4 1. SINDROME CORONARICA ACUTA
popolazione normale), si puo` ritenere che il paziente che si e` presentato con una
SCA ha avuto una fase di AI.
Si pone invece la diagnosi di NSTEMI se si e` avuto il rilascio di un marker di
necrosi miocardica.
In quest’ultima condizione, le modificazioni ECG del tratto ST o dell’onda T
possono essere persistenti, mentre tali variazioni ECG possono essere presenti o
assenti nei pazienti con AI e, quando presenti, sono solitamente transitorie.
I markers di necrosi miocardica che consentono di fare la diagnosi differenziale
fra AI (markers assenti, modificazioni ischemiche dell’ECG solitamente transito-
rie, se pure presenti) e NSTEMI (markers biochimici di necrosi aumentati) sono
rilevabili a livello ematico diverse ore dopo l’esordio dell’angor: di conseguenza,
i pazienti con AI e NSTEMI possono non essere distinguibili al momento della
presentazione clinica.
L’NSTEMI ed in particolare l’AI devono, inoltre, essere considerati come sin-
dromi e non come singole malattie dal momento che i fattori che determinano
l’instabilita` e la loro evoluzione possono essere molteplici e ancora in parte sconosciuti.
1.1. Note epidemiologiche. La cardiopatia ischemica costituisce la princi-
pale causa di morte negli USA e AI e NSTEMI sono sue manifestazioni cliniche
molto comuni.
Queste patologie, che mettono a rischio la sopravvivenza, costituiscono una
delle cause principali di ricorso al Pronto soccorso/DEA e di ospedalizzazione negli
USA: l’AI, infatti, e` responsabile di 1000000 di ricoveri all’anno secondo gli ultimi
dati del National Center for Health Statistics e circa il 6-8% di tali pazienti va
incontro ad IMA non mortale o a morte durante il primo anno dalla diagnosi. Le
principale cause dei decessi dovuti a AI/NSTEMI sono la morte cardiaca improvvisa
elosviluppo(olarecidiva)diunIMA[3].
Questi dati chiariscono e giustificano gli sforzi compiuti dalla ricerca nel fare
luce sulla complessita` dell’eziologia di tali sindromi.
2. Patogenesi dell’infarto miocardico acuto
L’evento responsabile di un infarto acuto e` l’interruzione improvvisa e persis-
tente del flusso ematico attraverso una arteria coronarica, indipendentemente dalla
causa primitiva che lo sottende.
I principali fattori scatenanti l’occlusione arteriosa sono riassunti nella figura
1:
Tali fattori possono svilupparsi in presenza di una patologia aterosclerotica di
variabile entita`. Il piu` comune di essi, vale a dire la trombosi, puo` svilupparsi come
conseguenza di stimoli trombogenici forti o deboli [4].
Nel primo caso tali stimoli causano la crescita rapida del trombo con una mas-
siva inclusione di globuli rossi nel coagulo di fibrina (trombi rossi), provocando
una occlusione persistente e ininterrotta in pochi minuti. Un forte stimolo trombo-
genico puo` essere causato da una rottura puramente meccanica di una estesa placca
aterosclerotica ricca di componente lipidica. In questo caso la crescita del trombo
e` principalmente determinata dalla trombogenicita` della placca, rotta in seguito ad
uno stress vascolare locale.
Questo meccanismo dovrebbe essere prevalente nei pazienti con placche multi-
ple, caratterizzate da un grande nucleo lipidico e da un cappuccio fibroso sottile e
che non necessariamente sono causa di una stenosi limitante il flusso.
2. PATOGENESI DELL’INFARTO MIOCARDICO ACUTO 5
Figure 1. I potenziali fattori scatenanti un’ischemia miocardica acuta.
Nel secondo caso, gli stimoli trombogenici deboli causano una lenta e pro-
gressivadeposizionedipiastrineelaformazionediuntrombopiastrino-fibrinico
(trombo bianco), secondariamente alla loro intensita`, durata e ricorrenza.
Essi possono essere causati dalla fissurazione di una placca non altamente trom-
bogenica o da una attivazione locale della parete vascolare da parte di citochine
infiammatorie, in presenza o meno di fissurazione della placca. In questo caso la
crescita del trombo e` principalmente determinata dall’intensita`, dalla durata e dalla
ricorrenza del processo infiammatorio.
Le citochine infiammatorie causano l’espressione endoteliale del Fattore Tissu-
tale (TF) e di altri fattori procoagulanti e vasocostrittori, di molecole di adesione pi-
astriniche e leucocitarie, insieme all’inibizione delle fisiologiche proprieta` endoteliali
anti-trombotiche e vasodilatatrici: cio`e`sufficiente ad iniziare il processo trombotico
edamantenerloquandoessoe` persistente.
Inoltre, le citochine possono anche attivare le metalloproteasi con conseguente
erosione endoteliale e lisi del cappuccio della placca. Le cause di tale processo in-
fiammatorio, del resto, possono essere svariate, acute o croniche, infettive o non
infettive e possono essere variabilmente modulate dalla risposta immune e infi-
ammatoria individuale (fig. 2).
