3
atto, giudicando ottima la mia edizione di riferimento, quella di Gow e Scholfield,
del 1953; non seguo invece sempre la traduzione inglese degli editori, dalla quale
mi distanzio ogniqualvolta mi pare vi siano ragioni valide.
Completa il lavoro un'appendice con i nomi scientifici moderni delle specie
animali e vegetali elencate nei Theriaca, in base all'identificazione del lessico
Liddel-Scott, dalla quale mi discosto solo in un numero esiguo di casi.
4
CAPITOLO 1
L'AUTORE E L'OPERA
L'autore ed il suo tempo
La più antica opera esistente sugli animali velenosi è quella dell' "omerico
Nicandro", come l'autore stesso si definisce nella sphragìs dei Theriaca; nativo di
Colofone, città del regno di Pergamo in Asia Minore, nell'antichità fu spesso
confuso con Nicandro figlio di Anassagora, anch'egli colofonio, poeta epico e
forse suo antenato, il cui floruit si colloca verso la metà del III sec. a.C.
A Claro, sede di un tempio con un oracolo di Apollo, Nicandro era, secondo una
notizia attendibile, sacerdote ereditario e quindi necessariamente poeta; come ha
ben messo in luce il Cazzaniga (1973), l'epiteto di "omerico" di cui il poeta si
fregia potrebbe essere riferito in primo luogo all'appartenenza del nostro poeta alla
confraternita di "omeridi " la cui sede era il tempio di Apollo a Claro, oltre che
allo stile arcaizzante delle sue opere.
Importante nella civilizzazione ellenistica insieme ad Alessandria, Atene,
Antiochia, la Macedonia ed Efeso, e luogo di nascita di molti poeti, Pergamo fu
governata dal 280 al 133 a.C. dalla dinastia degli Attalidi, l'ultimo dei quali,
Attalo III, fu forse un patrono di Nicandro, dal momento che coltivava piante
medicinali e le sperimentava sui condannati a morte.
Nicandro nacque probabilmente intorno al 180 a.C., quando ancora viva era la
memoria delle opere di poeti Arato, Euforione e Teocrito; gli elementi che lui ha
5
ripreso da costoro potrebbero essere considerati come un omaggi alla tradizione da
essi rappresentata.
Le fonti dell'opera
Nella sua edizione delle opere di Nicandro (Nicandrea 1856) O. Schneider
sostenne la tesi, che ottenne largo consenso, che lo iologus Apollodoro fosse la
fonte pincipale, se non l'unica, di Nicandro, nonché il comune predecessore di tutti
gli iologi più tardi. Nel 1928 il Morel, pubblicando il suo approfondito studio
filologico sugli antichi trattati sugli animali velenosi, iniziava dalla menzione dei
Theriaca di Nicandro, opera da lui considerata molto importante per la sua ricerca;
non parlò di Apollodoro quale fonte per Nicandro, non prestando molta attenzione
al lavoro dello Schneider; nonostante ciò, ancora nel 1953 Gow e Scholfield,
nell'introduzione alla loro edizione (p.18) affermano con O. Schneider che la fonte
primaria dei Theriaca è l'opera di un Apollodoro.
Come accennato, ad Apollodoro come fonte per Nicandro lo Schneider dedica
un intero capitolo diviso in 21 sezioni, nelle quali presenta passi dei Theriaca che
avrebbero Apollodoro come fonte. Il Knoefel e la Covi, nella loro ricca
monografia sui Theriaca (1991), esaminano in dettaglio tali sezioni. Alcune di
esse fanno riferimento agli scolii, per i quali la mia edizione di riferimento è
quella di A. Crugnola (1971). Ecco l'elenco delle sezioni e dei passi:
6
I) Una ricetta di Galeno
2
comprendente il sangue della tartaruga viene ripresa
quasi identica da Nicandro, ma il passo introduttivo, con menzione di Apollodoro,
viene dato dal Kühn tra parentesi, il che dimostra che l'editore lo considera non
autentico. Verrebbe così a cadere l'ipotesi di Apollodoro come fonte per questo
passo.
