Introduzione
La prima volta che ho “scoperto” davvero l'apolidia ossia la condizione di chi è
privo di cittadinanza e mi sono effettivamente resa conto della portata di questo
fenomeno oltre che delle implicazioni reali che portava con sé ero soltanto una
studentessa del secondo anno, e del Diritto Internazionale avevo una conoscenza da
assoluta principiante, ma fu un momento che ricordo con incredibile lucidità perché
decisi proprio allora che laddove fossi arrivata al termine dei miei studi sarebbe stato
senza dubbio interessante dedicare proprio ad essa la mia discussione finale.
A molti, probabilmente, potrà sembrare un aneddoto abbozzato ad hoc per
l'occasione ma assistevo ad una lezione di diritto internazionale quando mi venne
sottoposto il caso di una donna che si era ritrovata nella condizione di apolide qui in
Italia dopo aver perso, all'indomani del disfacimento dell'URSS, la propria cittadinanza
sovietica con tutto ciò che ne conseguiva in termini di vulnerabilità. Legalmente non
poteva più rientrare nel proprio paese di origine ma al tempo stesso in Italia aveva
bisogno di un permesso di soggiorno che facesse riferimento a uno Stato per poter
continuare a risiedere e quindi anche ivi lavorare.
Questo racconto accese la mia curiosità, mi spinse a voler approfondire e mi resi
subito conto che più mi interessavo all'argomento più mi apparivano come fin troppo
trascurate benché numerose le conseguenze negative che la mancanza di una
cittadinanza o la sua successiva perdita potessero produrre nella vita di qualcuno oltre
che per la comunità internazionale tutta essendo spesso l'apolidia una realtà collegata da
vicino con fenomeni altamente tragici come la guerra.
Fortunatamente per me, grazie a quel momento che ispirò il mio interesse e grazie
all'appoggio del mio relatore che ha creduto in questa scelta, l'apolidia è l'oggetto
attorno al quale si articolerà la tesi che nelle prossime pagine prenderà forma.
L'intento che mi sono prefissa, pur non essendo io una voce autorevole in materia,
è quello di testimoniare innanzitutto che una simile realtà esiste, che milioni di persone
ne sono tragicamente colpite e che la comunità internazionale ha nel tempo approntato
degli strumenti non soltanto in termini di protezione ma anche e soprattutto di
prevenzione del problema che ha una dimensione, si potrebbe dire, quasi duale essendo
strettamente intrecciato con la questione della nazionalità la cui prospettiva è una
prospettiva interna e come tale rientrante nei limiti della sovranità di ciascuno Stato.
D'altra parte per riuscire a capire la posizione di svantaggio che l'apolide vive in termini
di godimento dei diritti fondamentali occorre compiere anche una indagine su ciò che
costituisce il legame tra individuo e Stato, insieme alle circostanze che questo legame lo
fanno venir meno.
Nel lavoro che segue ho pertanto intenzione di mostrare in che modo la comunità
internazionale ha reagito per affrontare il complesso problema dell'apolidia, con uno
sguardo dapprima alla definizione che ne ha dato, alle cause che ha riconosciuto essere
fonte di essa per poi giungere agli strumenti normativi approntati per la tutela di chi è
I
riconosciuto apolide e per la prevenzione di nuovi casi del fenomeno suddetto. Le
convenzioni specifiche elaborate dalle Nazioni Unite fungono da punto di partenza
perché progettate proprio per essere il regime giuridico di riferimento, e da esse la
ricerca proseguirà per arrivare ad analizzare tutta una serie di proposte che gli Stati
dovrebbero considerare allo scopo di una realizzazione efficace del diritto alla
cittadinanza accettandone i principi chiave in termini di redazione delle leggi sulla
cittadinanza e di procedure di riconoscimento dello status di apolide.
Naturalmente, non mancherà un approfondimento al quadro giuridico nazionale di
riferimento in materia di apolidia e alla procedura italiana di determinazione dello status
di apolide per poi giungere al quadro di riferimento approntato dall'Unione Europea per
la protezione dei soggetti apolidi, concludendo con una piccola indagine sulla
legislazione di cittadinanza delle Repubbliche baltiche alla luce della loro “restaurata”
indipendenza dal regime sovietico, che lasciò apolide buonissima parte degli esponenti
della minoranza russofona presente in quei paesi, e della loro successiva recente
adesione come Stati membri dell'Unione Europea, ponendo attenzione finale all'Estonia.
Carta degli apolidi nel mondo, Refugees International
II
“Citizenship is man’s basic right for it is
nothing less than the right to have rights”
1
Chief Justice Earl Warren (USA 1958).
Capitolo Primo: L'evoluzione del concetto di cittadinanza
1 – Cenni introduttivi: la cittadinanza come crocevia di diritti.