Il ruolo degli altri fattori potenzialmente responsabili dell’occlusione coronarica
riportati nella figura 1 e`pi`u sfuggente. La presenza di uno spasmo e di stenosi
dinamiche puo` essere dimostrato solo da ripetute angiografie dopo infusione di
nitrati o da tests di provocazione (tale meccanismo sembra essere molto piu` comune
tra i giapponesi).
Lo spasmo arterioso puo` essere conseguenza dell’iperreattivita` locale delle cel-
lule muscolari lisce, come osservato nell’angina variante, o essere causato da occa-
sionali stimoli vasocostrittori intensi.
La vasocostrizione massiva di piccoli vasi puo` derivare dall’azione del neuropep-
tide Y o dell’endotelina, della serotonina e del trombossano A2 rilasciati dalle pias-
trine, e dall’attivazione endoteliale diffusa da parte delle citochine infiammatorie.
6 1. SINDROME CORONARICA ACUTA
Figure 2. Circoli viziosi che determinano la formazione di un
trombo occlusivo.
2. PATOGENESI DELL’INFARTO MIOCARDICO ACUTO 7
2.1. Nuovi indizi. Nei pazienti che muoiono entro 6 ore dall’inizio dei sin-
tomi, in quelli con storia di AI e nella maggior parte delle placche fissurate, le
caratteristiche principali dei trombi forniscono indizi intriganti riguardo alla loro
origine:
• sono generalmente composti da piastrine, compatibilmente, quindi, con sti-
moli trombogenici deboli;
• molto spesso essi non occludono il lume arterioso completamente, suggerendo
una frequente associazione con la componente vasomotoria;
• essi possono essere composti da piu` strati, suggerendo la ripetitivita` dello
stimolo trombotico;
• essi possono essere riscontrati occasionalmente anche in arterie non corre-
late alla zona infartuata e associati a fissurazioni multiple delle placche, a
dimostrazione della multifocalita` dello stimolo trombotico.
Tutte queste osservazioni suggeriscono che le fissurazioni puramente mecca-
niche di placche non fortemente trombogeniche oglieffetti locali della citochine
infiammatorie rappresentano il piu` comune stimolo trombotico, sia esso occasion-
ale, persistente o addirittura ricorrente, capace di coinvolgere simultaneamente piu`
placche aterosclerotiche.
Una possibile fonte di citochine infiammatorie e` rappresentata dagli infiltrati
di cellule infiammatorie comunemente riscontrati interiormente ai trombi recenti,
in presenza o assenza di fissurazioni della placca.
Del resto la possibilita`chegliinfiltrati infiammatori possano essere sufficienti
a scatenare lo stimolo trombotico sembra alquanto semplicistica. Essi sembrano
essere una componente comune del processo aterosclerotico (sono frequenti, infatti,
anche nelle placche di pazienti con angina stabile) piuttosto che specifiche, occa-
sionali cause di IMA.
Interessante e` l’ipotesi di placche vulnerabili a causa di varie ragioni: esse
possono essere predisposte alla rottura perche´ hanno un grosso core lipidico e un
cappuccio fibroso sottile o perche´sonosedediprocessiinfiammatori o ancora per
la combinazione dei due meccanismi. La loro vulnerabilita`pu`o durare giorni, set-
timane o mesi.
Fino ad ora non sono state individuate caratteristiche infiammatorie peculiari
neitrombichecausanoIMAomorte,differenti da quelle delle placche dei pazienti
con angina stabile.
E’ chiaro, quindi, che l’azione trombogenica delle cellule infiammatorie ha
bisogno del contributo della risposta infiammatoria sistemica per la sua completa
espressione.
2.2. Fattori di rischio. Alla pari della molteplicita` e della complessita`dei
meccanismi patogenetici alla base dell’IMA, cos
`
i i principali fattori di rischio am-
bientali e genetici, sia tradizionali che nuovi, sono suscettibili di enormi variazioni
per eta`, sesso, stato sociale, gruppo etnico e geografico.
Il valore medio attribuito ad ogni fattore di rischio in una popolazione di pazi-
enti non selezionati e` il risultato di due componenti:
1. il rischio conferito dal fattore preso in esame agli individui sensibili
2. la prevalenza degli individui sensibili nella popolazione studiata.
8 1. SINDROME CORONARICA ACUTA
Un basso rischio, quindi, puo` essere determinato sia dello scarso ruolo pato-
genetico del fattore esaminato sia dalla bassa prevalenza di individui sensibili nel
gruppo studiato.
Il rischio determinato da un IMA in un parente di primo grado prima dei 60 anni
di eta` indica che i fattori genetici giocano un ruolo importante nell’IMA prematuro,
ma non implica che la componente genetica e` la stessa in tutti i gruppi familiari.
3. Patogenesi dell’AI/NSTEMI
Queste condizioni, anch’esse caratterizzate dallo squilibrio tra l’apporto e il
consumo miocardico di ossigeno, non sono patologie specifiche, come per esempio
la polmonite da pneumococco, ma costituiscono piuttosto una sindrome, come nel
caso dell’ipertensione.
