IV
Sulla base di queste considerazioni, per una “decisione di qualità”
relativa al proprio progetto di career, o «vita lavorativa», risulta
fondamentale che essa venga assunta anche a partire dai dati a
disposizione sui vincoli e sulle possibilità presenti nel proprio contesto di
riferimento.
È in quest’ottica che il monitoraggio degli sbocchi occupazionali dei
diversi corsi di laurea delle Università italiane acquista un’importanza
notevole; pertanto, la rilevazione della situazione lavorativa dei laureati a
uno, tre e cinque anni dalla conclusione del proprio ciclo di studi si
dimostra utile e proficua, perché consente di analizzare nel dettaglio i
modi ed i tempi di ingresso nel mercato del lavoro e l’evoluzione del
fenomeno “occupazione” nel corso del tempo.
Non a caso una delle principali finalità di questo tipo di ricerche è quella
di rispondere tempestivamente alle esigenze conoscitive dei giovani in
procinto di intraprendere gli studi universitari.
Attraverso l’esame dei risultati delle periodiche indagini svolte a
livello nazionale sull’inserimento professionale dei laureati, e in
particolare di quelle che prendono in considerazione un lasso di tempo
relativamente breve dal conseguimento del titolo di studio, è possibile
individuare la reale “forza” che questi soggetti possono investire per un
soddisfacente ingresso nell’attuale Mercato del Lavoro.
Un’attenta riflessione sulla natura dei dati presentati nel corso degli anni
non può però che confermare come in passato, ma in parte anche nella
società contemporanea, “la soggettività è stata vissuta come vincolo e
come dimensione negata, se non repressa, dai meccanismi di potere
obiettivamente esistenti” (Sangiorgi, 1997, pag. 285).
V
Troppo spesso, infatti, la capacità del sistema universitario di generare
occupazione, producendo persone sia “utili” che “utilizzabili”, è stata ed
è valutata prevalentemente, se non esclusivamente, sulla base di dati
statistici di natura economico-sociologica, a fronte di una realtà
lavorativa che nella sua globalità presenta ulteriori aspetti, in particolare
per ciò che riguarda la grande tematica della soggettività, divenuta
sempre più strumento d’interpretazione e di progettazione.
Dinanzi a questa tendenza ormai consolidata è quindi opportuno
tentare di costruire un quadro più completo e puntuale, che meglio
descriva l’effettiva incidenza del percorso formativo, in particolare di
quello accademico, sull’inserimento professionale dei singoli soggetti.
Ecco perché, per una migliore definizione di «forza» dell’individuo nei
confronti dell’attuale Mercato del Lavoro, dovrebbe essere preso in
considerazione, aldilà delle conoscenze acquisibili e acquisite nel corso
degli studi universitari, il possesso o meno di alcune capacità
“aspecifiche/trasversali”, vale a dire non connesse particolarmente allo
specifico professionale dei singoli comparti, settori, contesti e ruoli
lavorativi (Di Francesco, 1994), e pertanto spendibili lungo tutto l’arco
della propria career.
Un simile discorso si rivela adeguato soprattutto in un’epoca, come
quella attuale, caratterizzata da una crescente e talvolta drammatica
incertezza, risultato di rapidi ed accelerati mutamenti, instabilità e
complessità, ed infatti sulle seguenti life skill si è ormai raggiunto un
generale consenso, tanto da essere considerate sostanzialmente
determinanti rispetto alla qualità complessiva della vita lavorativa:
VI
™ capacità decisionale;
™ buona capacità comunicativa;
™ flessibilità e capacità di adattamento a contesti diversi;
™ capacità di imparare cose nuove e diverse;
™ capacità di “guardarsi dentro” e di riconoscere le proprie risorse;
™ capacità di gestire rapporti di influenzamento piuttosto che di potere;
™ capacità di ragionare in termini sistemici;
™ capacità di comprendere ed interagire con culture diverse.
L’obiettivo del presente lavoro è quello di suscitare, attraverso una
ricerca esplorativa condotta su coloro che si sono laureati negli anni
1999, 1997 e 1995 presso l’Università degli Studi di Cagliari, una più
attenta e puntuale riflessione sull’incidenza dei differenti percorsi
formativi accademici nei confronti di quello che è il successivo
inserimento lavorativo.
A tale scopo si farà riferimento non solo ai classici parametri “oggettivi”,
ma anche a quelli più propriamente “soggettivi”, cercando quindi di
confrontare, ma anche di integrare, i primi con le informazioni relative
alla percezione dei laureati analizzati circa il possesso o meno delle
suindicate capacità aspecifiche/trasversali, ma soprattutto l’atteggiamento
che essi hanno sviluppato nei confronti sia del titolo di studio conseguito
sia del loro futuro ruolo di «lavoratori».
