Introduzione
Non è facile, né agevole, analizzare il tema del dolore nei
bambini per la complessità di contesti e per la categoria di persone
a cui si riferisce.
Se è vero che maxima debetur puero reventia (al bambino si
deve il massimo rispetto), come cita un antico adagio latino, tale
rispetto va inteso nel senso più ampio possibile: rispetto di un
armonico sviluppo fisico, morale e intellettuale che cessa di essere
tale quando subentra una condizione invalidante quale può essere
quella provocata dal dolore oncologico nell’infanzia.
Fortunatamente, molta importanza si dona oggi alla qualità di
vita dei bambini poiché è oramai consolidata la concezione
secondo cui lo sviluppo di un individuo riguarda tutta la sua
esistenza, dal periodo prenatale fino alla morte ed essa appare
influenzata da tutte le esperienze e vicissitudini che egli vive nel
corso di tutta la sua vita.
Se per lungo tempo, la sensibilità nei confronti dell’infanzia è
risultata carente sotto ogni punto di vista concedendo poca
attenzione ai contesti mal adattivi dei bambini, oggi appare
compito inderogabile provvedere alla loro tutela fisica e psichica
attuando i dovuti processi di riparazione e di protezione
soprattutto in presenza di malattie che presentano un alto rischio
di mortalità quali appunto i tumori.
E’ dovere civico e antropico proteggere e salvaguardare la
salute dei bambini, anche se, spesso, nella nostra società la
malattia rappresenta ancora un tema che rimane troppo spesso
sullo sfondo, quasi a rappresentare una sorta di tabù e, di
conseguenza, il trattamento del dolore che da essa deriva rischia
di essere trascurato.
Oggetto del presente lavoro è, principalmente, il trattamento
del dolore oncologico pediatrico, nato dall’interesse suscitato in
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me durante il tirocinio svolto presso il Policlinico Umberto I di
Roma, nei reparti di pediatria I-II e pediatria oncologica.
Esso si prefigge l’obiettivo di comprendere con maggiore
chiarezza ciò che comporta un’esperienza di sofferenza e di
ospedalizzazione nella vita di un bambino.
Il presente lavoro avrà come punto di partenza una prima
analisi e una prima riflessione sull’esperienza
dell’ospedalizzazione nei bambini, su ciò che essa comporta
quando da momento occasionale diventa quotidianità analizzando
l’impatto che essa apporta sull’intera esistenza individuale del
bambino stesso ma anche sulle sue relazioni familiari e sociali.
Inoltre verrà dato ampio spazio all’importanza delle numerose
azioni svolte per il superamento di tutti gli ostacoli psicologici, e
non solo fisici, che rappresentano una vera e propria barriera alla
guarigione completa e definitiva.
In primo piano, l’accoglienza che si riserva al piccolo e alla sua
famiglia si rivela come il punto di svolta per un accettazione
positiva dei trattamenti proposti dagli operatori sanitari avendo
cura di costruire una relazione di fiducia tra medico e paziente,
fondamentale nella cura della malattia per il superamento di ansia
e stress veri pericoli per la salvaguardia di un reale e concreto
stato di benessere.
Si analizzerà il ruolo che riveste la scuola in ospedale e nel
dettaglio la professionalità dell’insegnante che dovrebbe
padroneggiare il repertorio ideale di competenze nell’area delle
relazioni, nelle tecniche della comunicazione e in quelle
organizzative.
Nel secondo capitolo si ripercorreranno le principali tappe
dell’evoluzione del sistema ospedaliero nazionale e della Pediatria
in particolare. Si sottolineeranno le peculiarità del Policlinico
Umberto I, presso il quale ho svolto la mia esperienza di
tirocinante muovendo da una breve descrizione della struttura
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stessa e puntando l’attenzione sull’azione educativa e
sull’organizzazione pedagogico- didattica svolte al suo interno.
Si delineeranno le attività realizzate per un concreto aiuto al
bambino ammalato e alla sua famiglia utilizzando il canale di
comunicazione privilegiato dell’infanzia, il gioco in tutte le sua
più semplici manifestazioni.
Inoltre, si sottolineerà l’utilità delle terapie ausiliari per un
controllo del dolore, tra le quali la Clown terapia occupa un posto
di primo piano chiarendo come l’umorismo e il riso che ne
scaturisce rappresentino un’ancora di salvezza contro il male e la
sofferenza.
Nel terzo ed ultimo capitolo si analizzeranno gli aspetti
psicopatologici del dolore in generale e di quello pediatrico in
particolare, fornendo una descrizione dettagliata dei dati ISTAT
sull’incidenza dei tumori pediatrici nel nostro paese.
Il dolore verrà analizzato in tutti i suoi percorsi, dalla prima
comparsa fino all’evoluzione ultima, sottolineando l’importanza
dei trattamenti psicoterapeutici nella sua gestione e nel suo
superamento, attingendo all’esperienza personale del dolore visto
in prima persona con la descrizione di due casi clinici in cui
l’utilità dei trattamenti psicologici risulterà fondamentale.
