2
situazioni di tensione non controllabili dai singoli stati […]”.
3
Infatti, le
disposizioni del Trattato di Maastricht e, soprattutto, le forze economiche che
sorreggono il processo di integrazione dei mercati hanno imposto pesanti vincoli
all’esercizio della sovranità nazionale in materie delicate come la politica
monetaria e la politica fiscale, tanto che alcuni autori ritengono che “la
globalizzazione finirà per imporre una struttura organizzativa sovranazionale di
poteri decisionali”.
4
Senza volere entrare nel merito del dibattito, pur scottante,
relativo al ruolo riservato ai singoli stati membri all’interno della comunità (sono
ancora enti sovrani o sono semplicemente autonomi?),
5
né in quello sulla
opportunità di devolvere rilevanti porzioni della sovranità nazionale ad organi
tecnici, non rappresentativi, quali sono le istituzioni comunitarie,
6
questo lavoro si
propone, stante l’asserita l’impossibilità di svolgere una politica fiscale
indipendente nell’ambito di un mercato integrato, di analizzare gli effetti
distorsivi
7
che le decisioni in materia di finanza pubblica producono sulle scelte
3
Duilio Luttazi, op. cit. pag. 308.
4
Duilio Luttazi, ibidem. Per una critica alla tesi secondo cui la creazione di una moneta unica
potrebbe validamente rappresentare un trampolino di lancio per la costituzione di una “federazione
di stati Europei”, si veda, invece, Massimo Pivetti, “Monetary versus Political Unification in
Europe. On Maastricht as an exercise in ‘vulgar’ political economy”; in tale scritto, riprendendo
riflessioni già svolte (per le quali, cfr. “Maastricht e l’Indipendenza Politica delle Banche Centrali:
teoria e fatti”, pag. 27), egli asserisce che: “se l’Unione Monetaria Europea non può essere difesa
sulla base di solidi vantaggi economici per i paesi aderenti, essa non potrà essere concepita che
come una conseguenza di un eventuale processo di unificazione politica”.
5
Sul dibattito in materia di autonomia e sovranità con specifico riguardo alla politica monetaria, si
veda l’opinione espressa da Emerico Zautzik in “Prospettive dell’Integrazione Monetaria Europea”
pag. 69.
6
In tal senso si veda Massimo Pivetti, “Maastricht e l’Indipendenza Politica delle Banche Centrali:
teoria e fatti”, pag. 23; l’autore, non condividendo le concezioni macro economiche correnti, alla
stregua delle quali le variabili reali (prodotto, occupazione, tasso di interesse reale) sono
considerate indipendenti dalla politica monetaria, sostiene che, poiché “le decisioni concernenti il
livello del tasso di interesse influiscono sui livelli di attività e sulle condizioni materiali di vita
della popolazione, un organismo non eletto può […] avere la responsabilità dell’esecuzione dei
tassi di interesse, ma non quella della determinazione”.
7
Come rilevato da Valeria De Bonis (“Regional Integration and the Coordination of Capital
Income Taxation”, pag. 1), “the taxation problems […] derive from the fact that lump sum
instruments are generally not available, therefore taxation distorts the allocation of resources.” E’,
infatti, opinione diffusa che gli strumenti lump-sum, consistendo in una forma di tassazione che
prevede il pagamento di un ammontare fisso, indipendentemente dalle caratteristiche dell’oggetto
da tassare, a differenza delle forme di tassazione diretta ed indiretta, non comportino una
distorsione degli schemi di allocazione delle risorse. Tuttavia, proprio per le suddette
caratteristiche, tali strumenti sono fortemente criticabili sul piano equitativo. Infatti, lo Stato, per
problemi di carenza di informazioni, al momento irresolubili, non è in grado di calibrare i
3
degli operatori economici privati (e, quindi, sull’allocazione internazionale delle
risorse).
8
In particolare, l’analisi si concentrerà sul più mobile fra i fattori
produttivi: il capitale; questo, non solo, perché il capitale, proprio per la suddetta
caratteristica, risente fortemente di ogni modificazione delle condizioni di
mercato,
9
ma anche, perché, a differenza di altri settori, in cui si è raggiunto un
sufficiente grado di armonizzazione a livello comunitario (si pensi alla disciplina
delle imposte indirette),
10
nella materia oggetto d’esame, né il completamento del
trasferimenti in forma fissa “[…] ai diversi aspetti caratteristici di ciascun individuo (dotazione di
risorse e, quindi, capacità produttiva, preferenze e, quindi, disponibilità a pagare per i beni
pubblici, etc.) […].” Cesare Cosciani, “Scienza delle Finanze”, pag. 93.
8
Si ricordi che, a giudizio di Duilio Luttazi (op. cit., pag. 310), “il regime di tassazione delle
rendite finanziarie è uno dei fattori che più influiscono sulle scelte degli operatori istituzionali che
trascinano poi una miriade di operatori singoli”.