- 3 -
IL NUOVO MERCATO DEL LAVORO
Chi non è in grado di entrare nella comunità,
o per la sua autosufficienza non ne sente il bisogno,
ha da essere o una bestia o un dio
Aristotele
«Cercare lavoro» rappresenta senza dubbio il primo vero e proprio
lavoro per chi non ha mai lavorato, ma è comunque un’attività del tutto
diversa dal consueto anche per chi ha già avuto esperienze lavorative
(Brunetta et al., 1994), soprattutto perché, secondo le recenti ricerche di
scenario, “nei prossimi anni l’occupazione stabile è destinata a
crescere in misura ridotta rispetto al numero di disoccupati”
(Passerini, 1996, pag. 11).
Occorrono pertanto capacità organizzative, costanza, convinzione,
fiducia in se stessi e in particolare «flessibilità», ossia una costante e
continua capacità di adattamento delle proprie attitudini e competenze
alle mutevoli necessità dei sistemi produttivi (Sangalli, 2000).
Il passato è stato caratterizzato in maniera forte da una significativa
componente di stabilità, tanto che la risposta alla domanda «cosa farò da
grande?» non incontrava grandi ostacoli: il lavoro era tramandato da
padre in figlio, la mobilità sociale era un fatto marginale, le professioni
erano esercitate sempre nello stesso modo, ecc. (Vittore, 1998).
Nella realtà contemporanea ci troviamo, invece, in maggiore difficoltà:
sono infatti sempre più ricorrenti termini quali «innovazione»,
«cambiamento», «globalizzazione» …
La realtà muta verso la complessità, tant’è che stiamo passando da
situazioni semplici e condizioni stabili a situazioni complesse e
condizioni instabili.
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Tutto si evolve ed è in costante mutamento; è perciò necessaria una
certa vivacità intellettuale, una curiosità verso il “nuovo” per essere
sempre aggiornati, pronti a cogliere l’occasione, a sviluppare un’idea e a
seguirne le varie fasi della sua realizzazione (Carotenuto, 1998).
Del resto, è ormai chiaro che il trend evolutivo delle società moderne
favorisce, come conseguenza più evidente, l’aumento delle opportunità,
ma contemporaneamente richiede da parte di tutti l’assunzione di una
maggiore flessibilità e la conservazione di un’alta capacità di adattamento:
tutto cambia rapidamente e le conoscenze, i metodi e gli strumenti di
lavoro diventano ben presto obsoleti.
La finalità di questo primo capitolo è quella di presentare, a partire
dalla sua definizione, il Mercato del Lavoro, cercando di evidenziare
nello specifico i cambiamenti che hanno caratterizzato l’evoluzione dello
scenario socioeconomico nel nostro Paese.
Vogliamo in definitiva offrire opportuni elementi di riflessione sulla
realtà contemporanea, che possano permettere a coloro che al termine
della scuola secondaria superiore devono effettuare una scelta relativa al
proprio futuro scolastico e professionale, ma anche a quelli che cercano
un lavoro o lo vogliono/devono cambiare, di prendere atto non solo dei
principali trend che stanno modificando profondamente il mondo delle
professioni, ma anche della richiesta di un rinnovato atteggiamento nei
confronti della «vita lavorativa» e dell’opportunità di “investire” nella
propria formazione.
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1. IL MERCATO DEL LAVORO: ASPETTI GENERALI
“Mercato del Lavoro è una di quelle locuzioni che più frequentemente
oggi si legge e si sente ripetere, tanto che anche per i cosiddetti non addetti
ai lavori suona familiare, pur nella vaghezza dei significati che vi si
attribuiscono” (Bottazzi, 1998, pag. 5).
Negli ultimi decenni si è assistito del resto ad una elevata frequenza e
diffusione del termine, nonché ad un continuo e diffuso interesse
scientifico e di ricerca, soprattutto in virtù del fatto che l’aumento della
disoccupazione è stato, a partire dagli anni Settanta e con un progressivo
peggioramento negli anni successivi, uno dei problemi sociali più gravi
per tutti i Paesi europei, sia pure in maggiore o minore misura.
L’Europa ha infatti conosciuto, a confronto di Stati Uniti e Giappone,
una continua crescita delle persone in cerca di occupazione, secondo una
dinamica per la quale, ad ogni ripresa dell’economia, i posti di lavoro
aggiuntivi creati non assorbono che in parte la disoccupazione prodotta
dalla precedente fase recessiva, determinando così una sorta di condanna
alla crescita progressiva della disoccupazione.
