2dinamico per effetto di alcune forzanti sismiche varie nel loro contenuto di
potenza e di frequenze.
1.2. ORGANIZZAZIONE DEL TESTO
Nel capitolo II verrà fatto un breve cenno sull’uso dei sistemi di isolamento
viscoelastici e una descrizione teorica del comportamento dei materiali dal
punto di vista della modellazione. Si parlerà di un esempio storico
rimarcabile, come quella delle Pagode giapponesi, sull’uso dei giunti quale
tecnica costruttiva per elementi verticali di sostegno.
Nel III capitolo si farà una breve descrizione degli elementi “finiti” con cui
è stata modellata la struttura con riferimento sia a quelli che manifesteranno
un comportamento lineare sia quelli in cui è annidato quello non lineare (gap
e smorzatori). In esso si ipotizza un vincolamento di giunto, come vedremo,
privo di vincoli per le rotazioni relative delle sezioni interposte.
Nel capitolo IV si opereranno le scelte per le forzanti dinamiche con
particolare riferimento a sismi reali storici vagliati secondo il loro contenuto
di potenza in relazione alla frequenza del segnale. Verranno inoltre introdotti
alcune forzanti inerziali armoniche per lo studio del comportamento della
struttura al limite di risonanza.
Nel capitolo V verranno illustratati i risultati ottenuti dalle analisi condotte
con le forzanti sopraindicate attraverso lo sviluppo delle cosiddette time
history in regime non lineare. Tali analisi sono state condotte attraverso l’uso
di un programma di calcolo agli elementi finiti chiamato Sap2000.
Nel capitolo VI saranno presi in considerazione gli aspetti energetici
riguardanti la dissipazione della energia sia ai giunti che in alcuni dissipatori
di parete presenti in entrambi i modelli esaminati.
Nel capitolo VII, infine, si esamineranno alcuni risultati relativi alle
forzanti inerziali armoniche e le implicazioni sugli aspetti di risonanza delle
struttura.
In conclusione si riportano alcune appendici che sviluppano alcuni
approfondimenti teorici presenti nella trattazione, con particolare riguardo al
metodo di integrazione Fast Nonlinear Analysis, al comportamento non
lineare degli elementi gap e damper nonché ad un codice di calcolo compilato
3in Visual Basic dallo scrivente all’occasione per cercare le trasformate di
Fourier dei segnali di ingresso.
4CAPITOLO II
EDIFICIO CON GIUNTI VISCOELASTICI VERTICALI
2.1. INTRODUZIONE
Un sistema di isolamento sismico consiste essenzialmente di un complesso
di meccanismi installati in una struttura allo scopo di ridurre alla struttura
stessa, e/o al suo contenuto, i danni provocati dal movimento del suolo in
occasione di eventi sismogenetici. Tali dispositivi producono, nel caso più
generale, un incremento della flessibilità del sistema unitamente, però,
all’accoppiamento di opportuni dissipatori di energia.
I sistemi di isolamento possono essere usati per risolvere problemi pratici
per una vasta gamma di problemi di progettazione. Per esempio il loro uso
risulta indispensabile per quelle strutture multipiano che sono dichiarate
critiche in quasi tutte le moderne normative, ovvero che nell’ambito di una
società organizzata svolgono attività di pubblica utilità come quelle di
soccorso (Ospedali, Caserme, Protezione Civile,..), di trasporto (Ponti) o
legate a cicli produttivi di particolare pericolosità (es. Centrali termiche). Ciò
non di meno può risultare utile anche nei casi di più comune applicazione
nella ingegneria civile come per esempio nel caso di strutture poco
deformabili e con ridotta capacità duttile e per le quali è richiesta la verifica
alla risposta sismica.