9
Si pensi alle vicende verificatesi in Germania alla fine del 1988 e nel giugno del 1991: in tale
paese, infatti, “gli interessi sono stati tradizionalmente esenti da ritenuta e, di fatto, esenti da ogni
imposta (si stima che circa il 78% dei redditi delle attività finanziarie evadesse le imposte in
Germania [Conseil National du Credit 1988]).” Silvia Giannini, “Imposte e Mercato Internazionale
dei Capitali”, pag. 59. Come ricorda Ernesto Longobardi in “Sulla Tassazione delle Attività
Finanziarie nell’Unione Europea”, pagg. 22 / 3, negli ultimi mesi del 1988 “[…] il solo annuncio
dell’introduzione, a partire dal 1° gennaio 1989, di una ritenuta del 10% alla fonte sui redditi di
capitale, estesa ai non residenti e senza eccezioni, determinò una consistente fuga di capitali
soprattutto verso il Lussemburgo, che costrinse, alcuni mesi più tardi (aprile 1989) le autorità
tedesche a fare marcia indietro abolendo la ritenuta.” Analogamente, quando, nel 1991, è stato
sollevato il giudizio di legittimità costituzionale sul sistema di tassazione dei redditi da capitale ed
il governo, onde assicurare una maggiore equità, ha dovuto procedere ad una revisione del sistema
(introducendo, a partire dal 1° gennaio 1993, una ritenuta alla fonte sugli interessi del 30%) “il
mercato ha di nuovo reagito con un notevole deflusso di capitali verso l’estero, ancora una volta,
soprattutto verso il Lussemburgo […]” …che, come noto, è un paradiso fiscale. Cfr: ibid. Effetti
analoghi si sono verificati anche in altre parti del mondo: ad esempio, in Canada, allorché, nel
1975, venne abolita la ritenuta alla fonte prelevata sui non residenti. Cfr. : Valeria De Bonis, op.
cit., pag. 12.
10
In tal senso, l’articolo 93 del Trattato C.E. (nuova numerazione) prevede “[…] l’armonizzazione
delle legislazioni relative alle imposte sulla cifra d’affari, alle imposte di consumo ed altre imposte
indirette, nella misura in cui detta armonizzazione sia necessaria per assicurare l’instaurazione del
mercato interno […]”; inoltre, secondo quanto asserito dalla Commissione delle Comunità
Europee [1985, 41], l’armonizzazione nelle suddette materie “è stata sempre considerata una tappa
indispensabile per il raggiungimento di un autentico mercato comune.” Pertanto, in attuazione
della suddetta norma, è stato introdotto un sistema comune di I.V.A. “tipo consumo” (che, come è
noto, consente l’integrale ed immediata detraibilità dell’I.V.A. pagata sui beni di investimento), si
sono armonizzati la base imponibile di detta imposta ed alcuni aspetti relativi alla struttura
dell’accise e, a partire dal 1° gennaio 1993 (data dell’abolizione delle barriere doganali), è stato
avviato un nuovo sistema di tassazione indiretta fra i paesi membri (Dir. 91 / 680 / C.E. del 16 / 12
/ 1991, pubblicata su G.U.C.E. n° L 376 del 31 / 12 / 1991). Trattasi di un regime transitorio, di
durata quadriennale (la cui vigenza è stata successivamente prorogata fino al 1° gennaio 2000), al
termine del quale è previsto il definitivo abbandono del sistema di tassazione secondo il principio
della destinazione (adottato per gli scambi infracomunitari dall’introduzione dell’imposta, nei
primi anni ’70, fino al 1993) e l’applicazione di un sistema di tassazione secondo il principio
dell’origine. Cfr. anche: Silvia Giannini, op. cit., pagg. 23 / 4. Come si vedrà meglio in seguito,
tale scelta è stata determinata dalle difficoltà di mantenere in vita un sistema di tassazione basato
sul principio della destinazione in assenza di barriere doganali. Per una trattazione più
approfondita di tali aspetti, cfr.: Paolo Bosi e Maria Cecilia Guerra, “I Tributi nell’Economia
Italiana”, cap. VIII, § 4, pagg. 216 e segg.
4
Mercato Unico, né le diverse proposte avanzate dalla Commissione, sembrano
aver dato la spinta sufficiente all’emanazione di direttive che permettano di
realizzare un sia pur debole coordinamento delle legislazioni nazionali in materia
di tassazione degli investimenti diretti e delle attività finanziarie.
11
Chiaramente,
la vastità della materia,
12
l’esistenza di frequenti innovazioni (legislative
13
ed
interpretative) e la consapevolezza dell’impossibilità di affrontare in modo
esaustivo una trattazione di tutte le problematiche connesse ai molteplici impieghi
del capitale, rendono necessario un ulteriore restringimento del campo di analisi:
pertanto, si è deciso di concentrare l’attenzione sulla tassazione del risparmio
privato, con qualche accenno alle problematiche relative alla tassazione dei redditi
provenienti da investimenti in società di capitali. In particolare, per quanto
riguarda quest’ultimo aspetto, si tratterà brevemente degli effetti distorsivi
prodotti dal sinergico operare delle imposte gravanti sulle società stesse e di
11
Le proposte della Commissione Europea hanno riguardato, di volta in volta, singoli aspetti del
prelievo tributario quali:
- la tassazione degli interessi in sede di imposizione personale;
- l’imposta sulle società e la sua relazione con la tassazione dei dividendi in capo all’azionista;
- il trattamento delle fusioni societarie;
- i criteri di riporto delle perdite;
- i rapporti fra società collegate di diversi stati membri.