In linea teorica, i diritti umani fondamentali sono garantiti per legge a tutti gli
uomini, donne e bambini, indipendentemente dalla loro nazionalità
2
. In pratica però la
dura realtà è che a milioni di persone ne è negato l'esercizio e il godimento perché
apolidi, individui che nessuno stato riconosce come propri cittadini. Essi vivono in una
condizione di invisibilità, di vulnerabilità, “nelle ombre ai margini della società”
3
dove è
facile ignorarli. Sono senza protezione e senza riconoscimento, in quanto l'apolidia
esercita un effetto paralizzante sulla loro capacità di individui di funzionare all'interno
di un determinato paese o come cittadini del mondo.
La violazione compiuta ai loro danni è ancora più significativa se si considera che
uno dei diritti umani primari è proprio quello alla cittadinanza, garantito in più
strumenti normativi internazionali e che finisce per fungere, a livello operativo, come
precondizione al godimento di tutti gli altri.
1
Traduzione: La cittadinanza è un diritto fondamentale dell'uomo per il quale non è nulla di meno che
il diritto ad avere diritti.
2
Sebbene usati spesso come sinonimi, le nozioni di nazionalità e cittadinanza provocano continui
dibattiti tra gli studiosi i quali si domandano appunto se questi termini lo siano effettivamente e se
possano essere usati in modo interscambiabile o se invece debbano essere distinti aprioristicamente. A
guardare il diritto internazionale pubblico parrebbe che possano essere uno il sostituto dell'altro in
quanto entrambi implicanti un legame tra individuo e stato sovrano. Tra gli studiosi, tuttavia, alcuni
ritengono che non si dovrebbe utilizzarli come termini intercambiabili tra loro. In tal senso ad esempio
Paul Weis sostiene come la nazionalità sia un concetto più ampio di quello di cittadinanza che
pertanto è in esso contenuto se osserviamo inoltre come la cittadinanza in se stessa non sia una
categoria indivisibile ma al contrario possa assumere varie accezioni diverse all'interno della
nazionalità di un particolare paese. Tra gli studiosi che distinguono, alcuni ritengono che i due
concetti siano da separare però non perché l'uno il contenuto o la specie dell'altro ma perché
rispettivamente manifestazione esterna e interna del legame che esiste tra l'individuo e lo stato. Il
risultato è una gran confusione nell'uso che di questi se ne fa, perché se da una parte molti sono
convinti della loro distinzione, molti altri ne valutano l'interscambiabilità come un dato evidente
vedendo in essi la mera appartenenza politica ad una comunità senza distinguere tra il fatto che la
nazionalità potrebbe definirsi come il legame etnologico che unisce un individuo a uno stato mentre la
cittadinanza il mero legame legale tra questi. In alcuni Stati come Romania, Albania, Bielorussia,
Estonia, Lituania, Macedonia, Montenegro, Russia, Svezia e anche la nostra Italia, i termini non sono
interscambiabili: mentre la cittadinanza si riferisce al legame legale tra uno Stato e un individuo, la
nazionalità implica invece l'origine etnica del soggetto. Per gli scopi di questa dissertazione,
ciononostante, i termini saranno usati interscambiabilmente per cui tutte le volte che si incontrerà
l'uno o l'altro entrambi implicheranno “il legame legale tra una persona e uno Stato senza alcuna
indicazione all'origine etnica della persona” così come l'art 2 (a) della Convenzione Europea sulla
nazionalità del 1997 statuisce a chiare lettere.
3
Traduzione di “in the shadows at the edge of society” - Philippe Leclerc & Rupert Colville, Millions
Seek to Escape the Grim World of the Stateless, U.N.H.C.R. Refugees Magazine, Sept. 27, 2007
1
Il problema della apolidia però non è un problema nuovo. Esso esiste da sempre,
praticamente da quando esistono comunità organizzate di uomini e, conseguentemente,
il legame con una di esse, il quale definisce da un lato una conformità tra individuo e
collettività, e dall'altro la distinzione tra collettività diverse.
Nel tempo i volti degli indèsiderables sono cambiati così come i mezzi per
individuarli, i nomi attraverso i quali riferirsi ad essi rimanendo tuttavia frequente la
consuetudine di discriminarli, isolarli o peggio ancora ignorarli del tutto.
Il secolo appena trascorso è stato vivo testimone di come l'umanità possa arrivare
a lacerare se stessa nell'idea di affermarsi come unica e pura. Inizialmente nel contesto
della prima guerra mondiale, si assistette alla “punizione” di numerosi rifugiati
attraverso la privazione della loro cittadinanza, di modo che non potessero più ritornare
nei loro paesi di origine e perdessero ogni speranza di riscatto. Fu però nel contesto
della seconda guerra mondiale che tale fenomeno vide i suoi effetti peggiori palesarsi
con forza.