In ultimo, verrà illustrata un’altra conseguenza collaterale delle
malattie tumorali, la cosiddetta emigrazione sanitaria, lo
spostamento interregionale, più o meno volontario, dei malati e
delle loro famiglie per ottenere assistenza e cure migliori con tutte
le difficoltà che tale movimento comporta in termini materiali e
spirituali puntando ancora una volta sull’utilità del volontariato e
della sua importante azione di supporto e sostegno economico e
morale per i malati e le loro famiglie.
Capitolo primo
Bambini in ospedale
1.1. Come vivono l’ospe dale i bambini
Con l’insorgere della malattia e della sofferenza che ne
consegue, il bambino deve fronteggiare sentimenti e stati d’animo
quasi sempre sconosciuti per lui come il dolore e il senso di
abbandono che si presentano nel momento stesso in cui egli viene
lasciato in ospedale e affidato ad adulti che rappresentano degli
estranei. Con il ricovero, egli viene letteralmente e
improvvisamente “catapultato” in un ambiente estraneo, un
ambiente completamente diverso da quello familiare.
Il ricovero rappresenta per il bambino, così come afferma
Filippazzi, “una fonte di disagio” che causa difficoltà spesso
profonde alla sue psiche.
Per molto tempo l’interesse degli operatori sanitari e di quanti
gravitavano attorno al bambino malato era rivolto solamente alla
risoluzione dei suoi problemi fisici, dimenticandosi della parte
sana e dei suoi bisogni emotivi, spirituali e psicologici.
Si è ormai compreso che un bambino che entra in ospedale non
cessa per questo di essere tale, la sua voglia di giocare, il bisogno
di avere amici, la naturale spinta a crescere e ad imparare non si
esauriscono con il ricovero.
Anzi, soprattutto negli ultimi decenni si è compreso come
proprio in questi momenti egli abbia maggior necessità di
continuare a compiere, nella misura possibile, quelle attività “da
bambino” che svolgeva prima dell’arrivo in ospedale.
Si avverte sempre di più il bisogno di compiere azioni di tutela
dei bambini malati allo scopo di rendere l’ospedale stesso un
“ambiente ricco di momenti felici”.
Se è vero che il dolore non può essere eliminato, non può essere
rimosso né cancellato in quanto rappresenta una “fase inevitabile
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della permanenza della malattia” si possono ridurre gli effetti
negativi sulla psiche che comportano sicuramente un
rallentamento della guarigione oltre a creare veri e propri traumi.
Le difese del bambino sono in grado di reggere quasi tutto
quello che la vita può presentargli, a patto che sia in ambiente
amorevole poiché la mancanza di amore o la coincidenza di
diversi traumi possono provocare danni permanenti
(Winnicott,1997).
Sono stati fatti veri e propri passi da gigante nel modo di gestire
l’ospedalizzazione del bambino soprattutto a partire dagli anni ’50
con il Rapporto Platt e la pubblicazione del manuale Il vostro
bambino in ospedale di J. Robertson che rappresentano uno
spartiacque tra una visione incentrata sulla malattia e un’altra
opposta che mette il bambino e i suoi bisogni emotivi, spirituali e
psicologici al centro dell’azione medica.
L’interesse verso il bambino malato e verso le difficoltà che essa
globalmente sperimenta durante l’esperienza di malattia è
cresciuto a partire degli anni Novanta.
Non viene presa in considerazione solo la dimensione medica
ma anche e soprattutto la sua ricaduta in ambito psicologico e
sociale, al fine di non scindere la persona in categorie ma
valorizzandone la sua unità.
“La malattia rappresenta, generalmente per tutti, una
situazione di emergenza di fronte alla quale non esistono scenari
statici, o risposte uniformi, ma tentativi soggettivi di superamento
alla crisi, elaborati continuamente perché ripetutamente in
discussione” (A.Guerra).
Tra i possibili disturbi e effetti collaterali dell’ospedalizzazione
nei bambini vengono inclusi atti aggressivi, sentimenti di ansia,
tristezza e depressione con conseguente rallentamento dell’intero
sviluppo della personalità (Filippazzi).
La mente dei bambini non ancora definitivamente strutturata
non è in grado di comprendere l’ineluttabilità del male e della
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malattia, essi avvertono tali stati fisici come una punizione a colpe
a cui non sanno dare un nome reagendo in modi differenti eppur
sempre dolorosi.
Tali reazioni negative sono generate dal distacco forzato dalla
famiglia.
Poiché la famiglia è la guida dominante nella vita di ogni uomo
e poiché essa costituisce il primo e fondamentale centro degli
affetti umani, la separazione dalle figure parentali di riferimento
rappresenta per il bambino una ferita profonda.
La famiglia costituisce il campo preminente dell’esperienza
infantile, il primo e più importante legame attraverso cui egli
comprende il mondo. La presenza attiva di un genitore in
ospedale garantisce il contenimento di queste reazioni negative
rappresentando una sorta di “alleanza terapeutica” (Filippazzi).
Le reazioni dei bambini al ricovero possono essere di due
specie: attive e passive.
Tra le reazioni attive troviamo (Capurso,2001):
Piangere
Opporsi alle terapie
Aggrapparsi ai genitori
Atteggiamenti auto- lesivi
Aggredire cose o persone
Litigare
Il pianto rappresenta la manifestazione più evidente di disagio
nel bambino. Attraverso le lacrime egli esprime il suo dolore di
fronte ad avvenimenti e sentimenti che rompono il normale stato
di benessere emotivo.