Una trattazione più approfondita di tali tematiche avverrà nel capitolo II° di questo lavoro. Cfr.
comunque anche Silvia Giannini, op. cit., cap. II, pagg. 23 e seg.
12
Come è noto, nel mercato finanziario, si muovono masse di capitali (derivanti da investimenti
diretti) e flussi di risparmio (derivanti da movimenti di portafoglio); troviamo così flussi di
interessi, profitti, guadagni di capitale (c.d. capital gains) connessi con operazioni di
finanziamento per contanti ed a termine, di breve o medio – lungo periodo, nonché con operazioni
societarie di vario tipo. Gli ordinamenti nazionali, oltre a diversificare i regimi fiscali relativi a
flussi e stock finanziari, riservano un trattamento diverso a seconda che gli investimenti di
portafoglio, all’interno del paese o all’estero, siano effettuati da un investitore persona fisica che
operi individualmente o nell’esercizio di un’impresa, ovvero attraverso un canale di
intermediazione: ad esempio, ad opera di persone giuridiche, investitori istituzionali (fondi comuni
e fondi pensione), intermediari creditizi e non creditizi (quali: banche, società fiduciarie, imprese
di assicurazione etc.). Cfr.: Silvia Giannini, op. cit., pag. 14.
13
Tali interventi possono trarre origine da diverse cause: innanzitutto, essi scaturiscono
dall’insoddisfazione per la normativa tributaria vigente (che, spesso, è ritenuta non corrispondente
ai requisiti di equità, efficienza, semplicità) e danno luogo a riforme di ampi comparti della
legislazione fiscale che portano, generalmente, ad ampliare la base imponibile e a ridurre le
aliquote di imposta (si pensi, ad esempio, al decreto legislativo 461 / 1997). In seconda battuta,
alcune modifiche costituiscono la “[…] risposta dei singoli stati al processo di integrazione dei
mercati e riflettono una sorta di ‘armonizzazione spontanea’ […]” raggiunta attraverso meccanismi
di concorrenza fiscale; infatti, detti interventi mirano ad incentivare gli afflussi di capitale (…e,
contemporaneamente, a disincentivarne i deflussi) attraverso un ribasso delle aliquote fiscali.
Infine, vi sono le innovazioni prodotte dalla recezione delle (poche) direttive comunitarie ad opera
delle singole legislazioni nazionali. Cfr.: Silvia Giannini, op. cit., pagg. 41 / 2.
5
quelle dovute dalle persone fisiche o giuridiche che ne detengono i titoli
rappresentativi. La ragione di tale scelta è ravvisabile nel fatto che le modalità di
tassazione dei redditi societari incidono sull’allocazione internazionale dei
capitali, agendo su due tipologie di investimenti: gli investimenti diretti
14
ed i
movimenti di portafoglio,
15
che come si è detto, costituiscono l’oggetto principale
del lavoro. Inoltre, poiché, in campo tributario, l’operato del legislatore deve (o,
per lo meno, dovrebbe) procedere di pari passo con l’analisi degli economisti e dei
cultori della scienza delle finanze, non si potrà prescindere da un approccio
strettamente economico diretto ad illustrare i sistemi base di tassazione dei redditi
da capitale (tassazione secondo il principio della fonte e tassazione secondo il
principio della residenza) e le implicazioni derivanti dalla scelta dell’uno e
dell’altro, nel quadro del perseguimento dell’obiettivo della neutralità fiscale. Alla
trattazione di tali argomenti sarà dedicato il capitolo I° di questo lavoro; in tale
contesto, si effettuerà un confronto dei costi e delle opportunità in termini
allocativi, equitativi e di realizzabilità pratica delle condizioni di C.I.N. e C.E.N.
(che, come è noto, costituiscono le situazioni di neutralità fiscale relativa
raggiungibili mediante l’applicazione rispettivamente del principio di tassazione
alla fonte e di quello della residenza) e si evidenzieranno, altresì, le difficoltà
nascenti dalla mancata applicazione da parte di tutti i paesi di un sistema di
tassazione omogeneo, con specifico riguardo alla questione della doppia
tassazione “giuridica” dei dividendi e dell’eventuale riconoscimento di un credito
d’imposta. Dopo aver stabilito quali sistemi di tassazione possono essere adottati e
14
Come è noto, con gli investimenti diretti, gli investitori mirano a svolgere un’attività produttiva
all’estero attraverso la costituzione di un’unità operativa in un altro paese. In questo caso, il regime
fiscale non inciderà sull’an dell’investimento, ma influenzerà, comunque, le scelte finanziarie
delle multinazionali e la forma giuridica che verrà fatta assumere all’unità operativa. Cfr.: Silvia
Giannini, op. cit., cap. I, pag. 14.
