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Introduzione
Il termine archeologia industriale fu coniato nella prima metà degli anni Cinquanta in
Gran Bretagna da Michael Rix, docente dell’Università di Birmingham, in un saggio
apparso sulla rivista «The Amateur Historian»
1
.
L’archeologia industriale ha come oggetto la conoscenza, il censimento, la
catalogazione e la conservazione delle testimonianze materiali dell’industrializzazione,
lette nel contesto storico, socioeconomico e tecnologico e senza tralasciare gli aspetti
architettonici ed ambientali del contesto. L’uso della parola “archeologia” implica un
lavoro sul campo ed è proprio questa caratteristica l’elemento che differenzia
l’archeologia industriale dalla storia dell’industria. L’archeologia offre quel qualcosa
in più che non si può trovare sui libri. Questo campo di studi introduce il concetto di
“monumento industriale” quale parte importante del patrimonio culturale, che
s’interessa allo studio dei resti fisici del fenomeno produttivo. La funzione primaria
di questa disciplina è impedire che tutto si dissolva in macerie e che la storia del
lavoro non si debba poi ricostruibile solo attraverso documenti cartacei e fotografie;
è assurdo che questo debba capitare alla storia del lavoro, componente così
importante per la vita dell’uomo. Questo discorso, ovviamente, vale per tutto il
contesto in cui si colloca la fabbrica e non solo il manufatto in se. L’archeologia
industriale comprende la partecipazione di discipline diverse: dallo storico dell’arte
all’architetto, dall’urbanista allo storico dell’industria
2
. Una caratteristica di questa
materia è proprio quella di procedere per campi interdisciplinari, negando una
propria autonomia disciplinare. Non è del tutto chiaro il confine temporale di questa
disciplina: problemi di localizzazione temporale vi sono sia per stabilire una data
d’inizio, che una data di fine. Ciò è dovuto ai vari contesti, storici ed economici, che
caratterizzano ogni territorio. Per meglio definire la controversia sui limiti
cronologici della materia, concorre la stessa definizione di grande industria proposta
da Marx. Si discute se l’Archeologia Industriale debba limitare la sua indagine
esclusivamente all’ambito temporale della Rivoluzione Industriale (circa 1750-
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I. ZILLI, Il patrimonio archeologico-industriale, in Atlante delle emergenze culturali del Molise.
Risultati, riflessioni e implicazioni di un primo censimento, Ilaria Zilli (a cura di), Campobasso,
Palladino, 2010, pp. 47 – 60.
2
Aa. Vv., Archeologia industriale. Monumenti del lavoro fra XVIII e XX secolo, Italia Meravigliosa,
Milano, Touring Club Italiano, 1983.
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1850), o se sia lecito indagare anche sull’età della paleo-industria e delle manifatture,
risalendo così nel tempo anche alle più remote manifestazioni del lavoro umano
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.
In Italia l’archeologia industriale ha una data di nascita precisa: il 1977 a Milano. In
questa data si svolse il I Congresso internazionale della disciplina, organizzato da un
gruppo di giovani laureati di Eugenio Battisti che avevano svolto delle ricerche
sull’École des Ponts et des Chaussées di Parigi, la prima grande scuola di genio
civile del mondo. Verso la fine degli anni Settanta, in Italia, vi fu un abbandono, da
parte dei monopoli industriali, dei grandi complessi ottocenteschi
4
.
Gli ostacoli che questa materia incontra stanno nella considerazione che di essa si ha:
i manufatti tipici di questo ambito di studi non vengono considerati con la stessa
attenzione e lo stesso interesse dei monumenti tradizionali e universalmente
riconosciuti (chiese, castelli, ecc.). Capita spesso che gli imprenditori conservino la
facciata solo per il prestigio che essa arreca e non per il reale significato che la stessa
ha avuto, svuotando l’interno e quindi stravolgendo la struttura. Vi sono poi strutture
che, dalla conformazione originaria, possono ben adattarsi ad usi attuali, così da
evitare inutili costruzioni ex novo che vadano a deturpare spazi verdi
“incontaminati”. Negli Stati Uniti c’è un largo riutilizzo di strutture industriali in
disuso, riconvertiti in uffici e anche in abitazioni.