II,III) Nella Naturalis Historia di Plinio viene citato Apollodoro nel brano
contenente la descrizione degli scorpioni
3
. Nicandro concorda con Apollodoro
nell'elencare nove tipi di scorpioni e nel distinguerli, in parte, dal colore, più un
tipo per la presenza di ali. Differisce nel non includere nell'elenco un tipo che ha
due punglioni; un'altra differenza è la descrizione che entrambi gli autori fanno
della coda dello scorpione: Apollodoro, in Plinio, registra "septena caudae
internodia" negli scorpioni più feroci ("pluribus enim sena sunt"), mentre
Nicandro scrive: "sfovnduloi ejnneavdesmoi". In questi passi le differenze di
terminologia, di tradizione manoscritta, del modo di descrivere l'anatomia sono
fonte di confusione. La coda dello scorpione è composta da cinque segmenti, più il
2
Galen. De Antid. 2,13, XIV par.184: tw'n deV sunqevtwn hJ meVn par' *Apollodwvrou
teqeimevnh kaiV uJpoV Swstravtou ejpainoumevnh- hJ diaV tou' ai{mato" tou' celwvnh" ejstiVn
h{de: kumivnou ajgrivou spevrmato" ojxuvbafon, celwvnh" qalassiva" ai{mato" xhrou <d'.
stath'ra" b'. putiva" nebrou', eij deV mhV, lagwou' <g'. ejrifei'ou ai{mato" <d'. pavnta mivxa" kaiV
oi[nw/ beltivstw/ ajnalabwVn ajpovqou. ejn deV th/' crhvsei labwVn ejlaiva" toV mevgeqo",
trivya" met' oi[nou wJ" beltivstou kuavqou h{misu divdou pivnein.
3
Naturalis Historia 11, 87-88: "[…] venenum ab iis candidum fundi Apollodorus auctor est, in
novem genera discriptis per colores maxime supervacuos, quoniam non est scire quos minime
exitiales praedixerit. Geminos quibusdam aculeos esse, maresque saevissimos- nam coitum iis
tribuit- intellegi autem gracilitate et longitudine. Venenum omnibus medio die, cum incanduere
7
telson con il pungiglione e le ghiandole che producono il veleno. Tali segmenti
sono protetti da un esoscheletro ed uniti da una membrana; essi inoltre non
somigliano a vertebre. Aristotele usa il termine sfovnduloi per indicare le
vertebre, e il termine desmoiv per i legamenti che uniscono le ossa. Così, le
descrizioni della coda dello scorpione risultano corrette in alcuni punti, imprecise
in altri. Il resoconto di Nicandro e quello attribuito ad Apollodoro, benché molto
simili, non sono tuttavia identici.
IV,V) Lo scolio al v.715
4
menziona il re Jobas (Juba II re della Mauritania, un
grande compilatore) autore di un Qhriakovn, in cui si afferma esservi 10 tipi di
ragni; lo scolio cita inoltre Aristotele ed il Qhrivon di Apollodoro. Aristotele
(H.A. 555b e 622b) menziona tre tipi di ragni e ridimensiona notevolmente
l'effetto delle loro punture. Nicandro dedica 43 versi a 8 tipi di ragni e dà molti
dettagli sugli effetti del loro veleno sull'uomo. Per quanto fantasiose possano
essere tali descrizioni di ragni, esse sono molto di più di una mera versificazione
dei dati di Apollodoro, che non dovevano essere molto di più di quelli presenti in
solis ardoribus, itemque, cum sitiunt, inexplebiles potus. Constat et septena caudae internodia
saevuora esse; pluribus enim sena sunt […]".
4
Sch. 715a: e[rga dev toi sivntao: <*Iovba"> oJ basileuv" fhsin ejn tw'/ qhriakw/' i j gevnh
ei|nai tw'n falaggivwn, *Apollovdwro" deV ejn tw'/ periV qhrivwn kaiV *Aristotevlh" fhsivn o{ti
ejn gurgavqoi" gennw'si taV falavggia, tivktei deV uJpeVr taV triavkonta, gennhqevnta deV taV
falavggia ajnairei' thVn ijdivan mhtevra, ejnivote deV kaiV toVn a[rrena <h[goun toVn aujtw'n
i[dion patevra K>. mevmnhtai deV tou' prw'tou falaggivou, o} kalei'tai rJwVx diaV toV rJagiV
stafulh'" ejoikevnai. rJwVx dev ejsti falaggivou ei\do", o{per kataV mevshn thVn gastevra e[cei
toV stovma. kaiV mevlan deV falavggion kalei'tai. e[sti deV kaiV ajstevrion kaiV kuavneon kaiV
e{tera pleivona.
