Introduzione
Il digitale è significato molto per il mondo del cinema sotto molti aspetti. Non
tutto si esaurisce con il dibattito intorno al confronto del supporto in quanto il
digitale è importante nei vari campi della produzione e della post-produzione di un
film.
Il primo capitolo della tesi riguarda il dibattito teorico sul cinema digitale; si è
detto troppo spesso e troppo facilmente che il cinema è ormai morto. Questo è
assolutamente un errore perchè ciò a cui assistiamo è un processo di continua
evoluzione in cui ci viene mostrato un cinema mai così vivo e così vicino allo
spettatore. Certamente il tempo in cui l'individuo, per vedere un film, doveva per
forza andare in sala è terminato. Tuttavia, ciò non ha significato la morte del
cinema. Alcuni anni or sono si guardava alla rivoluzione digitale con il pensiero
apocalittico che questa potesse portare alla dissoluzione del cinema; e invece essa è
stata un procedimento che ha donato nuova linfa vitale al cinema. Il digitale è stato
precocemente messo all'indice ma esso ha aperto nuovi orizzonti, nuovi scenari già
profetizzati da alcuni teorici. Oggi, per vedere un film, ognuno di noi può recarsi al
cinema oppure può restare a casa propria oppure, ancora, può assistervi durante un
viaggio in treno o in aereo e tutto questo è merito del digitale. Il film
tradizionalmente girato in pellicola viene trasmesso in sala e viene facilmente
“riversato” in sistema binario per essere rifruito sul televisore di casa nostra oppure
sul nostro computer portatile e addirittura sui nostri smartphone. Con l'avvento dei
nuovi media il cinema è stato “trasformato”, avviando la sua diffusione in modo
assolutamente capillare. Questa posizione entusiasta ha però fatto sorgere alcuni
interrogativi su come rapportarsi con l'immagine digitale, ci si è chiesti cosa è
ancora reale e se il digitale influisca sulla nostra percezione del reale.
Indubbiamente, la logica postmoderna caratterizzata dal conflitto tra analogico e
digitale, è finalmente superata perchè oggi ci si è accorti che il cinema, con
l'avvento del digitale, è strutturalmente più adatto per illustrare le contraddizioni di
questa contemporaneità frammentata. Se l'intensificazione della tecnologizzazione
2
della società ha acuito le diversità tra una quotidianità del soggetto vissuta a cavallo
tra reale e digitale, la drammaticità degli eventi (la crisi economica, politica e
sociale di valori) ha posto il soggetto di fronte ad una responsabilizzazione e
riconciliazione con la realtà. L'insoddisfazione per il postmoderno ha certificato la
nascita di una nuova stagione bisognosa di nuovi strumenti interpretativi; oggi si
avverte il bisogno di un realismo che metta a fuoco l'esperienza contemporanea e il
cinema è pronto a farsi carico dell'impegno di essere interprete della società
contemporanea.
Il secondo capitolo dell'elaborato è quello più tecnico; in esso viene trattata la
pluralità della tecnologia digitale, cosa significa digitale e cosa si intende per
immagine digitale. Si approfondisce inoltre il processo fotonumerico e gli standard
di ripresa digitale. Successivamente vengono introdotti i mezzi di ripresa, le
macchine da presa ormai diventate standard e quelle ancora “non convenzionali”.
Quindi, dopo aver parlato di digital e visual effects, si analizza il processo
intermedio di montaggio, il Digital Intermediate, una fase cruciale della
realizzazione del film ottenuto tradizionalmente in pellicola. Infine, per sottolineare
quanti siano i benefici del digitale per cinema, si tratta il restauro digitale, una fase
importante grazie alla quale si possono recuperare pellicole ormai rovinate
restituendo il vecchio splendore a film altrimenti perduti.
Il terzo capitolo tratta le sperimentazioni del digitale avvenute fino ad ora
citando i casi più emblematici: il movimento Dogma, quello della conversione al
digitale di David Lynch, il caso di uno sperimentatore moderno come Steven
Soderbergh e infine quello prettamente più “pesante” di George Lucas e James
Cameron.
L'ultimo capitolo è interamente dedicato all'analisi di un autore come Michael
Mann e in particolare degli ultimi tre film del regista, Collateral, Miami Vice e
Public Enemies: girati in digitale, essi ci permettono di focalizzare un percorso
autoriale sicuramente originale e particolarmente interessante nel quadro di una
estetica digitale del cinema.