15
Come è noto, con i movimenti di portafoglio, gli investitori mirano a diversificare il proprio
portafoglio di titoli al fine di massimizzarne il rendimento netto e ridurne la rischiosità. E’ chiaro
che, il regime tributario riservato ai redditi prodotti all’estero, influenzando i rendimenti netti,
incide direttamente su questo tipo di investimenti. Cfr.: Silvia Giannini, op. cit., cap. I, pag. 13.
6
quali, invece, devono essere assolutamente evitati, ci si soffermerà sull’attuabilità
di un sistema fiscale neutrale ed efficiente attraverso soluzioni cooperative e non
cooperative. Si analizzeranno, pertanto, i vantaggi e gli svantaggi della
concorrenza fiscale, del coordinamento e dell’armonizzazione e si dimostrerà che,
in una realtà come quella europea, l’approccio migliore è sicuramente
rappresentato dal coordinamento, in quanto è l’unico a permettere il
mantenimento di un certo grado di flessibilità dei sistemi nazionali (garantendo,
così, un loro adeguamento alla situazione di ciascun paese), il permanere di un
certo grado di concorrenza fra gli stati (così da sfruttare l’incentivo al ribasso delle
imposte che essa esercita sui governi di ciascuno di loro) senza dar luogo a
fenomeni di esportazione delle imposte e, più in generale, al prodursi di esternalità
negative. Terminata l’analisi su come dovrebbe impostarsi il problema della
tassazione dei redditi da capitale nell’Unione Europea, si esamineranno le linee
direttrici lungo le quali la Comunità ed i singoli paesi membri si stanno
muovendo. Si vedrà come dopo anni di “integrazione non coordinata”,
16
ci sia
stata una presa di coscienza della dannosità del regime di concorrenza fiscale
praticato senza limiti da numerosi paesi membri: infatti, esso, portando ad un
sempre maggiore ribasso delle aliquote fiscali a carico dei redditi da capitale e ad
un sempre maggiore aumento di quelle gravanti su basi imponibili caratterizzate
da una minore mobilità (quali, in primo luogo, i redditi da lavoro dipendente), è
stato una delle cause degli alti livelli di disoccupazione cui oggi si assiste e,
quindi, deve essere considerato incompatibile con il raggiungimento di alcuni
importanti obiettivi comunitari (fra i quali, appunto, spicca il raggiungimento
della piena occupazione).
17
Il capitolo II° di questo lavoro (dopo una breve
16
Come è stata definita da Francesco Bonaduce, “Liberalizzazione Valutaria e
Fiscalità: la neutralità del fattore fiscale nel mercato europeo”, pag. 321.
17
Secondo quanto sostenuto nella Comunicazione della Commissione Europea del 1° ottobre
1997.
7
sezione relativa all’evoluzione dell’ordinamento europeo dal Trattato di Roma ad
oggi) passerà, quindi, in rassegna le principali proposte avanzate a livello
comunitario, raffrontandole con i regimi vigenti nella maggior parte degli stati
europei. In particolare, si vedrà come, soltanto recentemente, con i Vertici di Feira
e di Bruxelles, sembra essersi raggiunta la possibilità di un’intesa in un settore,
quale quello della tassazione dei redditi finanziari, in cui, da oltre dieci anni, ogni
proposta formulata si era rivelata un insuccesso. Non si mancherà di sottolineare,
inoltre, come la decisione di abolire, di fatto, il segreto bancario da qui ad un
decennio (realizzando, almeno in ambito comunitario, una tassazione dei redditi
da capitale secondo il principio della residenza) abbia rappresentato una brusca
inversione di tendenza rispetto all’orientamento in passato prevalente (quello,
cioè, di una tassazione di detti redditi secondo il principio della fonte, attraverso
l’introduzione di una ritenuta comunitaria minima) sintetizzato nel c.d. pacchetto
Monti, sulla cui introduzione si è per anni discusso… Né si potrà tacere
l’ambiziosità di tale progetto, legata non solo alla necessità di vincere le resistenze
di paesi, quali il Lussemburgo e l’Austria, da sempre contrari allo scambio di
informazioni, ma, soprattutto, al rischio di un massiccio deflusso di capitali,
allorché non si riesca a garantire l’adozione di misure equivalenti anche da parte
dei paesi terzi. Inoltre, per quanto riguarda gli altri aspetti della tassazione dei
redditi da capitale affrontati in ambito comunitario, si riassumeranno i contenuti
delle proposte di armonizzazione delle imposte societarie (ed i suggerimenti
contenuti nel c.d. Ruding Report), della direttiva sul trattamento delle fusioni
societarie, di quella sui rapporti fra società collegate e del pacchetto contro la
concorrenza fiscale dannosa, varato nel 1997 e comprensivo, fra l’altro, di un
codice di condotta in materia di fiscalità delle imprese e di misure in materia di
pagamento di interessi e royalties nell’ambito di gruppi di società. Il capitolo III°
8
di questo lavoro si aprirà con una breve panoramica del quadro economico,
politico e fiscale che ha portato alla riforma varata nel 1997 e tenterà un approccio
critico alla normativa sulla tassazione dei redditi da capitale e delle rendite
finanziarie attualmente vigente nel nostro paese. Come è noto, la materia è stata
fortemente innovata dalla riforma in parola, che, a sua volta, è stata parte di un più
vasto e coordinato piano di interventi che ha investito la tassazione delle persone
fisiche (con la riforma dell’IRPEF), la tassazione delle imprese (con
l’introduzione dell’IRAP e della Dit) ed, appunto, la tassazione dei redditi da
capitale. Come accennato, in questa sede ci si occuperà solo di quest’ultima, allo
scopo di evidenziare, soprattutto, le profonde innovazioni che essa ha introdotto e
le differenze esistenti rispetto ai regimi praticati all’estero:
18
in primo luogo, si
sottolineerà come l’obiettivo di medio periodo verso cui l’intero sistema fiscale
sembra indirizzato sia quello di realizzare “una tassazione progressiva sui redditi
da lavoro ed una (bassa) tassazione proporzionale su tutti i redditi di capitale, sia
fisico (utili d’impresa), che finanziario […].”