8
Aristotele. E' addirittura presumibile che il contributo di Apollodoro si limitasse
alla denominazione di questi ragni.
VI) O. Schneider (p.195), apparentemente nella convinzione che questo passaggio
da Apollodoro tramite Eliano
5
sia stato scritto sul cevrsudro" e non sul cevludro",
censurava Eliano per l'errore. Nicandro, scrivendo sul morso (tuvyh) del chelidro,
non ha seguito Apollodoro limitandosi a descrivere solo l'avvelenamento per
contatto, ma ha dato molte informazioni, tralasciando il mito delle pustole che
vengono a chi tocca la persona colpita dal chelidro.
VII) Avendo Eliano
6
scritto che il morso del paruas è innocuo, O. Schneider
suppose che Nicandro avesse considerato l'animale così poco degno di nota da non
includerlo neppure nella lista dei serpenti non velenosi (vv.448ss.). Pare che sia
Apollodoro sia Nicandro abbiano menzionato l'esistenza di serpenti innocui, ma ciò
è troppo poco per stabilire una connessione. Sempre in riferimento ai "rettili
innocui", c'è il problema dell'uso nicandreo della parola kinwvpeta. Al v.27, Gow-
Scholfield traducono "poisonous creatures", benché il contesto non lo richieda; al
5
Eliano, De nat. anim. VIII,7: […] toVn deV cevludron pathvsa" ti" kaiV eij mhV dhcqeivh,
wJ" *Apollovdorwv" fhsin ejn tw'/ Qhriakw/' lovgw/, ajpoqnhvskei pavntw": e[cein gavr ti
shptikoVn kaiV thVn movnhn tou' zw/vou ejpivyausin levgei. kaiV mevntoi kaiV toVn
peirwvmenon qerapeuvein kaiV ejpikourei'n aJmwsgevpw" tw/' ajpoqnhvskonti, fluktaivna" i[scein
ejn tai'" cersivn, ejpeiV movnon tou' pathvsanto" prosevyausen […].
6
Eliano, De nat. anim. VIII,12: oJ pareiva" h] parouva" (ou{tw gaVr *Apollovdwro" ejqevlei)
purroV" thVn crovan, eujwpoV" toV o[mma, platuV" toV stovma, dakei'n ouj sfalerov", ajllaV
pra'o".
9
v.141 rendono dolicoi'si kinwphstai'" con "long reptiles". Al v.488 la parola
ricorre nel nesso a[blasta kinwvpeta, reso da Gow-Scholfield con "harmless
reptiles". LSJ s.v. dà "venomous beast, esp. serpent", citando Callimaco Inno a
Zeus, mentre A.W. Mair (1921) traduce semlicemente "serpenti". Il LSJ cita anche
Nicandro per quest'uso. Secondo Pokorny (1954), la radice indoeuropea *keno:p-
significa "animale, partic. serpenti ed altri rettili velenosi". Nicandro sembra aver
usato costantemente la parola col significato di "serpente".
VIII) Lo scolio al v.491
7
menziona gli ajkontivai e i tuflw'pe" e dà l'identificazione
di questi ultimi come serpenti da parte di Apollofane. Essi "non si muovono se
calpestati", ovvero sono innocui, e Nicandro li include nella lista dei serpenti
innocui. Eliano li menziona senza citare un'autorità, ma poiché nel paragrafo
precedente scrive di Apollodoro, O. Schneider preferì attribuire queste
identificazioni ad Apollodoro piuttosto che ad Apollofane, d'accordo con la lettura
di J.S. Schneider di queste righe, di Apollodoro come fonte; ignora Apollofane. Il
Wellman respinge l'interpretazione dello Schneider.
