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1. INTRODUZIONE
Le interazioni reciproche intercorse durante la storia evolutiva tra insetti fitofagi e
piante attaccate, o tra insetti impollinatori e piante impollinate, sono state descritte
con il termine di “coevoluzione”. A questo termine, coniato nel 1964 da Ehrlich e
Raven, in seguito ad uno studio sulle interazioni tra alcune farfalle e le loro piante
ospiti, venne inizialmente data una definizione piuttosto ampia (Gullan e Cranston
2006). Molto importante nello studio della coevoluzione è l’analisi di modelli di
interazione tra gruppi di organismi con una stretta ed evidente interazione ecologica
(Eirlich e Raven 1964). Sono noti diversi tipi d’interazione coevolutiva, che
differiscono per l’enfasi posta sulla specificità e la reciprocità dei rapporti tra le
specie coinvolte. Si possono osservare due tipologie: coevoluzione reciproca (o
specifica) e coevoluzione diffusa (Gullan e Cranston 2006).
La coevoluzione reciproca si riferisce all’evoluzione di una caratteristica di una
determinata specie (ad esempio, la capacità di una specie di insetto di detossificare
una sostanza velenosa), in risposta alla caratteristica di un’altra determinata specie
(in questo caso, la produzione di veleno da parte della pianta ospite). Questo
costituisce un meccanismo coevolutivo molto specifico, che richiede l’esistenza
d’interazioni reciproche tra coppie di determinate specie (Gullan e Cranston 2006).
La coevoluzione diffusa descrive i cambiamenti evolutivi come effetto d’influenze
reciproche non più tra due determinate specie, ma tra due gruppi di specie. Qui viene
ad essere poco importante il criterio della specificità, in quanto una particolare
caratteristica di una o più specie (ad esempio, di angiosperme) può evolversi in
risposta ad una o più caratteristiche appartenenti a numerose specie diverse (ad
esempio, di insetti impollinatori) (Gullan e Cranston 2006).
1.1 Interazioni insetti fitofagi – piante ospiti
Quasi metà di tutti gli insetti esistenti si nutrono su piante viventi. Quindi, più di
400.000 specie d’insetti erbivori (sinonimo di fitofagi) vivono approssimativamente
su 300.000 specie di piante vascolari. I fitofagi non sono presenti in egual misura in
tutti i gruppi d’insetti. I membri di alcuni Ordini d’insetti sono quasi esclusivamente
erbivori, mentre in altri ordini gli erbivori sono meno frequenti o addirittura assenti.
Spiccano tra gli erbivori i Lepidotteri (farfalle e falene) e alcuni Ordini minori come
Tisanotteri e Fasmidi. Un gran numero d’insetti fitofagi appartengono agli Ordini di
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Coleotteri, Imenotteri e Ditteri, i quali includono anche numerose altre specie di
entomofagi (predatori e parassitoidi)(Schoonhoven et al. 2005).
La maggior parte delle specie vegetali fornisce nutrimento agli insetti fitofagi, che si
possono classificare in base alla diversità tassonomica dei vegetali utilizzati. A
seconda delle loro abitudini alimentari si parlerà dunque di specie di insetti
monofaghe, oligofaghe e polifaghe. I monofagi sono specialisti che si alimentano di
una sola specie vegetale, gli oligofagi si nutrono di un numero ristretto di specie
vegetali, mentre i polifagi sono generalisti che si nutrono di un gran numero di specie
vegetali (Gullan e Cranston 2006).
Molte specie vegetali mostrano di possedere difese, attive ad ampio spettro, verso
numerose specie di erbivori, tra cui insetti e vertebrati, nonché contro organismi
patogeni. Queste difese possono essere di tipo meccanico o fisico. Tra i mezzi
meccanici, che agiscono da deterrente nei confronti di alcuni erbivori, vi è la
presenza di spine o pubescenza su fusti e foglie, di silicio o di sclerenchima nei
tessuti. Inoltre, in aggiunta ai composti chimici che si ritengono essenziali per la
fisiologia dell’organismo, molte piante contengono composti che hanno un ruolo
difensivo. Sebbene, possono avere, o possono aver avuto in passato, varie funzioni
metaboliche. Inoltre questi composti, possono semplicemente costituire prodotti di
rifiuto derivanti dall’attività metabolica. Tali composti sono spesso chiamati
metaboliti secondari, fitochimici nocivi o allelochimici. Ne esiste una grande varietà,
tra cui fenoli (come i tannini), terpenoidi (oli essenziali), alcaloidi, glicosidi
cianogenetici, e glucosinolati contenenti zolfo (Gullan e Cranston 2006).