Molti cittadini residenti nei regimi totalitari dell'epoca furono, infatti,
gradualmente estromessi, sistematicamente privati dapprima solo di alcuni diritti di cui
sarebbero stati invece titolari in quanto cittadini, e infine della loro stessa cittadinanza.
Essi, espropriati illegittimamente della loro condizione di appartenenza alla nazione
sovrana che li aveva rifiutati, si ritrovarono senza alcun diritto, divenendo
dolorosamente “schiuma della terra
4
”.
La comunità internazionale era cosciente degli atti violenti in corso, ma
inizialmente si attivò solo da un punto di vista formale per eliminare eventuali conflitti
di legge circa il riconoscimento della cittadinanza attraverso la Convenzione dell'Aja del
1930
5
. Mancava infatti una reale volontà da parte degli Stati, che anzi in quel periodo
sembravano adoperarsi in senso opposto compiendo snaturalizzazioni
6
di individui
naturalizzati in precedenza solo perché divenuti “cittadini sgraditi” o allontanando i
senza patria in campi di internamento “con l’esplicito intento di liquidare una volta per
sempre l’apolide ignorandone l’esistenza
7
”.
Si finì in tal modo per creare nuovi casi di apolidia.
A quelli de jure prodotti dai trattati di pace del 1919
8
, si aggiunsero gli apolidi de
4
Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, trad. it. di A. Guadagnin, Edizioni di Comunità, Milano
1996, p. 372.
5
La Convenzione entrò in vigore il 1° luglio 1937 tra 14 Stati, non in l’Italia. Per il testo si veda
Società delle Nazioni, Recueil Traités vol. 179 p. 89 ss
6
Fu questo il caso di paesi come la Francia e il Portogallo nei confronti dei nativi di paesi nemici o che
avessero commesso atti antinazionali nel corso della guerra. Turchia, Belgio, Egitto e anche l'Italia di
Mussolini che emanò nel 1926 un provvedimento che dichiarava indegni quanti rappresentavano una
minaccia per l'ordine pubblico come i fuoriusciti politici. Infine, le leggi di Norimberga che chiusero il
cerchio aggiungendo all'arma della snaturalizzazione quella del campo di internamento in completa
violazione dell'inalienabilità dei diritti umani, fungendo da spazi di eccezione in cui la legge è
integralmente sospesa. In essi qualunque atto è possibile senza apparire un delitto.
7
Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, trad. it. di A. Guadagnin, Edizioni di Comunità, Milano
1996, p. 388.
8
La disgregazione violenta dei quattro imperi alla fine del 1918 che fu seguita dalla stipula dei Trattati
2
facto la cui precarietà era destinata a protrarsi, dato che questi mantenevano stretto il
legame con la loro nazionalità pur avendo perduto la cittadinanza, così che all’interno
del paese ospitante rappresentavano “minoranze straniere separate”, forze disgregatrici
pronte a combattere contro i governi dei propri paesi, come avvenne per gli antifascisti
italiani e spagnoli in Francia.
Era venuto meno in via definitiva il principio medievale per il quale «quiquid est
in territorio est de territorio»
9
, principio che negli anni recenti ha rivisto violata la sua
essenza dalla dissoluzione di alcuni stati perché da essa sono derivati individui privi di
cittadinanza, destabilizzati nel loro stesso luogo di nascita, per via del “muoversi” dei
confini nazionali.
Gli apolidi vivono invero in uno spazio di eccezione, sospesi in una condizione
che paradossalmente cade fuori dal diritto, come anomalie
10
del sistema. Essi sono da un
lato la tragica conseguenza della separazione tra uomo e cittadino, e dall'altro un limite
del sistema stesso che li esclude. Se è vero infatti che lo Stato ha il potere di decretare
che un individuo non è mai stato o non è più proprio cittadino, di fronte a tale evidenza
sorge il problema di capire in che modo la dissociazione tra queste due dimensioni
influisca e quali diritti rimangano accessibili e fruibili una volta che il vincolo giuridico
è venuto meno.
La seconda guerra mondiale produsse ad ogni modo almeno una conseguenza
positiva divenendo monito per l'umanità che sopravviveva alle violenze di quegli anni.
La paura che simili atrocità potessero ripetersi funzionò come forte sprone verso una
maggiore attenzione per i diritti umani, e tra questi al “diritto ad una cittadinanza”,
nonché verso la creazione di strumenti in grado di realizzarne la necessaria e
fondamentale tutela.
La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 si fece portatrice di tali
valori e, prima tra altri strumenti, asserì con l'art 15 il diritto di ogni individuo ad avere
una cittadinanza e a non esserne arbitrariamente privato, oltre che il diritto di ogni
individuo di mutarla.
