6
INTRODUZIONE
Desidero innanzi tutto ringraziare il professor Tavoni per la fiducia
accordatami e per avermi proposto di scrivere questa tesi. La sua
proposta mi ha esortato a rileggere testi che da tempo non riprendevo in
mano, a ricercare le frasi dei miei maestri, i grandi del passato, a
frequentare corsi di aggiornamento ed eventi organizzati da varie
associazioni interessate ai disturbi specifici dell’apprendimento, ad
incontrare genitori e studenti con DSA, a rivedere la mia didattica da un
altro punto di vista, ad inventare ed usare strategie alternative di
insegnamento, ad evitare la fretta e privilegiare il ritmo lento
dell’apprendimento sereno e costante, a documentare il lavoro svolto con
altra ottica. Non è stato facile, per me, pervenire a questa stesura
definitiva: ho visto e rivisto l’ordine degli argomenti piø volte, ho cancellato
interi paragrafi sostituendoli con altri, ho rivisto termini ed espressioni,
cercato metodicamente risultati d’indagini svolte, riferimenti a testi e
articoli su quotidiani e riviste specializzate, frequentato assiduamente
biblioteche anche di tipo scientifico. Insomma, è stato un lungo e faticoso
lavoro che mi ha dato modo, però, di approfondire argomenti di grande
interesse ed attualità e di provare, ancora una volta, la soddisfazione del
rimettersi in gioco nello studio e nella ricerca, costituenti essenziali
dell’educazione permanente.
Il titolo “Asino chi legge” dato alla mia tesi, rivela senza ombra di dubbio
la mia età, collocata al di là del mezzo secolo: questa era, infatti, una frase
che si trovava ovunque, allora. Nel mondo della mia infanzia, privo di
televisori e computer, arricchito da giochi per strada e nei campi, all’aria
aperta, con pochi adulti impegnati nel seguire l’educazione culturale dei
piø piccoli, spesso essi stessi completamente o semi-analfabeti, l’imparare
a leggere rappresentava un traguardo importantissimo. Accedere a quel
codice misterioso apriva al mondo degli adulti e dei libri, così pieni di storie
interessanti ma scritte con segni incomprensibili, troppo difficili da
decifrare.
Quell’accesso era quasi un rito di iniziazione. Segnava il passaggio dai
giochi dell’infanzia agli impegni degli adulti, adulti che iniziavano ad
7
interessarsi, e spesso anche a dipendere, dalla nuova competenza
acquisita dal bambino.
Smanioso di imparare, il piccolo che entrava a scuola metteva il
massimo impegno nel memorizzare e riconoscere vocali e consonanti, nel
fonderle insieme per costruire le sillabe, poi le parole e, infine, le frasi.
Ecco che finalmente poteva leggere il libro di testo e anche i libriccini nella
biblioteca di classe. Poteva leggere tutto, ormai: anche quella scritta,
tracciata malamente sul muro, sulla lavagna, sulla copertina interna del
quaderno o del libro di lettura da quel compagno piø grande che adesso
stava lì a guardarlo e a sorridere sornione, come a metterlo alla prova:
“Dai! Fai vedere che sai fare!”.
A-S-I-N-O C-H-I L-E-G-G-E.
Faticosamente il processo di decodifica veniva portato a termine, il
messaggio veniva decifrato e compreso. Il bambino si soffermava ancora
un attimo su quelle parole: si sentiva deriso, preso in giro, deluso. La
delusione durava, però, un attimo, un battito di ciglia: in cuor suo, il
bambino sapeva di aver spiccato il volo verso la conoscenza. La delusione
di quel bambino è stata anche la mia: una delusione di breve durata
perchØ avevo capito di avere, finalmente, accesso indipendente al mondo
dell’informazione.
Un bambino che legge
1
Un bambino che legge
si dimentica dei piedi,
ha schegge di luce
negli occhi ardenti.
Un bambino che legge
è un bambino che va lontano
senza che nessuno lo tenga per mano.