La classificazione dell’AI, proposta da Braunwald nel 1989, e` basata su semplici
indicatori clinici, quali la severita` dell’esordio, le circostanze in cui tale esordio si
verifica,laeventualepersistenzadopountrattamentoanti-ischemicoadeguato[5].
Le alterazioni del tracciato elettrocardiografico, in particolare la presenza o
l’assenza di cambiamenti nel tratto ST, si e` dimostrata finora utile come strumento
classificativo.
Inoltre, nella classificazione di questi pazienti e`importantelavalutazionedei
markers di danno miocardico, in particolare la troponina T e I, dal momento che essi
sono forti indici predittivi indipendenti di eventi cardiaci futuri .(vedi classificazione
di Braunwald).
Questi indicatori clinici e di laboratorio sono utili nella stratificazione prog-
nostica, ma non forniscono alcuna informazione riguardo all’eziologia dell’AI, in-
formazioni, queste che sarebbero molto utili ai fini di un trattamento terapeutico
specifico, piuttosto che empirico.
Per tornare all’analogia con l’ipertensione, infatti, l’identificazione di specifici
sottotipi come l’ipertensione vascolo-renale o quella indotta da mineralcorticoidi ha
permesso lo sviluppo di terapie piu` specifiche e efficaci.
Possiamo aspettarci progressi simili anche nell’AI.
3.1. Ipotesi eziologiche. Nell’angina instabile, la riduzione transitoria della
perfusione coronarica responsabile degli episodi ischemici ricorrenti a riposo e` stata
dimostrata con il monitoraggio emodinamico, con studi di perfusione regionale del
miocardio e con la tachicardia indotta da pacing [6].
I meccanismi ultimi responsabili della riduzione occasionale della perfusione
miocardica comprendono la trombosi e la vasocostrizione, ma i loro meccanismi
scatenanti, che secondo i criteri di inclusione generalmente adottati possono perdu-
rare finoa2mesi,sonoancoraspeculativi.
Fino a dieci anni fa, l’ostruzione severa progressiva di natura organica di
un’arteria coronaria era ritenuta essere la causa piu` comune di angina instabile.
Ancheseorae` evidente che la trombosi non occlusiva e` un’eventualita`digran
lunga piu` frequente, l’aterosclerosi accelerata rimane importante da considerare.
Il motivo di tale accelerazione non e` ancora noto: e` stata suggerita l’ipotesi di
ricorrenti, frequenti piccoli trombi subclinici come meccanismo patogenetico (a di-
mostrazione di questo e` stata provata l’efficacia di un trattamento prolungato con
3. PATOGENESI DELL’AI/NSTEMI 9
farmaci anti-piastrinici, come l’inibitore del recettore GPIIb/IIIa) [8]. Questa eve-
nienza si verifica anche in alcuni pazienti sottoposti a PTCA (Angioplastica Coro-
narica Percutanea Transluminale) e ad altre manovre di rivascolarizzazione basate
sul cateterismo.
Attualmente molti riconoscono come causa piu` comune di AI/NSTEMI la
riduzione della perfusione miocardica dovuta alla riduzione del calibro di un’arteria
coronaria,provocataasuavoltadauntrombononocclusivochesisviluppasu
una placca aterosclerotica che e` andata incontro a rottura. Si ritiene che il rilascio
di markers di necrosi miocardica in questi pazienti sia dovuto alla microemboliz-
zazione di aggregati piastrinici e di componenti della placca distrutta. Trombi non
occlusivi nei pazienti con AI sono stati dimostrati da studi angiografici che hanno
evidenziatolaloropresenzasoprattuttoacaricodilesioniarteriosecomplessee
irregolari. Le placche che vanno incontro a rottura, infatti, spesso hanno un core
ricco in esteri del colesterolo e di fattore tissutale e un cappuccio fibroso sottile.
La rottura e`causatadaforzedistiramentoagentiaibordidellaplacca(fig. 3)
ed e` seguita dall’attivazione della cascata coagulatoria con successivo rilascio nel
circolo coronarico di prodotti dell’aggregazione piastrinica, i quali costituiscono
uno stimolo trombogenico persistente anche per alcuni mesi. I trombi non-occlusivi
possono organizzarsi e incorporarsi nella placca in crescita.
E’ importante, inoltre, ricordare che i due terzi delle arterie contenenti placche
che vanno incontro a rottura e in cui si sviluppa successivamente un trombo occlu-
sivo hanno stenosi del 50% o meno prima della rottura della placca e nel 97% dei
pazienti la stenosi e` inizialmente inferiore al 70% [3].
In media, infatti, la coronarografia rivela una maggiore frequenza di stenosi
complicate e di trombi nei pazienti con angina instabile che in quelli con angina
stabile, ma lo studio sistematico dei pazienti arruolati nei grandi studi randomizzati
dimostra che una malattia grave di piu` arterie coronariche non e`frequente.
