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INTRODUZIONE
L’istituto della grazia, nella sua forma moderna, affonda le radici al tempo delle
monarchie assolute, nel cui ambito tutti i poteri traevano origine dalla figura del sovrano, che
poteva rivedere le sentenze dei giudici da lui istituiti, sospendere l’efficacia delle leggi o
dispensare dalla loro osservanza. Il «far grazia» dispensando dalle pene è una potestà da sempre
attribuita al detentore del potere sovrano, comunemente concepita come la massima espressione
del potere, che ammanta di una particolare autorità e prestigio, ma anche di un sentimento di
benevolenza e fiducia la figura del capo dello Stato. Nel processo di evoluzione delle monarchie
verso l’instaurazione di sistemi costituzionali e parlamentari moderni, malgrado le limitazioni
delle attribuzioni sovrane, il potere di grazia rimase quale atto di prerogativa regia, caratterizzato
dalla titolarità esclusiva del sovrano. Progressivamente si assistette alla «burocratizzazione»
dell’attività di concessione della clemenza, occasione in cui il relativo potere venne in parte
svincolato dall’arbitrarietà incondizionata del monarca, tramite l’istituzione di una procedura da
seguire in ogni singolo caso concreto. Nelle carte costituzionali contemporanee la grazia è rimasta
come residuo storico di un potere che è andato assottigliandosi e perdendo le caratteristiche
tipiche di una sovranità svincolata da regole positivamente stabilite: un potere considerato
residuale, retaggio di costituzioni superate, dunque scarsamente significativo e rilevante presso
gli ordinamenti attuali, nell’ambito della giustizia penale. Tuttavia è stato costantemente
mantenuto – al pari che in ogni altro ordinamento – per ragioni di prestigio e per tradizione,
nonché per non sminuire la dignità formale della figura presidenziale rispetto a quella del Re,
preoccupazione fortemente manifestatasi all’interno dell’Assemblea costituente.
Questo non è che un accenno dell’articolato percorso attraverso cui il linguaggio della
grazia è mutato, si è evoluto e ha mostrato la sua polifunzionalità nelle diverse epoche storiche,
sino a giungere ai giorni nostri. Al fine di una piena e completa comprensione dell’operare di tale
istituto – per come è oggi configurato nella Costituzione e nella legislazione ordinaria – sarà
opportuno partire da un’indagine storica, che prenda avvio dall’Età antica e dai suoi omologhi più
risalenti, i quali presentano talune affinità con l’odierna forma di clemenza individuale sotto
diversi profili. Come è noto, astraendo dal tema in esame, soltanto un’analisi dell’evoluzione
storica permette infatti di ricostruire la concreta trasformazione di un istituto giuridico e del potere
tramite il quale esso si estrinseca nel “mondo reale”.
In tal modo si potrà passare ad esaminare la disciplina prevista nei codici vigenti, la
procedura burocratica che prende avvio dalla presentazione della domanda di grazia (o
dall’autonoma iniziativa del Capo dello Stato o del Ministro della giustizia) per giungere fino alla
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determinazione presidenziale in ordine alla concessione del provvedimento, passando attraverso
l’istruzione della singola pratica, con la raccolta delle informazioni necessarie ad una matura e
consapevole decisione finale. Per giungere ad illustrare l’attuale configurazione normativa del
potere di grazia, si dovrà prendere le mosse dal fondamento della clemenza individuale e dalle
molteplici finalità verso cui essa tende, in coerenza con i principi sanciti in Costituzione. Sotto
tali profili, è bene evidenziare che l’istituto della grazia si evolve in funzione delle necessità
dell’ordinamento: si presta così alla valutazione di circostanze non previste dal legislatore, pone
rimedio ad errori giudiziari, funge da strumento di modulazione della pena, interviene su diritti
costituzionali sostanzialmente privi di tutela giuridica effettiva, armonizza le pronunce
giurisdizionali con il principio di eguaglianza formale di tutti i cittadini davanti alla legge. Il
delicato rapporto tra il presente istituto, che per sua natura sfugge a predeterminazioni sotto il
profilo applicativo, e il principio sancito dall’art. 3 Cost. – uno dei cardini di uno Stato
costituzionale di diritto – darà dimostrazione di quanto, da una parte, sia inopportuno
“imbrigliare” il potere presidenziale di grazia contenendone l’uso secondo prefissati criteri e di
come, dall’altra, le scelte discrezionali attinenti al suo esercizio in concreto non debbano porsi in
contrasto con i principi espressi nella carta costituzionale, trasformando uno strumento di giustizia
– ossia di correzione alle storture manifestatesi nel singolo caso – in fattore di ingiustizia.