Di fronte a questo diffuso interesse, di natura politica, economica e
sociale, ma soprattutto per evitare un probabile abuso del termine,
appare importante precisare meglio alcuni concetti che possono offrire la
giusta chiave di lettura dell’attuale Mercato del Lavoro.
1.1. La grande trasformazione. Lavoro e forza lavoro
Nell’espressione «Mercato del Lavoro» la parola “mercato” si basa
sull’implicita assunzione che il lavoro sia un bene come tutti gli altri: si
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scambia e il suo prezzo, vale a dire il salario, lo stipendio, la retribuzione
pagata e percepita, scaturisce dal gioco della domanda e dell’offerta.
Il termine “lavoro” è invece più vago; i dizionari lo definiscono infatti
«un’attività materiale o intellettuale diretta ad un determinato fine», ma in
questo caso, essendo “un’attività”, ovvero una grandezza astratta e
indeterminata, non potrebbe essere né venduta né comprata. Pertanto, il
lavoro al quale facciamo riferimento è in realtà la capacità lavorativa di
un individuo, vale a dire la forza lavoro, che viene venduta e comprata
per un certo tempo e a determinate condizioni.
Non si tratta di una mera questione di definizioni, ma di una delle
basi strutturali caratteristiche della società occidentale contemporanea: il
lavoro salariato o dipendente.
La possibilità di parlare di «mercato» del lavoro nasce, infatti, da
quella grande trasformazione che sta dietro la società moderna e
contemporanea e che trova la sua essenza, storicamente, socialmente ed
economicamente, nella nascita e nell’affermarsi del capitalismo come
sistema di organizzazione economica e sociale.
“Certo, forme di lavoro salariato sono esistite nel corso della storia, ma è
con il capitalismo che la compravendita della forza lavoro tende a porsi
come rapporto sociale dominante” (Bottazzi, 1998, pag. 6).
Il Mercato del Lavoro non è, pertanto, una categoria storica o
socioeconomica universale, ma appare tipica della società moderna, nella
quale l’offerta di lavoro proviene dalle persone, che “offrono” la propria
capacità lavorativa sul mercato, mentre la domanda di lavoro parte dalle
imprese, dalle famiglie e da chiunque “domandi” una specifica capacità
sul mercato.
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È opportuno mantenere la precisione di queste definizioni, altrimenti si
corre il rischio, come spesso avviene nel linguaggio corrente, di
confondere e/o invertire i termini «offerta» e «domanda», anche perché
ci si riferisce, in effetti, a una domanda e a una offerta di posti di lavoro e
non di forza lavoro.
Va però specificato che, nella realtà dei fatti, lo schema teorico del
«mercato» del lavoro non funziona secondo il meccanismo ipotizzato
dall’economia neoclassica per due ragioni principali:
™ il “lavoro”, o la forza lavoro, non è affatto una merce come tutte le
altre, essendo indissolubilmente legata alla vita dell’individuo che ne è
portatore.
Il risultato dell’incontro tra domanda e offerta non è quindi
l’equilibrio teorico conseguente al libero gioco economico di mercato,
ma un equilibrio storicamente mutevole, fortemente condizionato
da più generali strutture e dinamiche sociali;
™ non esiste un solo Mercato del Lavoro, ma esistono diverse qualità
che vengono offerte e domandate e tanti mercati separati tra di loro.
Le imprese esprimono infatti, nel loro complesso, una domanda di
lavoro che è funzione, nei suoi aspetti sia quantitativi che qualitativi,
di molte variabili: la particolare congiuntura economica; la tecnologia
dominante; l’organizzazione del lavoro; ecc. D’altro lato, l’insieme
della popolazione attiva offre forze lavoro, capacità e caratteristiche
diverse che dipendono da variabili quali: struttura per età della
popolazione; livello di scolarità; qualificazioni possedute; esperienza
specifica. Senza comunque trascurare le caratteristiche delle famiglie,
le variabili socioculturali e le aspettative e percezioni soggettive.
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Il Mercato del Lavoro rappresenta in definitiva un ambito di studio
nel quale tutte o quasi le dimensioni della vita sociale si incontrano e si
intrecciano, e dev’essere pertanto considerato come un vero e proprio
centro delle problematiche dell’intero sistema socioeconomico.
1.2. L’evoluzione del sistema socioeconomico
La descrizione della situazione attuale del Mercato del Lavoro e dei
significativi cambiamenti che il sistema occupazionale negli ultimi anni
ha fatto registrare, presuppone l’analisi di quella che contestualmente è
stata l’evoluzione del sistema socioeconomico.