Sebbene lo sviluppo dell’instabilita` sia spesso associato alla progressione della
stenosi dei vasi coronarici, circa un quarto dei pazienti instabili sottoposti a coro-
narografia ripetuta non dimostrano alcuna progressione. Inoltre, nel 25% dei pazi-
enti stabili si puo` osservare progressione delle lesioni in assenza di segni di insta-
bilita`. Non esistono, quindi, reperti angiografici coronarici patognomonici dell’angina
instabile.
Solo nel 75% circa dei pazienti si riscontrano placche fissurate sotto trombi mu-
rali, mentre le placche fissurate si trovano anche in arterie coronariche non correlate
all’area ischemica.
La progressione della stenosi e` probabilmente il risultato piuttosto che la causa
della sindrome. Infatti, studi post-mortem indicano che l’eta`deitrombimurali
concorda con il periodo della comparsa dei sintomi di angina instabile. Inoltre, le
stenosi irregolari causate dal trombo possono essere riconosciute angiograficamente
in molti ma non in tutti i pazienti con angina instabile e possono essere anche
osservate in alcuni pazienti con angina stabile: cio` suggerisce che esse siano un
marker di un processo focale di breve durata gia` in atto piuttosto che la sua causa.
Una causa meno comune di angina instabile e` l’ostruzione dinamica, vale a
dire una vasocostrizione coronarica. L’evidenza diretta di una vasocostrizione coro-
narica e`difficile da ottenere perche` l’aumentato tono vasomotore, individuabile
soltanto nel preciso momento in cui si verifica, e`pi`u elusivo rispetto alla trombosi,
essendo i trombi in genere piu` persistenti e quindi piu` facilmente dimostrabili con
10 1. SINDROME CORONARICA ACUTA
Figure 3. Meccanismo di rottura della placca.
studi angiografici, angioscopici e post-mortem. In presenza di stenosi molto ser-
rate, anche una riduzione minima del volume (oltre la capacita` di misurazione delle
3. PATOGENESI DELL’AI/NSTEMI 11
tecniche radiografiche) puo` avere importanti conseguenze emodinamiche, mentre la
costrizione dei rami coronarici di piccolo calibro non puo` essere individuata con
tecniche angiografiche.
Quindi, sebbene sia ben stabilito che meccanismi dinamici trombotici e va-
sospastici abbiano un ruolo dominante nella patogenesi dell’angina instabile, le
cause reali sono ancora poco chiare e attualmente l’attenzione dei ricercatori e`
rivolta alla possibile importanza di una componente infiammatoria ancora poco
conosciuta.
L’infiammazione dell’arteria, infatti, correlata o meno ad infezione, puo`essere
responsabile del restringimento della coronaria, della destabilizzazione e della rot-
tura della placca e della trombogenesi [9]. In tale circostanza un ruolo importante e`
rivestito dalle cellule infiammatorie sia circolanti che tissutali: i linfociti attivati cir-
colanti possono in tale caso aumentare di numero, cos
`
i come accade per le molecole
di adesione di monociti e di neutrofili. I macrofagi e i linfociti T attivati presenti ai
bordi della placca, inoltre, favoriscono l’espressione di enzimi come le metallopro-
teinasi, che possono causare l’assottigliamento e la rottura del cappuccio fibroso,
condizione questa predisponente alla rottura della placca. Le cellule mononucleate
si esprimono con una aumentata produzione di citochine, come l’interleuchina 6
(IL-6), il TNF-α e l’INF-γ elarispostainfiammatoria e` documentata dall’aumento
dei valori plasmatici di proteine di fase acuta come la proteina C-reattiva (PCR) e
l’amiloide A sierica (SAA) [10].
Un meccanismo alternativo di ostruzione vasale, ancora una volta di natura
trombotica, e` rappresentato da erosioni della placca (non seguite dalla rottura del
core lipidico), accompagnate dalla rapida proliferazione e migrazione delle cellule
muscolari lisce in risposta ad una lesione endoteliale. I rapidi cambi conformazion-
ali nella forma e nell’entita` della lesione dovuti all’espansione della muscolatura
liscia possono condurre ad una occlusione arteriosa relativamente rapida con con-
seguente ischemia sintomatica. Le attuali tecniche non permettono di distinguere
con chiarezza i casi in cui la sintomatologia acuta e` dovuta alla convenzionale rot-
tura di placca da quelli in cui e` dovuta a erosioni minime o a cambi conformazionali
[3].
I meccanismi patogenetici finora elencati, anche se differenti tra loro, possono
verificarsi contestualmente e tra di essi, nell’ultima classificazione secondo Braun-
wald, gioca un ruolo predominante la presenza di placche aterosclerotiche che sono
andate incontro a ripetute fasi di rottura e riparazione. In tale processo fattori pato-
genetici chiave sono la formazione del trombo e i meccanismi infiammatori, mentre
le caratteristiche istologiche dell’instabilita`, vale a dire l’infiltrato infiammatorio del
trombo e della placca, correlano con la severita` clinica dell’AI. La morfologia della
placca nei pazienti con i gradi piu`elevatidiAIe` simile a quella dei pazienti con
IMA,mentreneipazienticonibassigradidiAIessae` simile a quella dei pazienti
con angina stabile.