IX) Lo scolio al v.858
8
fa riferimento all'opera di Apollodoro che avrebbe
raccomandato il daukeivon e la bruwniv" come rimedi per numerosi disturbi della
7
Sch.491b: ajkontivai: ou{tw" diatrevconte" kataV taV ajkovntia. a[lla deV zw'/av eijsin oiJ
ajkontivai w{sper taV ajkovntia oJrmw'nte". ejpiV touvtoi" deV oiJ tuflw'pe", toutevstin oiJ
kaluovmenoi tufli'noi h[, <…> wJ" *Apollwfavnh", o[fei" eijsin. ou|toi deV kaiV patouvmenoi
hjremou'si.
8
Sch. 858-59 : dauvkeion: o{per *Apollovdwrov" fhsin ejn tw/' periV qhrivwn bohqei'n proV"
taV eijrhmevna. toV deV rJivzan te bruwnivdo", thVn bruwnivda uJpokoristikw'" ei\pen […].
10
pelle. I versi di Nicandro in cui vengono raccomandate le due piante, la bruwniv"
per togliere lentiggini ed esantemi dalla pelle delle donne, ed entrambe come una
generale panacea, riecheggiano quelli di Apollodoro, ma non si riferiscono a misure
contro i serpenti.
X) Ateneo (15,681d)
9
cita l'opera di Apollodoro "sulle bestie selvatiche", ma non
dice cosa Apollodoro abbia scritto sulle seguenti piante: chamaipitis, holokyron,
sideritis, e ionia. Nicandro menziona il camaepizio ( Ajuga chamaipitis) in perifrasi
ai vv.841-842 ( camhlhvn rJei'a pivtun) come rimedio ai numerosi veleni che
elenca. Nicandro non menziona lo holokyron o la sideritis; la ionia è la
violacciocca, rimedio contro tutti gli animali velenosi da lui prima menzionati.
XI, XIX, XX) Nicandro in qualche modo amplia rispetto alla citazione di
Apollodoro sull'ortica.
XII) Plinio
10
scrive diffusamente sull'eliotropio, le sue numerose proprietà per
applicazione locale, contro il veleno di tuti gli animali velenosi e per prevenire la
puntura di scorpione. Preso nel vino, combatte il veleno di serpente e scorpione,
secondo Apollodoro e Apollofane, dice Plinio. Per la stessa ragione, Nicandro
favoriva "la pianta il cui nome è quello dei giri del sole"(v.677); non è possibile
risalire alla fonte.
9
Athen. XV 681d.: […] *Apollovdwro" deV ejn tw'/ periV Qhrivwn fhsiv: camaivpitun, oiJ
deV oJlovkuron, oiJ deV *Aqhvnhsin ijwniavn oiJ deV kat' Eu[boian sidhri'tin […].
10
Plinio, Nat. Hist. XXII, 59: (heliotropium) et serpentibus et scorpionibus resistit ex vino aut
aqua mulsa, ut Apollophanes et Apollodorus tradunt.
11
XIV) Lo scolio al v.303
11
descrive gli effetti del morso della hJmorroiv"
secondoApollonio; O. Schneider preferì attribuire la citazione ad Apollodoro per la
semplice ragione che i nomi sarebbero stati confusi. In Apollonio Rodio c'è il passo
della morte di Mopso (1502 ss.)
12
che calpesta un serpente che lo morde e gli
strappa la carne, ma la scena non è descritta dettagliatamente.
XVIII) Nicandro raccomanda un impasto delle radici della h{rruggo" (Eryngium
creticum) contro i serpenti (v.645); Plinio
13
scrive che Apollodoro la consiglia
contro l'avvelenamento, bollita con una rana.
XIX-XX) L'ortica (Urtica piliufera) secondo Plinio
14
era raccomandata da
Apollodoro con brodo di tartaruga come buona contro i morsi di salamandra e
11
Schol. 303-304: aiJ d'' uJpoV guivoi": aiJ deV uJpoV toi'" mevlesin wjteilaiV
rJhvgnuntai. ei\pe gaVr o{ti o{lon toV sw'ma pelidnou'tai, kaiV wjteilw'n plhrou'tai. w'teilaiV gaVr
aiJ plhgaiv eijsin, kaiV *Apollwvnio" dev fhsi tw'n plhgevntwn uJpoV aijmorroi?do" rJhvgnusqai
kaiV taV" oujlav".