19
In secondo luogo, si ricorderanno
le linee direttrici cui sembra ispirarsi il decreto legislativo 461 / 1997
(realizzazione di un prelievo neutrale, omogeneo e di facile applicazione) ed i suoi
principali aspetti innovativi, quali la riduzione del numero delle aliquote,
l’adozione di una forma di prelievo in capo ai gestori delle attività finanziarie
(banche e S.I.M.) fondata sul modello del risultato netto di gestione e,
ovviamente, la tassazione delle plusvalenze in base al principio della maturazione
(…e, cioè, secondo un criterio di competenza anziché di cassa), che, senza
dubbio, rappresenta il fulcro intorno al quale ruota l’intera riforma (sezione I).
18
Accenni agli interventi compiuti in sede di tassazione di persone fisiche ed imprese saranno
effettuati nei limiti in cui si rivelino strettamente pertinenti all’argomento in esame.
19
Riccardo Cesari, “Gli Effetti del Nuovo Regime di Tassazione delle Rendite Finanziarie”, pag.
7.
9
Com’è noto, tale sistema di tassazione (che trova applicazione
esclusivamente per le gestioni individuali e gli OICVM) rappresenta un caso
unico nel panorama internazionale
20
e, pertanto, da più parti sono state
manifestate perplessità legate soprattutto al timore che l’Italia possa risultare
isolata se il suo esempio non sarà seguito dagli altri paesi europei; in particolare,
le maggiori preoccupazioni sono state suscitate dall’introduzione
dell’equalizzatore (che della tassazione secondo il criterio della maturazione
rappresenta il necessario corollario) ed hanno riguardato l’eventualità (a dir il vero
piuttosto infrequente) che, con l’applicazione di tale correttivo, possano essere
tassate anche plusvalenze meramente fittizie. Nella seconda sezione di questo
capitolo, verranno quindi, riportate le principali opinioni (favorevoli o contrarie)
emerse dal dibattito svoltosi in questi anni su tutti gli aspetti or ora esposti. Infine,
poiché sia l’analisi economica che l’orientamento prevalso in sede comunitaria
sembrano individuare nell’integrazione coordinata l’obiettivo verso cui tendere, è
parso opportuno dedicare un breve spazio anche alle modalità di tassazione degli
investimenti (diretti ed indiretti) praticate dagli altri stati europei, onde valutare se
ed in che misura sia possibile auspicarsi il superamento di tutti quei fattori di non
neutralità che, di fatto, impediscono la realizzazione di un unico mercato dei
capitali (sezione III). A conclusione dell’intero lavoro è stata poi realizzata una
breve appendice nella quale si è esposto, in dettaglio, il contenuto del decreto
legislativo 461 / 1997 e dei decreti correttivi che lo hanno emendato.
20
Solo recentemente i Paesi Bassi hanno intrapreso un analogo cammino…
10
CAPITOLO I: LA NEUTRALITÀ FISCALE IN UN MERCATO REGIONALE INTEGRATO:
COSTI ED OPPORTUNITÀ.
I.1) L’ALLOCAZIONE DEI CAPITALI IN UN MERCATO CHIUSO.
Come si è accennato nell’introduzione, la crescente importanza assunta
dalla fiscalità in questi ultimi anni è dovuta principalmente al processo di
integrazione dei mercati di fattori e prodotti portato avanti a livello comunitario.
Consideriamo, infatti, un mercato chiuso ed in cui siano assenti imposte sul
capitale:
21
poiché i risparmiatori non possono trasferire i propri capitali in altri
mercati e gli investitori possono finanziarsi solo attingendo al risparmio interno, la
propensione marginale al risparmio
22
ed il livello degli investimenti si
determineranno avendo riguardo esclusivamente al tasso di rendimento del
capitale
23
vigente all’interno del mercato stesso; inoltre, poiché si è supposto che
il capitale non sia soggetto a prelievo, si avrà una perfetta coincidenza fra costo
24
e rendimento
25
del fattore. Qualora sia introdotto un tributo che colpisca la
remunerazione del capitale, esso produrrà, inevitabilmente, una distorsione nelle
21
Poiché si tratta di un modello semplificato, si supponga che non esistano intermediari e che il
risparmio delle famiglie sia indirizzato direttamente ed integralmente al finanziamento delle
imprese operanti nel settore societario.