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1.1 Il “giuda” digitale
Parliamo di cinema, considerandolo, anzitutto, specchio dei tempi: alla settima
arte ascriviamo cioè un valore di testimonianza, registrazione del suo tempo. Il
cinema è specchio quasi fosse la cartina tornasole dell'evoluzione umana, incarna nel
suo farsi le contraddizioni e gli sviluppi tecnologici del nostro quotidiano.
I progressi riguardanti i modi nei quali si riprende il Mondo (quello in cui
viviamo e lo indicheremo in maiuscolo per distinguerlo), così come le diverse vie in
cui quella memorizzazione viene fruita, possono essere interpretati quale
amplificazione di tendenze che raggruppiamo sotto l'etichetta digitalizzazione.
Il cinema potrebbe essere definito come Giuda digitale
1
in quanto rivelatore,
smascheratore; ciò che esattamente fa il digitale nei confronti del cinema: di
quest'ultimo rinnega la specificità di testimone fotografico di un momento spazio-
temporale, ma gli consente altresì di gonfiarsi, sfaldarsi, diventare testo ed essere
assimilato dagli individui spettatori. Il sovvertimento è duplice: non si rivolge
soltanto alle possibilità presenti e future, ma getta nel contempo una nuova luce sul
vecchio modo di fare e vedere il cinema e sul patrimonio che i registi ci hanno
lasciato in eredità (a sua volta scrupolosamente restaurato).
L'evoluzione tecnologica ha raggiunto ritmi e traguardi impressionanti e, forse,
questo è appena l'avvio di una nuova era. Il balzo decisivo è avvenuto negli ultimi
vent'anni. Multitasking, schizofrenia mediatica, individualismo collettivo
2
: questi
siamo noi. Il salto è evidente: il bambino di oggi chatta con una mano e insieme
ascolta l'iPod, mentre con le dita libere scrive un messaggio all'amico dedicando
occhiate fugaci al televisore acceso. Tale salto fa parlare di età postmoderna
3
o
surmoderna, nonluoghi
4
, superficie piatta e indistinta, navigazione corsara,
iperattività, abolizione della memoria storica e dello scavo in profondità, ecc.
1 NARDIN, M., Il giuda digitale, Carocci editore, Roma 2008, p. 10.
2 Cfr. TURKLE, S., La vita sullo schermo. Nuove identità e relazioni sociali nell'epoca di Internet
(1996), Apogeo, Milano 1997.
3 Cfr. LYOTARD, J., F., La condizione postmoderna: rapporto sul sapere (1979), Feltrinelli, Milano
1991.
4 Cfr. AUGÈ, M., Nonluoghi. Introduzione a un'antropologia della surmodernità (1992), Editrice
Elèuthera, Milano 1993.
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Un nucleo comune agli sviluppi odierni può essere trovato: l'estroflessione della
nostra interiorità, la sua lottizzazione e fissazione nei e attraverso i vari media.
A ragione la nostra è detta era dell'immagine. Più corretto sarebbe dire della
registrazione audiovisiva. Con registrazione non si intende soltanto la
memorizzazione di contenuti particolari, ma bisogna includere la disponibilità
fruitiva in diretta. Dei mezzi di registrazione e trasmissione del reale si avvale
chiunque: noi siamo il primo oggetto di scambio, e lo siamo quotidianamente,
continuamente e in tempi brevissimi. Il pensiero di qualcosa o di qualcuno può essere
tradotto subito sopra qualsiasi supporto: in modalità online – con cellulare o
computer – oppure offline – accediamo al (ed espandiamo il) nostro archivio
personale, in cui riposa, pronto all'uso, il caravanserraglio delle memorie audiovisive.
E così, al rumore di sottofondo – spesso oltremodo molesto – della nostra metropoli
si aggiunge il ronzio dei media e degli artefatti che abbiamo ormai incorporati in noi
stessi, chiusi dentro una bolla globale onnicomprensiva fatta di radiazioni
elettromagnetiche che attraversano ed eccitano la nostra carne.
Il mondo è scritto, mappato e disciplinato in ogni aspetto che l'uomo riesca ad
immaginare e catalogare, dal macro al micro, dal passato alle previsioni sul futuro
più lontano, dal ventre della terra agli abissi spaziali, dalle interazioni subatomiche e
neuronali fino alle dinamiche sociali più astruse. Anzi, il problema non è più adattare
l'incedere della tecnologia a quello delle nostre capacità immaginative, ma il
contrario. La testualizzazione del Mondo porta a compimento il trionfo
dell'esteriorizzazione e della fissazione dell'indagine umana. La galassia di bit
affianca e riveste la mole di documenti con cui l'uomo porta avanti da millenni la
scrittura e la virtualizzazione di ciò che rinviene il suo occhio investigante.