(Angelo Petrosino)
La scuola di piø di mezzo secolo fa era una scuola molto diversa
dall’attuale: il bambino non era visto come persona portatrice di propri
1
“Un bambino che legge” è una poesia inedita di Angelo Petrosino, maestro di scuola primaria e
scrittore di numerosi libri, racconti e poesie per l’infanzia. Dal 2013 ha pubblicato, per le Edizioni
Sonda, una nuova serie di racconti illustrati che vede protagonista Antonio, un bambino dislessico
dotato di grande creatività e immaginazione.
8
saperi e conoscenze, ma come un contenitore vuoto da riempire di regole
e nozioni, come dimostra il famoso “imbuto di Norimberga” qui riportato.
2
In quel tipo di scuola, il maestro era un capo assoluto, rispettato e
riverito da tutti. In genere, tendeva piø ad esigere la completa ubbidienza
che a sviluppare lo spirito critico e di collaborazione. Chi aveva disabilità
veniva allontanato dalla società o, nei casi meno gravi, seguito in scuole
“speciali”. Chi aveva problemi di apprendimento veniva umiliato e
sottoposto a punizioni: chiamato “asino”; veniva addirittura costretto a
girare per la scuola con un copricapo con orecchie d’asino sulla testa
perchØ fosse sbeffeggiato da maestri e compagni delle altre classi. Forse
perchØ meno aggraziato, piø piccolo e tozzo del cavallo, infatti, da sempre
l’asino è stato preso ad emblema di una condizione miserabile,
immutabile, come ben mostra The Elder, l’incisione di Breugel del 1557,
riportata di seguito.
2
L’imbuto di Norimberga rappresenta efficacemente l’idea che, attraverso un imbuto, sia possibile
travasare nella mente giovanile concetti e saperi. La metafora trae origine da un’incisione su legno del
XVII secolo rinvenuta a Norimberga.
9
L’artista ha raffigurato una classe molto affollata dell’epoca, dove il
maestro, circondato dagli scolari, percuote addirittura un bambino. Alle
sue spalle, un povero asino sembra voler leggere un foglio con grandi
scritte. Nella didascalia è riportata la scritta: “¨ inutile che l’asino vada a
scuola, egli è un asino, non sarà mai un cavallo!”. Questa frase
rappresenta il modo comune di pensare dell’epoca in riferimento a
condizioni umane considerate in quel tempo come immutabili. BenchØ sia
un animale intelligente, leale e mansueto, oltre che grande lavoratore,
l’asino è da sempre utilizzato per definire una persona che non capisce,
che non è interessata ad apprendere, che non sa, quindi ignorante. Il
Pinocchio di Carlo Collodi ha rinforzato questa associazione che, però,
appare profondamente ingiusta. Da questa percezione di ingiustizia nasce
il mio desiderio di “riabilitare” quella frase che aveva ferito me e altri miei
compagni molti anni fa: quell’“asino chi legge”di presa in giro che, può, in
realtà, contenere una qualche verità se solo la caliamo nella realtà di uno
studente che ha difficoltà o non riesce a leggere, come un ragazzo con
DSA. Cosa succede, infatti, se nel processo di apprendimento della letto-
scrittura qualcosa non va?Cosa succede se per un bambino tutto è
difficile: riconoscere le lettere e associarle al loro suono, ricordarle,
metterle insieme a costruire sillabe e parole?
10
¨ un bambino asino e ignorante o ha difficoltà ad accedere alle
informazioni? ¨ asino perchØ vuole imparare ma non può? Chi è l’asino?
Il bambino che ha un disturbo specifico dell’apprendimento o chi non
capisce, e magari non vuole nemmeno capire, che cosa abbia? E infine: è
asino chi si sforza di imparare aggirando il piø possibile i disturbi che lo
affliggono o chi insiste nell’umiliarlo e nel fargli fare attività per lui
faticosissime e frustranti?