22
Ovvero, la quantità di consumi presenti cui ciascuno è disposto a rinunciare a fronte di un
incremento dei consumi futuri.
23
Pari al tasso di interesse nominale. Secondo una nota teoria microeconomica, un’impresa che
intenda massimizzare il proprio profitto impiegherà i fattori produttivi in misura ottimale solo
allorché la produttività marginale in termini di valore di ciascuno di essi (ovvero il ricavo
aggiuntivo derivante dall’impiego di un’unità addizionale di fattore) eguagli il costo della loro
remunerazione. Ciò significa che gli investitori troveranno conveniente utilizzare capitale finché la
produttività marginale dell’ultima unità di detto fattore (al netto dell’ammortamento) sia pari al
tasso di interesse nominale. Cfr.: Silvia Giannini, “Imposte e Mercato Internazionale dei Capitali”,
pagg. 123 / 124. A loro volta, i risparmiatori troveranno conveniente posticipare nel tempo i
consumi, fintanto che il rendimento marginale che essi ottengono dall’ultima unità risparmiata
eguaglia il tasso di interesse di mercato. Infatti, “è ben noto che, nel caso di un modello chiuso, la
condizione di ottimo richiede che il saggio di sostituzione tra consumo presente e futuro sia uguale
alla produttività marginale del capitale.” Ruggero Paladini, “L’Imposizione Diretta nel Processo di
Unificazione Europea”, pag. 356.
24
Ovvero la spesa complessiva che coloro che domandano il capitale devono sostenere per
l’utilizzo dello stesso.
25
Ovvero la remunerazione che coloro che offrono il capitale ottengono dall’impiego di questo.
11
condizioni di impiego dello stesso:
26
infatti, in primo luogo, esso creerà un divario
fra il tasso di interesse nominale al lordo dell’imposta ed il tasso di interesse
nominale al netto dell’imposta e, conseguentemente, un divario fra costo e
rendimento del capitale: in particolare, mentre il primo resterà invariato, il
secondo risulterà decurtato di un ammontare pari al prelievo subito. Ora, poiché,
come è noto, la domanda di un fattore è funzione decrescente del suo costo,
mentre l’offerta è funzione crescente del suo rendimento, a seguito
dell’introduzione dell’imposta, si assisterà ad una contrazione dell’offerta di
risparmio, mentre la domanda di capitali rimarrà invariata: i privati, infatti, nella
formazione delle decisioni economiche, non prenderanno più in considerazione un
unico tasso di rendimento, ma ne terranno presenti due diversi: e cioè, gli
investitori e, più in generale, coloro che domandano capitale, avranno riguardo al
rendimento lordo
27
del fattore (in quanto per loro rappresenta un costo), mentre i
risparmiatori e, più in generale, coloro che offrono capitale, avranno riguardo al
suo rendimento netto
28
(in quanto rappresenta la loro reale remunerazione). In
secondo luogo, l’introduzione dell’imposta potrebbe favorire l’insorgenza di
26
Le distorsioni nelle condizioni di impiego dei fattori produttivi causate dai sistemi impositivi
possono essere misurate attraverso degli indicatori: i cosiddetti cunei fiscali. Il cuneo può essere
espresso attraverso un rapporto, in cui, al numeratore, all’unità vengano sommate le aliquote dei
tributi che gravano sulla remunerazione del fattore considerato e sottratte le aliquote delle imposte
dalla cui base imponibile la remunerazione del fattore è deducibile; mentre, al denominatore,
all’unità vengano sottratte le aliquote che gravano sul prodotto marginale. Qualora esso sia pari
all’unità, significa che l’imposta non da luogo a distorsioni; viceversa, valori superiori ad uno
indicano un incentivo al sottoimpiego del fattore rispetto al livello ottimale, mentre valori inferiori
ad uno indicano un incentivo al sovraimpiego del fattore. Cfr.: Paolo Bosi e Maria Cecilia Guerra,
op. cit., pag. 179.
27
Pari al tasso di interesse nominale al lordo dell’imposta (c.d. tasso di interesse lordo).
28
Pari al tasso di interesse nominale al netto dell’imposta (c.d. tasso di interesse netto).
12
fenomeni di traslazione
29
o capitalizzazione
30
del tributo, facendo così
aumentare il costo del capitale. Com’è noto, tali fenomeni sono legati all’elasticità
della domanda e dell’offerta dei fattori.
31
Nella specie, “come confermato da
Guerra,
32
sulla base di un’analisi di equilibrio parziale […], si avrà perfetta
traslazione, quando l’offerta dell’attività è rigida e/o la domanda perfettamente
elastica, mentre non vi sarà traslazione in presenza di domanda rigida e offerta
perfettamente elastica.”