I composti vegetali secondari possono agire in vario modo: a livello
comportamentale queste sostanze possono avere effetto repellente sull’insetto, o
inibirne l’assunzione come alimento e/o la deposizione delle uova; a livello
fisiologico possono invece causare un avvelenamento o ridurre il contenuto nutritivo
delle parti che l’insetto ingerisce. D’altra parte, gli stessi composti che agiscono da
repellenti su alcuni insetti possono agire da attrattivi nei confronti di altri,
stimolandone la nutrizione o l’ovideposizione (agendo quindi da cairomoni). Gli
insetti che vengono attratti si considerano adattati ai composti chimici della pianta
ospite. Questo adattamento può essere dovuto a un elevato grado di tolleranza o alle
capacità detossificanti o di immagazzinamento di tali composti. I composti secondari
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delle piante sono classificati in due grandi gruppi, sulla base delle azioni biochimiche
prodotte: qualitativi, o tossici, e quantitativi. I primi sono veri e propri veleni che
agiscono in piccole quantità (ad esempio alcaloidi e glicosidi cianogenetici), mentre
si ritiene che i secondi agiscano in proporzione alla loro concentrazione, dimostrando
un’azione efficace solo se assunti in grande quantità (ad esempio tannini, resine e
silicio) (Gullan e Cranston 2006).
Esiste una correlazione tra l’entità dell’attacco del fitofago e le risorse disponibili per
le piante (luce, acqua e nutrienti). Una delle ipotesi in proposito sostiene che i
fitofagi attacchino preferenzialmente piante già sottoposte a stress (ad esempio
periodi di siccità e carenza di nutrienti), poiché i fattori di stress alterano la fisiologia
delle piante a favore degli insetti. In alternativa, gli insetti fitofagi potrebbero
alimentarsi più volentieri su piante rigogliose presenti in habitat ricchi di nutrienti. Vi
sono osservazioni che confermano la plausibilità di entrambi gli scenari. L’esame di
una vasta casistica porta alla seguente spiegazione parziale: gli insetti che minano,
scavano gallerie o si nutrono di linfa sembrano preferire le piante indebolite, mentre
le piante poco vigorose hanno un effetto repulsivo sugli insetti che producono galle e
su quelli che si nutrono di foglie (fillofagi) (Gullan e Cranston 2006).
Uno dei problemi principali, riguardante tutte le teorie sugli insetti fitofagi, è che
buona parte degli studi sono stati condotti su insetti fillofagi, in quanto il danno
causato da questi è più facilmente misurabile e che i fattori coinvolti nella
defoliazione si prestano meglio alle sperimentazioni di quanto accada con altri tipi di
fitofagia. Gli effetti prodotti dalla suzione della linfa, dalle gallerie fogliari e dalla
produzione di galle possono essere altrettanto importanti, sebbene siano
generalmente poco studiati, con l’eccezione di qualche specie dannosa alle colture
(ad esempio gli afidi) (Gullan e Cranston 2006).
1.2 Specializzazione nei confronti delle piante ospiti
Come già detto precedentemente, una delle caratteristiche più sorprendenti delle
interazioni insetto-pianta è l’elevato grado di specializzazione fra gli insetti erbivori
(fitofagi).
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Pertanto gli insetti che in natura si alimentano su una sola o su poche specie vegetali,
strettamente imparentate, sono chiamati monofagi. Alcune larve di Lepidotteri,
Emitteri e Coleotteri rientrano in questa categoria. Gli insetti oligofagi, come Pieris
brassicae Linneo (Lepidoptera, Pieridae) (cavolaia) e Leptinotarsa decemlineata Say
(Coleoptera, Crisomelidae) (dorifora della patata) si nutrono su un certo numero di
specie, tutte appartenenti alla stessa famiglia botanica, Brassicacee e Solanacee,
rispettivamente. Gli insetti polifagi sembrano effettuare una piccola scelta e
alimentarsi di piante appartenenti a diverse famiglie botaniche, come ad esempio
Myzus persicae Sulzer (Hemiptera, Aphididae) (afide verde del pesco) (Schoonhoven
et al. 2005).
Questa ripartizione nelle tre categorie, tuttavia, è abbastanza arbitraria, perché delle
precise definizioni di monofago ed oligofago sono difficili. Esiste una precisa
ripartizione tra specie d’insetti che si alimentano a spese di una sola specie vegetale e
quelle che si nutrono di molte specie vegetali. Comunque, può capitare che individui
appartenenti a una stessa specie d’insetto possano mostrare differenti preferenze nei
confronti delle piante ospiti in differenti areali della sua distribuzione (Riolo et al.
2012), e anche individui appartenenti alla stessa popolazione possono essere molto
più selettivi nelle loro scelte rispetto alla popolazione nel suo complesso.
Considerando queste osservazioni è spesso più conveniente distinguere solo gli
specialisti (specie d’insetti monofagi ed oligofagi insieme) dai generalisti (insetti
polifagi) (Schoonhoven et al. 2005).
La specializzazione nella scelta della pianta ospite è più una regola piuttosto che
un’eccezione: generalmente, i principali Ordini d’insetti erbivori sono dominati da
specialisti. L’ampiezza della gamma di piante ospiti mostrata da una determinata
specie d’insetto costituisce una delle sue maggiori caratteristiche biologiche, ed è
vincolata da fattori ecologici, fisiologici e morfologici. Il grado di specializzazione,
la tipologia di piante che costituisce la dieta e le caratteristiche biologiche degli
erbivori sono strettamente interdipendenti. È stato osservato, ad esempio, che le
specie d’insetti che vivono su piante erbacee spesso mostrano un maggior grado di
specializzazione per l’ospite rispetto a insetti che vivono su arbusti o alberi. Per
alcune specie di fitofagi è stata invece evidenziata una relazione tra la loro taglia
corporea e l’ampiezza della dieta: insetti di dimensioni più piccole mostrano