Il fascino dell’archeologia industriale sta proprio nel considerare questo un
patrimonio vivente, in grado (in alcuni casi) di prestarsi ad usi attuali e non dei ruderi
abbandonati da demolire.
Sembra azzardato parlare di archeologia industriale in Molise, una regione
considerata prettamente rurale in cui non ci si aspetta di trovare i resti di attività
industriali. Eppure anche qui ritroviamo testimonianze storiche riguardanti
l’industria, che il più delle volte sono abbandonati o trasformate in abitazioni o
ristoranti
5
. L’abbondanza d’acqua per il Molise è stata una fonte di ricchezza, che fin
3
G.E. RUBINO, Le fabbriche del Sud. Saggi di storia e archeologia dell’industria, Napoli, Athena,
1990, p. 32.
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Eugenio Battisti fu Docente di Storia dell’Arte e dell’architettura in vari atenei d’Europa e negli
Stati Uniti.
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A Colle d’Anchise si trova il sito della “Piana dei Mulini”, un complesso costituito da quattro
edifici contigui, l’ultimo dei quali è costituito da un ex-mulino con gualchiera, trasformato in
centrale idroelettrica nei primi anni del Novecento. La vecchia centrale, dismessa nel 1962, è stata
recuperata ma non ancora riattivata. Per un approfondimento si rimanda a C. MARRACINO, Quale
turismo? Il caso della Piana dei mulini, in «Glocale» 2 – 3, Novembre 2010/ Maggio 2011, pp. 373
– 398.
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da tempi remoti ha saputo sfruttare sapientemente con la costruzione, in tutto il
territorio, di moltissimi piccoli impianti idromeccanici.
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CAPITOLO I
L’ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE IN MOLISE: IL CASO DI VENAFRO
Premessa
Il Molise, nell’immaginario collettivo, viene spesso vista come una regione
prevalentemente rurale, quasi del tutto estranea ai processi di sviluppo industriale.
Anche per quanto concerne la letteratura, si ritrovano spesso testi che parlano di
transumanza, pastorizia ed evoluzione agricola e di rado troviamo testi in cui si
descrivono le trasformazioni che lo sviluppo della protoindustria e della recente
industrializzazione, ha prodotto sul territorio
6
. Questa regione, il più delle volte,
appare appena toccata sia dai processi di meccanizzazione del lavoro rurale, sia
dall’industrializzazione dell’ultima fase del Novecento. In Molise la relazione tra
paesaggio e industria ha un carattere contraddittorio: questi luoghi sono lasciati nel
più completo stato di abbandono non essendo riconosciuti come patrimonio storico e
quindi, il più delle volte, non sono sottoposti a nessuna tutela e valorizzazione. Se in
questi resti fisici, attraverso un giudizio di valore, viene riconosciuta un’importanza
storica, in quanto hanno influito sul processo di trasformazione economica, sociale e
culturale del territorio e delle sue comunità, allora si riuscirà a riconoscere come
testimonianze da salvaguardare al pari di altri beni culturali più tradizionali (castelli,
chiese, palazzi e ville).
In Molise si iniziò a parlare del patrimonio proto-industriale e industriale, intorno al
1980, quando, come in altre regioni italiane, si pose il problema di recuperare
funzionalmente edifici ormai inutilizzati e abbandonati a se stessi.
I contributi storiografici sul patrimonio industriale molisano, le ricerche e le attività
di divulgazione, sono comunque abbastanza recenti
7
.