I fattori che influenzano la opportunità e la scelta del dispositivo oltre ad
essere legati alla più o meno criticità dichiarata dell’edificio, sono legati
soprattutto al cosiddetto rischio sismico della zona ossia alle caratteristiche
geotettoniche del sottosuolo, alla storia sismica della regione e alle più
probabili caratteristiche con cui un evento può manifestarsi (intensità,
durata,..). Ricorrendo ad una valutazione qualitativa dei danni prevedibili
sulla struttura priva di isolatori in termini di:
1) basso
2) riparabile ( al di sotto del 30 % del costo di costruzione)
53) irreparabile, risultando definitivamente compromessa la funzionalità
della struttura,
l’obiettivo degli isolatori è quello di spostare il danno probabile dal livello 3)
a 2) o il 2) al livello 1) e, ove possibile ridurre al minimo il costo del danno
indotto.
A titolo indicativo si ritiene che l’incremento di costo conseguente
all’inserimento di dispositivi isolanti varia dal 5-10 % rispetto al costo di
costruzione della struttura non isolata.
2.2. GLI SMORZATORI VISCOELASTICI
Gli smorzatori viscoelastici VED sono stati installati con successo fin dai
primi anni ‘70 come dispositivi di dissipazione di energia in edifici ed altre
strutture, principalmente con lo scopo di ridurre l’ampiezza di spostamento e
l’accelerazione causati da venti estremamente violenti. Recentemente sono
stati analizzati ai fini della progettazione antisismica e candidati ad essere
impiegati sia in nuove costruzioni sia in edifici già esistenti come retrofit
per mitigare il rischio derivante da sismi. I risultati di studi analitici ed
esperimenti condotti negli scorsi anni mostrano l’efficacia dei VED nel
ridurre la reazione globale e la mancanza di duttilità anelastica sulle strutture
sottoposte a grandi spostamenti del terreno in caso di sisma. Inoltre, le
installazioni preesistenti hanno mostrato buone performances nel tempo per
quanto concerne le proprietà di invecchiamento e la manutenzione1.
Questa tecnologia fornisce potenzialmente una vera alternativa ai sistemi
progettuali antisismici e retrofit convenzionali. Migliorando sia la stabilità
sia la capacità di dissipazione di energia della struttura, il rischio sismico può
essere significativamente ridotto senza compromettere sicurezza, affidabilità
ed economia delle costruzioni.
Ciò nonostante, sebbene negli scorsi anni siano stati fatti considerevoli
progressi, codificazioni sperimentali e linee guida sulla strumentazione sono
state costituite solo recentemente e sono ancora aperte a miglioramenti ed
aggiornamenti. Inoltre, una realizzabile procedura di progettazione assieme a
strumenti di analisi precisi, che possano combinare accuratezza e semplicità,
1
Per una letteratura dettagliata vedi Samali e Kwork (1995).
6devono ancora essere messi a punto ( Wu e Hanson, 1989; Zhang e Soong,
1992; Abbas e Kelly, 1993; Tsai, 1993; Tsai e Lee, 1993; Munshi e Kasai,
1995; Shen e Soong, 1995,1996) Perciò deve essere fatto ancora molto lavoro
prima che questa tecnologia sia accettata come una valida alternativa ai
sistemi antisismici convenzionali.
I VED sono costituiti generalmente da strati di materiale viscoelastico
delimitato da piastre d’acciaio, connessi tramite staffe ai giunti strutturali in
relativo spostamento durante il movimento. Un modello appropriato di VED
deve tenere in considerazione l’ampiezza di deformazione, la frequenza di
sollecitazione e la temperatura di servizio dei VED.
Il comportamento di tali materiali si manifesta tipicamente attraverso i
fenomeni di creep, o deformazione ritardata, in presenza di carichi costanti,
di rilassamento della tensione in presenza di una deformazione imposta di
ampiezza costante, di smorzamento in presenza di carico dinamico ed infine
di dipendenza della tensione dalla velocità di deformazione. La definizione di
un legame costitutivo che descriva il comportamento viscoelastico in modo
esaustivo risulta assai difficile proprio per la complessità dei fenomeni in
gioco. Il modello di viscoelasticità lineare costituisce spesso un ottimo punto
di incontro tra modellazione e requisiti progettuali attuativi.