12
Ap. Rh., Arg. IV, 1502ss.
!Enqa kaiV *Ampukivdhn aujtw/' ejniV h[mati Movyon
nhleihV" e{le povtmo": ajdeukeva d' ouj fuvgenai\san
mantosuvnai": ouj gavr ti" ajpotropivh qanavtoio.
Kei'to gaVr ejn yamavtoisi meshmbrinoVn h\mar ajluvskwn
deinoV" o[fi", nwqhV" meVn ejkwVn ajevkonta calevyai,
oujd' a]n' uJpotrevssanto" ejvnwpadiV" ajivxeien:
a[ll' w|/ ken taV prw'ta melavgcimon ijoVn ejneivh
zwovntwn, o{sa gai'a ferevsbio" e[mpnoa bovskei
oujd' oJpovson phvcuion ej" !Aida gigvnetai oi|mo"
oujd' eij Paihvwn (ei[ moi qevmi" ajmfadoVn eijpei'n)
farmavssoi, o{te mou'non ejnicrivmyh/sin ojdou'sin.
13
Plin. Nat. Hist. XXII, 19: (eryngen) Apollodorus adversus toxica cm rana decoquit, ceteri in
aqua.
12
serpente, punture di scorpione, e come antidoto contro il giusquiamo (Hyosciamus
niger). Nicandro, ai vv.880 ss., indica l'ortica come rimedio per molti animali
nocivi.
Quindi, lungi dal ritenere che i Theriaca ricalchino l'opera del solo Apollodoro, è
opportuno operare un riesame dell'intera questione per cercare ove possibile di
individuare altre fonti.
Forse l'esempio più chiaro di notizie prese in prestito dall'autore sui serpenti è il
passo sulla seps (vv.145-156). In questo caso la fonte più probabile è Aristotele
(Mirabilia 164, 846b)
15
.
Altro precedente importante per il nostro autore deve essere stato Numenio, autore
di un Theriaca e di altre opere didascaliche. Nato ad Eraclea circa il 250 a.C., era
figlio di un certo Dieuches, medico, che gli diede un'istruzione medica secondo il
costume del tempo. Dieuches era famoso per i suoi scritti di dietetica, rimedi per il
mal di mare e molte altre medicine. Numenio scrisse inoltre un libro di ricette per
banchetti e uno sull'arte di cucinare, e pare che fosse tra i primi ad intitolare un
suo lavoro Halieutica. Non sopravvivono né queste opere né la sua opera più
14
Plin., Nat. Hist. XXII, 31: (urticae) semen […] cicutae contrarium esse Nicander adfirmat,
item fungis vel argento uiuo, Apollodoros et salamandris cum iure coctae testudinis, item adversari
hyosciamo et serpentibus et scorpionibus.
15
Aristotele, Mirabilia 164, 846b: !Oqru" o[ro" ejstiV Qettaliva", o} fevrei o[fei" touV"
legomevnou" sh'pa", oi} oujk e[cousi mivan croiavn, ajll' ajeiV ojmoiou'ntai tw'/ cwrw'/ evn w'/
oijkou'si. tineV" deV aujtw'n o{moion e[cousi toV crw'ma toi'" kovcloi" th'" gh'". a[lloi" deV
cloavzousav ejstin hJ foliv". o{soi deV aujtw'n ejn yamavqoi" diatrivbousi, tauvtai" ejxomoiou'ntai
katav toV crw'ma. davknonte" deV ejmpoiou'si divyo". e[sti deV aujtw'n toV dh'gma ouj tracuV
kaiV e[mpuron, a[lla kakovhqe".
13
famosa L'arte di pescare; quest'ultima è citata da Ateneo nei Dipnosophistai.
Numenio è citato da Celso, Ateneo, Ezio.