Saranno esposte le diverse tesi sulla natura dell’atto di grazia, ad oggi ritenuto quasi
pacificamene un atto politico o di governo, tuttalpiù assimilabile a un atto amministrativo,
escludendo una valenza legislativa o, ancor meno, giurisdizionale, che in passato alcuni
sostenevano. L’interpretazione di tale politicità è la chiave di volta per sottrarre l’atto al controllo
giurisdizionale, che tipicamente non può avere ad oggetto provvedimenti a contenuto ampiamente
discrezionale. In un sistema costituzionalizzato e giuridicamente garantito, ciò potrebbe creare
non pochi problemi di legittimità, pertanto si vedrà che un sindacato della Corte costituzionale
sarà comunque esercitabile, utilizzando come parametro l’attribuzione di competenze alle Camere
sui provvedimenti di amnistia e indulto. Altra questione che pone ulteriori problemi costituzionali
è l’interpretazione e l’applicazione delle condizioni (sospensive e risolutive, in particolare le
seconde) apposte al decreto di concessione della grazia, le quali modulano in maniera peculiare
gli effetti del provvedimento, nella direzione di una maggiore “personalizzazione” del rapporto
punitivo.
Seguirà l’ampio dibattito dottrinale sulla classificazione del provvedimento di grazia
all’interno delle categorie di atti presidenziali: a una corrente maggioritaria che da sempre lo
ritiene un atto complesso a partecipazione eguale di Capo dello Stato e Ministro, si affiancano le
opinioni di chi valuta più opportuno – si vedranno gli argomenti a sostegno – inquadrarlo tra gli
atti strettamente presidenziali, senza trascurare una corrente minoritaria (quasi abbandonata) che
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ne ha messo in rilievo la specifica politicità e quindi la competenza sostanziale del Guardasigilli
nella decisione finale.
Il tema della titolarità del potere di grazia per lungo tempo non ha riscosso una particolare
attenzione tra i pubblicisti, in virtù del buon funzionamento dell’istituto nella quotidiana prassi
applicativa: fino agli anni ’90 non risultano essersi verificati casi in cui si sia manifestata una
tensione, né tantomeno un conflitto, tra gli organi implicati nel procedimento di concessione. Il
rapporto di leale collaborazione tra di essi può essere letto come il frutto di una convenzione
costituzionale – se non addirittura una consuetudine giuridicamente vincolante – sorta e
perpetuata nel tempo. Il dibattito giuridico, parallelamente a quello politico, è ripreso in seguito
ad alcuni singoli casi in cui le divergenze tra Capo dello Stato e Guardasigilli hanno portato ad
un conflitto istituzionale: il primo risolto in via politica, il secondo concluso con una pronuncia
della Corte costituzionale in veste di giudice dei conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato.
Entrambe le vicende fanno riferimento ad una questione che coinvolge profili politico-sociali di
tutta rilevanza nella storia italiana: si discusse sull’opportunità di chiudere la lacerante fase storica
del terrorismo rosso che si era protratta per alcuni lustri e che aveva condizionato la vita politica
del nostro Paese. Lo strumento con cui si sarebbe potuto agire era il potere di clemenza, declinato
nelle sue forme, collettiva o individuale: nella presente trattazione ci si occuperà di due singole
vicende, che nacquero dalle richieste di grazia a favore degli ex brigatisti Renato Curcio e Ovidio
Bompressi e che si conclusero con differenti esiti. Verrà esaminata la sentenza n. 200/2006 con
cui la Corte si è pronunciata nell’ambito del conflitto di attribuzioni tra il Presidente Ciampi e il
Ministro Castelli, delineando un rinnovato statuto del potere di grazia conforme a quella che si
ritiene essere la sua finalità costituzionale. A fianco a quello politico, è ripreso il dibattito
giuridico nel cui ambito molti studiosi, sull’onda dell’attualità della vicenda, hanno avuto modo
di esprimere (o di ribadire) le proprie argomentazioni sul tema.
Infine, sarà utile esaminare come l’istituto di clemenza individuale abbia operato
nell’Italia repubblicana, come sia stato impiegato nel corso dei settennati presidenziali, come
abbia “vissuto” nella pratica quotidiana. Se ne potranno apprezzare le prassi che ciascun Capo
dello Stato ha ritenuto più opportuno seguire, declinando l’atto di grazia con modalità diverse e
in contingenze spesso del tutto dissimili. Emergerà come per la grazia la pratica abbia costituito
(e costituisca tuttora) fonte giuridica che ha di fatto operato anche al di là e, talvolta, al di sopra
del diritto positivo.
In conclusione di tale sintetica traccia, è utile evidenziare che l’elaborato sarà altresì
l’occasione per affrontare, nei limiti consentiti dalla presente trattazione, alcuni temi di rilevanza
giuridico-costituzionale su cui l’argomento in esame fornisce lo spunto. Senza smarrire la bussola
che guiderà la disamina degli aspetti significativi di cui si è accennato, si porterà l’attenzione sul
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ruolo del Presidente della Repubblica nel nostro ordinamento, nonché sui rapporti tra organi dello
Stato nel “fisiologico” funzionamento delle istituzioni, ma anche nel caso “patologico” – previsto
dall’ordinamento stesso – in cui in essi si vengano a trovare davanti a una rigida contrapposizione,
la cui soluzione è demandata all’intervento della Corte costituzionale nella veste di giudice dei
conflitti. Si faranno alcuni cenni alle fonti del diritto e al loro ruolo in tema di grazia: in particolare
per quanto riguarda la potestà integrativa delle fonti subordinate alla legge, come la consuetudine,
differenziando la vincolatività di quest’ultima dagli effetti a cui danno vita le convenzioni
costituzionali o la semplice prassi.