2.2.1. SMORZAMENTO
Lo smorzamento può essere classificato in molti tipi differenti. Per esempio,
confrontando due materiali diversi con medesimi aspetti geometrici e di
condizioni al contorno, sotto la stessa intensità della forzante periodica e con
la stessa frequenza, il primo può oscillare più a lungo (o meno a lungo) con
ampiezze maggiori (o minori) del secondo materiale. Questo è dovuto
principalmente alle diverse forze di attrito molecolare interno dei due
materiali e pertanto tale tipo di smorzamento è detto “smorzamento
materiale”.
Un altro tipo di smorzamento che si può manifestare durante la vibrazione di
un sistema è quello introdotto dal mezzo che lo circonda. Per esempio, un
sistema strutturale oscillerà più a lungo nell’aria di quanto possa fare in
presenza di acqua. Questo tipo di smorzamento è detto “smorzamento
viscoso” e le forze resistenti indotte dipenderanno dalle proprietà del mezzo e
7dalla velocità del movimento ondulatorio. Tale ultimo aspetto rientra nel
cosiddetto “smorzamento non materiale” nel quale si inserisce anche lo
“smorzamento di Coulomb”2.
E’ noto che tutti i materiali di uso dell’ingegneria dissipano energia durante
un ciclo deformativo. Alcuni materiali, come gomme, plastiche ed elastomeri,
dissipano molta più energia per ciclo di deformazione rispetto all’acciaio e
alluminio. Per i materiali strutturali di uso convenzionale, dunque, l’energia
dissipata per unità di volume è molto piccola se comparata a certe leghe ad
elevato smorzamento, matrici composte polimeriche e materiali gommosi. La
differenza è insita principalmente nel ciclo di isteresi molto più accentuato
per questi ultimi meno per i primi (a meno che non si sfoci nel
comportamento plastico del materiale).
2.2.2. MATERIALI VISCOELASTICI
Un materiale viscoelastico è spesso detto materiale dotato di “memoria”.
Questo è dovuto al fatto che il comportamento di tali materiali dipende non
soltanto dalle condizioni correnti di carico ma dall’intera storia di carico
manifestatasi fino a quell’istante. Esistono diversi metodi di caratterizzazione
delle relazioni costitutive di questi materiali; quella che segue è relativa al
comportamento lineare.
2.2.2.1. L’Integrale di Convoluzione
Se il moto inizia all’istante t = 0, e sij = eij = 0 per t < 0, allora le
relazioni generali tra tensione e deformazione sono date da:
sij(x,t) = ºkl(x,0+ )Cijkl(x,t) + ⌡
⌠
0
t
Cijkl(x,t -t')
�ºkl
�t'
(x,t')dt' (1)
2
Lo smorzamento viscoso è modellato secondo la relazione:
Fd = c
dx
dt
(a)
dove c è lo coefficiente di smorzamento e dx/dt è la velocità di un corpo relativa al mezzo di contenimento
(fluido).
Lo smorzamento di Coulomb è modellato seconda la relazione:
Fc = mN (b)
dove m è il coefficiente di attrito e N è la forza normale tra le due superfici di scorrimento.