Gli studi angioscopici hanno evidenziato che il trombo responsabile dell’AI e`
piu` frequentemente bianco (ricco di piastrine) e meno spesso rosso (ricco di fibrina);
quest’ultimo tende ad essere piu` frequente nell’IMA.. Studi anatomo-patologici non
recenti hanno dimostrato che in pazienti con angina instabile che vanno incontro a
morte improvvisa l’evento fatale e` spesso preceduto da una embolizzazione ripeti-
tiva di trombi provenienti da una placca instabile. Questo processo ha come esito
necrosi miocardiche focali che non sono ampie abbastanza da essere individuate
dalle misurazioni dei livelli ematici di CK o CK-MB. Il riscontro del cos
`
i chiamato
12 1. SINDROME CORONARICA ACUTA
“insulto miocardico minore” nell’AI puo`, dunque, riflettere la presenza di una placca
instabile contenente un trombo ricco di piastrine nell’arteria coronaria prossimale
e puo` essere rilevato misurando i livelli ematici delle troponine T e I come mark-
ers della formazione del trombo: livelli elevati delle troponine sono, infatti, stati
evidenziati in approssimativamente un terzo dei pazienti con AI di classe IIIB, ma
solonel10%deipazientidiclasseI[7].
CAPITOLO 2
Nuove evidenze
Nessuna delle teorie fino ad ora sviluppate sono state in grado di spiegare
adeguatamente tutti gli aspetti conosciuti delle sindromi coronariche acute. Le
contraddizioni piu` evidenti si riscontrano nell’affermazione corrente che la rottura di
placca e` l’evento fondamentale causa di instabilita` alla luce di studi post-mortem che
smentiscono chiaramente questa certezza: nel 46% dei pazienti morti per sindromi
coronariche acute (nel 40% in un altro studio precedente) non c’era alcuna evidenza
di placca aterosclerotica fissurata alla base della trombosi arteriosa coronarica [9].
Questo risultato non permette piu` di sostenere la funzione della rottura della placca
come requisito imprescindibile per la trombosi e suggerisce l’esistenza di fattori
scatenanti differenti, forse finora sottovalutati. La presenza, inoltre, di placche
fissurate in assenza di trombosi nel 25% di pazienti deceduti per cause non cardiache
rafforza il dubbio che la trombosi e la fissurazione non siano cos
`
i strettamente
interconnessecomesie`semprepensato.
Inoltre, in uno studio di alcuni anni fa erano state messe a confronto le arterie
coronarie di pazienti che avevano una storia di angina stabile cronica da almeno 2
anni con quelle di pazienti con AI: i risultati smentirono la convinzione che i pazi-
enti con AI dovessero necessariamente avere stenosi progressive causate da grandi
placche ateromatose. Infatti, fu riscontrata una ampia variabilita` nella severita`
dell’ateroma e i pazienti con angina stabile cronica non complicata avevano tenden-
zialmente placche ateromasiche piu` severe rispetto ai pazienti con AI come prima
manifestazione clinica di cardiopatia ischemica.
Possiamo, inoltre, aggiungere che i fattori di rischio tradizionali,valeadire
fumo, obesita`, elevati livelli di colesterolo, ipertensione arteriosa, familiarita`per
cardiopatia ischemica, riescono a spiegare non piu` della meta`deicasidiinfartodel
miocardio [11].
Tutto questo ha dato lo slancio alla ricerca di nuovi meccanismi patogenetici.
1. Ruolo dell’ infiammazione
L’ipotesi che sta acquistando sempre maggiore credibilita` per spiegare sia i dati
clinici sia le osservazioni post-mortem, da` un ruolo di protagonista all’infiammazione
come fattore responsabile dello sviluppo dell’instabilita` coronarica negli eventi is-
chemici acuti.
E’ stata, infatti, evidenziata in questi ultimi anni, l’importanza del ruolo di un
processo infiammatorio di basso grado, implicato sia nella formazione della placca
aterosclerotica, sia nell’evoluzione delle sue complicanze di tipo trombotico [12].
La riattivazione della cascata infiammatoria potrebbe essere la causa scatenante
della destabilizzazione che e` alla base delle sindromi coronariche acute, attraverso
meccanismi di natura endoteliale e, a volte, anche di fissurazione di placca.
13
14 2. NUOVE EVIDENZE
L’infiammazione, infatti, e` stata proposta come fattore trigger per l’attivazione
endoteliale locale, causa a sua volta di trombosi.
Un sostegno a questa ipotesi e` venuto anche da studi differenti, alcuni dei
quali hanno dimostrato il beneficio di un trattamento a base di aspirina (anche in
aggiunta al trattamento eparinico di routine) sul rischio di IMA, altri quello di un
trattamento antibiotico sulla prognosi di pazienti con AI. Non e` stato chiarito se
l’effetto positivo era dovuto all’azione antibatterica o a quella anti-infiammatoria e
anti-citochine dei macrolidi usati nello studio, ma in ogni caso i risultati confermano
il ruolo dell’infiammazione nello sviluppo dell’AI [9].