La digitalizzazione – in quanto massimo perfezionamento della scrittura
alfabetica
5
– opera uno scarto finale: ogni fenomeno reale, potenziale testo
audiovisivo, è reso discreto, discontinuo – campionato e quantizzato – e dunque
5 «L'informazione accelera il movimento avviato dalla scrittura riducendo ogni messaggio a
combinazioni di due simboli elementari, zero e uno. Questi caratteri sono i meno significanti
possibili, sempre identici indipendentemente dai tipi di supporti di memoria. Qualunque sia la
natura del messaggio, essi compongono delle sequenze decodificabili da qualsiasi computer.
L'informatica è la tecnica maggiormente virtualizzante perchè è quella che maggiormente
grammatizza» LÈVY , P., Il virtuale (1995), Raffaello Cortina Editore, Milano 1997, p. 80.
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tradotto in una catena formata da due soli elementi, lo 0 e l'1 (questa è la galassia di
bit): il film, la videoconversazione, il manoscritto medievale, il rumore del mare,
l'ingrandimento della cellula, il gossip, la ripresa dal satellite hanno tutti il medesimo
codice genetico. Un unico tipo di scrittura si è imposto a livello planetario, unisce
menti e culture. Un unico sistema fagocitante: tutto può entrarvi ma solo piegandosi
a quelle particolari logiche, e di quel tutto soltanto ciò che serve il sistema può
(r)esistere. Ciò che non è adattabile a quei requisiti cade nell'oblio
6
.
Qual è la contropartita di questa normalizzazione universale? Il sistema binario si
ripropone anche qui: una spaccatura netta tra ciò che è dentro e ciò che resta fuori, tra
ciò che è stato digitalizzato e ciò che mai potrà esserlo. Interfaccia i nostri occhi, le
nostre orecchie, il nostro corpo. Il virtuale si deve attualizzare, i bit si devono
trasformare in figure e suoni riconoscibili. Sembrerà strano ma, in questo gioco di
possibilità – entrare nel sistema ed essere ri-fruito –, la gran parte del mondo reale
rimane esclusa. Tutto ciò che è altro può soltanto essere evocato, se ne può far
percepire lo strapotere attaverso accorgimenti.
Di nuovo, il cinema possiede pieni titoli per ergersi a specchio dei tempi. E la
testimonianza viene resa, di nuovo, dalla pellicola. L'emergere di altri supporti ha
indirizzato il cinema verso una duplice distanzazione. In una fase iniziale, la presa di
indipendenza dalla fruizione-evento, consentita non tanto dalla televisione in sé – per
molti versi e sotto specifiche sembianze riproposizione della visione in sala – quanto
dagli apparati di videoregistrazione, che, completando l'individualizzazione del
cinema promossa proprio dal piccolo schermo, hanno staccato il film dall'evento
unico rendendolo oggetto privato reiterabile da chiunque. Nella fase immediatamente
successiva, il cinema perde il contatto col mondo reale: la videocamera digitale
pratica l'agognata cesura con quest'ultimo, i cui raggi e le cui onde s'infrangono sul
supporto elettronico.
I vantaggi del digitale? Definizione, velocità, controllo, accessibilità, efficienza
ed efficacia, riproducibilità infinita senza perdita di qualità, trasmissibilità istantanea,
facilità di rielaborazione, ecc. Il segnale, catturato da quella piastrina di silicio che è
il CCD (charge-coupled device), viene discretizzato e immagazzinato secondo
6 DE CARLI, L., Internet. Memoria e oblio, Bollati Boringhieri, Torino 1997, p. 124.
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algoritmi che nulla hanno a che spartire con il Mondo, non ne sono un'analogia, ma
un'autentica trasformazione. La videocamera digitale scrive il Mondo, il suo prodotto
è più vicino alla scrittura di quanto non lo sia alla fotografia. Possiamo ben dire che
l'immagine digitale in prima istanza imita il Mondo: l'epoca delle analogie è
terminata e s'instaura la legalità di un altro mondo, quello digitale
7
.
