v’è qui un riferimento
all’appalto, figura speciale di locatio operis, ovvero “figura o modo di essere speciale dell’impresa”;
quest’ultima dovrà considerarsi come “appalto quando nella prestazione e per essa, si riveli quell’attività
elaboratrice o creatrice di cose o merci che forma il contenuto del “fare” proprio della locazione d’opera;
e non del “fare” generico che si può svolgere nel semplice acquisto di merci per rivenderle e può formare
oggetto della così detta impresa commerciale”(pag. 48).
15
A. Deschamps, Sur l'expression "locare operas" et le travail comme object de contracte à Rome,
in Mélanges Gérardin, pag. 157 e segg., Per ragioni sociali non si riguardavano come locazioni, ma
ricadevano ab antiquo sotto l'ambito di altri rapporti giuridici, i contratti con la nutrice (mandato), con
l'agrimensore (actio in factum), col politor o agronomo (società). L'opus, invece, importa nelle sue
applicazioni più frequenti anche un'attività intellettuale, eventualmente di direzione e coordinazione delle
svariate attività d'ordine materiale.
16
H. Kreller, Lex Rhodia, in Zeitschr. f. ges. Handelsrecht, LXXXV, pag. 260 e segg., Secondo tali
norme i proprietari delle merci sacrificate in caso di tempesta hanno l'actio locati contro il magister
navis per ottenere un risarcimento proporzionale al loro valore, rapportato a quello delle merci salvate,
mentre il magister ha a sua volta l'actio conducti contro i proprietari delle merci tratte in salvo.
17
M. Persiani, Contratto di lavoro e organizzazione, Padova, 1966, pag. 106; R. Pessi, Contributo allo
studio della fattispecie lavoro subordinato, Milano, 1988, pag. 34 e segg.
18
M. Persiani, Riflessioni sulla giurisprudenza in tema di individuazione della fattispecie di lavoro
subordinato, in Studi in onore di F. Santoro-Passarelli, V, Napoli, 1972, pag. 843 e segg.
19
R. Pessi, Contributo allo studio della fattispecie di lavoro subordinato, Milano, 1989, pag. 38 e segg.,
In alcuni casi, infatti, l’oggetto della prestazione poteva essere identico (come le attività svolte
dall’ingegnere dipendente del Genio Civile e l’ingegnere libero-professionista per elaborare un progetto),