Il diritto ad una cittadinanza, da quel momento in poi, diventa paradigma
“codificato”, riconosciuto dagli Stati firmatari della dichiarazione così come da altre
convenzioni internazionali (la Convenzione sui diritti del bambino all'art 7 e la
Convenzione americana sui diritti umani all'art 20) che ne riprenderanno il contenuto
confermandone la natura di diritto umano sostanziale ed innegabile, prima ancora
di pace del 1919 fu un fenomeno acceleratore per la formazione delle minoranze e creò consistenti
masse di profughi nell'Europa orientale e meridionale. Tuttavia se per le minoranze si poteva sperare
in una protezione supplementare e in garanzie per godere di alcuni diritti, per gli apolidi, che non
potevano più contare né in una patria né in una terra, ciò non si rese possibile. In ordine cronologico
tra i diversi gruppi, entrarono a far parte della categoria degli apolidi, milioni di russi, centinaia di
migliaia di armeni, migliaia di ungheresi, centinaia di migliaia di tedeschi e oltre mezzo milione di
spagnoli.
9
Trad. “colui che è nel territorio, appartiene al territorio”
10
Weis, P., ‘The United Nations Convention on the Reduction of Statelessness, 1961’, 11 ICLQ 1073
(1962).
3
dell'emanazione di convenzioni che trattino direttamente del problema dell'apolidia.
Ciononostante, a causa dell'autonomia legislativa che i governi nazionali hanno in
materia di cittadinanza, sono approssimativamente quindici milioni le persone nel
mondo che non hanno mai acquisito una cittadinanza o che l'hanno persa e non hanno
diritto di chiederla in un altro stato.
Essi vivono in condizioni precarie, spesso terribili, poiché la cittadinanza,
tradizionalmente concepita come appartenenza ad un determinato Stato, il quale regola
in maniera più o meno ‘liberale’ i diritti che da questa derivano, funge da “ruolino di
marcia” per l’esercizio di diritti e doveri della persona all’interno dei singoli
ordinamenti nazionali
11
. Avere una cittadinanza comporta il diritto-potere di eleggere e
di essere eletti in assemblee rappresentative, di accedere alla giustizia ricorrendo presso
i tribunali e beneficiare della ‘protezione diplomatica’ del proprio paese se ci si trova
all’estero, ma permette anche l'accesso al servizio sanitario, alla educazione e al lavoro
oltre che, tra gli altri, il diritto alla proprietà, la libertà di stipulare contratti, sposarsi,
riconoscere la prole e muoversi dentro e fuori dai confini nazionali senza rischiare, solo
perché privi dei documenti necessari per dimostrare la propria identità legale, di
ritrovarsi detenuti per lunghi periodi in uno stato diverso da quello di abituale
permanenza. Avere una cittadinanza si rivela condizione prodromica al godimento di
molti diritti politici, economici e sociali, e se si analizzano bene gli effetti che la perdita
di essa comporta, il diritto alla cittadinanza si conferma quindi uno tra i fondamentali
diritti inalienabili dell'uomo, anzi forse il principale, poiché è solo appartenendo ad una
comunità politica che si mantengono tutte le libertà e le facoltà che danno dignità
all'uomo. La cittadinanza dunque come “diritto ad avere diritti”, condizione
imprescindibile per una esistenza “giuridica” e non solo “naturale” degli individui.
L'ultima parola, sul concederla o meno, come già accennato, spetta però in via
definitiva allo Stato, il quale sceglie in modo autonomo i principi cui aderire per
riconoscerla o revocarla.
A tal fine, i due criteri prevalentemente utilizzati dagli ordinamenti costituzionali
sono lo ius soli (diritto del territorio) e lo ius sanguinis (diritto di sangue) i quali
possono spesso essere in conflitto tra loro e nel cui scontro si ritrova una delle principali
cause di apolidia. In senso strettamente legale, essa è infatti la condizione di coloro che
non sono considerati cittadini da nessuno stato
12
.
Confusione e conflitto nascono perché non c'è un principio unico che le nazioni
sembrano voler accettare come regola generale. Alcuni stati scelgono il primo, altri il
secondo, altri ancora una combinazione di entrambi. Il risultato è uno stato di incertezza
legale sia a livello domestico sia a livello internazionale, in cui un soggetto può essere
contemporaneamente cittadino di più Stati o nella situazione opposta cittadino di
nessuno.
11
Vedi Papisca Antonio, Introduzione alla dichiarazione universale dei diritti umani, Cattedra
UNESCO "Diritti umani, democrazia e pace", 2008
12
Vedi UN General Assembly, Convention Relating to the Status of Stateless Persons, 1954
4