1.2 Evoluzione oppure trasformazione radicale?
Fissare la continuità o meno del digitale rispetto all'analogico, capire se il nuovo
costituisca un'evoluzione lineare o una trasformazione radicale del passato, è anche
un problema storico. Molti autori concordano sulla complementarietà o compresenza
di tecniche analogiche e digitali, in un'opzione da “integrati”, così come altri teorici e
cineasti di segno “apocalittico” insistono sulla discontinuità. Infine, altri studiosi
assumono una posizione più aperta o più problematica, e non riduttiva come quella
dell'industria. Peraltro, le recenti ricerche degli storici delle origini autorizzano il
riconoscimento di un'identità “plurale” del cinema. In alcuni manuali il cinema
digitale ha già un suo posto preciso, con una datazione, una filmografia e, soprattutto,
con una selezione di criteri estetici e operativi recuperati dal passato. L'inglese
Cousins
8
, per esempio, nel chiudere la sua aggiornata storia del film individua negli
effetti speciali e nella CGI (computer-generated imagery) un elemento di continuità
anche se riconosce al digitale la scoperta di nuove possibilità creative
9
.
Verso la fine dell'Ottocento, quando il cinematografo si muove verso la definitiva
affermazione, alcuni letterati e inventori, come George R. Carey e Albert Robida, già
ipotizzano mondi futuribili con invenzioni quali il telettroscopio (1878) e il
telefonoscopio (1883), antesignani di media che compariranno soltanto un secolo più
tardi, come la televisione, il videofonino, la chat. Negli anni venti del Novecento,
all'indomani dell'invenzione da parte della Eastman Kodak del 16 mm, la pellicola
amatoriale per eccellenza, Dziga Vertov dichiara di aver solo bisogno di macchine da
presa a mano ultraleggere mentre, negli stessi anni, Fernand Lèger sogna di
7 NARDIN, M., Il giuda digitale, pp. 80-82.
8 COUSINS, M., The Story of Film, Thunder's Mouth Press, New York 2004, p. 456.
9 GIRLANDA, E., Il cinema digitale. Teorie, autori, opere, Dino Audino Editore, Roma 2006, p. 30.
8
riprendere, senza interruzioni, ventiquattro ore della vita di una coppia, in un insieme
di richieste e aspettative che troveranno compimento solo con l'avvento del digitale.
Ma questo singolare gioco di corrispondenze tra avanzamenti della tecnica e
crescenti necessità artistiche trova ulteriori esempi. Basti pensare all'idea di cinéma
integral – introdotta tra gli altri da Germaine Dulac, Francis Picabia, Man Ray, Hans
Richter e lo stesso Fernand Lèger – nella quale il film diventa depositario di arti e
linguaggi diversi, come la pittura, la musica, la scultura e le arti plastiche; un'idea che
troverà una forma di rilancio e di compimento proprio con gli esperimenti elettronici
e digitali degli anni ottanta-novanta (da Bob Wilson a Zbigniew Rybczynski, sino a
Michelangelo Antonioni e Francis Ford Coppola). Ancora, a breve distanza dall'avvio
della stagione neorealista in Italia, nel 1948, Alexandre Astruc scrive un saggio
divenuto manifesto, capace di richiamare numerose istanze provenienti dalle
avanguardie degli anni venti: «Il cinema sta diventando un mezzo di espressione.
Bisogna poter esprimere il proprio pensiero o le proprie ossessioni esattamente come
avviene oggi con il saggio o il romanzo»
10
. Intanto, già da alcuni anni, Cesare
Zavattini studia l'ipotesi di poter filmare il reale in modo illimitato, senza
interruzioni, con strumenti leggeri, di ridotte dimensioni, idealmente invisibili. Tra la
fine degli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta, dopo le differenti nouvelles
vagues e con l'avvento della televisione e del cinema elettronico, Jean-Andre Fieschi
tornerà ad affermare: «Bisogna ritrovare nel filmare la stessa libertà della scrittura,
anche il suo tremore che non è medesimo per nessuno»
11
, mentre Gene Youngblood
prospetta «un confluire illimitato di immagini l'una nell'altra, senza stacchi o
dissolvenze»
12
. Aspettative, tendenze, prodromi, in alcuni casi sintomi di un'attesa, di
un desiderio di sottrarsi alle maglie strette e ingombranti dell'apparato filmico
tradizionale. Richieste e considerazioni si affastellano tra loro, alla ricerca di una
libertà espressiva maggiore rispetto a quanto il dispositivo cinematografico non
permettesse fino ad allora. Ma anche il segno della necessità di una più sensibile
prossimità al reale, come di una più aperta e prolifica compenetrazione con gli altri
linguaggi artistici. Eppure, se ogni piccolo scatto evolutivo registrato dal cinema ha
10 BROTTO, D., Trame digitali. Cinema e nuove tecnologie, Marsilio, Venezia 2012, p. 8.
11 Ibidem.
12 Ibidem.
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