Un argomento apparentemente di modesto rilievo nel panorama delle attribuzioni
costituzionali e per la sua valenza nell’ambito del funzionamento delle istituzioni statuali si
dimostrerà foriero di spunti a partire dai quali avviare una riflessione più approfondita.
CAPITOLO I
L’EVOLUZIONE STORICA DEL POTERE DI GRAZIA
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1. Dall’età antica al tardo medioevo
Il concetto di grazia
1
non nasce presso i popoli moderni così come lo si intende al giorno
d’oggi, ma ha le sue radici più remote in ordinamenti basati su principi molto differenti da quelli
affermati dalle costituzioni vigenti nelle democrazie occidentali
2
. Il suo fondamento si può
rintracciare nell’elevato sentimento religioso, per poi estendersi gradualmente fino a diventare
una delle più prestigiose prerogative della Corona.
La divinità elargiva il favore o la grazia, poiché soltanto da essa dipendevano le sorti degli
uomini, dei popoli, della patria; per placarne l’ira e ottenerne la grazia, erano necessari preghiere
e sacrifici. La grazia, in questi primi tempi, era unicamente un attributo essenziale della divinità,
un mezzo attraverso cui mitigare il timore nei confronti della religione, così come era concepita
dalla teologia. Nelle società antiche, in cui domina il principio teocratico era il re, rappresentante
di Dio sulla terra, ad esercitare il diritto di grazia, espressione più completa e più propria della
potestà di clemenza
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. I concetti giuridici e politici in tema di grazia derivano da quelli teologico-
religiosi: le prerogative divine venivano assunte dal monarca, determinando il passaggio «dal Dio
giusto e clemente (che perdona) al sovrano giusto e clemente (che grazia)»
4
. Nel suo esercizio
«umano», non deve essere intesa come un istituto facente parte dell’amministrazione della
giustizia, bensì come «la volontà benevola del principe, il capriccio, il favore»
5
. La grazia,
dunque, ha le sue radici nella religione ma si evolve, a mano a mano, diventando una delle
prerogative più prestigiose della Corona: nasce «all’ombra di un’idea essenzialmente religiosa»,
si caratterizza «come attributo dell’autorità divina, esercitato in terra dalla potestà temporale» per
poi diventare una prerogativa del monarca
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, detentore della sovranità e titolare di tutti i poteri e
di tutte le funzioni pubbliche.
1
E’ importante premettere che «molto spesso le fonti danno conto di situazioni concrete, senza qualificarle
espressamente in termini di perdono e di grazia», come sottolinea G. CRIFÒ, Lessico del perdono nel diritto romano, in
K. HÄRTER, C. NUBOLA (a cura di), Grazia e giustizia. Figure della clemenza fra tardo medioevo ed età contemporanea,
Bologna, 2011, 73 ss., che, riportando C. FERRINI, Diritto penale romano. Esposizione storica e dottrinale, Milano,
1902, 166 ss., aggiunge: «vari sono i casi di intervento che possono considerarsi di grazia senza che ve ne sia la specifica
qualifica».
2
G. ZAGREBELSKY, Amnistia, indulto e grazia. Profili costituzionali, Milano, 1974, 1 ss.; T. L. RIZZO, Il potere
di grazia nell’età regia, in Studi in memoria di Giovanni Cassandro, Roma, 1991, 909 ss., fa risalire l’origine delle
prime forme di grazia a civiltà e tempi ancor più remoti di quelli che andiamo a trattare, come l’India antica e l’Egitto
dei faraoni.
3
Cfr. l’evoluzione storica in età antica in F. CAMPOLONGO, Grazia, in Digesto italiano, vol. XII, Torino, 1904,
975 ss.; BRUNIALTI A., Grazia (diritto di), in Enciclopedia Giuridica Italiana, vol. VII, Milano, 1935, 515 ss.; G.
VASSALLI, La potestà punitiva, Torino, 1942, 116 ss.; e, per singole tappe, G. ZAGREBELSKY, Grazia. a) Diritto
costituzionale, in Enciclopedia del diritto, vol. XIX, Milano, 1970, 757 ss.; ID., Amnistia, indulto e grazia, cit., 1 ss.
4
B. PASTORE, Potere di grazia, legalità, giustizia, in R. BIN, G. BRUNELLI, A. PUGIOTTO, P. VERONESI (a cura
di), La grazia contesa. Titolarità ed esercizio del potere di clemenza individuale, Torino, 2006, 230 ss.
5
F. CAMPOLONGO, op. cit., 975.
6
Ibidem.