L’uso dunque dell’espressione “Asino chi legge” è per esprimere una
critica a quella parte della scuola ancorata ad un atteggiamento di
indolenza o supponenza, restìa a mettersi in discussione e a cambiare,
lontana dalla realtà dei bambini e dai loro problemi, in una parola,
ignorante. ¨ anche un invito a cambiare punto di vista, a “leggere” la realtà
scolastica con altri occhi, a imparare ed insegnare a mettersi nei panni
degli altri e non ignorare piø situazioni “diverse”. ¨ un’esortazione a
rendere piø vivo, gioioso, partecipe e soddisfacente il processo di
apprendimento e creativo, flessibile, intelligente e inclusivo il processo di
insegnamento. Il che non vuol dire non fare niente, come da piø parte
viene detto, anzi. Significa, al contrario, studiare e molto; nutrirsi di poesie
e scritti di autori classici e moderni, analizzarli, memorizzarli e farli divenire
parte del proprio bagaglio culturale per sempre. Significa anche dare
rilevanza a tutti i saperi, a tutte le professionalità, sia intellettuali che
manuali, valorizzando le aspirazioni di ognuno. Significa sviluppare
appieno tutte le potenzialità ricorrendo anche alle nuove risorse
tecnologiche che hanno il non trascurabile pregio di essere attraenti e
interessanti per i nostri studenti nativi digitali.
L’asino di Bruegel rappresenta la triste condizione di chi, per molto,
troppo tempo, non ha ricevuto alcun aiuto per poter cambiare la propria
condizione: nessuno credeva in un suo possibile miglioramento. Secoli
dopo, le esperienze della Montessori e di Don Milani hanno portato in Italia
esempi concreti di modificabilità delle condizioni umane dimostrando la
validità di un intervento integrato sugli individui, sui contesti e sulle
relazioni. Ciari nel 1972 evidenziava la necessità di attuare nelle scuole
un’opera di ricostruzione degli Istituti e delle condizioni socio-culturali, in
11
cui la persona si costruisce e si sviluppa, aprendo il mondo della scuola
alla famiglia e al territorio in un’ottica di sistema formativo integrato.
Le condizioni umane personali non sono piø considerate come
immodificabili nei contesti scolastici ufficialmente a partire dall’avvento
della Legge 517 del 1977 che abolisce di fatto le scuole e le classi speciali
richiedendo una prima modifica degli ambienti scolastici per consentire
una piena integrazione.
Nel 1992, con l’emanazione della Legge Quadro 104 per l’assistenza,
l’integrazione sociale e i diritti delle persone disabili, viene sancito il diritto
all’integrazione in ogni ordine e grado di scuola e la decentralizzazione
della scuola grazie a interventi integrati con altri servizi territoriali. La legge
prevede l’adozione in tutte le istituzioni scolastiche e universitarie di
strumentazioni tecniche e sussidi didattici volti a garantire il diritto
all’educazione che non può essere impedito da difficoltà fisiche o di
apprendimento.
L’individualizzazione e la personalizzazione didattica, garantite dalla
Legge 517 del 1977 e dalla Legge 53 del 2003, sostenute dalle recenti
Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo
ciclo d’istruzione, sono due approcci che stanno alla base di una didattica
attiva. In particolare la Legge n. 517 del 1977 ha segnato una rivoluzione
nella visione pedagogica, culturale e politica dell’Italia, sopprimendo le
scuole speciali e le classi differenziali. La personalizzazione e
l’individualizzazione si configurano come modalità di insegnamento che
cercano di sviluppare in ogni individuo disabile e non, in qualsiasi
situazione si trovi, il massimo della competenza possibile nel maggior
numero di campi possibili. L’obiettivo dello sviluppo in ciascun allievo di un
personale metodo di studio e la capacità di approcciarsi alle conoscenze
in modo critico e meta-cognitivo è fondamentale nella concezione
moderna dell’insegnamento. Nell’individualizzazione didattica, gli obiettivi
sono i medesimi per tutti gli alunni della classe (conoscenze, competenze,
abilità), ma si dà la possibilità ad ognuno di avvalersi di tempi, materiali e,
soprattutto, di stili cognitivi di apprendimento del tutto personali.