8dove ekl(x,0
+
) è la valore limite di ekl(x,t) quando t � 0 dalla parte positiva
dell’asse temporale. Il primo termine della equazione (1) descrive l’effetto
delle condizioni iniziali all’istante t = 0. Inoltre la riportata equazione è
valida sia per i materiali anisotropi che isotropi. In particolare, se il materiale
è isotropo C ijkl3 (modulo di rilassamento) diviene un tensore del quarto ordine
e può essere riscritto nella forma:
Cijkl = adijdkl + bdik djl + gdil djk (2)
Sostituendo la (2) nella (1) si ha:
Cijklºkl= adijºkk + (b + g)ºijj = ldijºkk + 2Gºij (3)
dove l e G sono le costanti di Lame per i materiali isotropi. Quindi per la
maggior parte dei materiali viscoelastici, la dilatazione è sempre elastica e la
distorsione è viscoelastica; la relazione per tali materiali viscoelastici
diviene:
p =
skk
3
= Kºkk (4)
sij(x,t) = 2G(x,t)eij(x,0+ ) + ⌡
⌠
0
t
2G(x,t - t')�eij
�t'
(x,t')dt' (5)
con :
p = tensione idrostatica
K = modulo di volume
sij = tensore deviatore degli sforzi = sij - pd ij
eij = tensore deviatore delle deformazioni = eij - d ijºkk/3
Per i materiali viscoelastici la energia di dissipazione è dovuta
principalmente alle deformazioni di taglio.
2.2.2.2. Il modello di Maxwell
Come indica il nome, la viscoelasticità è una generalizzazione di elasticità e
viscosità.
L’elemento elastico può essere modellato come una molla e lo smorzatore
come un pistone fluidodinamico. Se questi due elementi sono combinati
insieme in serie si ha il modello di Maxwell come in figura. 1, dove k è la
3
Tale modulo di rilassamento è un tensore del quarto ordine e gode di simmetria “minore”, ossia sono invertibili
9costante della molla e c la viscosità. Quando una forza F è applicata al
modello, l’elongazione totale è uguale alla somma delle estensioni
dell’elemento elastico e viscoso:
u = ue + uv (6)
dove ue è l’elongazione dell’elemento molla e uv è quella dell’elemento
viscoso. Differenziando la (6) rispetto al tempo si ha:
du
dt
=
due
dt
+
duv
dt
(7)
Poiché la forza F è la stessa nei due elementi, applicando le equazioni
costitutive (tenuto conto delle derivate) si ha:
du
dt
=
1
k
dF
dt
+
F
c
(8)
La risposta u, dunque, nel modello di Maxwell dipende unicamente dalla
forza F.
Fig. 1: Modello di Maxwell
2.2.2.3. Il modello di Voigt
Se i due elementi sono combinati in parallelo, ilmodello risultante è noto
come quello di Voigt come in figura 2. Quando una forza è applicata a questo
modello, la somma delle forze nella molla e nel pistone deve essere uguale a
tale forza applicata, ossia:
F = Fe + Fv (9)
dove Fe è la forza nella molla e Fv è la forza nel pistone. Se gli spostamenti
nei due elementi sono uguali si avrà la seguente relazione tra forze e
spostamenti:
F = ku + c
du
dt
(10)
gli indici i con j e k con l (Fung, 1965).
10
Fig. 2: Modello di Voigt
2.2.2.4. Equazioni costitutive con modulo complesso
Le relazioni che descrivono il comportamento reologico dei materiali
viscoelastici si possono ottenere attraverso la rappresentazione con modulo
complesso di elasticità. Come visto per i due modelli elementari precedenti,
le relazioni costitutive sono espresse nel dominio del tempo usando o
l’integrale di convoluzione o le equazioni differenziali. Con l’uso del modulo
complesso di elasticità le relazioni costitutive si esprimeranno nel dominio
delle frequenze. Saltando l’eventuale facile dimostrazione4 si può provare che
il legame tra tensioni e deformazioni si può riscrivere come.
s = E*(w)º = [E’(w) + iE”(w)]º (11)
dove E’ e E” sono dette “storage modulus” e “loss modulus” rispettivamente
(cit. Sun e Lu).
L’equazione (11) è una relazione monodimensionale tra tensione e
deformazione se le componenti E’ e E” sono definite direttamente nel
dominio delle frequenze. La determinazione di tali coefficienti deve essere
eseguita sperimentalmente per ciascun materiale. In tal caso l’equazione del
moto è ancora definita nel dominio delle frequenze, non in quello del tempo;
occorre, dunque, usare la trasformata di Fourier per ritornare nel dominio
temporale.