Lo scolio al v.519
16
presenta l'affermazione di Numenio che l'aristolochia è
efficace contro i morsi delle vipere; lo scolio al v.637a
17
attribuisce a Numenio
l'affermazione che la buglossa (Anchusa officinalis) è efficace contro i serpenti.
Il Knoefel e la Covi sono dell'avviso che anche gli scolii ai vv.237
18
e 257
19
meritino attenzione poiché presentano alcune patologie specifiche
dell'avvelenamento causato dalla vipera, un tema mancante nelle citazioni di
Apollodoro.
I versi di Nicandro indicano l'ampio raggio della cultura dell'autore e la sua abilità
poetica nel presentare l'informazione in modo succinto anche se non senza una
certa dose di ambiguità, come risultato dell'abbondanza di citazioni incrociate. Per
esempio, con la menzione dei colori ai vv.256-257, egli rivela la sua conoscenza
16
Schol. 519: kirravdo" oi[nh": ajntiV tou' metaV kirraivou oi[nou miasgomevnh
ajristolovceia wjfelei. marturei' Noumhvnio" […].
17
Schol. 637a : e[nqa duvo ejciveia: h[goun duvo ei[dh ejcivou. ou{tw deV wjnovmastai diaV
thVn ejx aujtw'n wjfevleian, touV" gaVr uJpoV e[cew" dhcqevnta" qerapeuvei. o{ti deV duvo
ei[dh, maturei' kaiV Noumhvnio" ejn tw'/ qhriakw'/ kaiv fhsi toV e{teron wjfelei'n […].
18
Schol. 237a : pollavki meVn klwvqousa: <gravfetai kaiV cloavousa:> ajntiV tou' clwrav.
metapepoihvke deV ejk tou' Noumhnivou ou{to": " uJpovclwrovn <ge> meVn e{lko" kuklaivnei:
toV deV polloVn ajnevdramen aujtovqen oi\do"" […].
19
Schol. 257b : a[nqesi deV calkou' ajntiV tou' calkavnqw/, h]n nu'n fasi kalkavnqhn. a[nqeo"
dev ejstin calkou' ti gevno" ginovmenon ejn oi|" oJ calkoV" cwneuvetai kaiV kaqivetai, pelidnovn
te kaiV ma'llon e[con e[gkirron thVn pelidnovthta: mikroVn deV kaiV strogguvlon kaiV
paraplhvsion tw'/ spevrmati tou' navpuo": kaiv i[sw" touvtou mevmnhtai oJ Nivkandro". gravfetai
deV kaiV a[nqesi cavlkh": ou{tw" kaiV paraV Noumhnivw/: " rJevqesivn ge meVn ei[det' ejp'
ijcwVr hjerovsei": toteV d' au\ molivbw/ ejnalivgkion ei\do" ajmfiv eJ kumaivnei cavlkh/ i[son"
[…].
14
dei sali di rame dalle molteplici sfumature, e dei composti di ferro derivati
dall'emoglobina rilasciati nella pelle quali risultato policromo del travaso di
sangue. Il colore giallino-verdino-bluastro del morso della vipera è associato alla
pigmentazione di una pianta la cui crescita ricorda la precoce comparsa del
gonfiore nella parte morsa. Il "diventar verde" della forma participiale cloavousa
enfatizza il concetto di crecita o sviluppo. Inoltre questi passi mostrano un
apprezzamento del processo patologico che segue un morso velenoso. E' chiaro
che Nicandro comprendeva i fenomeni da lui descritti e sembra probabile sia stato
aiutato da una fonte come Numenio.
Nel 1823 il Meinecke richiamò l'attenzione sui Theriaca citando i quattro scolii
sopra menzionati, e scrisse che sospettava Numenio quale fonte per i passi cui gli
scolii si riferiscono. O. Schneider in seguito si dichiarò d'accordo, pur se con
alcuni dissensi di carattere filologico. Il Morel ampliò la discussione col parere
che Nicandro quanto meno potesse aver tratto ispirazione da Numenio. Entrambi i
passi potrebbero esser venuti da un autore più antico, ma non vi sono prove;
benché siano contributi minimi alla patologia dei morsi di serpente, essi sono di
gran lunga superiori a qualsiasi cosa noi abbiamo di Apollodoro. O. Schneider cita
questi scolii e ammette che le fonti di Nicandro debbano essere state molteplici;
tuttavia argomenta che Apollodoro gli abbia fornito materiale "più che
sufficiente", ma in effetti c'è ben poco sui serpenti velenosi che sia stato ripreso da
lui.