Se prendiamo infatti in considerazione il Ventesimo secolo, non
possiamo non rilevare come il sistema economico abbia mutato diverse
volte il proprio carattere predominante e oggi ci proponga un nuovo e
ancora più rapido e forte cambiamento.
Nello specifico, si è assistito al succedersi dei seguenti principali modelli
di economia di mercato:
™ il modello agricolo (fino agli anni Trenta);
™ il modello industriale (dagli anni Quaranta agli anni Settanta);
™ il modello del terziario (dagli anni Settanta agli anni Novanta);
™ il modello dell’informazione multimediale e della conoscenza, che si sta
sviluppando nei giorni nostri.
Non va inoltre trascurata la sostanziale trasformazione che si è
verificata, in maniera quasi parallela, anche nelle dinamiche sociali, i cui
principali indicatori sono individuabili:
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™ nell’innalzamento del «livello di benessere» in termini di reddito pro-
capite;
™ nel grado di istruzione individuale crescente e più differenziato;
™ nel miglioramento della qualità della vita;
™ nella maggiore propensione alla mobilità geografica;
™ nella maggiore propensione a spendere per soddisfare necessità
connesse ad attività culturali, turistiche, sportive e hobbistiche.
Se concentriamo poi la nostra attenzione su quest’ultimo decennio,
dobbiamo inevitabilmente registrare il significativo mutamento dello
scenario economico e occupazionale di riferimento e la continua
evoluzione del modello economico-produttivo: il terziario avanzato
sta di fatto assumendo una valenza sempre maggiore e richiede
prestazioni lavorative in cui è essenziale la conoscenza, a scapito di quelle
di tipo manuale.
Dinanzi a questo forte cambiamento di scenario i riferimenti concettuali
di aspettativa occupazionale si spostano verso attività complementari ai
settori che avevano dominato i primi anni del secolo scorso; si tratta dei
«servizi», che si propongono come principali assorbenti di energie
lavorative (Musso et al., 2000).
Non va infine trascurato il fatto che a tale trasformazione del
fabbisogno occupazionale si è accompagnato negli anni Novanta un altro
importante cambiamento: il prevalere delle componenti connesse al
trattamento informatizzato di dati e informazioni e della multimedialità.
Se, infatti, lo stadio iniziale di tale evoluzione (anni Cinquanta-Settanta) è
stato caratterizzato da una crescita consistente dell’occupazione generale,
negli ultimi decenni tale crescita si è dapprima interrotta, per poi
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caratterizzarsi in un trend di riduzione dei posti di lavoro a occupazione
tradizionale dovuto al diffondersi della tecnologia nell’industria.
È con questo mutato sistema socioeconomico e occupazionale che
bisogna pertanto confrontarsi e prepararsi al “lavoro”.
Nel nuovo modello di economia della conoscenza cresce appunto la
necessità di lavoro con caratteristiche più cerebrali, a discapito delle
prestazioni lavorative a carattere manuale e ripetitivo, senza trascurare il
fatto che la scelta imprenditoriale ha ormai assunto il ruolo di principale
alternativa occupazionale in termini sia di soddisfazione personale che di
opportunità di guadagno.
1.3. Vita lavorativa e formazione continua
Se ci soffermiamo sul concetto di «vita lavorativa», o career, intesa
come quell’ampio arco di tempo che va approssimativamente dai 15 ai 65
anni d’età del soggetto, nel corso del quale egli realizza nel lavoro se
stesso, le proprie potenzialità e le proprie aspirazioni (Sangiorgi, 2000),
possiamo affermare che sino a non molti anni addietro questo segmento
di vita era nei fatti contrassegnato da percorsi lineari, tanto da poter
essere scandito in tre grandi momenti, dedicati rispettivamente a:
™ l’apprendimento, la formazione professionale in senso lato e
l’inserimento nel mercato del lavoro;
™ il lavoro e la carriera, intesa come sviluppo professionale;
™ la conclusione della vita lavorativa e l’uscita dal mercato del lavoro.
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Era la fase del cosiddetto «fordismo», “quella della grande
industrializzazione, dell’urbanizzazione, della scolarità di massa, della
quasi piena occupazione, dello Stato sociale …” (Bottazzi, 1998, pag. 52).
Oggi esiste invece la possibilità, e spesso la necessità, di una continua
circolarità tra formazione e attività lavorativa: le fasi individuate
precedentemente non esistono più o, meglio ancora, si alternano più
volte nel corso della propria vita lavorativa.
