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Introduzione
L’oggetto di questa tesi è uno studio comparativo delle rivoluzioni egiziane del
1919, del 1952 e del 2011 da un punto di vista storico e politico. L’obiettivo del
nostro lavoro è quello di stabilire se tali eventi possono essere definiti “rivoluzioni”
analizzandone le caratteristiche, le modalità, gli attori, le aspettative e gli esiti. Sarà
quindi possibile procedere con un confronto fra le tre rivoluzioni per stabilirne le
differenze, basandoci anche sul trattato di Hannah Arendt “Sulla rivoluzione”.
Sarà posta particolare attenzione al concetto di democrazia per sollevare il
problema del suo fallimento a partire dall’esperienza liberale monarchica dell’Egitto
sino ai nostri giorni, considerando altresì che la realizzazione di un sistema
democratico rappresenta una delle principali rivendicazioni degli insorti del Cairo.
Il primo capitolo sarà dedicato alla rivoluzione del 1919 e a ciò che le ha dato
origine. Per mezzo degli studi di Gershoni e Jankowski, sarà di primaria importanza
comprendere la nascita e l’evoluzione del nazionalismo egiziano e della lotta
indipendentista del Wafd di Saˁad Zaġlūl contro il protettorato britannico e
l’imperialismo, che porteranno alla rivoluzione del 1919 e, successivamente,
all’indipendenza del 1922. Il secondo capitolo tratterà degli anni della monarchia
fino al trattato di alleanza del 1936 con la Gran Bretagna; in particolare dei rapporti
fra il Wafd, la Gran Bretagna e il Re, che hanno condizionato il corretto
funzionamento del sistema democratico. Gli studi di Haggle ci consentiranno di
approfondire le dinamiche dei moti studenteschi del 1935 per comprendere quale
fosse la percezione delle istituzioni democratiche del tempo da parte dei giovani
egiziani, e il modo in cui tali movimenti sono stati utilizzati dai partiti politici.
Per introdurre il discorso sulla rivoluzione del 1952 sarà importante
comprendere il contesto politico del tempo attraverso la conoscenza delle nuove
forze in campo, come i Fratelli Musulmani e il Giovane Egitto, basandoci sugli studi
storici di Vatikiotis, che saranno uno dei riferimenti principali di questo lavoro.
Inoltre, tratterò dell’evoluzione del nazionalismo arabo e della nascita degli Ufficiali
Liberi, destinati ad effettuare il golpe militare del 1952 in un contesto di rifiuto delle
istituzioni democratiche e del Wafd corrotto. Mi soffermerò in particolar modo sulla
resistenza delle truppe egiziane contro i britannici a Ismāˁ īliyyah e sull’incendio del
Cairo provocato dai manifestanti, eventi che Meijer considera il punto di non ritorno
del liberalismo egiziano. Inoltre, esaminerò la percezione delle azioni dei militari per
mezzo delle testimonianze di giornalisti e intellettuali del tempo, liberali e riformisti.
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Tratterò poi della trasformazione degli Ufficiali Liberi nella nuova leadership al
potere che appoggiandosi ai “sei principi della rivoluzione” avrebbe destituito la
monarchia ed eliminato i partiti politici, spianando la strada alla Repubblica
Presidenziale di Ğamāl ˁabd al-Nāṣir, un sistema autocratico e monopartitico
fondato sul panarabismo, sul socialismo arabo e sulla “filosofia della rivoluzione”.
La condizione della democrazia, la depoliticizzazione delle masse e l’utilizzo
delle istituzioni democratiche a favore del regime durante i mandati di Nāṣir e di
Anwar al-Sādāt ci porteranno poi a considerare i trent’anni di Hosni Mubarak che
hanno preceduto i moti rivoluzionari del 2011. Attraverso una panoramica storica,
politica ed economica basata sugli studi di Vatikiotis e Hopwood, analizzerò le
caratteristiche fondamentali del mandato, come il potere radicato delle forze
armate nel ruolo di ultimo baluardo e, allo stesso tempo, arbitro del regime. Gli
studi di Kienle, Marfleet e Kassem sono stati fondamentali per descrivere le
ripercussioni dello Stato d’emergenza e il controllo del sistema elettorale e politico
volto ad utilizzare le istituzioni democratiche per legittimare il regime.