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Per un approfondimento si rimanda a F. DE VINCENZI, Note sull’età della paleo-industria e delle
manifatture nel Molise sulla base delle illuminate statistiche settecentesche. Gli esempi di
Campobasso e Isernia, in «Almanacco del Molise», Campobasso, Edizioni Enne, 1991, vol. 1, pp.
147 – 178. Sulla storia industriale più recente, si veda Il Molise da periferia agricola a regione
industriale, in L. BACULO, Impresa forte, politica debole. Imprenditori di successo nel
Mezzogiorno, ESI, Napoli, 1994, pp. 155-198. Si veda inoltre S. BUCCI, Dalla cultura della
transumanza alla società post-industriale. Progresso e mutamenti nella Regione Molise. Vita e
Pensiero, Milano, 1988, C. QUINTANO, Il sistema industriale del Molise, Bologna, Il Mulino, 1986.
7
Sul patrimonio industriale del Molise si rimanda a R. PARISI, a cura di, Paesaggi del lavoro in
Molise. Itinerari culturali tra storia e valorizzazione, ARACNE editore, Roma, 2009, Id., Il
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Attualmente manca un censimento sistematico del patrimonio archeologico-
industriale molisano. Grande importanza deve avere la conoscenza di questo
patrimonio, indipendentemente dal destino che gli si riserverà nella fase di recupero e
riuso. Solo dopo aver conosciuto tale patrimonio e aver espresso un giudizio di
valore, si può decidere se eliminarlo o renderlo un testimone del passato.
Quello del riuso del costruito è tuttavia un aspetto molto importante, da non
sottovalutare
8
. La riconversione funzionale e il recupero del patrimonio
architettonico industriale di interesse storico-archeologico offre ad esempio
l’opportunità di evitare costruzioni ex-novo e quindi consumo di suolo.
In questi ultimi anni il tema della valorizzazione del patrimonio protoindustriale e
industriale anche in Molise è stato ritenuto meritevole di attenzione da parte delle
istituzioni, come testimonia l’istituzione della legge regionale del 28/04/2008 n. 11
sugli ecomusei ed i progetti di recupero di alcuni siti industriali dismessi d’interesse
storico. Anche per quanto riguarda la tutela qualcosa si sta facendo, visto l’interesse
della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici del Molise di tutelare
questi manufatti. Vero è, però, che non tutti questi beni sono stati censiti e catalogati,
e solo una minima parte è sottoposta a vincolo
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.
Tra le esperienze di recupero condotte in Molise si può segnalare ad esempio il
museo della Campana “Giovanni Paolo II” fondato ad Agnone nel 1999, il riuso
agro-turistico della Piana dei Mulini di Colle d’Anchise ed il recupero della fornace
di Cantalupo nel Sannio, che sarà in parte trasformato in museo dell’argilla. Sono
comunque tutte attività isolate, svolte nel solo contesto locale che non si legano tra
loro in un piano di sviluppo turistico regionale. Credo che sia questo il problema
principale del turismo molisano, questa scarsa propensione a fare rete e promuovere
nel suo insieme il patrimonio industriale locale come “prodotto” Molise.
patrimonio industriale del Molise. Architetture, infrastrutture e paesaggi, in «Proposte e ricerche.
Economia e società nella storia dell’Italia centrale», anno XXXIV, n. 66, 2011, pp 86 - 105. Per un
primo censimento del Patrimonio Industriale in Molise si veda R. PARISI, I. ZILLI, a cura di, Il
Patrimonio Industriale in Molise. Itinerari di un censimento in corso, CRACE, Narni, 2012.
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Un esempio fra tanti può essere la Centrale Montemartini di Roma, M. BERTOLETTI, Centrale
monte martini: Musei capitolini, Milano, Electa, 2006.
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Nel caso specifico la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici del Molise ha
provveduto a vincolare il mulino “della Corte” di Venafro (detto anche Palazzina Liberty) con atto
del 30/10/1995. Allegati, Fonti documentarie, all. 1.