33
Pertanto, come si deduce da quanto esposto sinora,
anche in mercato chiuso l’introduzione di un’imposta sul capitale determina una
distorsione nella domanda e nell’offerta di questo
34
che, in certe circostanze, può
anche causare un impiego non efficiente delle risorse del paese; tuttavia, poiché è
precluso l’impiego dei capitali in altri mercati, le divergenze fra i tassi di
rendimento interni e quelli praticati in altri mercati tenderanno a permanere
29
La traslazione dell’imposta è il processo attraverso il quale coloro che sono legalmente tenuti al
pagamento del tributo (c.d. contribuenti di diritto), trasferiscono, in tutto o in parte l’onere ad altri
soggetti (c.d. contribuenti di fatto): nel caso accennato nel testo, l’introduzione dell’imposta grava
sui risparmiatori (che sono, quindi, i contribuenti di diritto) riducendo il loro rendimento netto;
tuttavia, a fronte della minore remunerazione ottenuta, essi potrebbero reagire riducendo l’offerta
di capitali; ciò produrrebbe, inevitabilmente, un aumento del tasso di rendimento lordo (e, quindi,
del costo) del capitale per coloro che domandano tale fattore, con la conseguenza che il peso del
tributo verrebbe sopportato anche dagli investitori (che diventerebbero così contribuenti di fatto).
30
Secondo la definizione data da Cesare Cosciani (“Scienza delle finanze”, pag. 173), la
capitalizzazione o ammortamento dell’imposta non è altro se non la riduzione del valore capitale
di un cespite, che il possessore di questo sconta a seguito dell’introduzione di un’imposta sul
reddito di capitale: la perdita di valore è pari al valore attuale di tutti i prelievi futuri (ovvero alla
capitalizzazione del tributo al tasso d’interesse corrente) ed è sopportata esclusivamente dal
possessore del bene, mentre i successivi acquirenti ne restano immuni. Ora, nel caso accennato nel
testo, l’introduzione di un’imposta sui redditi da capitale potrebbe tradursi in un innalzamento dei
costi di emissione delle attività. Cfr.: Francesco Bonaduce, “Liberalizzazione Valutaria e Fiscalità:
la neutralità del fattore fiscale nel mercato europeo”, pag. 337.
31
L’elasticità della domanda o dell’offerta di un fattore consiste nella variazione della quantità di
esso domandata od offerta, a seguito all’aumento di un punto percentuale rispettivamente del suo
costo o del suo rendimento.
32
Maria Cecilia Guerra, “Imposte e Mercati Finanziari”, il Mulino, Bologna, 1989.
33
Francesco Bonaduce, op. cit., pag. 337. In tale sede, egli ricorda, altresì, che gli effetti
dell’aggiustamento del mercato all’imposta, prodotti dai suaccennati meccanismi di traslazione e
capitalizzazione, saranno equivalenti solo se il prelievo sugli interessi sarà di ammontare analogo a
quello sui guadagni in conto capitale.
34
La cui effettiva entità dipenderà da tutta una serie di circostanze ulteriori (quali l’ammontare del
prelievo e le sue modalità di riscossione, l’operare di fenomeni di traslazione del tributo o
dell’effetto sostituzione, etc.).
13
indefinitamente.
35
Inoltre, poiché non si intrattengono rapporti con l’estero, non vi
sono redditi percepiti all’estero dai residenti né redditi percepiti all’interno da non
residenti e, pertanto, nell’introdurre il tributo, lo stato non si dovrà preoccupare di
evitare fenomeni di doppia imposizione giuridica internazionale.
36
I.2) L’ALLOCAZIONE DEI CAPITALI IN UN MERCATO INTEGRATO.
Ben diverso è lo scenario che si prospetta allorché si consideri un mercato
finanziario aperto: in presenza di una perfetta mobilità dei capitali, infatti, “[…]
the capital endowment of a country can be different from the amount of capital
invested within its borders,”
37
dal momento che i risparmiatori possono trasferire
i propri capitali in altri mercati e gli investitori possono finanziarsi attingendo
anche al risparmio estero. Nel caso in cui siano assenti imposte sul capitale, i
movimenti di questo saranno determinati esclusivamente dalla differente
dotazione di fattori esistente fra i vari paesi; la liberalizzazione condurrà, pertanto,
ad una migliore allocazione delle risorse portando ad eguagliare, da un lato, i tassi
di rendimento del capitale e, dall’altro, il rapporto fra il capitale e gli altri fattori
impiegati nel processo produttivo, in tutti i mercati interessati dall’integrazione.
35
Si rilevi altresì che, nel caso di un’economia chiusa (ovvero, in assenza di mobilità dei capitali),
gli effetti disincentivanti indotti dalla tassazione del risparmio saranno, almeno in parte,
compensati da variazioni nei tassi di interesse (attribuibili, come si è visto, a fenomeni di
traslazione del tributo). Ben più grave risulta essere, invece, la situazione che si verifica nel caso di
un’economia aperta, soprattutto se il paese è price taker sul mercato dei capitali: infatti, come
meglio si vedrà nei paragrafi successivi, se l’economia è piccola ed aperta, il tasso di interesse di
equilibrio verrà determinato sui mercati internazionali; trattandosi di un dato esogeno per il singolo
stato, non potrà essere influenzato dal volume di risparmio ed investimenti generato all’interno
dell’economia e, pertanto, l’effetto dei disincentivi fiscali sul risparmio si rivelerà più potente.