12
Nella personalizzazione didattica, gli obiettivi possono modificarsi in
base alla situazione di funzionamento di ognuno e quindi in relazione alle
capacità, agli interessi, alle motivazioni e alle potenzialità di ogni singola
persona.
Giustizia, centralità e unicità della persona, insegnamento
individualizzato e personalizzato sono le basi della scuola moderna, una
scuola che, benchØ attaccata e fatta oggetto di tagli pesanti, resiste, c’è
ancora. Grazie all’impegno e al senso di responsabilità di chi ci crede,
nonostante tutto, la nostra scuola, barcollante e lesionata in piø parti, è
ancora qui. Ci ricorda i principi fondamentali di uguaglianza, solidarietà,
fraternità che, ancora una volta, sono rivoluzionari, in un mondo che corre
veloce e lascia indietro gli ultimi, i deboli, i poveri. La nostra scuola è
ancora qui ad accogliere ogni bambino, indipendentemente
dall’appartenenza sociale, etnica, religiosa, culturale e fa tutto il possibile
per garantire a ciascuno quel diritto allo studio che rappresentava una
chimera solo mezzo secolo fa.
In un Paese niente è piø importante della scuola: essa rappresenta lo
sguardo che quella nazione ha sul futuro e non si può non sperare in un
futuro migliore per tutti. Costruire una scuola aperta, innovativa e inclusiva
deve essere il compito incessante di ogni insegnante. Una scuola di tutti e
di ciascuno, roccaforte di cultura e saperi in un mondo troppo spesso
centrato sulla materialità del denaro. Una scuola in cui si lavora e si studia
seriamente per formare cittadini onesti, laboriosi e partecipi della vita
sociale. Una scuola da salvaguardare ad ogni costo, da arricchire
costantemente con l’impegno, l’entusiasmo e la creatività di tutti, nessuno
escluso.
Lavorando da oltre trent’anni nella scuola, ne ho avvertito, e a volte
subito, i cambiamenti non sempre positivi: riforme, leggi calate dall’alto,
tagli drastici, critiche feroci, ridimensionamenti, interventi anche penali nei
confronti degli insegnanti e loro sempre maggiore scadimento nella
considerazione collettiva, degrado progressivo degli edifici scolastici,
penuria di mezzi e di beni di largo consumo, invadenza a volte eccessiva
nelle metodiche di insegnamento da parte della componente genitoriale,
13
presenza crescente di alunni problematici, scoraggiamento generale del
corpo docente e avvilimento di fronte a scelte che non hanno visto porre la
scuola al centro delle azioni governative e altro ancora.
La necessità di concretizzare in uno scritto tutte queste tensioni, ma
anche le aspirazioni, le nuove tendenze, le difficoltà e le soddisfazioni, mi
ha costretto a fare un lavoro di profonda riflessione anche sulla mia scelta
professionale che, nonostante le difficoltà affrontate e da affrontare, rifarei
ancora oggi senza tentennamento alcuno, convinta come sono che
ognuno, nel suo piccolo, possa contribuire, con impegno e
determinazione, al bene comune.