2. Infiammazione e trombosi
I libri di testo spesso definiscono la trombosi come un semplice meccanismo
protettivo per bloccare la perdita di sangue dopo una ferita: la puntura di un
bisturi scatena una cascata proteolitica che termina nella formazione di fibrina e di
una rete cellulare a base di piastrine e/o di globuli rossi [13].
In patologie come l’aterosclerosi, la cui base infiammatoria e` stata dimostrata
da ormai molti anni, questo modello semplicistico non e` attuabile. Nella storia
naturale dell’aterosclerosi, infatti, la trombosi presuppone uno stimolo lesivo molto
piu` sottile di una ferita. In tale situazione diventa rilevante la complessa interazione
tra infiammazione e trombosi.
2.1. Shock settico: un esempio estremo di attivazione dell’endotelio.
Lo shock settico e` un esempio drammatico di associazione tra infiammazione e
trombosi.
L’ endotossina dei batteri Gram-negativi, il lipopolisaccaride (LPS), ha una po-
tente azione sull’endotelio vasale, trasformandolo in una superficie procoagulante.
Il LPS, infatti, stimola l’espressione del gene codificante per il tissue factor (TF),
aumenta la produzione endoteliale dell’ inibitore dell’attivatore tissutale del plas-
minogeno (PAI-1), stabilendo, quindi le basi per lo sviluppo di una coagulazione
intravasale disseminata (CID).
Una attivazione endoteliale di minore entita` puo` contribuire alla trombosi in
zone di patologie croniche come l’aterosclerosi. Molti mediatori infiammatori trovati
nelle placche aterosclerotiche umane (ad es. IL-1 e TNFα) possono stimolare a
livello di espressione genica la produzione del TF e di PAI-1 da parte dell’endotelio.
In questo modo i mediatori dell’infiammazione, batterici o endogeni, possono
modulare in maniera critica le funzioni endoteliali, promuovendo la trombosi sis-
temica o localizzata.
2.2. Leucociti infiammatori come fonte di stimoli trombogenici. Nelle
placche aterosclerotiche spesso i macrofagi si localizzano sotto lo strato endoteliale.
Una sotto popolazione dei macrofagi detti “foam-cells” esprimono il TF, il quale,
venutoacontattoconilcircoloematicoinseguitoarotturadellaplacca,stimolala
trombosi. I monociti circolanti e i restanti macrofagi tissutali non esprimono il TF,
ma,sesottopostiastimolidinaturainfiammatoria, anch’essi, insieme alle cellule
endoteliali, trascriveranno il gene per il TF.
La proteina C-reattiva (CRP), uno dei principali indici di infiammazione in
atto,ad esempio, puo` essa stessa attivare la produzione monocitaria di TF e indurre
il rilascio di IL-1 e IL-6 da parte di monociti e cellule endoteliali. Recenti lavori
3. EVIDENZE DI INFIAMMAZIONE: BASI MOLECOLARI 15
hanno individuato un sistema di segnali inter-cellulari, il CD154, ligando del CD40
sulla superficie leucocitaria, capace di indurre l’espressione di TF.
2.3. Cellule muscolari lisce: una fonte di stimoli pro-coagulanti e am-
plificantilarispostainfiammatoria durante la trombosi. Anche le cellule
muscolari lisce, alla pari dei monociti e dei macrofagi, esprimono il TF, contribuendo
in questo modo alla trombosi. Esse, inoltre, possono andare incontro ad attivazione
infiammatoria se esposte alla trombina e ai prodotti della trombosi: iniziano, cioe`,
a rilasciare IL-6 in gran quantita` se stimolate dalla trombina e dal PDGF, rilasci-
ato dai granuli piastrinici α durante la trombosi. In questo modo la stimolazione
locale delle cellule muscolari lisce nella parete arteriosa puo`amplificare la risposta
infiammatoria e promuovere un effetto pro-coagulante sistemico.
2.4. Nuovo ruolo delle piastrine nell’infiammazione. Anchesespesso
il ruolo delle piastrine e` stato relegato a quello puramente responsivo agli stimoli
trombotici, tali cellule, seppur senza nucleo e prive di capacita` protido-sintetiche,
hanno una funzione importante come fonte di mediatori dell’infiammazione (PDGF,
Fattore Piastrinico 4, CD154, citochine RANTES, trombospondina, TGFβ,NO).
Le citochine RANTES, ad esempio, sembrano mediare l’adesione macrofagica alle
cellule endoteliali alla pari della MCP-1 e dell’IL-8. Nelle arterie lese tale recluta-
mento di leucociti infiammatori puo`essostessoesserecausaditrombosi.
Un ulteriore dato e` che nel sangue periferico di pazienti con cardiopatia is-
chemica circolano aggregati di piastrine/neutrofili e di piastrine/monociti, i quali
correlano con l’attivita` della patologia.