Cfr.: Silvia Giannini, op. cit., pag. 137.
36
La doppia imposizione sui redditi può operare a due diversi livelli: infatti, vi sono sia fenomeni
di doppia imposizione giuridica internazionale (che si verificano allorché il reddito di un
investimento venga tassato sia nel paese dove è stato prodotto che in quello dove risiede il
percettore del reddito); sia fenomeni di doppia imposizione economica internazionale (che si
verificano allorché gli utili societari vengano tassati sia in capo alla società dove sono stati prodotti
che in capo agli azionisti non residenti cui vengono distribuiti). Cfr.: Silvia Giannini, op. cit., pagg.
16 / 18.
37
Lisa Grazzini e Tanguy van Ypersele, “International Fiscal Competition versus Coordination”,
pag. 67.
14
Qualora sia introdotto un tributo che colpisca la remunerazione del capitale in
modo difforme nei vari stati, dando luogo a differenziali nei tassi di rendimento
praticati su ciascuna piazza, le scelte di risparmiatori ed investitori saranno
condizionate anche da tale elemento: ciò significa, perciò, che parte dei
movimenti di capitale saranno determinati non da ragioni di efficienza allocativa,
ma da “fiscal opportunism.”
38
In altre parole, se le opportunità offerte all’estero si
prospetteranno più favorevoli di quelle interne, in termini di costo o di
rendimento, il loro sfruttamento determinerà flussi di capitale verso i mercati che
presenteranno le condizioni migliori; tali movimenti perdureranno fino a quando,
nel mercato comune integrato, non si realizzerà un livellamento dei tassi di
rendimento, sia lordi che netti, per attività omogenee (cioè per attività che
presentano di fatto, e non solo nominalmente, le stesse caratteristiche di liquidità,
rischiosità, maturità).
39
Per mostrare l’andamento di detti flussi, ci si può rifare
all’analisi svolta da Gaetana Trupiano
40
sul comportamento di tre tipi di
investitori:
- gli investitori residenti nel paese;
- gli investitori non residenti;
- le società che operano in un dato stato.
I primi possono scegliere di acquistare azioni di società nazionali, ricevendo un
dividendo pari a rD il quale ha già scontato l’imposta sulle società, ma deve
essere ancora assoggettato all’imposta personale sul reddito delle persone fisiche,
la cui aliquota supponiamo essere pari a t. Come investimento alternativo, essi
38
Cfr.: Lisa Grazzini e Tanguy van Ypersele, op. cit., pag. 70. Detti autori rilevano altresì che, in
caso di assoluta immobilità del fattore lavoro, “[…] capital taxes also affect the labor remuneration
via capital movements. An increase of capital tax of a country induces a capital flight making labor
relatively more abundant and leading to a decrease of its remuneration.” Ibidem.
39
A riguardo si ricordi quanto rilevato dal Bonaduce (op. cit. pag. 321) e cioè che, “[…] persino gli
stessi titoli, se trattati su piazze finanziarie diverse, possono, solo per questo motivo, costituire
categorie diverse di attività.”
40
G. Trupiano, “International Tax Competition and European Union Proposals for Tax
Coordination”, pagg. 181 / 2.
15
possono decidere di acquistare titoli trattati sul mercato mondiale, per i quali
riceveranno un rendimento (lordo) pari al tasso di rendimento internazionale rW e
dovranno pagare un’imposta pari a tW. Chiaramente, gli investitori effettueranno
entrambi i tipi di investimento (quello interno e quello estero) solo se il
rendimento di entrambi, al netto d’imposta, sarà lo stesso. Volendo esprimere tale
condizione con una formula matematica, potremo dire che i due tipi di
investimento saranno scelti indifferentemente dagli investitori residenti in un
paese solo se sarà soddisfatta la seguente uguaglianza:
[I.1] rD (1 – t) = rW (1 – tW)
dove, come si è detto:
- rD indica l’ammontare dei dividendi;
- t indica l’aliquota fiscale alla quale sono tassati i dividendi degli investitori
residenti;
- tW indica l’aliquota fiscale applicata agli investitori residenti sui rendimenti
dei loro investimenti di portafoglio effettuati sul mercato mondiale.
A loro volta, gli investitori non residenti potranno scegliere di impiegare i loro
capitali nel proprio paese o nel mercato mondiale; la situazione che si determina è
analoga a quella esaminata con riguardo agli investitori residenti, anche se,
ovviamente, le aliquote applicate agli investimenti dei primi sono diverse da
quelle operanti per questi ultimi. Poiché gli investitori effettueranno entrambi i
tipi di investimento (quello interno e quello estero) solo se il rendimento di
entrambi, al netto d’imposta, sarà lo stesso, potremo dire che i due tipi di
investimento saranno scelti indifferentemente dagli investitori esteri solo allorché
sia soddisfatta la seguente uguaglianza:
[I.2] rD (1 – tF) = rW (1 – tX)