4
Si rimanda per approfondimenti al libro di C.T. Sun e Y.P. Lu come riportato in bibliografia.
11
2.2.2.5. Ciclo isteretico per i materiali viscoelastici
La relazione tensione-deformazione per un materiale viscoelastico soggetto
ad un carico ciclico è una ellisse. Si può verificare attraverso la equazione
(11) sotto un carico ciclico si ha:
s = [E’ + iE”]º = E’º +
E"
w
dº
dt
(12)
poiché iwº = dº /dt per i moti armonici. Sostituendo º = º0sinwt nella
(12) si ha:
s = E’º 0sinwt +
E"
w º0coswt (13)
oppure:
s = E’º � E” º0 2 - º 2 (14)
La equazione (14) rappresenta una ellisse nel piano s-º come mostrato nella
figura 3. L’energia dissipata durante un ciclo di oscillazione è uguale all’area
racchiusa nella curva ellittica.
Fig. 3: Ciclo isteretico di un materiale viscoelastico
L’energia dissipata per ciclo si calcola:
Wd = sdº = ⌡
⌠
0
2p/w
s
dº
dt
dt (15)
Usando la (13) nella (15) e risolvendo si ha:
Wd = pEӼ 0 2 (16)
12
Il picco di energia potenziale U può essere valutato in termini di ampiezza
di deformazione come:
U = 1
2
E’º 0
2 (17)
Definito con h = Wd/2pU come il fattore di perdita di energia per ciclo,
considerando le (16) e (17) si ha anche:
h =
E"
E'
(18)
2.3. I GIUNTI VERTICALI
L’uso di giunti verticali alle colonne come parte integrante di un dispositivo
di isolamento negli edifici di Ingegneria Civile risulta una tecnica
relativamente nuova ed ancora non largamente sperimentata come invece è
avvenuto per i tradizionali isolatori in gomma alla base. La storia delle
costruzioni non manca, però, di esempi pionieristici in questo settore
attingendo addirittura da una cultura mistica come quella asiatica di
quattordici secoli fa.
2.3.1. L’ESEMPIO DELLE “PAGODE” GIAPPONESI
In un territorio spazzato continuamente da violenti tifoni e scosso da
terremoti, come hanno potuto le più alte ed esili pagode in legno sostenersi
per secoli? Negli scorsi 1400 anni si sono registrate soltanto due collassi di
tali costruzioni mentre la maggior parte sono andate distrutte a causa del
fuoco o delle guerre civili.
Il disastroso terremoto di Hanshin del 1995 fece 6400 vittime, fece ribaltare
elevati viadotti, spianò interi quartieri e devastò l’aeroporto di Kobe.
Nonostante tutto lasciò illesa la magnifica pagoda a cinque piani al tempio di
Toji nelle vicinanze di Kyoto, sebbene rase al suolo le più basse costruzioni
nelle vicinanze.
L’industria costruttrice del Giappone ha assunto confidenza con le pratiche
antisismiche soltanto negli ultimi 30 anni per erigere edifici per ufficio più
alti di una dozzina di piani in acciaio e calcestruzzo armato. Con i suoi
speciali dissipatori alla base, il primo grattacielo nel centro di Tokyo
13
Kasumigaseki di 36 piani, fu considerato un capolavoro dell’ingegneria
antisismica quando costruito nel 1968.