Gli esempi finora illustrati dimostrano la complessita` delle interazioni cellulari
e molecolari nella patologia ischemica, soprattutto nell’interazione infiammazione-
trombosi: l’infiammazione e` in grado di provocare una trombosi locale, la quale ha
come risultato una amplificazione della cascata infiammatoria.
3. Evidenze di infiammazione: basi molecolari
3.1. Dati istopatologici. In pazienti con AI le placche coronariche ateroscle-
rotiche sono caratterizzate dalla presenza di cellule schiumose, macrofagi, linfociti
e mastociti. Tutte queste cellule sono particolarmente abbondanti nella “spalla”
della placca, l’area d’elezione per la rottura, e sono caratterizzate dall’espressione
di antigeni di tipo HLA-DR, suggestivi di una reazione infiammatoria [14], [15],
[16], [17].
La presenza di queste cellule e` probabilmente di cruciale importanza nel pro-
cesso di attivazione di placca e della sua rottura, dal momento che i macrofagi sono
in grado di degradare la matrice extracellulare con i loro enzimi proteolitici, come
gli attivatori del plasminogeno e le metalloproteinasi.
Queste osservazioni sono compatibili con la teoria ampiamente accettata che
l’aterosclerosi ha alla base una forte componente infiammatoria, che pero`nonsem-
bra essere specifica, dal momento che la presenza di linfociti attivati e macrofagi
sono stati descritti in segmenti dell’aorta e in frammenti di coronarie ottenuti da
pazienti non selezionati, con lesioni di varia entita`, e anche in pazienti con angina
stabile.
Le placche instabili sembrano, comunque, essere caratterizzate da una maggiore
componente infiammatoria.
16 2. NUOVE EVIDENZE
3.2. Dati sistemici. “Fingerprints” sistemici del processo infiammatorio sono,
poi, gli elevati livelli di citochine IL-6 e IL-1Ra circolanti, dei markers infiammatori
CRP, SAA e fibrinogeno, uniti ad una complessa serie di modificazioni reologiche,
endoteliali e cellulari nei pazienti con AI.
Molti autori hanno dimostrato l’attivazione di neutrofili e monociti nelle sin-
dromi coronariche acute, confermando i precedenti dati epidemiologici che associa-
vano il numoro di leucociti al rischio futuro di IMA [18].
Tale attivazione dei neutrofili circolanti sembra, inoltre, essere primitiva e non
secondaria all’ischemia, dal momento che essi presentano una attivita` mieloperossi-
dasica inferiore ai controlli, ma non ridotta dopo episodi ischemici. Peraltro l’indice
di mieloperossidasi intracellulare e` molto maggiore dopo la remissione della sin-
tomatologia nei pazienti con AI [19].
Le cellule infiammatorie, tra cui i linfociti T , sono, inoltre, coinvolte nella
determinazione di uno stato pro-coagulante a sostegno dell’ipotesi che considera l’AI
associata ad una riattivazione acuta della cascata infiammatoria con i linfociti T
attivati da stimoli sconosciuti [22]: le citochine rilasciate dai macrofagi attivati e dai
linfociti T possono attivare le cellule endoteliali, causando l’espressione di molecole
di adesione (ICAM-1, VCAM-1, E-selectina, ELAM-1)e di sostanze procoagulanti
(Tissue Factor, PAI-1, TXA2, angiotensina II, endotelina), convertendo cos
`
ila
parete vasale da una superficie anticoagulante qual era ad una trombogenica.
Un marker importante di attivazione dei monociti e dei neutrofili e` il CD11b/CD18,
una molecola di adesione leucocitaria all’endotelio. Nei pazienti con AI tale recet-
tore e` espresso sui monociti e sui neutrofili in modo significativamente aumentato,
ad indicare uno stato di attivazione cronica di tali cellule. Tale attivazione e`ulte-
riormente aumentata dall’adesione dei neutrofili con le piastrine, la cui attivazione
gioca un ruolo centrale nella patogenesi dell’AI (come e` dimostrato dal riscontro di
aumentataescrezionedimetabolitidiprodottipiastrinicidopoepisodiischemici)
[20], [21].
Dal punto di vista sierologico, l’importanza del processo infiammatorio e` stata
dimostrata gia` da alcuni anni, osservando l’elevazione dei livelli di CRP, di SAA
e di IL-6 nella maggior parte dei pazienti con angina instabile che avevano un
decorso della patologia complicato durante il ricovero [10]. Grazie ai numerosi studi
compiuti negli ultimi 6 anni l’elevazione di un markers di fase acuta come la CRP nei
pazienti con AI e` stata ampiamente valutata e la sua importanza e` stata largamente
confermata. Infatti e` stata eliminata la possibilita` che la risposta di fase acuta sia
causata dalla necrosi del miocardio dimostrando l’assenza di un’associazione con il
rialzo dell’indice di necrosi miocardica piu`specifico come la troponina T.