Proprio i brogli elettorali, la repressione e le torture daranno origine a quelli
che Marfleet ha definito come “cicli di protesta” che hanno visto la nascita dei
movimenti contro il regime e delle prime manifestazioni, prontamente represse
dalle forze dell’ordine. Tali cicli di protesta e tali movimenti, come Kifāya e il
movimento dei giovani del 6 aprile, porteranno alla graduale presa di coscienza degli
egiziani nei confronti della repressione del regime.
Quando tratteremo degli eventi più vicini ai nostri giorni, ci soffermeremo con
particolare attenzione sull’utilizzo dei nuovi media come Facebook e Youtube da
parte dei giovani e sull’apporto del canale al-Ğazīra alla lotta contro il regime. Oltre
a una breve cronaca delle rivolte del mese di febbraio 2011 che hanno portato alla
caduta del Presidente Ḥusnī Mubārak, sarà interessante citare alcuni passi del suo
discorso del 10 febbraio con il quale si rivolge ai giovani di piazza Taḥrīr “come un
padre ai propri figli”. Per quanto riguarda gli ultimi avvenimenti, è stato necessario
svolgere una ricerca prevalentemente online su materiale in lingua araba, come nel
caso dei gruppi di Facebook “Siamo tutti Ḫālid Saˁīd” e “Movimento dei giovani del 6
aprile”, oltre ad alcuni articoli di al-Ahrām online.
In particolare l’osservazione dei recenti avvenimenti sarà centrale per capire
dove finisce il ruolo dei rivoluzionari e dove inizia quello delle forze armate;
comprendere il loro ruolo sarà di primaria utilità anche per confrontare il golpe
militare del 1952 con la rivoluzione del 2011. L’obiettivo di questa tesi è quello di
definire se le tre rivoluzioni possono essere definite tali e studiare le loro similitudini
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e le loro differenze tenendo conto del contesto politico e sociale del loro tempo.
Non ci sarà ancora possibile stabilire se gli eventi del 2011 possono essere
considerati una rivoluzione e se questa porterà alla realizzazione di un sistema
democratico, ma il confronto fra le diverse rivoluzioni avvenute in Egitto potrà
aiutare a comprendere una realtà destinata ad attraversare un periodo di importanti
cambiamenti.
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Capitolo introduttivo
Rivoluzione/rivolta
Il nostro studio comparativo sulle rivoluzioni egiziane, pur non volendo essere
un’analisi di ordine politologico, si basa su alcune categorie della politologia
necessarie alla disamina degli avvenimenti trattati. Il termine più importante, che
corrisponde all’oggetto di questa tesi, è “rivoluzione”, concetto che
apparentemente accomuna gli eventi dell’insurrezione del 1919 contro il
protettorato britannico, del golpe militare del 1952 e quelli più recenti del 2011 che
hanno portato alla caduta del Presidente Ḥusnī Mubārak. A questo proposito
baseremo il nostro discorso sul parere di Gianfranco Pasquino dal punto di vista
politologico e della studiosa Hannah Arendt dal punto di vista filosofico.
Pasquino definisce con il termine “rivoluzione” il tentativo, solitamente
violento, di instaurare un cambiamento delle autorità politiche al fine di effettuare
mutamenti profondi nei rapporti politici, nell’ordinamento giuridico-costituzionale e
nella sfera socioeconomica.
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Nonostante la lingua araba faccia coincidere entrambi i
concetti nel termine Tawra, è importante distinguere la rivoluzione dalla “ribellione”
o “rivolta” poiché quest’ultima è limitata a un’area geografica circoscritta ed è priva
di motivazioni ideologiche; la rivolta non ambisce a sovvertire totalmente l’ordine
costituito, bensì ad un ritorno ai principi originari e al soddisfacimento immediato di
rivendicazioni politiche ed economiche. Essa può essere placata attraverso
concessioni economiche e sostituzione di personalità politiche.