15
Altre possibili fonti sono state ricercate negli scolii. E' probabile che Nicandro
conoscesse Arato, che viene menzionato 4 volte dagli scoliasti. Nicandro adoperò
parole e nessi di parole usati da Arato e può essere stato influenzato da lui per il
mito di Orione e lo scorpione. Inoltre negli scolii vi sono 6 menzioni di
Callimaco, di frasi da una a quattro parole usate da entrambi. Gli scolii citano 4
parole usate da Euforione e da Nicandro, alcune delle quali, secondo il LSJ, non
usate da nessun altro. Inoltre si possono trovare strette imitazioni di Teocrito nei
Theriaca, negli Alexipharmaca e nei frammenti di Nicandro che ci sono pervenuti.
Nicandro scienziato e medico
I giudizi sulla validità delle opere di Nicandro sono molti e vari. Scrive Cicerone
nel De oratore (1,36,69)
20
:"Nicandro di Colofone ha scritto con distinzione di
faccende di campagna, con un po' di arte poetica". Luciano stimava molto
Nicandro. Plinio, Eliano e Ateneo, di solito senza citarlo, si servirono dei suoi
lavori massicciamente ma non in modo critico. Galeno lo nomina brevemente ma
familiarmente.
Tra gli storici della medicina moderni, Nicandro è stato tenuto in una certa
considerazione. Lo Haser definì Nicandro l'unico scrittore di farmaci e veleni del
periodo alessandrino "del quale abbiamo due poemi non privi di pregio e che
contengono affermazioni sull'avvelenamento rispondenti ai dati naturali", e
20
De oratore, I,36,69:Etenim si constat inter doctos hominem ignarum astrologiae ornatissimis
atque optimis versibus Aratum de caelo stellisque dixisse; si de rebus rusticis hominem ab agro
remotissimus Nicandrum Colophonium poeticam quadam facultate, non rustica scripsisse
praeclare; quid est cur non orator de rebus eis eloquentissime dicat quas ad certam causam
tempusque cognorit?
16
aggiunge: "Molti preparati sono stati raccomandati contro i veleni dei serpenti; in
ogni discussione intorno al loro valore come rimedi, va riconosciuto che fino allo
sviluppo dell'antiveleno non vi era alcun rimedio. Credenze erronee sono sorte
dalla natura delle risposte del corpo umano ai morsi dei serpenti velenosi; gli
effetti immediati potevano essere profondi o trascurabili, di durata relativamente
breve o permanente o, raramente, portare alla morte, indipendentemente
dall'applicazione o meno di un rimedio". La 'scienza' del tempo non offriva di più:
le conclusioni sulla mancanza di validità curativa dei rimedi sono state rese
possibili dai lavori di Francesco Redi (sec.XVII) e di Felice Fontana (sec.XVIII)
soltanto molti secoli più tardi.
Nicandro deve aver imparato qualcosa del suo metodo di osservazione scientifica
da Aristotele, con le cui opere egli aveva dimestichezza; Aristotele conosceva la
differenza tra le vipere ed il resto dei serpenti, tra gli ovipari ( wj/otovkoi) e i
vivipari ( zw/otovkoi). Nicandro la rese poeticamente ai vv.135-136.
Il nostro poeta deve aver acquisito delle nozioni dalla medicina del suo tempo. La
libreria di Pergamo, abbastanza ampia da fornire materiale a Galeno, conteneva
pinakes, liste di opere, titoli e incipit costituenti un index, come quelli composti da
Callimaco in Alessandria, e si riteneva che includessero opere di medicina. Ma
Nicandro era lui stesso un medico? La Suda lo chiama ijatrov", e così anche altri
autori, presumibilmente perché aveva scritto una parafrasi dei Prognostica di
Ippocrate.