“Così ciascuno dovrà più volte porsi in condizioni di apprendimento e di
crescita professionale; più volte in condizioni di inserimento nel mercato
del lavoro e di sviluppo della propria carriera lavorativa; più volte in
condizione di uscita – volontaria o meno – dal lavoro per iniziare
nuovamente il processo” (Sangiorgi, 2000, pag. 8).
Secondo i formatori, i manager e gli studiosi dei trend in atto nel
mercato del lavoro, l’epoca attuale ma soprattutto il futuro appaiono
caratterizzati da rapidi ed accelerati mutamenti, instabilità e complessità;
non a caso tutte le ricerche di scenario parlano di un mondo del lavoro e
delle organizzazioni, col quale dovremo convivere, le cui regole, i cui
assunti di base ed i cui processi organizzativi sono ancora tutti da
definire. Un dato appare comunque inconfutabile: l’organizzazione dei
processi produttivi si evolve con grande velocità e di conseguenza
cambiano continuamente anche le competenze richieste.
Nasce così il concetto di “long life learning”, vale a dire di formazione
lungo tutto l’arco di vita; le scelte non risultano più definitive e valide in
assoluto ed ognuno è chiamato ad essere costantemente protagonista del
proprio futuro, definito sempre più in termini di «progetto» e non di
«destino».
“Viviamo in effetti in un mondo sempre più soggettivo, cioè influenzato da
variabili autonome rispetto all’ambiente. La lunga crescita degli uomini
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passa attraverso la fiducia di poter essere quello che essi desiderano, anzi
optano” (Spaltro, 1990, pag. 17).
Le crisi presenti in vari settori del mercato del lavoro, nonché la
sempre più ridotta probabilità di trovare il famoso «posto fisso», fanno sì
che nessuno possa ritenersi esonerato dal riflettere sul proprio ciclo di
vita lavorativa. Risulta pertanto importante adottare il più possibile un
modello interpretativo ed una strategia operativa unitari, anche perché,
trattandosi di un processo, i comportamenti adottati in ciascun momento
dell’arco di vita sono sostanzialmente predittivi di ciò che succederà nei
momenti successivi.
In questa rinnovata realtà socioeconomica la “flessibilità” rappresenta
una possibile soluzione, il che non comporta un atteggiamento di passiva
accettazione, quanto piuttosto una attiva mobilitazione, finalizzata a
valorizzare al meglio le proprie caratteristiche, competenze e potenzialità
in funzione delle opportunità disponibili.
Anche il premio Nobel per l’economia Modigliani ha negli anni scorsi
sottolineato che, in un mercato occupazionale flessibile, cambiare lavoro
più volte nell’arco della propria vita lavorativa è una cosa assolutamente
normale, perché è il «mercato» stesso a proporre nuove opportunità.
Il fatto poi che questa flessibilità sia uno strumento di “liberazione”
rispetto alle costrizioni rigide di una occupazione (flessibilità scelta) o
sia la conseguenza di difficoltà occupazionali che costringono ad
accettare qualunque posto di lavoro (flessibilità imposta), dipende
naturalmente dai concreti rapporti di forza negoziali che esistono tra chi
vende e chi compra forza lavoro (Bottazzi, 1998).
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2. I CAMBIAMENTI DEL MERCATO DEL LAVORO
Il mondo del lavoro sta vivendo, da circa vent’anni, un profondo
processo di trasformazione, soprattutto perché l’evoluzione tecnologica
ha rivoluzionato il modo stesso di intendere il lavoro e l’approccio a
esso, con profondi risvolti sia qualitativi che quantitativi.
Se si analizzano i più recenti indirizzi delle Politiche del lavoro non
si può infatti non rilevare come, oggi, un insieme di nuove norme
contribuisca a delineare un quadro profondamente mutato, non ancora
completamente definito e compiuto, che comprende diversi aspetti
decisivi per il governo del Mercato del Lavoro quali:
⌢ la legge relativa al lavoro interinale;
⌢ la riforma dell’apprendistato e dei contratti di formazione;
⌢ la riforma della formazione professionale;
⌢ la disciplina dei tirocini formativi e di orientamento;
⌢ la revisione degli incentivi per il lavoro;
⌢ l’incentivazione del part-time e delle forme di orario flessibile;
⌢ la regolamentazione delle attività di collaborazione.
“Si innestano in questo quadro il superamento del monopolio pubblico
nell’attività di mediazione tra la domanda e l’offerta, il decentramento
delle competenze e la realizzazione dei nuovi servizi per l’impiego nel
quadro del decentramento amministrativo” (Franchi, 2000, pag. 2).