Dal punto di vista politologico e in previsione degli avvenimenti che andrò a
trattare è importante sottolineare la differenza fra rivoluzione e “colpo di Stato”
poiché quest’ultimo mira unicamente a sostituire le autorità politiche senza
apportare mutazioni nei meccanismi politici e socioeconomici. Mentre la rivoluzione
è un movimento popolare, il colpo di Stato è, solitamente, portato a termine da
pochi uomini che già fanno parte della leadership al potere. La presa di potere dei
rivoluzionari può avere luogo attraverso un colpo di stato, ma la rivoluzione stessa
dovrà compiersi unicamente in seguito ai mutamenti nel sistema politico, sociale ed
economico nell’arco di un processo più ampio. È importante definire con precisione
concetti come “colpo di Stato” e “golpe militare”, poiché è a queste categorie che mi
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Bobbio N., Matteucci N., Dizionario di politica, Utet, Torino, 1976.
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riferirò al momento di esaminare gli eventi del 1952 e della Repubblica egiziana
tentando di stabilire se si è trattato di un colpo di Stato o di una vera rivoluzione.
Stando alla definizione fornita da Carlos Barbé, il colpo di Stato può essere
diviso in più tipologie, a seconda delle sue modalità. Nel caso del “colpo di stato
riformista”, gli insorti mirano a cambiamenti più o meno importanti nella struttura
politica e a limitate trasformazioni socio-economiche; la partecipazione popolare è
scarsa ed è basso il livello di violenza interna. Nel caso del “colpo di Stato di palazzo”,
gli insorti mirano unicamente alla sostituzione dei leader politici; la partecipazione
popolare sarà nulla e la durata della lotta sarà molto breve. Il colpo di Stato, come
già detto, mira al conseguimento del potere senza attuare significative modifiche
alla struttura politica, sociale ed economica.
Nella tradizione storica il colpo di Stato è un atto compiuto da organi interni
allo Stato stesso: nella sua manifestazione odierna, definita come “golpe militare”, è
attuato da un gruppo militare o dalle forze armate nel loro insieme; in caso
contrario, l'atteggiamento delle forze armate è di neutralità e complicità. Le
conseguenze del colpo di Stato consistono nel mero mutamento della leadership
politica; può essere accompagnato da mobilitazioni politiche e/o sociali, ma queste
non sono ricorrenti né necessarie per esso. Solitamente il colpo di Stato è seguito
dal potenziamento dell'apparato burocratico e poliziesco dello Stato. Una delle
conseguenze più tipiche del fenomeno, come avremo occasione di riscontrare
parlando degli eventi del 1952, si opera sulle forme di aggregazione della domanda
politica, poiché è una caratteristica ricorrente l'eliminazione o la dissoluzione dei
partiti politici: ciò lo rende agli antipodi rispetto alla rivoluzione il cui fine ultimo,
secondo la Arendt, è rappresentato dalla creazione di spazi politici.
Il tipo di rivoluzione che ci interessa e a cui spesso mi riferirò come “rivoluzione
a pieno titolo” è definito da Gianfranco Pasquino come “rivoluzione di massa” o
“rivoluzione in senso stretto”. In quest’ambito gli insorti mirano a sconvolgere le
sfere politica, sociale ed economica: la partecipazione popolare sarà ampia, il
decorso della lotta lungo e sarà molto elevata l’incidenza di violenza interna. Nel
corso delle rivoluzioni, i cambiamenti a cui ambiscono gli insorti troveranno
l'opposizione delle leadership al potere: tale conflitto genera l’uso della violenza da
parte degli insorti, che tentano di sensibilizzare la più ampia partecipazione
popolare contro gli strumenti coercitivi delle autorità.