La pagoda multipiano venne introdotta in Giappone dalla Cina nel sesto
secolo, con l’avvento del Buddismo. I cinesi costruivano le loro pagode
principalmente in pietra con scale all’interno e il loro uso principale era di
torri di controllo e per il culto. Le pagode giapponesi, invece sono realizzate
interamente in legno e mancano delle scale interne. La loro tipica forma
scalata ad ali è dovuta alle lunghe travi a sbalzo che sostengono le grondaie
di bordo, le quali possono raggiungere aggetti di oltre il 50 % della larghezza
del corpo centrale. Tale forma richiama quella tipica di un albero di pino ma
con un funzionamento statico completamente innovativo. Innanzitutto è di
rilevante importanza il ruolo assunto dal tronco centrale passante lungo tutta
l’altezza dalla costruzione. Esso5 è realizzato con un unico tronco di un
albero di cipresso secolare giapponese chiamato kinoki e recenti studi hanno
dimostrato che esso non svolge la funzione statica di sostegno dei piani, come
verrebbe logico pensare, ma risulterebbe sospeso all’ultimo dei piani come un
grande pendolo stazionario con la base annegata nel terreno ma non reagente
con esso. Il peso della costruzione è sopportato, invece, da 12 robuste
colonne esterne che delineano anche il perimetro della costruzione più quattro
colonne interne agli angoli di un più piccolo quadrato interno. Inoltre ogni
singolo piano, dalle larghe falde, non è connesso con il piano sottostante ma
essi risultano semplicemente impilati l’uno su l’altro con libertà di
movimento delle relative colonne tali da rendere il comportamento di tali
piani simile a quello di “tazze semplicemente impilate” le une sulle altre.
L’effetto osservato su tali costruzioni durante un evento sismico o un tifone è
quello di una oscillazione cosiddetta a “danza di serpente” del tronco centrale
il quale diventa il principale responsabile dell’attenuazione degli effetti
dinamici e di assorbimento dell’energia. Nella figura seguente è riportato
schematicamente una sezione di pagoda a cinque piani.
5
Tale tronco è chiamato shinbashira e ricopriva un profondo significato religioso nel credo Buddista.
14
Fig. 4: Sezione di pagoda giapponese
L’esempio portato delle costruzioni in legno giapponesi non ha la pretesa di
spiegare il comportamento conseguente all’uso di colonne giuntate in una
struttura, visto il particolare meccanismo di risposta delle stesse, ma di
indirizzarne solo il principio ispiratore, che nella moderna ottica della
scienza delle costruzioni sarebbe denominato come “comportamento
meccanico fortemente non lineare”. Il giunto verticale, nel contesto di
strutture a telaio, induce dunque, un comportamento variabile nel tempo della
capacità di resistenza della struttura e nell’ambito di funzionamento del
dispositivo di isolamento, costituisce l’attuatore degli opportuni movimenti
Gawabashira
Taruki
Shimbashira
Finial
Shitembashira
15
relativi delle sezioni indispensabili per l’attività dissipativa dell’elemento
viscoelastico.
La variabilità della resistenza si manifesta attraverso una diversa capacità di
risposta della struttura al verso di applicazione delle azioni orizzontali. Per
quelle azioni che producono l’apertura del giunto la rigidezza della struttura
si esplicherà condizionatamente alla rigidezza estensionale del dispositivo di
giunto (elemento molla nel modello teorico), mentre per quelle azioni che
producono la chiusura dello stesso troveranno in opposizione una rigidezza
condizionata dalla rigidezza assiale della colonna (sebbene potranno mancare
le reazioni flettenti se non previsti dal dispositivo di giunto). Per le forze
orizzontali applicate quasi staticamente tale differenziazione si concretizza in
una diversa matrice di rigidezza, mentre per quelle dinamiche in una continua
evoluzione di tale grandezza e che costituirà la sede in cui ricercare la non
linearità delle equazioni risolutive. Come vedremo in dettaglio più avanti, la
mancanza di una matrice di rigidezza costante nel tempo non permette di
definire un valore univoco del periodo fondamentale di una struttura con tali
dispositivi, ma si dovrà presumere che la struttura oscillerà con periodo pari a
quello con la sola molla quando i giunti risulteranno aperti, con periodo pari
a quello con la colonna chiusa quando i giunti risulteranno chiusi. In figura si
riportano schematicamente i concetti espressi in un piano di sezione della
struttura evidenziando la matrice Kw per a) e K f per la b):