In seguito e` stata esclusa anche la possibilita` che la causa dell’infiammazione
potesse essere l’attivazione della cascata coagulatoria o la situazione di ischemia.
Per smentire la prima ipotesi e` stata evidenziata l’assensa del rialzo di CRP nei pazi-
enti con angina stabile che presentavano chiare evidenze di episodiche attivazioni
del sistema coagulativo (elevazione dei markers di generazione della trombina). Per
smentire la seconda, poi, e` stata dimostrata l’assenza del rialzo dei valori di CRP
nei pazienti con angina vasospastica evidente angiograficamente [23], [24].
Dal momento che la CRP e la SAA sono prodotte dal fegato dopo stimolazione
da parte dell’IL-6 e dell’IL-1, e` stato studiato anche il loro comportamento ed
e` stato riscontrato che non solo i loro livelli sono elevati nei pazienti con SCA
(in correlazione con quelli di CRP), ma che esse sono associate con una peggiore
prognosi a breve e a lungo termine [25]. In particolare l’IL-1Ra, un marker dei livelli
3. EVIDENZE DI INFIAMMAZIONE: BASI MOLECOLARI 17
di IL-1 e di tumor necrosis factor-alfa, si e` dimostrata elevata solo nei pazienti con
successive complicazioni intraospedaliere e ulteriormente elevata in questo gruppo
dopo 48 ore dal ricovero, comportandosi in maniera del tutto similare all’IL-1Ra
nelle sepsi severe o nelle SIRS (Systemic Inflammatory Reaction Syndromes) [26].
Dati recenti hanno evidenziato che in pazienti con IMA la risposta di fase acuta
e` indipendente dall’area di necrosi, ma dipendente dai livelli basali di CRP. Nello
stesso studio livelli elevati di CRP sono stati trovati nell’85% degli IMA preceduti
da AI e nel 45% degli IMA non preceduti da AI [27].
Queste osservazioni suggeriscono che le citochine pro-infiammatorie potrebbero
essere prodotte da uno stato infiammatorio cronico di basso grado, sia che si tratti
diunostatoinfettivo,siadiunostatodiiperreattivit`a proprio di tali pazienti.
LA CRP ha, inoltre, un importante valore prognostico per quanto riguarda
successiviepisodidiAIeNSTEMI:infattiisuoilivellipossonorimanereelevati
anche dopo circa 3 mesi dalla scomparsa della sintomatologia nella meta` dei pazienti
con diagnosi di AI classe IIIB di BRAUNWALD e in questo caso tale elevazione
e` associata ad un’ incidenza significativamente piu` alta di instabilita` durante il
primo anno di follow-up, indipendentemente da procedure di rivascolarizzazione o
dai livelli di colesterolo [25], [28].
Nello studio CARE valori alti di CRP sono stati associati ad un rischio di
morteodinuovoIMAduevoltemaggioreede` stato dimostrato che la pravastatina
e`efficace nel ridurre il rischio solo nei pazienti con livelli di CRP aumentati (a
parita` di livelli di colesterolo) [29].
La predittivita`alungoterminee` maggiore per i livelli di CRP alla dimissione
rispetto a quelli misurati all’ingresso dal momento che questi ultimi possono essere
alterati dalla fase acuta della patologia, anche se sono migliori indici predittivi di
nuovi episodi ischemici a breve termine.
Questo dato conferma nuovamente l’importanza del proceso infiammatorio nell’AI
dal momento che i valori di CRP si mantengono elevati durante un periodo asin-
tomatico in cui trombosi coronariche, necrosi miocardica o ischemia sono improb-
abili.
3.2.1. CRP e individui sani. Sorprendentemente anche studi effettuati su in-
dividui sani, uomini e donne, alcuni dei quali con alti fattori di rischio, altri senza,
hanno confermato l’alto valore predittivo della CRP, depurato dell’influenza di al-
tri fattori di rischio, quali l’eta`, il fumo, l’indice di massa corporea, il diabete,
l’ipertensione, la familiarita` per cardiopatia ischemica, i livelli di colesterolo totale
e HDL, di trigliceridi, di lipoproteina(a), di D-dimeri, di omocisteina [30], [31],
[32], [33], [34].
Cio` ha rivoluzionato il tradizionale concetto di fattore di rischio, aprendo la
strada ad un nuovo approccio per il trattamento e la prevenzione degli eventi coro-
narici acuti.
Prendendo come esempio lo stato di fumatore, possiamo affermare che i valori di
CRP sono direttamente collegati al fumo di sigaretta, ma, a parita` di concentrazione
di CRP il rischio relativo di IMA e` praticamente equivalente tra i fumatori e i non-
fumatori e si mantiene stabile dopo piu` di 6 anni di follow-up [35].
Glistudisuipazientisanifornisconodatiinteressantipoich`e mostrano un au-
mentato rischio di IMA a 8 anni sia negli individui con valori di CRP superiori a
3mg/l(cut-off standard per definire valori superiori alla norma), sia in quelli con
valori di CRP inferiori al cut-off, ma nel quartile piu`alto(>2.11mg/l).