Ho ritenuto necessario impostare la tesi sulla conoscenza delle
tematiche DSA e puntare l’attenzione sul fatto che, nel nostro Paese, non
si insegna ad insegnare. La formazione degli insegnanti dipende quasi
esclusivamente dal loro desiderio di sapere, piø che da attività
istituzionalmente organizzate. Eppure abbiamo Leggi illuminate e che
parlano chiaro anche in questo senso. La discrepanza tra le teorie
legislative e le pratiche esecutive è però, purtroppo, una costante tutta
italiana, sostenuta e caldeggiata, piø o meno vistosamente, da chi, nella
scuola, non vuole mettersi in discussione e preferisce fare il proprio lavoro
in modo ripetitivo e senza sconvolgimenti, arrivando a negare l’esistenza
dei problemi e/o semplicemente cancellandoli, con le implicazioni che
questi comportamenti generano in chi li subisce, come gli studenti. Ma è
vero anche che la scuola ha resistito grazie al senso di responsabilità dei
molti insegnanti che hanno continuato indefessamente a fare il proprio
dovere, con entusiasmo e competenza, spesso ben al di là dell’orario
stabilito, studiando ed aggiornandosi costantemente e sempre, manco a
dirlo, a proprie spese.
Ritengo indispensabile sottolineare che chi manifesta problematiche di
DSA debba essere seguito costantemente e debba, esso stesso,
impegnarsi con tutte le proprie forze per utilizzare strategie alternative ma
che gli possano consentire ugualmente di giungere ad una piena
preparazione scolastica e culturale. Tutto questo per replicare a chi,
ancora, sostiene che il riconoscimento di DSA porti solo a favorire
14
l’aumento di studenti “lavativi” e “fannulloni” nelle classi. L’impegno dello
studente con DSA, in collaborazione con gli insegnanti, porta, in molti casi,
all’individuazione di nuove metodologie efficaci e quindi, alla fine, ad un
arricchimento delle competenze e delle tecniche didattiche di cui la scuola
tutta può usufruire, nell’ottica della sperimentazione, della ricerca e della
condivisione delle conoscenze. Basta crederci.
Ho suddiviso la mia tesi in quattro capitoli.
Il primo è centrato sulla tematica dei disturbi specifici
dell’apprendimento, sull’approfondire cosa sono, come sono distribuiti e
come distinguerli dalle altre difficoltà di apprendimento. Ci sono riferimenti
ai metodi di classificazione internazionale e anche all’ICF che da alcuni
anni diverse scuole, e anche la mia, cercano di adottare per sviluppare un
sistema di classificazione comune a tutti.
Nel secondo capitolo ho voluto tracciare il percorso di cambiamento
della scuola in Italia, soprattutto per quanto riguarda la flessibilità,
l’individualizzazione e la personalizzazione dell’insegnamento. Particolare
attenzione è stata posta nell’analizzare, quasi punto per punto, la Legge
170/2010, che segna un punto di inizio fondamentale nel riconoscimento
degli studenti con DSA, dei loro diritti (e doveri, ribadisco), delle misure
compensative e dispensative a loro disposizione per giungere al massimo
grado di istruzione possibile. Il percorso particolare seguito dallo studente
con DSA deve essere fedelmente documentato nel Piano Didattico
Personalizzato (PDP) compilato, nell’ottica della maggiore collaborazione
possibile, dagli operatori della scuola, dalla famiglia e dallo studente
stesso.
Nel terzo capitolo descrivo brevemente la nascita e lo sviluppo
dell’educazione linguistica in Italia e le polemiche, attualissime, legate alla
sua attuazione. Successivamente, tratto dell’insegnamento della lingua
italiana nelle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia
e del primo ciclo.
Nel quarto capitolo, entro nel “cuore” pulsante della mia attività, passo,
cioè, a descrivere le metodologie e le “buone pratiche” applicate con tutti
15
gli alunni, e non solo con gli studenti con DSA, per favorire il pieno
accesso, in particolare, alla letto scrittura. Espongo particolarmente questa
prima tappa, fondamentale, dell’apprendimento nella scuola primaria e
rimando, con suggerimenti generali, alle tappe successive la cui
trattazione richiederebbe molto piø spazio.
Le conclusioni ripercorrono a grandi linee il lavoro svolto e distillano
quello che è l’argomento principale di questa tesi: la necessità dello studio
approfondito e della formazione, di docenti e studenti, per limitare gli effetti
deleteri dei DSA e fornire sempre nuove armi per combatterli
efficacemente.